l’eredità sui dati personali, ora, è regolata

la legge di adeguamento (d. lgs. 10 agosto 2018, n. 101) della nostra legislazione al reg. UE 2016/679 ha introdotto un art. 2 terdecies nel codice privacy (d. lgs. 196/2003) , che pone delle regole di rilievo successorio.

Dice infatti:

<<Art. 2-terdecies – Diritti riguardanti le persone decedute

1. I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione.

2. L’esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, l’interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata.
3. La volontà dell’interessato di vietare l’esercizio dei diritti di cui al comma 1 deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l’esercizio soltanto di alcuni dei diritti di cui al predetto comma.
4. L’interessato ha in ogni momento il diritto di revocare o modificare il divieto di cui ai commi 2 e 3.
5. In ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi>> (testo da altalex.com)

 

Volendo sintetizzare quanto sopra:

  • i principali diritti sui dati personali possono essere esercitati  anche dopo il decesso del titolare. La legittimazione è triplice, spettando a chi:  i) ha un interesse proprio, o ii) agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o iii) per ragioni familiari meritevoli di protezione.
    • resta da capire la portata di tali legittimazioni; la meno semplice sembra la prima (sub i) ).
  • questo non vale qualora  l’interessto lo abbia espressamente vietato; tale divieto però è possibile solo relativamente “all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione”.
    • cioè? Social, posta elettronica, hosting di qualunque tipo, …?
  • il divieto non può essere generale, ma deve concernere l’esercizio di alcuni solo dei diritti indicati (quelli da 15 a 22 del reg. UE);
    • se li riguarda tutti, il divieto sarà verosimilmetne nullo per violazione di norma imperativa.
    • il difficile sarà capire quando è superata la soglia di validità.
  • tale divieto non può pregiudicare l’esercizio  da parte dei terzi :  i) dei diritti patrimoniali “derivanti” dalla successione de qua, nè ii) del diritto di difesa in giudizio
    • Circa l’ipotesi sub ii) :
      • qualunque sia l’oggetto del giudizio, parrebbe.
      • e solo per la tutela giudiziale. In fase stragiudiziale, invece, il divieto pare pienamente operante, costringendo in tale caso il terzo interessato ad andare in Tribunale se ritiene necessario avvalersi dei mezzi difensivi traibili dai dati personali del de cuius

L’Assonime ha già diffuso una  circolare sul punto: Circolare 25/2018 – Trattamento dei dati personali di persone decedute: le disposizioni del decreto legislativo n. 101/2018 ,  del 03.12.2018 (accesso riservato).

Sulla liceità di un link a file audio diffamatorio: indicazioni dalla CEDU

Il link a Youtube , contenente la registrazione di una telefonata dal contenuto  diffamatorio , diffuso da organo giornalistico (portale di informazioni), non costituisce  automaticamente violazione della reputazione altrui (le Corti ungheresi, invece, avevano ravvisato la diffamazione) . Secondo la sentenza MAGYAR JETI ZRT v. HUNGARY del 04.12.2018 della CEDU (caso 11257/16), vanno infatti verificate le circostanze di fatto , dovendosi bilanciare il diritto alla reputazione con la libertà di espressione.  La Corte dà alcune indicazioni:

“The Court identifies in particular the following aspects as relevant for its analysis of the liability of the applicant company as publisher of a hyperlink:

(i) did the journalist endorse the impugned content;

(ii) did the journalist repeat the impugned content (without endorsing it); (iii) did the journalist merely put an hyperlink to the impugned content (without endorsing or repeating it);

(iv) did the journalist know or could reasonably have known that the impugned content was defamatory or otherwise unlawful;

(v) did the journalist act in good faith, respect the ethics of journalism and perform the due diligence expected in responsible journalism?” (§ 77)

Come fa notare Rosati in IPKitten blog , la CEDU menziona (§ 29) dei precedenti in tema, tra cui la nota decisione 08/09/2016 della Corte di Giustizia , C-160/15, caso GS Media BV,  circa l’analogo tema del link nel diritto di autore (ove  il tema era se un link ad opera protetta, su sito liberamente accessibile ma senza consenso del titolare, costituisca “comunicazione al pubblico” secondo l’art. 3 della direttiva UE n. 29 del 2001) .

responsabilità contrattuale, responsabilità sanitaria e teoria del duplice ciclo causale

Secondo Cass. 26.07.2017 n° 18.392, est. Scoditti: 1) Ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari; mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione. 2) L’’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari». 3) La non imputabilità della causa di impossibilità della prestazione va quindi valutata alla stregua della diligenza ordinaria ai sensi dell’art. 1176, 1° comma, c.c., mentre la diligenza professionale di cui al 2° comma, quale misura del contenuto dell’obbligazione, rappresenta il parametro tecnico per valutare se c’è stato l’adempimento (diligenza determinativa del contenuto della prestazione). C’è inadempimento se non è stata rispettata la diligenza di cui all’art. 1176, 2° comma, c’è imputabilità della causa di impossibilità della prestazione se non è stata rispettata la diligenza di cui al 1° comma. Nel primo caso la diligenza mira a procurare un risultato utile, nel secondo caso mira a prevenire il danno (la distinzione è tuttavia relativa perché l’una può determinare il contenuto dell’altra) [v. sub 2.1.2].

Applica quindi la tesi di Mengoni sulla responsabilità contrattuale.

Interessante è l’iter percorso dall’estensore al § 2.1.3  per concludere come sopra: <<Emerge cosi’ un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilita’ di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilita’ di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalita’ fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto). Conseguenzialmente la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilita’ di adempiere. Se, al termine dell’istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell’impossibilita’ di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilita’ di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e’ causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, e’ stato determinato da causa non imputabile. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che la patologia sia riconducibile, ad esempio, all’intervento chirurgico, la struttura sanitaria deve dimostrare che l’intervento ha determinato la patologia per una causa, imprevedibile ed inevitabile, la quale ha reso impossibile l’esecuzione esperta dell’intervento chirurgico medesimo.>>

 

concorrenza sleale e competenza delle sezioni specializzate

secondo il tribunale di Torino 12.02.2018 (sent. 718/2018 – RG 32364/2015) <<<appartiene al Tribunale ordinario e non alle Sezioni Specializzate in materia di impresa, la competenza a decidere sulla domanda di accertamento di un’ipotesi di concorrenza sleale cosiddetta pura in cui la prospettata lesione degli interessi della società danneggiata riguardi l’appropriazione, mediante storno di dirigenti, di informazioni aziendali, di processi produttivi e di esperienze tecnico-industriali e commerciali (cd. know how aziendale, in senso ampio), ma non sia ipotizzata la sussistenza di privative o altri diritti di proprietà intellettuale, direttamente o indirettamente risultanti quali elementi costitutivi, o relativi all’accertamento, dell’illecito concorrenziale>> (m. di V. Capasso, sottol. agg., in www.giurisprudenzadelleimprese.it)

diritto all’oblio vs. diritto di cronaca: norma di riferimento

la norma di riferimento sul tema è l’art. 17 del GDPR ( REGOLAMENTO (UE)  2016/679 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)) , secondo cui:

<< Articolo 17
Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)
1. L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i
dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:
a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
c) l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2;
d) i dati personali sono stati trattati illecitamente;
e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1.

  1. Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.
  2. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario:
    a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
    b) per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento;
    c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3;
    d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; o
    e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.>>

diritto all’oblio vs. diritto di cronaca: rimessione alle sezioni unite della Corte di Cassazione

La Cassazione ora rimette la questione alle sezioni unite (Cass. 05/11/2018, n. 28084), in quanto  questione di massima di particolare importanza (art. 374/2 cpc), così concludendo  :

<< 9.  Il bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio incide sul modo di intendere la democrazia nella nostra attuale società civile, che, da un lato fa del pluralismo delle informazioni e della loro conoscenza critica un suo pilastro fondamentale; e, dall’altro, non può prescindere dalla tutela della personalità della singola persona umana nelle sue diverse espressioni.

Sembra al Collegio che, soltanto partendo dal caso concreto, sia possibile definire: quando possa effettivamente configurarsi un interesse pubblico alla conoscenza di fatti (tali non essendo le insinuazioni di dubbi e le voci incontrollate); quando, nonostante il tempo trascorso dai fatti, detto interesse possa essere considerato attuale; in che termini, sulla sussistenza di detto interesse, possa incidere la gravità e la rilevanza penale del fatto, la completezza (o la incompletezza) della notizia del fatto, la finalità di trattamento del dato (se, ad es., per fini di ricerca scientifica o storica, per fini statistici, per fini di informazione o per altri motivi, ad es. di marketing), la notorietà (o la mancanza di notorietà) della persona interessata, la chiarezza della forma espositiva utilizzata (anche evitando l’accorpamento e l’accostamento di notizie false a notizie vere).

Il delicato assetto dei rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero assume così – alla luce del vigente quadro normativo e giurisprudenziale, nazionale ed Europeo, il primo dei quali come di recente innovato, a garanzia del generale principio della certezza del diritto – i contorni della questione di massima di particolare importanza, parendo ormai indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sè relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione; e, in particolare, precisare in che termini sussiste l’interesse pubblico a che vicende personali siano oggetto di (ri)pubblicazione, facendo così recedere il diritto all’oblio dell’interessato in favore del diritto di cronaca.

Si rimettono pertanto gli atti al Primo Presidente della Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, concernente il bilanciamento del diritto di cronaca – posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione – e del c.d. diritto all’oblio – posto a tutela della riservatezza della persona – alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale negli ordinamenti interno e sovranazionale.>>

Si badi la cronologia: fatti storici del 1982, articolo giornalistico del 2009.

diritto all’oblio vs. diritto di cronaca: caso Venditti c. RAI

Secondo Cass. civ. 20/03/2018 n. 6919. Est. Valitutti, Venditti Antonio c. RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.a, § 3:

<<Da tale quadro normativo – desumibile da un reticolo di norme nazionali (art. 2 Cost., art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 97) ed Europee (artt. 8 e 10, comma 2 CEDU, artt. 7 e 8 della Carta di Nizza – e giurisprudenziale di riferimento deve, pertanto, inferirsi che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti:

1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;

2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine;

3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese;

4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poichè attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;

5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.

In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare, pertanto, la violazione del fondamentale diritto all’oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti.>>

SIAE commette abuso di posizione dominante

l’AGCM accerta un abuso di posizione dominante di SIAE. Il comunicato (A508 del 26.10.2018, disponibile qui  , ove anche il testo del provvedimento, di 130 pagg. ):

“Con provvedimento del 25 settembre 2018, l’Autorità ha accertato che la SIAE, almeno dal 1° gennaio 2012, ha posto in essere un abuso di posizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE, articolato in una pluralità di condotte complessivamente finalizzate a escludere i concorrenti dai mercati relativi ai servizi di gestione dei diritti d’autore non inclusi nella riserva originariamente prevista dall’art. 180 LDA [sottolienato aggiunto], nonché a impedire il ricorso all’autoproduzione da parte dei titolari dei diritti, garantita dall’articolo 180, comma 4, LDA.

Secondo l’Autorità le condotte contestate nel provvedimento costituiscono una complessa strategia escludente che ha determinato, attraverso la pervicace affermazione di un monopolio non supportato dalla normativa, la compromissione del diritto di scelta dell’autore e la preclusione all’offerta dei servizi di gestione dei diritti d’autore da parte dei concorrenti.

In particolare, le condotte attraverso le quali SIAE ha attuato la propria strategia escludente riguardano:

a) l’imposizione di vincoli nell’offerta di servizi diversi tali da ricomprendere nel mandato relativo allo svolgimento dei servizi rientranti nella riserva legale esclusiva vigente fino al 15 ottobre 2017 anche servizi suscettibili di essere erogati in concorrenza, ostacolando la libertà dei titolari del diritto d’autore di gestire i propri diritti al momento dell’attribuzione, della limitazione o della revoca del mandato;

b) l’imposizione di vincoli volti ad assicurare alla SIAE la gestione dei diritti d’autore dei titolari non iscritti alla SIAE, anche persino là dove questi ultimi avevano espressamente manifestato la volontà di non avvalersi dei servizi da essa erogati;

c) l’imposizione di ostacoli nella stipulazione da parte degli utilizzatori – in particolare, emittenti TV nazionali e organizzatori di concerti live – di altri contratti di licenza d’uso delle opere con i concorrenti della SIAE;

d) l’esclusione dei concorrenti dai mercati relativi alla gestione dei diritti d’autore di repertori esteri.”

Ha però irrogato una sanzione pecuniaria simbolica di euro 1.000,00 per il seguetne motivo: ” Nel caso in esame, deve essere considerato il contesto entro cui si è verificata la complessa strategia escludente accertata, e in particolare il fatto che le condotte abusive sono state realizzate dalla SIAE in mercati caratterizzati da una stretta contiguità con gli ambiti coperti dalla riserva vigente fino al 15 ottobre 2017. Tale circostanza, sebbene non incida sull’esistenza e sulla gravità dell’abuso, considerata unitamente alla specificità e complessità della fattispecie e alla novità dell’abuso contestato, costituisce motivo sufficiente per irrogare alla SIAE una sanzione pecuniaria simbolica, pari a 1.000 euro”.

L’accertamento ha riguardato la violazione della regola non nazionale bensì europea (art. 102 TFUE, per il quale l’AGCM è competente in base al reg. 1/2003, art. 5)

caso Bastei Lubbe, CG 18.10.2018, C-149/17 (diritto di comunicazione al pubblico vs. protezione della vita familiare)

1) La regola , per cui il titolare di una connessione internet, attraverso cui siano state commesse violazioni del diritto d’autore e di diritti connessi  su fonogramma contenente audiolibro (un perito ha attribuito con esattezza al convenuto l’indirizzo IP interessato) mediante una condivisione di file (peer-to-peer), possa non essere considerato responsabile (pur in presenza di presunzione giurisprudenziale -BGH- di essere l’autore) , qualora indichi almeno un suo familiare che avesse la possibilità di accedere alla suddetta connessione, senza fornire ulteriori precisazioni quanto al momento in cui la medesima connessione è stata utilizzata da tale familiare e alla natura dell’utilizzo che quest’ultimo ne abbia fatto, confligge col combinato disposto degli artt. 8/1-2 (sanzioni e mezzi di ricorso) e 3/1 (comunicazine al pubblico) dir. 2001/29  e art. 3/2 dir. 2004/48 (<< Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi»).

2) Però la conclusione sarebbe diversa se, per evitare un’ingerenza ritenuta inammissibile nella vita familiare, i titolari di diritti potessero disporre di un’altra forma di ricorso effettivo, che in un simile caso consentisse loro, in particolare, di far riconoscere la responsabilità civile del titolare della connessione internet di cui trattasi” (§ 53)

Queste le parole della CG, più o meno. Il rimedio di cui al punto 2 potrebbe da noi essere costituito dalla compartecipazione all’illecito da parte del titolare della connessione internet ex art. 2043 (magari come titolare di attività pericolosa ex art. 2050)? E’ un’ <<attività>> gestire una connessione internet? E’ possibile costruire una presunzione per il cui il titolare della connesione è considerato resposnabile della violazione, similmente a quella del BGH tedesco (§ 20)?

Chi è l’autore delle opere create tramite la “artificial intelligence”? (con un cenno ai brevetti per invenzione)

Chi è l’autore delle opere (interamente) generate dal computer? Si deve dare soggettività giuridica al robot? Si , parrebbe, secondo Franzosi M., Riv. dir. ind., 2018/2, 173/4. 

Ma, a monte, è proteggibile tale opera, tenuto conto che la creatività è tradizionalmente riconosciuta solo a persone fisiche? La risposta ad oggi è negativa, secondo Lavagnini S., Intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: proteggibilità delle opere e titolarità dei diritti, Il dir. d’aut., 2018/3, 360 ss., a p. 370 ss.. Questa a. però ipotizza: i) alternativamente, la proteggibilità DE JURE CONDITO “nella misura in cui i risultati dell’attività dell’intelligenza artificiale (ossia la soluzione, il trovato, l’opera) dipendano in qualche modo dalle scelte e dagli input di un essere umano” (input non casuali, naturalmente, ma finalizzati, e tenendo conto che la creatività sarebbe da intendere in modo diverso da quello attuale: p. 372); ii) solo DE JURE CONDENDO, invece, la proteggibilità tramite un nuovo diritto connesso degli investimenti economico-finanziari eseguiti allo scopo (anzichè la creatività).

E se l’opera è non interamente ma  solo parzialmente realizzata con l’artificial intelligence (A.I.)? Ci riflette Christian F. Chessman   in ISpeak: Automated Authorship and Accountability in the Digital Age , 2018 (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3118035; solo abstract).

Sintesi delle soluzioni possibili in Alessio Chiabotto  , Intellectual Property Rights Over Non-Human Generated Creations, 2017 (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3053772),.

Ora un’articolata opinione contraria alla proteggibilità col diritto d’autore è fornita da Gervais, Daniel J., The Machine As Author (March 25, 2019). Iowa Law Review, Vol. 105, 2019. Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3359524 (sintesi nel post http://copyrightblog.kluweriplaw.com/2019/05/21/can-machines-be-authors/) . La ragione sarebbe duplice. 1° mettere in esecuzione gli algoritmi non richiede gli incentivi per cui è (o: si dice essere) nata la protezione d’autore (crearli si, però: ma qui la protezione è quella autorale per il software) . Anzi, l’AI potrebbe minacciare la creatività umana. 2° le macchine non sono responsabili delle violazioni che le loro produzioni potrebbero determinare (diffamazioni, contraffazioni di altre opere dell’ingegno -come derivative works- o violazioni di altri diritti). Su questo secondo aspetto, però, la legge può intervenire, gravando qualcuno tra  i possibili candidati (programmatori, proprietari -iniziali o attuali-, utilizzatori a vario titolo)  

L’unica legislazione –almeno europea- in proposito (così Ryan Abbott, Artificial Intelligence, Big Data and Intellectual Property: Protecting Computer-Generated Works in the United Kingdom, in abbott in ssrn) è quella inglese: “In the case of a literary, dramatic, musical or artistic work which is computer-generated, the author shall be taken to be the person by whom the arrangements necessary for the creation of the work are undertaken” (art. 9/3 UK Copyright, Designs and Patents Act 1988)

 Viene segnalata la speciale regola UK circa la durata (“If the work is computer-generated the above provisions do not apply and copyright expires at the end of the period of 50 years from the end of the calendar year in which the work was made.”) da Maggiore M., ARTIFICIAL INTELLIGENCE, COMPUTER GENERATED WORKS AND DISPERSED AUTHORSHIP: SPECTRES THAT ARE HAUNTING COPYRIGHT, http://www.mmlex.it/artificial-intelligence-computer-generated-works-and-dispersed-authorship-spectres-that-are-haunting-copyright.

Sulla normativa inglese, introdotta nel 1988 come parte del Copyright, Designs and Patents Act, v.  T. Bond-S. Blair, Artificial Intelligence & copyright: Section 9(3) or authorship without an author, in Journal of Intellectual Property Law & Practice, Volume 14, Issue 6, June 2019, Page 423.

Ci sono già state delle aste di opere create tramite l’intelligenza artificiale, come riferice un articolo del 4 marzo 2019 del Guardian.   

Questo per il lato per così dire attivo di ipotetiche situazioni giuridiche coinvolgenti i computer. Ma il tema può essere allargato al lato passivo (cioè quando cagionino danno a terzi) e più in generale può considerarsi la disciplina civilistica concernente l’attività di computer e robot. Sul punto v.si la  Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103(INL)) e, tra  i molti saggi dottrinali, L. Coppini, Robotica e intelligenza artificiale: questioni di responsabilità civile, in Politica del diritto, 2018/4, 713-740.

Altri ha così osservato: << Cio` che conta e`, quindi, considerare la responsabilita per danno provocato da robot nell’ambito della disciplina della sicurezza dei prodotti e della responsabilita`del produttore proprio perche´ si tratta di aree normative fortemente connesse, in quanto la mancanza di sicurezza di un prodotto puo` determinare un danno all’utilizzatore e, conseguentemente, la responsabilita`del produttore. Si tratta di normative che operano in modo differente perche´ quella sulla sicurezza dei prodotti mira ad una tutela in via preventiva, in quanto prevede che sul mercato siano immessi solo prodotti sicuri ed eliminatiquelli insicuri; mentre la normativa sulla responsabilita`del produttore, come noto, offre una tutela ex post di tipo risarcitorio nel caso di danni causati da prodotti difettosi/insicuri. Il quadro di coloro i quali sono soggetti all’obbligogenerale di sicurezza dei prodotti e` molto ampio tantoche, secondo quanto stabilito dall’art. 103, lett. d),sono il produttore, il distributore, l’importatore echiunque si presenti come produttore apponendo sulprodotto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, e la normativa in materia di sicurezza opta peruna migliore ripartizione delle responsabilita` in quanto coinvolge l’intera catena distributiva (sul punto la normativa dovrebbe essere integrata ricomprendendo anche altri soggetti quali: l’ideatore, il progettista, etc.), consentendo all’utente di avere maggiori garanzie rispetto allo schema di tutela proprio della responsabilita`da prodotto difettoso. L’approccio precauzionale rimane, quindi, quello da privilegiare in quanto fa sı` che in condizioni di incertezza scientifica – che nel caso dei robot intelligenti e`evidentemente determinata dalla loro possibilita` di evolversi attraverso l’esperienza fatta – il comportamento del produttore (inteso nel senso piu` ampio del termine) debba essere ispirato a prudenza al fine di privilegiare la sicurezza rispetto al rischio in correlazione con il tipo di prodotto/robot immesso sul mercato>> (Responsabilita` e robot, di G. Capilli, Nuova giur. civ. comm., 2019/3, 629-630).

SUI BREVETTI PER INVENZIONE – Infine, abbondano già i brevetti (o le domande degli stessi) sull’A.I. e in particolare sulla tecnologia c.d. machine learning  . Si veda il post 24.01.2019  di R. Hughes in Ipkitten sulla società londinese Deep Blue (ora nella galassia  Google), che pare essere leader del settore, e ivi il link all’elenco delle sue domande brevettuali, estratto dal database dell’Ufficio Brevetti Europeo e quello 15.08.2019 sempre di R. Hughes su  Stephen Thaler ,  titolare del primo brevetto relativo a software in grado di inventare