Sull’ampiezza dell’esclusiva conferita da brevetto inventivo

Sull’annosa e complicata (a livello pratico-applictivo) questione dell’ampezza di tutela conferita dal brefetto inventivo, interviene la prima sezione della Cassazione (ord. 07.02.2020, n. 2977, Proras srl c. Ades srl).

La norma di riferimento è l’art. 52 cpi (spt. c. 2-3) , secondo cui:

((1.  Nelle  rivendicazioni  e' indicato, specificamente, cio' che si
intende debba formare oggetto del brevetto.))
  2.   I   limiti   della   protezione   sono  determinati  ((dalle))
rivendicazioni;  tuttavia,  la  descrizione  e  i  disegni servono ad
interpretare le rivendicazioni.
  3.  La  disposizione  del  comma  2  deve  essere intesa in modo da
garantire   nel  contempo  un'equa  protezione  al  titolare  ed  una
ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
((3-bis.  Per  determinare  l'ambito  della  protezione conferita dal
brevetto,  si  tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un
elemento indicato nelle rivendicazioni.))

(da Normattiva.it)

Tra le varie interpretazioni ricorre pure la c.d cosiddetta prosecution-history estoppel statunitense, <secondo la quale il richiedente che nel corso della procedura brevettuale abbia rilasciato dichiarazioni limitative del brevetto non può espandere la portata del brevetto oltre tali limiti, neppure giovandosi della dottrina degli equivalenti.>.

la Corte riconosce sì che <nel concedere spazio alla regola di contemperamento espressa dall’art. 52, commi 3 e 3 bis  non si può abbandonare il fondamentale criterio che attribuisce il principale rilievo al contenuto obiettivo delle rivendicazioni, espressione della volontà di protezione rappresentata dal richiedente del brevetto>, § 2.6.

Però affidarsi solo alla limitazione di parte applicando il prosecution-history estoppel  non è corretto.

Infatti <tale criterio è estraneo al nostro ordinamento e al sistema brevettuale in cui le norme interpretative sono fissate dall’art. 69 del protocollo CBE e dall’art. 52 cod.propr.ind., con esclusione della rilevanza dell’intenzione soggettiva dell’inventore, dovendosi aver riguardo al significato oggettivo del brevetto, recepibile dalla collettività, espresso nelle rivendicazioni, interpretate alla luce delle descrizioni e dei disegni, a prescindere dall’iter amministrativo del procedimento di concessione e dovendosi negare rilevanza scriminante alle modifiche, ovvie e non originali, elusive della sua portata oggettiva> ,§ 2.7.

Il principio di diritto è dunque il seguente:

“In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 52, comma 3 bis come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento sostanzialmente equivalente a un elemento indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perchè ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto” >.

Tuttavia non mancano decisioni che accolgono il criterio statunitense e la SC non si è confrontata in dettaglio con esse.

Contraffazione musicale: l’attore deve prima preoccuparsi che la propria opera sia proteggibile

la District Court, C.D. California, il 16 marzo 2020, decide la lite tra PKA Flame e Kate Perry (d ). Il primo, titolare dei diritti sulla canzone <Joyful noise>, asseriva che la seconda l’aveva contraffatta tramite la canzione <Dark Horse>: in particolare, avrebbe riprodotto solo il c.d. “ostinato” e cioè una breve sequenza ritmica (riff) ripetuta nel corso della canzone.

La giuria accolse la domanda , concedendo danni per 2,8 milioni di dollari.

La Corte però va di contrario avviso, poichè l’opera attorea non è originale: solo se lo è, naturalmente, il titolare può far valere il relativo diritto.

Secondo il diritto USA, l’attore deve provare << (1) “ownership of a valid copyright,” and (2) “copying of constituent elements of the work that are original.”>> (v. sub III).

Il copiaggio a sua volta va provato o <<(a) with direct evidence that the defendant actually copied the work, or (b) by showing that the defendant (i) had access to the work and (ii) that the works are “substantially similar.”>> , p. 5.

Nel caso de quo, gli attori allegarono la modalità sub b (accesso+substantial similarity).

A sua volta la substantial similarity richiede di superare il two-part test: extrinsic similarity (elementi oggettivamente somiglianti: <there are two steps to the analysis: the Court (1) identifies the protected elements of the plaintiff’s work, and then (2) determines whether the protected elements are objectively similar to the corresponding elements of the allegedly infringing work>) e intrinsic similarity (somiglianza per l’utente medio: anzi, esattamente, per la reasonable person): p. 5-7.

Provata la substantial similarity, l’attore deve provare l’accesso: << “Proof of access requires an opportunity to view or to copy plaintiff’s work…. “To prove access, a plaintiff must show areasonable possibility, not merely a bare possibility, that an alleged infringer had the chance to view the  protected work.” >>, p. 7

Gli attori non hanno fortuna in Corte: questa nega il superamento dell’extrinsic test.

In generale nella musica pop più che in altre arti il “prestito” tra autori è diffuso e gli elementi originalui e dunque proteggibili sono rari  (passaggio interessante per ragionare sulla tutelabilità di questo tipo di musica), p. 9-10.

Il perito di parte Decker spiegò i cinque o sei elemenri copiati: < “The length of the ostinato is similar, eight notes. The rhythm of the ostinato is similar. The melodic content, the scale degrees present. The melodic shape so the—the way the melody moves through musical space. Similar, the timbre or the quality and color of the sound is similar, and the use of the the placement of this material, this ostinato, in the musical space of the recording in the mix, that is also similar. So that’s five or six points of similarity between the two ostinatos.”> p’. 10

Anzi , se meglio individuati, gli elementi copiati sarebbero addirittura nove: < “(1) a melody built in the minor mode; (2) a phrase length of eight notes; (3) a pitch sequence beginning with ‘3, 3, 3, 3, 2, 2’; (4) a similar resolution to both phrases; (5) a rhythm of eighth notes; (6) a square and even rhythm; (7) the structural use of the phrase as an ostinato; (8) the timbre of the instrumentation; and (9) the notably empty and sparse texture of the compositions.”>, p.10.

Tuttavia per la Corte nessuno di questi è proteggibile, singolarmente preso, p. 11 ss (ed anzi pure il perito di parte Decker dice in pratica che molti di essi non sarebbero originali, p. 12: affermazione alquanto strana per un perito di parte…): < In fact, the nine individual elements that plaintiffs identify in their opposition (see JMOL Opp. at 8) are precisely the kinds of commonplace elements that courts have routinely denied copyright protection, at least standing alone, as a matter of law>, p. 13. (segue analisi di ciascuno).

Inevitabilmente dunque <for the foregoing reasons, the Court cannot conclude, pursuant to the extrinsic test, that any of the allegedly original individual elements of the “Joyful Noise” ostinato are independently [*23] protectable as a matter of law>, p .15.

Anche se individualmente non sono proteggibili, i vari elementi potrebbero esserlo se considerati assieme (Protection For Combination Of Unprotected Elements, sub ii., p. 15 ss), ma l’esito è ancora una volta negativo: < in view of these decisions, the Court now turns to whether the musical elements that comprise the 8-note ostinato in “Joyful Noise” are “numerous enough” and “arranged” in a sufficiently original [*32] manner to warrant copyright protection. .. The Court concludes that they do not>, p. 19

Pertanto, <because the sole musical [*36] phrase that plaintiffs claim infringement upon is not protectable expression, the extrinsic test is not satisfied, and plaintiffs infringement claim—even with the evidence construed in plaintiffs’ favor fails as a matter of law> p. 22.

Ma anche se la combinazione di elementi (singolarmente non originali) fosse originale , non ci sarebbe substantial similarity (sub  iii, p,. 22 ss): <The evidence in this case does not support a conclusion that the relevant ostinatos in “Dark Horse” and “Joyful Noise” are virtually identical>, p. 23

Quanto all’intrinsic test, la Corte si attiene ai precedenti , secondo cui la decisione è lasciata alla giuria, p. 24.

SULL’ACCESSO: sotto tale aspetto <The question presented by this posttrial motion is therefore “not whether Plaintiff has proven access by a preponderance of evidence, but whether reasonable minds could find that Defendants had a reasonable opportunity to have heard Plaintiffs song before they created their own song.>, p. 25.

E la Corte ritiente che le prove effettivamenTe permettano di ritenere provato l’accesso, dato che gli attori ha dato prova <at trial that “Joyful Noise” was played more than 6 million times on YouTube and MySpace,  hat “Joyful Noise” was nominated for a Grammy, that “Joyful Noise” was performed at hundreds of concerts across the country, and that “Joyful Noise” ranked highly on the Billboard charts for popular music.> p. 25.

SUI DANNI E SULL’APPORTIONMENT:

la giuria decide che il 22.5% del profitto netto di ciascun convenuto, tratto dalla canzone censurata, derivasse dall’uso dell’ostinato della canzone attorea , sulla base del fatto che l’ostinato ricorre per il 45 % della canzone contraffattrice, p. 29 : la giuria evidentemente  <decided to divide plaintiffs’ requested amount in half—either as a result of defendants’ evidence, or some other reason—and award damages in the amount of 22.5% of total profits>, p. 29/30.

Qui va ricordata la disciplina sull’onere probatorio, specifica del diritto di autore USA: <The copyright owner is entitled to recover the actual damages suffered by him or her as a result of the infringement, and any profits of the infringer that are attributable to the infringement and are not taken into account in computing the actual damages. In establishing the infringer’s profits, the copyright owner is required to present proof only of the infringer’s gross revenue, and the infringer is required to prove his or her deductible expenses and the elements of profit attributable to factors other than the copyrighted work> US code, tit. 17, § 504 (b). Sarebbe opportuno valutarne l’introduzione anche nella proprietà intellettuale italiana (ed europea, laddove armonizzata).

La Corte ritiene però esatta la quantificazione della giuria, p. 29-30.

Quanto alla deduzione delle spese generali, questione spesso aperta e importante nella pratica, i conveuti censurarono la decisione della giuria. La Corte però rigetta la censura e ricorda la prassi del 9° circuito: < To determine the defendants’ net profits, the Court instructed the jury to “deduc[t] all appropriate expenses incurred by that defendant from that defendant’s gross revenue.” …. In the Ninth Circuit, appropriate expenses are only those which “contributed to the production, distribution or sales of the infringing goods,” including “fixed  overhead” costs, provided that the overhead “contributed” to the infringing good >.

La Corte ricorda più volte il precedente (di pochi giorni prima) Skidmore c. Led Zeppelin, ricordato in precedente post.

Le scienze comportamentali non sono scienze esatte: un pò di cautela prima di applicarle in modo esteso!

Le scienze sociali vanno di moda e soprattutto quelle comportamentali.

Un gruppo di ricercatori  (“mostly consisting of empirical psychologists who conduct research on basic, applied and meta-scientific processes”) ha pubblicato un breve lavoro in cui evidenziano i rischi di errori che le social and behavioural sciences possono produrre se applicate indiscriminatamente nelle policies pubbliche.

Si tratta del saggio  <Use caution when applying behavioural science to policy> e a firma di Hans IJzerman, Neil A. Lewis Jr., Andrew K. Przybylski, Netta Weinstein, Lisa DeBruine, Stuart J. Ritchie, Simine Vazire, Patrick S. Forscher, Richard D. Morey, James D. Ivory and Farid Anvari, in Nature Human Behaviour, 9 ottobre 2020.

I loro dubbi riguardano i seguenti sei profili:

<< First, study participants, mainly students, are drawn from populations that are in Western (mostly US), educated, industrialized, rich and democratic (WEIRD) societies. Second, even with this narrow slice of population, the effects in published papers are not estimated with precision, sometimes barely ruling out trivially small effects under ostensibly controlled conditions. Third, many studies use a narrow range of stimuli and do not test for stimulus generalisability. Fourth, many studies examine effects on measures, such as self-report scales, that are infrequently validated or linked to behaviour, much less to policy-relevant outcomes. Fifth, independently replicated findings, even under ideal circumstances,are rare. Finally, our studies often fail to account for deeper cultural, historical, political and structural factors that play important moderating roles during the process of translation from basic findings to application. Together, these issues produce empirical insights that are more heterogeneous than might be apparent from a scan of the published literature>>

Propongono quindi un percorso a nove livelli per arrivare alla evidence readiness della loro scienza, sintetizzato nella figura 2 dell’articolo (sulla scia dei nove technology readiness levels della NASA, come si legge ivi).

Confortante che un gruppo di scienziato condivida in pubblico le preoccupazioni per errori  nel metodo o nella prassi seguiti nel loro settore di attività.

Marchio di servizio e sua apposizione diffusa sui beni usati per il servizio

Dai giudici svedesi giunge alla Corte di giustizia (CG) un caso interessante sui marchi tridimensionali, nella modalità di marchi che vanno a ricoprire il prodotto (cioè ne costituiscono il rivestimento). Nulla sposta che si tratti di marchio apposto non su prodotti realizzati dall’imprenditore ma su beni usati per la prestazione di servizi.

Si tratta di Corte di Giustizia 8 ottobre 2020, C-456/19, Aktiebolaget Östgötatrafiken contro Patent – och registreringsverket.

Nel caso specifico si trattava di marchio apposto su mezzi di trasporto usati per la prestazione di servizi appunto di trasporto (v. le numerose figure in sentenza).

La domanda posta dai giudici verte in sostanza sul se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 [cioè la norma che richiede la distintività del segno chiesto in registrazione] debba essere interpretato nel senso che <il carattere distintivo di un segno per il quale venga richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, consistente in motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo ricoprendo gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo debba essere valutato in relazione ai beni medesimi, esaminando se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 31.

In particolare, come noto a chi si occupa di marchi, conta l’ultima parte del quesito e cioè se debba distaccarsi dalle consuetudini del settore.

Il giudice ricorda che è essenziale la percezione del pubblico di riferimento circa l’apposizione del segno sui beni, secondo le regole generali, dato che il marchio verrà  apposto sistematicamente e sempre in un certo modo, §§ 31 e 34.

Ed allora il requisito di distintività sarà soddisfatto <qualora da tale esame risulterà che le combinazioni di colori, apposte sui veicoli da trasporto della ricorrente nel procedimento principale, consentano al consumatore medio di distinguere, senza possibilità di confusione, tra i servizi di trasporto forniti da tale impresa e quelli forniti da altre imprese>, § 37.

Ma a questo proposito -ecco il punto più interssante-  <non occorrerà esaminare se i segni richiesti ai fini della registrazione come marchio differiscano in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 39.

Infatti il criterio di valutazione, relativo all’esistenza di una significativa divergenza dalla norma o dalle abitudini del settore economico interessato, <si applica ai casi in cui il segno sia costituito dall’aspetto del prodotto per il quale la registrazione come marchio venga richiesta, dato che il consumatore medio non ha l’abitudine di immaginare quale sia l’origine dei prodotti basandosi, in assenza di qualsiasi elemento grafico o testuale, sulla loro forma o su quella del loro confezionamento> § 40; oppure anche <qualora il segno sia costituito dalla rappresentazione dell’allestimento di uno spazio fisico in cui siano forniti i servizi per i quali la registrazione come marchio venga richiesta>, § 41 (il noto caso degli interni dei negozi Apple, citato dalla CG).

Situazioni, che non ricorrono nel caso delle colorazioni apposte su autobus o treni: <se è pur vero che i beni utilizzati per la fornitura dei servizi oggetto del procedimento principale, ossia veicoli da trasporto, compaiono tratteggiati nelle domande di registrazione, al fine di indicare sia le parti in cui i marchi richiesti sono destinati ad essere apposti sia i loro contorni, i segni di cui viene richiesta la registrazione come marchi non si confondono tuttavia con la forma o l’imballaggio dei beni medesimi, né sono volti a rappresentare lo spazio fisico in cui i servizi vengono forniti. I segni de quibus consistono, infatti, in composizioni di colori disposte sistematicamente e circoscritte nello spazio. Le domande di registrazione riguardano quindi elementi grafici ben determinati che, contrariamente ai segni contemplati dalla giurisprudenza richiamata supra ai punti 40 e 41, non sono diretti a rappresentare un prodotto o uno spazio di prestazione di servizi mediante la semplice riproduzione delle sue linee e dei suoi contorni>, § 43.

La risposta al questito interpretativo è allora la seguente: <l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 dev’essere interpretato nel senso che il carattere distintivo di un segno, del quale sia richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, composto da motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo su gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo, dev’essere valutato tenendo conto della percezione da parte del pubblico interessato dell’apposizione sui beni stessi del segno in questione, senza che occorra esaminare se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore economico interessato>, § 44.

Resta da vedere se veramente la colorazione quasi per intero degli automezzi (impiegati da un prestatore di servizi) differisca ai nostri fini dall’imballaggio dei prodotti (immessi sul mercato da un prestatore di beni).

Diritto di difesa versus diritto d’autore: interessante questione portata davanti al giudice europeo

Proviene dalla Svezia una fattispecie molto interessante (anche se di non frequente realizzabilità): si può riprodurre in giudizio  a fini difensivi un’opera dell’ingegno altrui?

In una lite tra due soggetti, titolari ciascuno di un sito web, uno dei due si difendeva in giudizio producendo un file reperito nel sito dell’avversario, file che conteneva una fotografia.

Controparte eccepiva l’illegittimità della produzione, contenente la riproduzione fotografica, fondandola non tanto sulla violazione della privacy (come spesso succede in tema di prove cosiddetti illecite; anche se qui la fotografia era stata pubblicamente esposta dall’autore nel proprio sito , sorgendo dunque  il solito dilemma del se detta esposizione tiene conto tutti gli internauti del mondo oppure solo dei frequentatori del sito), quanto piuttosto e sorprendentemente sulla violazione del diritto di autore sulla fotografia stessa

Sorge quindi il problema del se  la produzione in giudizio di un’opera protetto (o meglio di una sua riproduzione) costituisca comunicazione al pubblico.

C’è poi una particolarità nel caso specifico: nel sistema giudiziario svedese, una volta prodotto un documento in giudizio, chiunque può chiederne copia e cioè accedervi.

Si tratta del caso BY c. CX, C-637/19 per il quale sono state depositate il 3 settembre 2020 le conclusioni dell’avvocato generale Hogan (poi solo “AG”).

La risposta suggerita dall’AG è nel senso che tale produzione giudiziaria di (riproduzione della) opera protetta non costituisce comunicazione al pubblico: <sebbene la comunicazione di materiale protetto a terzi che svolgono funzioni amministrative o giudiziarie possa perfettamente superare «una certa soglia de minimis», dato il numero di persone potenzialmente coinvolte , a mio avviso essa non costituisce, in circostanze normali, una «comunicazione al pubblico» nel senso previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, proprio perché tali persone, pur non costituendo, di per sé, un gruppo privato, sono comunque vincolate dalla natura delle loro funzioni ufficiali. In particolare, esse non avrebbero il diritto di trattare il materiale protetto dal diritto d’autore come se fosse esente da tale protezione. Ad esempio, la comunicazione di tale materiale ad opera di una parte nel corso di un procedimento giudiziario ai funzionari giudiziari o ai titolari di un funzione giudiziaria, oltre a non possedere alcuna rilevanza economica autonoma, non consentirebbe ai destinatari di tale materiale di farne uso a loro piacimento. Del resto, in questo esempio, il materiale è comunicato a tali persone nell’ambito delle loro funzioni amministrative o, a seconda dei casi, giudiziarie e l’ulteriore riproduzione, comunicazione o distribuzione di tale materiale da parte loro è soggetta a certe restrizioni giuridiche ed etiche, espresse o implicite, ivi compresa la legge sul diritto d’autore, previste dal diritto nazionale>, § 42-43.

Aggiunge che <nonostante il numero potenzialmente elevato di funzionari giudiziari coinvolti, la comunicazione non sarebbe quindi diretta a un numero indeterminato di potenziali destinatari, come richiesto dalla Corte al punto 37 della sua sentenza del 7 dicembre 2006, SGAE (C‑306/05, EU:C:2006:764). La comunicazione sarebbe invece rivolta a un gruppo chiaramente definito e limitato, o chiuso, di persone, che esercitano le loro funzioni nell’interesse pubblico e che sono, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, vincolate da norme giuridiche ed etiche concernenti, tra l’altro, l’uso e la divulgazione delle informazioni e delle prove ricevute nel corso di un procedimento giudiziario>, § 44.

Ed ancora: <A mio avviso, la comunicazione di materiale protetto dal diritto d’autore a un giudice come prova nell’ambito di un procedimento giudiziario non pregiudica, in linea di principio, i diritti esclusivi del titolare del diritto d’autore su tale materiale, ad esempio, privandolo della possibilità di rivendicare un compenso adeguato per l’utilizzo della sua opera. La possibilità di presentare materiale protetto da diritto d’autore come prova in un procedimento civile serve, piuttosto, ad assicurare il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale, come garantiti dall’articolo 47 della Carta. I diritti di difesa di una parte sarebbero gravemente compromessi se essa non potesse presentare prove a un giudice nel caso in cui un’altra parte di tale procedimento o un terzo invocassero la tutela del diritto d’autore in relazione a tali prove>,§ 45.

Le ragioni parebbero allora tre :

i) il fatto che i destinatari (giudici cancellieri avvocati in causa) non sarebbero legittimati a disporre dell’esemplare/copia prodotta;

ii) il fatto che i destinatari sono in numero determinato e non indeterminato.

iii) il fatto che uno deve pur difendersi: se la difesa giudiziale comporta la necessità (o anche solo l’opportunità, aggiungerei io) di produrre un documento sottoposto a diritto di autore, tale produzione deve essere per questo solo motivo lecita (anche perchè non  danneggia economicamente controparte).

Il reciproco rapporto tra queste tre ragioni, però, non è chiarito, dato che ciascuna di essere dovrebbe essere sufficiente. Perciò non è chiaro quale sia quella fondante il suggerimento dell’AG di rigettare le istanze del titolare del diritto di autore  .

Il tema è assai interessante a livello teorico (anche se , come detto, probabilmente di rara riscontrabilità). In particolare interessa la ragione sub 3 e cioè l’eccezione al diritto d’autore consistente nella necessità difensiva

Nella disciplina d’autore non c’è una disposizione che regoli espressamente questo conflitto di interessi.

C’è  si l’art. 5/3 lettera e) dir. 29/2001, che legittima l’uso <allorché si tratti di impieghi per fini di pubblica sicurezza o per assicurare il corretto svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>. Però la correttezza dello svolgimento processuale/procedurale è concetto altamente ambiguo, potendo essere altro dalla necessità difensisa (v. da noi l’art. 71 quinquies c.1 <I  titolari  di  diritti  che  abbiano  apposto   le   misure tecnologiche  di  cui  all’articolo  102-quater  sono   tenuti   alla rimozione delle stesse, per consentire l’utilizzo delle opere  o  dei materiali protetti, dietro richiesta dell’autorita’  competente,  per fini di sicurezza pubblica o per assicurare il  corretto  svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>, l. aut.).

Forse con buona interpretazione analogica anche altre disposizioni dell’art. 5/3 dir. 29 potrebbero soccorrere: come la lett. f) <quando si tratti di allocuzioni politiche o di estratti di conferenze aperte al pubblico o di opere simili o materiali protetti, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e sempreché si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore;> oppure la lettera   h) <quando si utilizzino opere, quali opere di architettura o di scultura, realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblic> (la messa on line costituisce una stabile collocazione in luoghi che si vogliono aperti al pubblico).

Ci vorrebbe perà una disposizione che espressamente prevedesse l’uso a fini difensivi, trattandosi di diritto costituzionalmente protetto (art. 24 Cost.; artt .47 e 48 Carta dir. fondametnali UE).

Da noi c’è già una disposizione interessante, che dovrebbe bastare allo scopo : art. 67 l. aut. per cui <Opere o brani di opere possono essere  riprodotti  a  fini  di pubblica  sicurezza,  nelle  procedure  parlamentari,  giudiziarie  o amministrative, purche’ si indichino la fonte e,  ove  possibile,  il nome dell’autore>.

L’art. 67 anzi è probabilmente più utile di quella del GDPR, per cui il trattamento dati è lecito se <è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore> (art. 6/1 lett. f): magari si potrebbe in casi estremi invocare pure l’art. 6/1 lettera d): <il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica>).

Il nostro art. 67 è piu utile del GDPR perchè sembra dare tutela assoluta al diritto di difesa, mentre il GDPR lo bilancia col diritto dell’interssato (anche se nel caso nostro il diritto di difesa certamente prevale sul diritto patrimoniale di autore)

Successivamente l’AG si domanda se la risposta debba cambiare, quando si consideri la citata pubblica accessibilità dei documenti prodotti in giudizio, secondo l’ordinamento processuale svedese

La risposta è negativa, ma la ragione desta perplessità.

Infatti così dice l’AG al paragrafo 48: <A mio avviso, e come indicato sia dalla Commissione (21), sia dal governo svedese (22), la comunicazione di materiale protetto da diritto d’autore a un giudice ad opera di una parte non costituisce, in tali circostanze, una comunicazione al pubblico ad opera della parte, dato che, in ultima analisi, è il giudice stesso (o i funzionari giudiziari) a poter eventualmente concedere accesso al materiale ai sensi delle norme nazionali sulla libertà di informazione o sulla trasparenza>.  La perplessità sta nel fatto che,  se c’è un diritto di accesso, nulla possono i funzionari di cancelleria (per loro è atto dovuto): è sempre la parte processuale il motore della comunicazione pubblica.

Poi l’AG su questo secondo aspetto precisa che: < 52.    Inoltre, e forse, aspetto ancora più importante, il governo svedese ha dichiarato che, mentre l’articolo 26b, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore disciplina la divulgazione di documenti pubblici, esso non attribuisce il diritto di utilizzare tali documenti. Secondo tale governo, «chiunque abbia ricevuto una copia dell’opera ai sensi di tale disposizione non può quindi disporne in violazione della [legge sul diritto d’autore]. Ogni ulteriore utilizzo richiede l’autorizzazione dell’autore o deve essere basato su una delle eccezioni alla tutela del diritto d’autore previste dalla [legge sul diritto d’autore]».  53.      Sembrerebbe quindi che il materiale protetto dal diritto d’autore non diventi di pubblico dominio per effetto delle disposizioni relative alla libertà di informazione contenute nella legge sulla libertà di stampa semplicemente per il fatto di essere stato divulgato o esibito, o comunque, reso disponibile come prova nel corso di un procedimento giudiziario.  54.      In altri termini, la divulgazione di tale materiale protetto dal diritto d’autore ai sensi delle norme sulla trasparenza non produce l’effetto sostanziale di privare tale materiale del suo status di materiale tutelato dal diritto d’autore e renderlo, quindi, di pubblico dominio.  55.      È quindi chiaro, con riserva, naturalmente, di verifica, in ultima istanza, da parte del giudice nazionale, che il diritto svedese non prevede né consente che la tutela del diritto d’autore venga meno per il mero fatto che una delle parti abbia esibito tale materiale nel corso di un procedimento civile e che un terzo possa successivamente ottenere accesso a tale materiale in virtù della legge svedese sulla libertà di informazione.>>

Anche qui, ragioni plurime, il cui reciproco rapporto logico non è chiarito: – o la comunicazione non è imputabile alla parte ma alla Cancelleria; – oppure non c’è nemmeno comuncazione, perchè il diritto di autore permane e non viene meno  anche in caso di accessibililità pubblica ai documenti.

Questa seconda ragione, poi,  è irrilevante, dato che, da un lato, la comunicazione proverrebbe non dal titolare del diritto ma da un terzo e, dall’altro, che anche quella prodotta dal titolare non esaurirebbe il diritto (art. 3/3 dir 29).

Stiamo a vedere cosa dirà la Corte.

Report del Parlamento UE sul nesso tra intelligenza artificiale (AI) e proprietà intellettuale (PI)

è uscito il <REPORT on intellectual property rights for the development of artificial intelligence technologies> (2020/2015(INI)) – A9-0176/2020 del 2 ottobre 2020, approvato dal Parlamento UE (Commissione on Legal Affairs-relatore Stéphane Séjourné).

Non ci sono grandi novità : ripercorre le principali preoccupazioni e/o esigenze, che chi si interessa di AI è ormai abituato a leggere.

Riporto alcuni passi dalla MOTION FOR A EUROPEAN PARLIAMENT RESOLUTION, p. 3 ss:

  • nota che i documenti della Commissione dello scorso anno sul tema dell’AI (v. mio post 20.02.2020) non tenevano conto della PI: <notes, however, that the issue of the protection of IPRs in the context of the development of AI and related technologies has not been addressed by the Commission, despite the key importance of these rights;>, § 1, p. 6.
  • eventuale legislazione dovrà essere tramite regolamento , non direttiva, § 3.
  • sullo streaming rileva <the importance of streaming services being transparent and responsible in their use of algorithms, so that access to cultural and creative content in various forms and  different languages as well as impartial access to European works can be better guaranteed;>, § 8
  • raccomanda un approccio settoriale e tipologico per la PI, § \0.
  • circa l’attuazione/enforcement, <acknowledges the potential of AI technologies to improve the enforcement of IPRs, notwithstanding the need for human verification and review, especially where legal consequences are concerned>, § 11;
  • sui non-personal data ,<is worried about the possibility of mass manipulation of citizens being used to destabilise democracies and calls for increased awareness-raising and media literacy as well as for urgently needed AI technologies to be made available to verify facts and information>, § 18;  e osserva che <AI technologies could be useful in the context of IPR enforcement, but would require human review and a guarantee that any AI-driven decision-making systems are fully transparent; stresses that any future AI regime may not circumvent possible requirements for open source technology in public tenders or prevent the interconnectivity of digital services>, § 18, ed ancora: <notes that AI systems are software-based and rely on statistical models, which may include errors; stresses that AI-generated output must not be discriminatory and that one of the most efficient ways of reducing bias in AI systems is to ensure – to the extent possible under Union law – that the maximum amount of non-personal data is available for training purposes and machine learning; calls on the Commission to reflect on the use of public domain data for such purposes>, § 18.

Dal seguente  EXPLANATORY STATEMENT, p. 12-13:

  • le domande di brevetto relato alla AI presso l’EPO sono più che triplicate in dieci anni;
  • AI è usata ad es. per la ricerca dello stato dell’arte;
  • rivalutare la PI alla luce dell’AI costituisce una priorità per le UE.

Il report finale per il Congresso USA sulla concorrenza nei mercati ditigali

La House of Representatives del Congresso USA , SUBCOMMITTEE ON ANTITRUST, COMMERCIAL AND ADMINISTRATIVE LAW, ha ricevuto la relazione finale su <<Investigation of competition in digital markets – Majority staff report and recommentations>>.

Vediamo in sintesi le ficcanti e decise   “Recommendations” (sub V, p. 378 ss), evidente frutto di accurato lavoro teorico sottostante (soprattutto di Lina Khan, pare, come osserva Shaul Sussman nel post 8 ottobre 2020 The Roots of Congress’ Pathbreaking Report on Big Tech, in promarket.org; Khan è Counsel della Subcommittee), divise in tre macrogruppi A-B-C:

A: <Restoring Competition in the Digital Economy>

e qui in particolare:

1-Reduce Conflicts of Interest Thorough Structural Separations and Line of Business Restrictions;

2-Implement Rules to Prevent Discrimination, Favoritism, and Self-Preferencing;

3-Promote Innovation Through Interoperability and Open Access (dato che “digital markets have certain characteristics—such as network effects, switching costs, and other entry barriers—that make them prone to tipping in favor of a single dominant firm. As a result, these markets are no longer contestable by new entrants, and the competitive process shifts from “competition in the market to competition for the market.” This dynamic is particularly evident in the social networking market. As discussed earlier in the Report, Facebook’s internal documents and communications indicate that due to strong network effects and market tipping, the most significant competitive pressure to Facebook is from within its own family of products—Facebook, Instagram, Messenger, and WhatsApp—rather than from other social apps in the market, such as Snapchat or Twitter. In the case of messaging apps, Facebook’s documents show that network effects can be even more extreme. And because Facebook is not interoperable with other social networks, its users have high costs to switch to other platforms, locking them into Facebook’s platform“, p. 385/6);

4-Reduce Market Power Through Merger Presumptions (“Ongoing acquisitions by the dominant platforms raise several concerns. Insofar as any transaction entrenches their existing position, or eliminates a nascent competitor, it strengthens their market power and can close off market entry. Furthermore, by pursuing additional deals in artificial intelligence and in other emerging markets, the dominant firms of today could position themselves to control the technology of tomorrow“, p. 389);

5-Create an Even Playing Field for the Free and Diverse Press (“To address this imbalance of bargaining power, we recommend that the Subcommittee consider legislation to provide news publishers and broadcasters with a narrowly tailored and temporary safe harbor to collectively negotiate with dominant online platforms“, p. 390);

6-Prohibit Abuse of Superior Bargaining Power and Require Due Process (“By virtue of functioning as the only viable path to market, dominant platforms enjoy superior bargaining power over the third parties that depend on their platforms to access users and markets. Their bargaining leverage is a form of market power, which the dominant platforms routinely use to protect and expand their dominance. Through its investigation, the Subcommittee identified numerous instances in which the dominant platforms abused this power. In several cases, dominant platforms used their leverage to extract greater money or data than users would be willing to provide in a competitive market. While a firm in a competitive market would lose business if it charged excessive prices for its goods or services because the customer would switch to a competitor, dominant platforms have been able to charge excessive prices or ratchet up their prices without a significant loss of business. Similarly, certain dominant platforms have been able to extort an ever-increasing amount of data from their customers and users, ranging from a user’s personal data to a business’s trade secrets and proprietary content. In the absence of an alternative platform, users effectively have no choice but to accede to the platform’s demands for payment whether in the form of dollars or data“);

B:  <Strengthening the Antitrust Laws>

e in particolare:

1-Restore the Antimonopoly Goals of the Antitrust Laws ;

2-Invigorate Merger Enforcement ( e qui: a: Codify Bright-Line Rules and Structural Presumptions in Concentrated Markets, in particolare: “the Subcommittee recommends that Members consider codifying bright-line rules for merger enforcement, including structural presumptions. Under a structural presumption, mergers resulting in a single firm controlling an outsized market share, or resulting in a significant increase in concentration, would be presumptively prohibited under Section 7 of the Clayton Act. This structural presumption would place the burden of proof upon the merging parties to show that the merger would not reduce competition. A showing that the merger would result in efficiencies should not be sufficient to overcome the presumption that it is anticompetitive. It is the view of Subcommittee staff that the 30% threshold established by the Supreme Court in Philadelphia National Bank is appropriate, although a lower standard for monopsony or buyer power claims may deserve consideration by the Subcommittee“; b: Protect Potential Rivals, Nascent Competitors, and Startups, e qui “clarifying that proving harm on potential competition or nascent competition grounds does not require proving that the potential or nascent competitor would have been a successful entrant in a but-for world“; c: Strengthen Vertical Merger Doctrine);

3-Rehabilitate MonopolizationLaw (sotto i profili di  a: Abuse of Dominance; b: Monopoly Leveraging; c: Predatory Pricing; d: Essential Facilities and Refusals to Deal; e: tying; f: Preferencing and Anticompetitive Product Design);

4: Additional Measures to Strengthen the Antitrust Laws, tra cui : – clarifying that cases involving platforms do not require plaintiffs to establish harm to both sets of customers; … – clarifying that platforms that are “two-sided,”or serve multiple sets of customers, can compete with firms that are “one-sided”; … –  Clarifying that market definition is not required for proving an antitrust violation, especially in the presence of direct evidence of market power; … – Clarifying that “false positives”(or erroneous enforcement) are not more costly than “false negatives”(erroneous non-enforcement), and that, when relating to conduct or mergers involving dominant firms, “false negatives”are costlier

C: <Strengthening Antitrust Enforcement>

e in particolare:

1-Congressional Oversight;

2-Agency Enforcement (tra cui: – Triggering civil penalties and other relief for violations of “unfair methods of competition” rules, creating symmetry with violations of “unfair or deceptive acts or practices” rules; -Requiring the Commission to regularly collect data and report on economic concentration and competition in sectors across the economy, as permitted under section 6 of the FTC Act; -Enhancing the public transparency and accountability of the antitrust agencies, by requiring the agencies to solicit and respond to public comments for merger reviews, and by requiring the agencies to publish written explanations for all enforcement decisions; -Requiring the agencies to conduct and make publicly available merger retrospectives on significant transactions consummated over the last three decades; – Codifying stricter prohibitions on revolving door between the agencies and the companies that they investigate, especially with regards to senior officials; – Increasing the budgets of the Federal Trade Commission and the Antitrust Division)

3-private enforcement e qui: – Eliminating court-created standards for “antitrust injury” and “antitrust standing,” which undermine Congress’s granting of enforcement authority to “any person . . . injured . . . by reason of anything forbidden in the antitrust laws;” –   Reducing procedural obstacles to litigation, including through eliminating forced arbitration clauses and undue limits on class action formation; – Lowering the heightened pleading requirement introduced in Bell Atlantic Corp. v. Twombly

Intelligenza artificiale e machine learning: un ottimo sunto delle relative questioni da parte del Parlamento UK

Il Parlamento britannico pubblica un post riassuntivo delle principali caratteristiche dei fenomeni dell’intelligenza artificale (AI) e machine learning (ML): v. POSTNOTE, n° 633, October 2020 INTERPRETABLE MACHINE LEARNING.

Con la consueta chiarezza e precisione che contraddistinguono la comunicazione divulgativa nella cultura anglosassone.

Riporto solo i concetti di IA e ML (v. Box 1):

<< Artificial intelligence (AI)  – There is no universally agreed definition of AI. It is defined in the Industrial Strategy as “technologies with the ability to perform tasks that would otherwise require human intelligence, such as visual perception, speech recognition, and language translation”. AI is useful for identifying patterns in large sets of data and making predictions.

Machine learning (ML) – ML is a branch of AI that allows a system to learn and improve from examples without all its instructions being explicitly programmed. An MLsystem is trained to carry out atask by analysing large amounts of training data and building a model that it can use toprocess future data, extrapolating its knowledge to unfamiliar situations. Applications of ML include virtual assistants (such as Alexa), product recommendation systems, and facial recognition. There is a range of ML techniques, but many experts attribute recent advances to developments in deep learning:

1) artificial neural networks (ANNs).Type of ML that have a designinspiredbythe way neurons transmit information in the human brain.17Multiple data processing units (nodes) are connected in layers, with the outputs of a previous layer used as inputs for the next.

2) deep learning (DL). Variation of ANNs. Uses a greater number of layers of artificial neurons to solve more difficult problems.16DL advances have improved areas such as voice and image recognition >>.

Il post si sofferma alquanto sulla “interpretabilità”. Tema importante, nei limiti in cui una decisione venga presa sulla base di AI/ML (diverrà dunque sempre più importante): il destinatario, per esaminarne la correttezza e valutarne l’eventuale impugnabilità, deve infatti senza troppa fatica comprenderne la motivazione.

Si legge ad es. <<Some stakeholders have said that ML that is not inherently interpretable should not be used in applications that could have a significant impact on an individual’s life (for example, in criminal justice decisions). The ICO and Alan Turing Institute have recommended that organisations prioritise using systems that use interpretable ML methods if possible, particularly for applications that have a potentially high impact on a person or are safety critical>> (p. 3).

Non è però chiaro perchè l’interpretability debba essere perseguita solo nelle decisioni più importanti e (a contrario) perchè si possa invece lasciare  nell’oscuro totale il destinatario in quelle meno importanti (come distinguere, poi, le prime dalle seconde?).

L’onere della prova nel rapporto di lavoro (licenziamento vs. assenza delle misure di sicurezza)

Si pronuncia sull’importante (anche a fini pratici) tema una sentenza dello scorso anno: Cass., sez. L, n° 8911 del 29.03.2019, rel. Marotta, Trenitalia c. Lorenzoni.

Quest’ultimo, macchinista in Trenitalia,  impugnava i licenziamenti disciplinari  intimatigli dalla società a fronte del suo rifiuto di condurre il treno senza la presenza in cabina di un secondo agente abilitato alla condotta-

Mi  concentro qui solo sulla parte motiva, relativa all’onere della prova.

A monte la SC si sofferma sulla natura contrattuale della resposanbilità derivante dala violazione dell’art. 2087 cc, che così recita:

<< Art. 2087.  (Tutela delle condizioni di lavoro) – L’imprenditore e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza  e  la tecnica,  sono  necessarie  a  tutelare  l’integrita’  fisica  e   la personalita’ morale dei prestatori di lavoro>>

Il tipo di dovere posto dall’art. 2087 è esaminato dal § 10, che riporto quasi per intero.

La natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’art. 2087 c.c. è ormai da tempo consolidata, dice la SC. Infatti l’incorporazione dell’obbligo di sicurezza all’interno della struttura del rapporto obbligatorio <<non rappresenta una mera enclave della responsabilità aquiliana nel territorio della responsabilità contrattuale, relegata sul piano del non facere. E’ fonte, invece, di obblighi positivi (e non solo di mera astensione) del datore il quale è tenuto a predisporre un ambiente ed una organizzazione di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa con la conseguenza che è possibile per il prestatore di eccepirne l’inadempimento e rifiutare la prestazione pericolosa (art. 1460 c.c.)>>

Prosegue così: <<alla luce della sua formulazione aperta – declinata attraverso i parametri della particolarità del lavoro, intesa come complesso di rischi e pericoli che caratterizzano la specifica attività lavorativa, della esperienza, intesa come conoscenza di rischi e pericoli acquisita nello svolgimento della specifica attività lavorativa e della tecnica, intesa come progresso scientifico e tecnologico attinente a misure di tutela su cui il datore di lavoro deve essere aggiornato – la giurisprudenza consolidata è concorde nell’assegnare all’art. 2087 c.c. il ruolo di norma di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico>>, pagg. 10-11).

E’ vero, prosegue la Sc, che va attribuita alla disposizione di cui all’art. 2087 c.c. anche una funzione dinamica, <<in quanto norma diretta a spingere l’imprenditore ad attuare, nell’organizzazione del lavoro, un’efficace attività di prevenzione attraverso la continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica più aggiornata al fine di garantire, nel migliore dei modi possibili, la sicurezza dei luoghi di lavoro>>. Tuttavia la responsabilità datoriale <<non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da comprendere, sotto il profilo meramente oggettivo, ogni ipotesi di lesione dell’integrità psico-fisica dei dipendenti (e di correlativo pericolo). L’art. 2087 c.c. non configura infatti un’ipotesi di responsabilità oggettiva essendone elemento costitutivo la colpa, quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore>>.

Si noti l’importante passaggio, precisato in quello seguente.

Nemmeno può desumersi dall’indicata disposizione un <<obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a rischio zero quando di per sè il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile; egualmente non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili (…). Questo perchè, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile. Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (v….) non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto>>, pagg. 11-12-

Alla luce della cennata responsablità contrattuale discendente dalla violazione dell’art. 2087 cc (per vero indubbia: non risulta che qualcuno l’abbia mai contestato), la SC va ad applicarla alla distrbuzione dell’onere della prova al § 12.

Sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, pertanto, <<al lavoratore spetta lo specifico onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza nonchè il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre – in parziale deroga al principio generale stabilito dall’art. 2697 c.c. – non è gravato dall’onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell’inadempimento.

Diversamente, invece, si atteggia il contenuto dei rispettivi oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza – asseritamente omesse – siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici (quali le misure previste dal D.Lgs. n. 81 del 2008 e successive integrazioni e modificazioni come dal precedente D.Lgs. n. 626 del 1994 e prima ancora dal precedente n. 547/1955), oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 c.c., che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza. Nel primo caso – riferibile alle misure di sicurezza cosiddette nominate – il lavoratore ha l’onere di provare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa ovvero il rischio specifico che si intende prevenire o contenere; nonchè, ovviamente, il nesso di causalità materiale tra l’inosservanza della misura ed il danno subito.

La prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo e il danno. Nel secondo caso – in cui si discorre di misure di sicurezza cosiddette innominate la prova liberatoria a carico del datore di lavoro (fermo restando il suddetto onere probatorio spettante al lavoratore) risulta invece generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, ancorchè non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe>> pag. 13-14.

Il tema è di sicuro interesse, essendo al crocevia tra diritto contrattuale e processuale.

La soluzione della SC (spesso seguita in passato) lascia però perplessi

Anche sorvolando sul concetto di colpa, che la miglior dottrina ha da tempo (almeno da Osti e poi Mengoni) espunto dalla dinamica della responsabilità contrattuale (si tratta però di concetti da maneggiare con catuela, essendo facili confusioni concettuali), non si capisce perchè il dipendente sia esonerato dalla relativa prova.

L’art. 2087 infatti non contiene elementi giustificativi di una simile deroga al regime comune della responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.).

Inoltre è di dubbia fondatezza (per non dire che pare proprio errata) la distinzione tra il caso di misure specificamente previste dalla legge e il caso di misure adottande ma innominate. L’onere della prova è il medesimo nei due casi: cambieranno invece semmai solo i fatti da allegare e provare (il tema di prova).

Irripetibilità del versato ex art. 2035 cc (contrarietà a buon costume) in sede fallimentare

Cass. 16706  del 5 agosto 2020, rel. Massimo Ferro, si pronuncia sulla irripetibilità del versamento eseguito in contrasto col buon costume in sede di operazioni imprenditoriali

Precisamente il versamento è contrario ad un buon costume non etico-morale generale, ma a quello economico: finanziamemto di impresa eseguito per tenerla in vita quando già sostganzialmente insolvente.

Vediamo i passa salienti della motivazione.

L’insinuante aveva chiesto l’ammissione al passivo per la restituizione di veramenti eseguiti come “anticipi in conto forniture”.

Il Tribunale ne aveva oppsto l’irripetibilità ex art. 2035 , eccependo la simulazione del titolo giuridico allegato: <<l’improprio mantenimento in vita della impresa è stato a sua volta correlato dal tribunale al contributo causale assunto dal citato finanziamento e alla relativa consapevolezza compartecipativa rispetto al ritardo nell’apertura della vicenda concorsuale ovvero all’intensificazione del dissesto … sorretto da una pluralità di indici (tra cui durata del finanziamento, progressività degli assetti negoziali perseguiti, inadempimenti, dissimulazione negoziale, insistenza del ricorso al credito privato piuttosto che a quello bancario, esposizione debitoria già nel bilancio 2009 con “utile ridottissimo” rispetto alle dimensioni d’impresa, perdita poi certificata nel bilancio 2010, assets e attivi privi di connotazioni di liquidità, scarsa competitività); ne è derivato l’accertamento … di una compartecipazione negli stessi fatti di bancarotta semplice tratteggiati alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 4, per i quali occorre aver “aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”>>, § 13.

Non è accolta la qualificazione come “concessione abusiva di credito” con i correlati limiti cui è in tale caso soggetta la legittimazione ad agire della curatela,. Infatti <posto che la illiceità della condotta di finanziamento discende, nella motivata ricostruzione del tribunale, non da siffatta figura bensì dalla coincidenza con la menzionata fattispecie penale di concorso, cui pianamente consegue la nullità civilistica; è invero principio consolidato che “in tema di cause di nullità del negozio giuridico, per aversi contrarietà a norme penali ai sensi dell’art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato” (Cass. 18016/2018, 14234/2003), regola applicabile ad ogni fattispecie contrattuale, come nel caso del finanziamento ad impresa in dissesto, che s’inserisca, ritardandolo, nell’iter organizzativo e di progressione delle proprie scelte, già ricadenti come doveri giuridici specifici a carico dell’imprenditore, di richiedere senza indugio il proprio fallimento o comunque di non espandere le dimensioni della propria insolvenza mediante operazioni dilatorie, versando in grave colpa>, § 14.

Nemmeno è pertinente il richiamo agli istituti di supporto ordinario ai deficit di liquidità delle imprese in crisi. Infatti i negozi posti in essere dalla ricorrente non avevano  <assunto con chiarezza originaria … in concorso con la fallita e sulla base dell’accertamento condotto dal giudice di merito, i tratti sostanziali di alcuna delle figure di cui alla L. Fall., art. 182 quater (o della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d)) o di altri negozi connotati da formalizzato progetto di sostegno ad impresa in crisi; se è vero, ed anzi ovvio, che è ben possibile e lecito il finanziamento all’impresa in crisi anche da parte di soggetti diversi da istituti che esercitino professionalmente il credito, nondimeno l’invocazione in questa sede della apparente non speculatività dell’apporto di provvista (non dotato di specifiche garanzie e nemmeno formulato per un’ipotesi di prededuzione) non integra di per sè anche la sua immunità da una concorrente valutazione di illiceità ove inserito in un contesto di ambigua negoziazione iniziale, tardiva qualificazione giuridica e finale innesto in una vicenda di aggravamento riprovevole del dissesto dell’impresa finanziata>, § 15.

La contrarietà ai principi dell’ordine pubblico economico <si palesa inoltre come aggiuntiva ratio nella qualificazione di illiceità dei negozi, sotto il profilo causale, ai sensi degli artt. 1343 e 1418 c.c., e con esplicitazione della fattispecie quale esempio di violazione del buon costume, ai fini della irripetibilità della prestazione resa, come voluto dall’art. 2035 c.c.>, § 16.1.a.      Pare di capire che la SC consideri la nullità ex art. 1343 e quella per contrarietà al buon costume come due distinti motivi di illiceità (v. subito sotto, ove ricordo il § 18).

La SC passa poi ad esaminare direttamente l’applicabilità della soluti retentio disposta dall’art. 2035 cc. <“ai fini dell’applicabilità della “soluti retentio” prevista dall’art. 2035 c.c., la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico; pertanto, chi abbia versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione, perchè tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume “ >, § 17.

Arriviamo ora ai passi centrali dell’iter motivatorio:

Secondo la SC, il tribunale <ha giustapposto la ricognizione di contrarietà alla norma imperativa penale, laddove vieta di aggravare (e, quanto al terzo, di concorrere nella relativa condotta) il dissesto dell’imprenditore commerciale, alla illiceità della causa del complesso meccanismo negoziale adottato dalle parti, per contrarietà al buon costume [duplice motivazione sopra ancitipata] ; tale seconda, concorrente, violazione promana dal riconoscimento al contempo del pregiudizio obiettivamente occorso alla massa dei creditori per effetto dell’incremento delle dimensioni della decozione, causato – come unico scopo, ai fini qui ora in rilievo – da condotte consapevolmente compartecipative nel mantenere al di fuori della concorsualità l’imprenditore che già versava in tutti i suoi presupposti oggettivi e che, di lì a pochi mesi, avrebbe intrapreso il percorso concordatizio, per poi fallire, perseguendo inoltre una condotta di articolazione potenzialmente predatoria con lo strumento di un anomalo, perchè acausale e artatamente fungibile, “anticipo di prezzo”, deducibile ed invero dedotto quale corrispettivo di acquisto del (capitale del) soggetto in realtà finanziato o degli assets al medesimo in vario modo riconducibili; si tratta di un complessivo profilo di disvalore, all’altezza dello scrutinio in concreto della iniziativa economica delle parti del rapporto di finanziamento e cessione di attivi, imperniato su una compatibile reattività costituzionale (ex art. 41 Cost., comma 2) laddove le prestazioni di finanziamento dissimulate, a fronte di forniture nè pattuite nè eseguite (alla stregua del netto accertamento del giudice di merito), non si sono esaurite in mera sovvenzione all’imprenditore già insolvente, ma sono state progressivamente dedotte – al di là dell’insuccesso finale – in un programma di rilievo dei relativi assets, così fungendo il credito da mera leva per l’acquisizione del capitale della fallita o di patrimonio immobiliare di società collegata (da pagarsi con lo stesso credito, divenuto “corrispettivo alieno” a tenore del decreto) in danno dei creditori e a detrimento finale della soggettività economica del finanziato, posto che l’espansione dei relativi debiti non esprimeva alcuna utilità sociale; in questo limitato senso può convenirsi, per la peculiarità della fattispecie, che effettivamente nella condotta preordinatamente volta ad alterare altresì la correttezza delle relazioni di mercato e a costituire fattori di disinvolta attitudine cd. predatoria rispetto ad altro soggetto economico in dissesto, vi sia violazione delle regole giuridiche del buon costume, secondo “i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico”, allorchè la “prestazione” sia stata “eseguita” per uno “scopo” costituente, anche per l’autore che ora ne domandi la restituzione indiretta (id est, l’ammissione al passivo del credito), “offesa al buon costume>>, § 18.

Ne segue allora che <il credito della ricorrente, frutto della sua iniziativa economica, esprime così – per come complessivamente ricostruito dal giudice di merito – una posizione soggettiva che, per essere in astratto costituzionalmente tutelata in misura condizionata all’utilità sociale, finisce con il divenire in concreto cedevole rispetto ad altri valori omogenei parimenti protetti, quali i crediti di terzi e per i quali non solo l’ordinamento giuridico appresta specifici istituti organizzativi del relativo conflitto (i sistemi concorsuali e anche le figure di negoziazione della crisi preconcorsuali), ma indica, ad iniziare dalla previsione penalistica del divieto di aggravamento del dissesto, una convergente riprovazione verso condotte di occultamento o pratiche di egoistica ritrazione d’interesse singolare a fronte di una insolvenza oramai coinvolgente in termini di rischio l’adempimento verso una massa di soggetti creditori; per questa chiave, la “offesa al buon costume” di cui all’art. 2035 c.c., al pari della “contrarietà al buon costume” di cui all’art. 1343 c.c., non esprime solo una proiezione già formalizzata nell’ordinamento giuridico, ma mantiene il ruolo di termine di rinvio della legge permettendo – come osservato in dottrina – che la stessa giurisprudenza enunciativa assicuri l’intermediazione aggiornata delle plurime clausole generali di corretta condotta commerciale e delle relazioni di mercato fra competitori da perseguirsi tra imprenditori e specie nelle relazioni con quelli in crisi; tutte le indicazioni normative, dalla DIRETTIVA (UE) 2019/1023 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 giugno 2019 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza fino al Codice della crisi e dell’insolvenza del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 già operano in tale direzione: la prima, guidando la disciplina domestica innovativa ovvero l’adeguamento di quella esistente verso una precocità della emersione delle difficoltà finanziarie e delle relative informazioni quali contributi al corretto funzionamento del mercato, in diretto rapporto con istituti di vantaggio improntati alla cooperazione trasparente degli attori, la seconda fondandosi sul medesimo obiettivo anticipatorio – anche per la parte già vigente – ove al riformato art. 2086 c.c., impone la rilevazione interna tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale e, più in generale e a regime, indirizzando i debitori all’adozione degli strumenti concorsuali appropriati per ristrutturare i debiti;>, § 19.

Del resto il perimetro applicativo dell’art. 2035 c.c. , dice la SC, <è invero, per un verso, compatibile con una nozione empirica di “prestazione”, nella quale cioè non sussiste vincolo a monte di ricomprendere in essa o di escludervi uno o più contratti, sol bastando che essi – ove conclusi – si siano tradotti, come avvenuto nella specie, in attribuzioni patrimoniali; per altro verso, è sufficiente che il perseguimento di uno scopo, anche per il solvens, costituisca offesa al buon costume, ciò pregiudicando il titolo della prestazione così da renderlo nullo, ipotesi che può realizzarsi in presenza di un presupposto contrattuale (ove stipulato) che sia in contrasto con i boni mores sotto il profilo causale o dell’oggetto o anche solo del motivo comune, ove l’unico a determinare i contraenti alla stipulazione; il fondamento attuale dell’effetto dell’irripetibilità è stato così condivisibilmente individuato anche in dottrina (sulla scorta della Relazione al codice civile) sia nell’esigenza di escludere dalla tutela giudiziaria conseguente all’esercizio dell’azione ex indebito colui che, per goderne, dovrebbe allegare il fatto della propria immoralità, sia nella configurazione di una misura sanzionatoria a carico dell’autore della prestazione eseguita per uno scopo turpe, in quanto soggetto che l’ordinamento reputa indegno di ricevere protezione giuridica;>, § 20.

E’ quindi giusto quanto osserva il Tribunale, ricorda la SC: <in questo senso le pur stringate osservazioni finali del decreto impugnato colgono nel segno ove, riferendosi ad una “sanzione” (civile), danno conto di un soggetto che ha condotto un comportamento disdicevole alla luce del sentire comune, così valorizzando – come detto – le clausole generali volte ad imporre, a chi si immette nel traffico giuridico e nelle reti interimprenditoriali in particolare, prestazioni conformate secondo buona fede, secondo criteri non moralistici, si può aggiungere, ma di concorrente condivisa opportunità e utilità sociale nelle relazioni ordinate di mercato, che non sopportano la permanenza artificiale in esso di concorrenti decotti, la cui insolvenza sia resa occulta ovvero ingiustificatamente ritardata nella sua emersione e strumentalizzata per operazioni in danno dei creditori; in questo ambito, la regola non assume una finalità educativa, ma pur sempre si riferisce a rapporti giuridici e non a soggetti in sè intesi, permettendo allora che il diritto – cui essa tuttora appartiene – neghi le sue tutele a negozi giuridici compiuti in violazione di principi, come detto, immanenti nei contesti in cui vengono conclusi, come nel caso il principio del corretto e leale svolgimento della competizione economica>, § 21

La soluti retentio ex art. 2035 c.c. attua perciò una <espressione sanzionatoria o punitiva, quale mera conseguenza di cui, per converso, la controparte (accipiens) beneficia … solo di riflesso e su un piano fattuale>, § 22.