La canna fumaria, in linea dimassimam, non costiuisce costruzione ai fini della distanza minima tra costruzioni

Cass. sez. II, ord. 04/10/2024  n.26.042, rel. Pirari, con decisione poco condivisibile:

<<Esiste, infatti, ai sensi dell’art. 873 cod. civ., esiste una nozione unica di costruzione, non modificabile neppure dai regolamenti comunali, stante la loro natura di norme secondarie (Cass. n. 23843 del 2018; n. 144 del 2016; n. 19530 del 2005), la quale non si identifica in quella di edificio, ma consiste in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa e dalla tecnica costruttiva adoperata (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 345; Cass., Sez. 2, 2/10/2018, n. 23856; Cass., Sez. 2, 20/7/2011, n. 15972).

Anche le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, costituiscono corpo di fabbrica computabile ai fini del calcolo delle distanze, giacché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati, mentre non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica, ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili (Cass., Sez. 2, 17/9/2021, n. 25191; Cass., Sez. 2, 19/9/2016, n. 18282; Cass., Sez. 2, 22/7/2010, n. 17242; Cass., Sez. 2, 31/5/2006, n. 12964; Cass., Sez. 2, 26/1/2005, n. 1556).

In linea di principio, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tra gli sporti non computabili rientrano, ad avviso del collegio, anche le canne fumarie, ancorché infisse al suolo e aventi i caratteri della solidità e stabilità, avendo esse valenza di mero accessorio di un impianto e non costituendo perciò costruzione, come già chiarito da questa Corte sia pure in tema di distanza delle vedute ai sensi dell’art. 907 cod. civ. (in tal senso vedi Cass., Sez. 2, 23/5/2016, n. 10618; Cass., Sez. 2, 23/2/2012, n. 2741).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha verificato solo la sporgenza della canna fumaria, mentre avrebbe dovuto verificarne anche le precise caratteristiche costruttive, visto che dalla sentenza non risulta neppure se si tratta di un mero tubo di ferro oppure di un manufatto in muratura>>.

La valenza di accessorio è il profilo dello scopo; ma l’ingombro al passaggio di luce aria e spazio per vedute è altri e può ricorrere anche per canne fumarie.

Il marchio di colore di posizione è difficile da registrare

Il Trib. UE conferma il rigetto della domanda di registrazione per un marchio di colore (rosso giallo nero) e di posizone, applicato a macchine agrigole (Trib. UE 11.0.2024, . Joined Cases T‑361/23 to T‑364/23, Väderstad Holding AB c, EUIPO).

Riporto qui uno dei quattro azionati:

Segnalo solo uno dei motivi di rigetto: il fatto che i detti colori svolgono funzione di sicurezza e segnalazione (“the Board of Appeal found that the signalling effect of the colours red and yellow was of particular importance for the goods at issue, for example at the time when they were used in accordance with their purpose, when they were ‘parked’ or ‘on the road’. It stated that although the colour yellow was more easily perceived in low-light conditions, the colour red was particularly eye-catching during the day and was frequently used for safety purposes on all types of equipment in various sectors, including the agricultural sector. Furthermore, according to the Board of Appeal, the colour black, combined with the colour yellow, creates a contrast and thus improves visibility. As regards the safety function, the Board of Appeal also took into account the presence, on the goods at issue, of the combination of the colours yellow and black in the form of a banal rectangle which further improves visibility. The Board of Appeal found that the combination of the colours red, yellow and black served a safety or signalling function“: § 56.)

L’istante fa presente che ciò non rientra tra i motivi espressi di  nullità del marchio secondo la giurisprudenza UE, § 57.

Da noi non rientra espressamente nell’art. 13.1 (forse però nell’inciso finale alla lett. b): “o altre arattreristiche del prodotto”), nè  nei motivi di invalidità per  quelli di forma ex art. 9 (qui forse si potrebbe farli rientrare nelle lettere  a opppure b-).

Il T. rigetta.

(segnalazione di Marcel Pemsel in IPKat).

Cass. sez. II, ord. 06/06/2024 n. 15.906, rel. Besso Marcheis:

<<Il giudice di secondo grado ha, infatti, correttamente seguito l’orientamento di questa Corte, alla stregua del quale “il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà e alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza e il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita” (così Cass. n. 955/2013 e, da ultimo, Cass. n. 5732/2019).

Come risulta univocamente accertato in fatto, le due unità immobiliari di proprietà delle parti sono sì ubicate in un condominio, ma il manufatto di cui si denuncia l’illegittimità è stato posto a copertura di un’area scoperta di pertinenza della proprietà esclusiva del ricorrente e il diritto di veduta di cui si lamenta la violazione pertiene all’appartamento in proprietà esclusiva dei controricorrenti, così che il conflitto si pone non tanto tra diversi diritti di uso della cosa comune tra condomini (l’ancoraggio del manufatto al muro condominiale non è, infatti, oggetto di contestazione), ma tra diritti spettanti alle proprietà esclusive dei contendenti.

Alla controversia, pertanto, deve essere applicata la disciplina prevista dall’art. 907 c.c., e ciò in conformità della giurisprudenza più recente di questa Corte, puntualmente richiamata dalla sentenza impugnata (v., in particolare, la cit. Cass. n. 955/2013, secondo cui il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino – in quel caso un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento – che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto)>>.

eBay non è “venditore” (“seller”) ai fini della responsabilità per la vendita di dispositivi inquinanti illegali per automobili

US Dist. Court  EASTERN DISTRICT OF NEW YORK, UNITED STATES OF AMERICA, v. EBAY INC., 30 settembre 2024, ORELIA E. MERCHANT, United States District Judge, Case 1:23-cv-07173-OEM-LB , circa la vendita di dispositivi inquinanti per auto eludenti i divieti di legge  (“eBay’s purported sale and offering for sale of aftermarket products for motor vehicles”):

<<eBay moves to dismiss Plaintiff’s claims on the basis that Plaintiff has failed to adequately plead its claims against eBay. See generally eBay’s Memo. eBay contends that Plaintiff has not adequately pled a violation of the CAA because Plaintiff has failed to establish that eBay violated Section 203(a)(3)(B) of the law. Id. at 6. Under CAA Section 203(a)(3)(B), certain “acts and the causing thereof are prohibited,” including causing “any person to manufacture or sell, or offer to
sell … [an emissions defeat device] where the person knows or should know that such part or component is being offered for sale or installed for such use or put to such use.” 42 U.S.C. § 7522(a)(3)(B). eBay contends that Plaintiff has failed to adequately allege that eBay committed  an unlawful act with the requisite scienter under this section of the CAA. eBay’s Memo at 6.
Specifically, eBay argues that it never “sold,” “offered for sale,” or “caused the sale or offer” of Aftermarket Defeat Devices. Id>>

Poi:

<<The fact that the Utah Physicians defendant “transferred title of” the Aftermarket Defeat Devices through its agent was dispositive. Here, by contrast, no agency relationship exists between eBay and the individual sellers who use eBay’s platform. eBay’s Memo at 8. Indeed, no agency relationship could exist because eBay users explicitly agree to a non-agency relationship by consenting to Section 19 of the User Agreement which states “No agency . . . relationship is intended or created by this User Agreement.” Id. In short, while there may be broader views about what it means to “sell” something, here, under CAA Section 203(a)(3)(B), as in Utah Physicians, the Court finds that the plain meaning of the word “sell” is to “transfer [] property or title for a price.” Black’s Law Dictionary 1603, 1634 (11th ed. 2019).
In another context, the Second Circuit has similarly held that eBay is not a seller. In Tiffany (NJ) Inc. v. eBay Inc., jeweler Tiffany & Co. brought a trademark infringement action against eBay, arguing that eBay facilitated and allowed counterfeit items to be sold on its website. 576 F.
Supp. 2d 463, 469 (S.D.N.Y. 2008), aff’d in part, rev’d in part, Tiffany (NJ) Inc. v. eBay Inc., 600 F.3d 93 (2d Cir. 2010). The district court relied on three facts in concluding that eBay was not a “seller”: (1) buyers and sellers contacted each other to arrange payment and shipment; (2) eBay never physically possessed the goods sold; and (3) eBay did not necessarily know whether an item had been delivered. Tiffany, 576 F. Supp. 2d at 475. The Second Circuit affirmed eBay was not a seller: “eBay did not itself sell counterfeit Tiffany goods; only the fraudulent vendors did.”
Tiffany, 600 F.3d 114.
The United States attempts to distinguish the district court’s reasoning in Tiffany by pointing out that buyers and sellers no longer contact each other to buy items. Pl. Opp. at 14.
eBay’s business model has changed over the years, and today, buyers pay eBay. Compl. ¶ 109.
That said, importantly here, eBay still never physically possesses goods.
As a sister court has highlighted the importance of physically possessing goods sold, and  the Second Circuit has affirmed that importance, to “sell” an item one must either possess the physical item or its title. Consequently, Plaintiff’s claim for injunctive relief and civil damages based on eBay’s purported sale of Aftermarket Defeat Devices is dismissed>>

(notizia e link al testo da Eric Goldman blog)

Accettazione tacita dell’eredità e atti a rilevanza fiscale: la denuncia di successione ha effetti minori della domanda di voltura catastale

Cass. sez. III, 13 Agosto 2024, n. 22.769, rel. Rossi:

<<L’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal compimento di atti di natura non meramente fiscale (come la denuncia di successione), ma al contempo fiscali e civili (come la voltura catastale), esclusivamente se posti in essere dal chiamato o a questo riferibili in via mediata, per conferimento di delega ovvero per svolgimento di mansioni procuratorie o attraverso negotiorum gestio, seguiti da ratifica dell’interessato; pertanto, non è configurabile l’accettazione tacita in caso di omessa identificazione del soggetto che ha conferito la delega o successivamente ratificato l’operato di chi ha in concreto compiuto l’atto>>

(massima ufficiale)

Non banali precisazioni su come condurre il giudizio controfattuale circa un intervento chirurgico troppo rischioso

Cass. Sez. III, Ord. 27/09/2024, n. 25.825, rel. Cricenti:

Sull’errore del secondo giudice:

<<In particolare, è fondato il terzo motivo, che denuncia un errore nel ragionamento controfattuale di accertamento del nesso di causalità, il quale errore è altresì dipeso dal difetto di valutazione denunciato negli altri due motivi.

In sostanza, la Corte di merito ha escluso la rilevanza causale della scelta di procedere all’intervento chirurgico e lo ha fatto con un ragionamento controfattuale del tutto errato, in quanto ha ritenuto che, ove fosse stato evitato l’intervento chirurgico, e ove si fosse optato per un intervento non invasivo o conservativo, quest’ultimo non avrebbe comunque sortito i suoi effetti così come era già accaduto in passato.

Intanto, questo ragionamento controfattuale è chiaramente viziato, come denunciato con il secondo motivo, da omesso esame di fatti rilevanti e decisivi, vale a dire della circostanza che, non solo e non tanto il CTU aveva ritenuto non necessario l’intervento chirurgico e preferibile un intervento di tipo conservativo, ma altresì della circostanza che un medico precedentemente intervenuto, ossia l’ortopedico D.D., aveva anch’egli sconsigliato l’intervento chirurgico e ritenuto invece più opportuno un intervento non invasivo.

Inoltre, il ragionamento effettuato dai giudici d’appello, secondo cui l’intervento chirurgico era maggiormente indicato in quanto quello conservativo non aveva prodotto in passato gli effetti sperati, è anch’esso viziato da omesso esame di un fatto rilevante, omissione da cui deriva contraddittorietà di giudizio, in quanto non si è tenuto conto del fatto che anche l’intervento chirurgico, che pure in precedenza era stato effettuato, non aveva prodotto, al pari di quello conservativo, gli effetti sperati.

Ma soprattutto, l’errore di ragionamento controfattuale sta nel fatto che l’efficacia causale dell’antecedente, ossia la scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non andava valutata rispetto all’evento guarigione, ma rispetto all’evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente>>.

Per poi precisare:

<< In altri termini, il giudizio controfattuale andava effettuato chiedendosi se l’intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l’intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l’interessato guarendolo dalla patologia.

Nell’accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all’evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l’indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa. Invece, i giudici di appello, come si è detto prima, hanno effettuato l’indagine controfattuale considerando quale evento non già il danno subìto, ma l’inefficacia terapeutica del trattamento, e dunque un evento diverso, di cui il ricorrente non si duole. Non v’è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: ed occorreva chiedersi se, evitare l’intervento, avrebbe evitato la paralisi. L’evento che, per il ricorrente, ha costituito danno è, per l’appunto, la paralisi, non la mancata guarigione dalla lombosciatalgia, e dunque la questione causale è conseguente: stabilire se la condotta alternativa lecita avrebbe evitato quell’evento, non altro (la mancata guarigione dalla lombosciatalgia).

In altri termini, il ragionamento controfattuale, come svolto dai giudici di appello, può esprimersi nel modo seguente: “il trattamento conservativo non era necessariamente da preferire in quanto già in passato si era dimostrato inefficace”, quando invece l’assunto del ricorrente era: “il trattamento conservativo era da preferire in quanto avrebbe evitato i danni permanenti, poco importando la sua efficacia curativa”.

Il giudizio controfattuale consiste nella verifica della fondatezza di questa seconda proposizione linguistica, non della prima.

Come è evidente, l’efficacia causale della condotta alternativa lecita, ossia del trattamento conservativo, che era richiesto di accertare, non era quella di comportare la guarigione ma quella ben diversa di evitare il danno permanente.

Detto in termini semplici: il consiglio dato dagli altri medici di non fare l’intervento chirurgico, bensì trattamenti meno invasivi, non necessariamente era giustificato dalla maggiore efficienza di questi ultimi, ma ben poteva essere giustificato dalla minore rischiosità di essi, che è cosa ben diversa anche sul piano della individuazione dell’evento rispetto a cui effettuare il giudizio controfattuale.

E dunque la corte di merito avrebbe dovuto valutare se la condotta alternativa lecita (trattamento meno invasivo) era da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, ma per via del fatto che garantiva, a differenza di quella di fatto tenuta, di evitare il rischio: se cioè vi sia stata colpa nella scelta dell’intervento chirurgico alla luce di tale previsione.

Né può dirsi che si tratta di un giudizio di fatto, qui non censurabile, in quanto è in gioco il criterio con cui si accerta il fatto, ossia il criterio con cui si accerta se l’evento sia riconducibile ad un antecedente colposo>>.

 

Negligenza dell’amministratore di società costituita da mancata messa a frutto degli immobili: a lui spetta l’onere di provarne la congruenza con l’interesse sociale

Cass. sez. II, ord. 20/09/2024, n. 25.260, rel. Giannaccari:

<<11.1. Come è noto, all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste l’adempimento dei suo doveri sociali previsti dall’art. 2392 c.c. (Cass. 12.2.2013, n. 3409; Cass. 2.2.2015, n. 1783; Cass. 22.6.2017, n. 15470).

11.2. L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, il che comporta che la società ha l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro (Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n. 2975; Cass. 31.8.2016, n. 17441; Cass. 11.11.2010, n. 22911). [non esattissimo, tira dritto un pò troppo il collegio…]

11.3. Questa Corte ha affermato, sul tema dell’onere probatorio che, ove i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso, l’onere della prova da parte della società non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe una serie di elementi dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza [ovvio]. Il contenuto di siffatti obblighi di carattere generale può specificarsi solo con riferimento alle circostanze del caso concreto; pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell’amministratore, dell’obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di una serie di indici dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere, che è definito dall’art. 2932 c.c. (Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, n. 25056; Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n. 2975).

11.4. Recentemente, questa Corte ha affermato che, in tema di responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata, il principio della insindacabilità del merito delle scelte di gestione (cd. business judgement rule, non si applica in presenza di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese dell’iniziativa economica (Cassazione civile sez. I, 25/03/2024, n. 8069).

11.5. A tali principi di diritto non si è uniformata la Corte di merito, che si è limitata ad affermare l’insindacabilità delle scelte gestionali dell’amministratore, senza verificare se il non essersi attivato per concedere in locazione gli immobili della società, utilizzandoli gratuitamente, costituisse violazione del dovere di diligenza.

11.6. La società attrice aveva allegato che A.A. era rimasto inerte e non aveva a messo a frutto gli immobili e che tale comportamento aveva arrecato un danno costituito dalla mancata percezione dei canoni di locazione, considerato che si trattava di una società immobiliare, il cui scopo sociale è la reddittività degli immobili.

11.7. A fronte di tale condotta inerte, era onere dell’amministratore dimostrare le ragioni di tale scelta gestionale, non essendo legittimo opporre una scelta arbitraria, che, appare prima facie, irrazionale ed implausibile rispetto all’oggetto sociale.[questa è la parte più interessante: insegnamento ersatto]

11.8. La Corte di merito ha errato non solo nella ripartizione dell’onere probatorio ma, altresì, nell’affermare l’assoluta insindacabilità delle scelte gestionali anche nell’ipotesi in cui siano contrarie a principi di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà. È stato omesso qualsiasi approfondimento in ordine all’utilizzo personale di tali immobili da parte dell’amministratore, al fine di stabilire se si trattasse di scelta gestionale prudente in considerazione dell’oggetto sociale della società>>.

Nessuna responsabilità della scuola per il danno cagionato tra alunni durante esercizi prepatori alla pratica del rugby

Cass. sez. III, ord. 25/07/2024, (ud. 13/05/2024, dep. 25/07/2024), n.20790, rel. Tassone-

<<La decisione impugnata è conforme ai principi della materia enunciati da questa Suprema Corte, che ha già avuto modo di affermare che: “In tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all’interno della struttura scolastica nell’ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell’art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l’atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell’attività svolta, e non anche quando l’atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l’onere di provare l’illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l’inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto” (così Cass., 10/04/2019, n. 9983; Cass., 08/04/2016, n. 6844; Cass., 14/10/2003, n. 15321).

Le condizioni di applicabilità della norma si traducono dunque in un fatto costitutivo, l’illecito, che va provato dal danneggiato, e in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare nonostante la predisposizione di tutte le idonee cautele, che va provato dalla scuola (così Cass., 14/10/2003, n. 15321)>>

I fatti storici accertati in appello:

<<È rimasto nella specie dai giudici di merito accertato: a) che non si trattava di una partita di rugby, bensì di un esercizio di educazione fisica consistente nel simulare una fase di gioco all’interno della palestra, precisando che “si bloccava la persona, ma non c’era placcaggio” (cfr. testimonianza di Po.Gi., teste introdotto dalla stessa Mo.Gi.); b) che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nei suoi programmi di educazione fisica relativi alle scuole superiori include la pratica sportiva e lo svolgimento di esercizi ginnici e/o di gare tra contrapposte squadre di studenti; peraltro nel caso di specie non si trattava di pratica sportiva in senso proprio, ma di un esercizio propedeutico alla pratica sportiva del rugby, come si è detto caratterizzato da limitato contatto fisico; c) che un istruttore di rugby aveva adeguatamente illustrato l’esercizio agli alunni, ed era rimasto presente durante lo svolgimento dello stesso, unitamente a tre insegnanti; d) che il pavimento della palestra era in linoleum, materiale normalmente usato nelle palestre proprio perché attutisce i colpi.

La corte territoriale, nel rigettare il gravame, ha inoltre espressamente rilevato che “Il giudice di primo grado, dopo aver attentamente esaminato le risultanze istruttorie, ha correttamente escluso la pericolosità dell’esercizio, anche tenuto conto dell’età delle ragazze (14 anni)”, ed è pervenuta a concludere che “la condotta delle alunne che componevano la squadra avversaria a quella dell’attrice è stata repentina ed imprevedibile” (p. 9 dell’impugnata sentenza), pertanto ravvisando avere la scuola fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui era tenuta ai sensi dell’art. 2048 cod. civ. e ritenendo essersi il sinistro nella specie verificato con modalità tali da non potere essere impedito, e rientrare l’evento nell’alea normale dell’attività sportiva cui la studentessa, odierna ricorrente, ha preso parte durante l’ora di educazione fisica>>.

Confermato quindi il rigetto della domanda risarcitoria pure in appello.

Meno convinvente il rigetto (processuale) ex art. 2050 cc (attività pericolosa):

<<4.3. Sotto la formale invocazione della violazione di legge, anche lamentando la mancata riconduzione della fattispecie in esame al disposto dell’art. 2050 cod. civ. in tema di attività pericolosa, l’odierna ricorrente sollecita invero un riesame del fatto e della prova, precluso al giudice della legittimità.

Va infatti ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte “ai fini dell’accertamento della sussistenza della responsabilità ex art. 2050 cod. civ., il giudizio sulla pericolosità dell’attività svolta – ossia l’apprezzamento della stessa come attività che, per sua natura, o per i mezzi impiegati, rende probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso da essa causato, distinguendosi, così, dall’attività normalmente innocua, che diventa pericolosa per la condotta di chi la eserciti od organizzi, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. – quando non è espresso dal legislatore, è rimesso alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata” (cfr. Cass., 15/02/2019, n. 4545; Cass. 1195/2007; Cass. 10268/2015), ed in forza di questo principio l’attività sportiva non è – in linea generale – una attività pericolosa, potendo essere considerata tale solo là dove abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità ovvero presenti passaggi di particolare difficoltà (così, nel caso del rafting, Cass., 26860/2023; Cass., 18903/2017). [proprio questo si doveva verificare, ma non è stato fatto]

Nel caso di specie si verte in tema di esercizi di approccio all’attività del rugby durante l’ora di educazione fisica a scuola, dei quali va valorizzato l’aspetto intrinsecamente educativo, oltre che ludico, finalizzato alla valorizzazione del gioco di squadra ed alla fiducia nei compagni, all’attenzione alle regole ed al rispetto dell’avversario, alla formazione dei giovani per una maggiore sicurezza di sé nel raggiungimento degli obiettivi, conformemente alla ratio del nuovo ultimo comma dell’art. 33 Cost. (inserito dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1), che recita “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini>> [giudizio irrlevante ai fini dell’accetamento della periciolosità ex ar.t 2050 c.c.]

Prova ematologico/genetica nel processo per dichiarazione di paternità naturale (art. 269 cc)

Cass. sez. I, ord. 05/08/2024  n. 21.979, rel. Tricomi:

<<Giova ricordare che costituisce orientamento consolidato quello per cui, nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, le indagini ematologiche e genetiche sul DNA possono fornire elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità (Cass. 8451/1991; Cass. 15568/2011), anche se, in tale ipotesi, possono essere sufficienti anche altre risultanze processuali (Cass. 9412/2004). Inoltre, nella materia della dichiarazione giudiziale di paternità, la consulenza tecnica ematologica è uno strumento istruttorio officioso rivolto verso l’unica indagine decisiva in ordine all’accertamento della verità del rapporto di filiazione e, pertanto, la sua richiesta non può essere ritenuta esplorativa, intendendosi come tale l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale (cfr. Cass. n.22498/2021; Cass. 23290/2015, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale).

Inoltre, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda (Cass. n.28886/2019; Cass. n.7092/2022).

Nel presente caso, la Corte di appello si è attenuta a questi principi ed ha preso in considerazione il rifiuto di Ma.Al. a sottoporsi all’esame del DNA, unitamente a una pluralità di emergenze probatorie riguardanti le vicende familiari ed i rapporti intercorsi tra l’appellante ed il minore, ben consapevole in ragione di pregresse e ripetute frequentazioni con Ma.Al. del rapporto di filiazione, con ampia ed articolata motivazione che il ricorrente vorrebbe impropriamente sovvertire con la censura in esame. (…)

Alla stregua dei suesposti principi, il quinto motivo risulta in realtà impropriamente diretto a sollecitare un riesame del materiale probatorio, ossia in buona sostanza a criticare il “peso probatorio” attribuito alle diverse emergenze probatorie, ed in particolare al rifiuto a sottoporsi all’esame del DNA, su cui la Corte di merito ha principalmente fondato il proprio convincimento, spiegandone, con adeguata motivazione, le ragioni, all’esito di dettagliata disamina e raffronto del contenuto del materiale probatorio>>.

Responsabilità del Comune da custodia per decesso da folgorazione causata da lampione difettoso

Cass. sez. III, Ord. 19/09/2024, n. 25.200, rel. Pellecchia:

<<La responsabilità del custode può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01; Cass. 24/01/2024, n. 2376) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

Ai sensi dell’art. 2051 c.c., il Comune è custode dell’immobile e dei suoi impianti fissi e come tale responsabile oggettivamente. Ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Nel caso di specie risulta provato che il giovane G.G. sia morto per folgorazione e i lampioni non erano in sicurezza o recintati (cfr. sentenza impugnata pag. 20 e 21).

Il Giudice del gravame ha adeguatamente motivato la propria decisione, adottata sulla base di esauriente istruttoria (pag. 20 sentenza impugnata), dalla quale ha ritenuto provato il nesso causale tra l’evento morte e le condizioni fatiscenti dell’intero impianto di illuminazione che hanno provocato l’elettrocuzione (cfr. pag. 20 e 21 sentenza impugnata): anche in considerazione di quanto sarà precisato in ordine all’ottavo motivo.

Per il resto, non può che concludersi che le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. È noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.

Vi è da aggiungere che (da ultimo, v. Cass. ord. 4288/24, in motivazione) la giurisprudenza di questa Corte è consolidata (tra le ultime, ove ulteriori riferimenti, Cass., ord. 16/11/2023, n. 31949) nella affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione custode per le i danni causati dalle condizioni in cui versa la res in custodia anche quando questa sia modificata ed in quanto e come sia stata modificata, tranne il solo caso in cui la modifica sia avvenuta con modalità tali (immediatamente prima, ad esempio) da escludere oggettivamente la possibilità una qualsiasi pronta reazione; solo, davvero occorre stabilire se il danno è causato dai lavori alla res in custodia in costanza dei medesimi (ipotesi nella quale la simultaneità della condotta dell’esecutore dei lavori elide il nesso causale con la cosa, questa regredendo a mera occasione del sinistro), oppure se dipende dalla res in custodia come risultante all’esito dei lavori ed una volta questi cessati da tempo idoneo a consentire il ripristino di una oggettiva possibilità di intervento o adeguamento da parte del custode (nel qual caso torna pur sempre la cosa custodita, sia pure modificata o manomessa, ad essere ciò che cagiona il danno, regredendo i lavori e le modifiche a causa remota).

Pertanto, non soccorre il Comune la circostanza che le condizioni dell’impianto potessero essere ascritte all’esecutore dei lavori -che, del resto, non risulta neppure essere stato chiamato in garanzia o quale corresponsabile dal Comune stesso – dinanzi al fatto che ormai quelle erano consolidate e di quelle tornava a rispondere, nei confronti dei terzi che ne fossero stati danneggiati, il custode (e, nella specie, il custode pubblico e cioè il Comune)>>.