Condotta del genitore pregiudizievole al figlio e sospensione della responsabilità genitoriale (art. 333 cc)

Cass. sez. I, Ord. 16/09/2024, n. 24.710, rel. Giusti:

diritto:

<<6. – Questa Corte ha già chiarito che ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 cod. civ., non occorre che la condotta del genitore abbia già causato un danno al figlio, poiché la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l’obiettiva attitudine di quest’ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno (Cass., Sez. I, 11 ottobre 2021, n. 27553).

Avuto riguardo alla formula elastica usata dal codice – il quale ritiene sufficiente, per l’adozione del provvedimento di sospensione della potestà genitoriale, una condotta del genitore che “appare comunque pregiudizievole al figlio” – si è osservato che non occorre, a tal fine, che un tale comportamento abbia già cagionato un danno al figlio minore, potendo il pregiudizio essere anche meramente eventuale per essersi verificata una situazione di mero pericolo di un danno per lo stesso minore. Il legislatore ha, in sostanza, introdotto una disciplina protettiva per il minore allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, ogni obiettivo pregiudizio derivante dalla condotta di un genitore, che può essere anche non volontaria, rilevando la mera attitudine obiettiva ad arrecare danno al figlio (Cass., Sez. I, 23 novembre 2023, n. 32537).

Dunque, se non è necessario che un danno si sia già verificato, occorre comunque, affinché si possa adottare il provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale, che vi sia un comportamento del genitore pregiudizievole per il figlio.

Se non vi è un concreto pregiudizio o un pericolo di concreto pregiudizio, l’autorità giudiziaria non può intervenire con misure sospensive, atteso che i provvedimenti modificativi o limitativi della responsabilità genitoriale sono preordinati all’esigenza prioritaria dell’interesse del figlio (Cass., Sez. I, 27 ottobre 2023, n. 29814).

Tali provvedimenti non costituiscono una sanzione a comporta-menti inadempienti dei genitori, ma piuttosto sono fondati sull’accertamento, da parte del giudice, degli effetti lesivi che essi hanno prodotto o possono ulteriormente produrre in danno dei figli, tali da giustificare una limitazione o una sospensione della responsabilità genitoriale (Cass., Sez. I, 7 giugno 2017, n. 14145).

Occorre, dunque, che la condotta del genitore, sebbene non tale da dar luogo ad una pronuncia di decadenza, appaia comunque pregiudizievole al figlio.

Il sistema normativo, d’altra parte, è improntato alla gradualità degli interventi e alla proporzionalità delle misure da adottare. Gradualità e proporzionalità impongono al giudice del merito la ricerca di un equo contemperamento tra l’esigenza, tanto del genitore che del minore, di ricostruire, là dove e fin tanto che sia possibile, la relazione parentale attraverso il sostegno dei servizi sociali, da una parte, e quella di garantire una crescita non traumatica del figlio, dall’altra. )(…).

In particolare, nelle cause in cui gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori siano in conflitto, l’art. 8 Cedu esige che le autorità nazionali garantiscano un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e che, nel farlo, attribuiscano una particolare importanza all’interesse superiore del minore che, a seconda della sua natura e complessità, può avere la precedenza su quello dei genitori (Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 novembre 2022, I.M. e a. contro Italia)>>.

Applicato al caso de quo:

<<In primo luogo, la Sezione minorenni della Corte di Perugia definisce “inadeguate” “alcune condotte poste in essere dalla signora A.A. e costituenti fonte di pregiudizio per i minori”, dà atto di “condotte disfunzionali della madre” e riferisce della segnalazione, da parte dei Servizi, di “ingerenze e comportamenti” della donna “che avevano creato situazioni di tensione”.

Sennonché, la Corte territoriale, quando si tratta di riempire di sostanza e di contenuto tali condotte disfunzionali, si limita a fare un generico riferimento a “comunicazioni denigratorie della madre nei confronti del padre” (che, tra l’altro, sarebbero “ad oggi… diminuite”, secondo quanto riferito dal figlio D.D.), ma non descrive ulteriormente tali condotte e non indica fatti o episodi specifici, omettendo perfino di circostanziare “gli episodi oggetto delle denunce dalle quali è originato il presente procedimento”.

Il dare conto, nel provvedimento del giudice del merito, dei fatti accertati, con la giustificazione su basi logiche e razionali delle scelte operate, è invece essenziale per permettere alla Corte di legittimità di esercitare la verifica se la norma che viene in rilievo sia stata interpretata e applicata in modo corretto.

Secondo la posizione ordinamentale della Corte e il sistema processuale del giudizio di cassazione, non rientra nei compiti istituzionali del giudice di legittimità, che esercita il sindacato di violazione di legge, rinnovare l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice del merito né procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie sulle quali quell’accertamento si fonda.

Ma il giudice del merito deve esporre, sia pure concisamente, le ragioni di fatto della decisione adottata senza omissioni o lacune rilevanti e senza travisamenti.

La prescrizione vale in generale, (ma) tanto più là dove, come nella specie, si sia di fronte all’applicazione di una norma elastica che richiama nozioni (la condotta pregiudizievole del genitore; il pregiudizio per i figlio; il provvedimento conveniente rimesso alla discrezionalità del giudice) per la cui perimetrazione in sede interpretativa appa-re fondamentale l’incontro tra la norma e la realtà effettuale, anche per cogliere la struttura relazionale delle posizioni soggettive coinvolte e l’esigenza di una loro tutela improntata alla ricerca di una soluzione equa.

9. – In secondo luogo, il decreto della Corte territoriale presenta un omesso esame di un dato rilevante, perché, pur dando atto, a livello descrittivo, del fatto che la signora A.A. ha “buone competenze genitoriali”, non considera più questo elemento quando giunge al momento valutativo.

Preme rilevare che dalle conclusioni della relazione della Equipe di valutazione della personalità e delle competenze genitoriali del 14 febbraio 2023, puntualmente richiamato dalla ricorrente nell’atto di impugnazione, è detto espressamente che la A.A. ha “buone competenze genitoriali rispetto alla mentalizzazione degli stati emotivi e dei bisogni dei figli, nelle specifiche funzioni genitoriali di leadership, contenimento e guida, nonché di supporto emotivo”. In particolare, “rispetto a ogni figlio riesce adeguatamente a riconoscere aspetti evolutivi propri di ogni età, leggendone bisogni e aspettative”; “risulta competente nell’affrontare argomenti a carattere riflessivo ed educativo che riguardano la vita dei minori”; “risulta essere competente nella misura in cui riesce a scindere l’aspetto genitoriale dalla vicenda separativa della coppia”.

Dalle relazioni dell’educatore familiare del gennaio e del febbraio 2023 emerge che “non sono stati osservati comportamenti della madre tali da potersi considerare irrispettosi, squalificanti, offensivi, violenti, dal punto di vista fisico o verbale o psicologico verso i minori”. Un altro dato significativo che emerge da quelle relazioni è che “non sono state mai rilevate da parte della madre esplicite e dirette espressioni volte a sminuire o squalificare il padre di fronte ai minori”. Infine, nel susseguirsi degli accessi non si sono osservati da parte dei minori “acting out di valenza critica e problematica tali da far ipotizzare un disagio o malessere rispetto alla loro permanenza presso il contesto materno” e “risulta evidente un forte legame affettivo con la figura materna”.

La mancata considerazione e valorizzazione di questi elementi e, insieme, del dato che entrambi i figli hanno espresso il desiderio di poter trascorrere con tranquillità del tempo con entrambi i genitori, si risolve in un omesso esame di fatti decisivi suscettibile di inficiare la coerenza logica e la plausibilità delle conclusioni della decisione impugnata.

Infatti, il disagio psicologico vissuto dai figli a seguito della disgregazione della coppia genitoriale, della incertezza e della scarsa prevedibilità del contesto ambientale e del permanere di una certa animosità della madre, anche per i suoi limiti caratteriali, nei confronti del padre dei bambini, manifestatasi attraverso “comunicazioni denigratorie”, non presenta la consistenza del pregiudizio legittimante, a norma dell’art. 333 cod. civ., la pronuncia della sospensione della responsabilità genitoriale della madre, in mancanza di accertate carenze d’espressione delle capacità genitoriali, e considerando altresì il profilo, palesemente trascurato dalla stessa Corte di merito, afferente alle conseguenze sui minori della adottata pronuncia di sospensione in un periodo così delicato per il loro sviluppo fisio-psichico nella fase adolescenziale.

Proprio tali limiti caratteriali della madre avrebbero dovuto essere affrontati e valutati nella prospettiva di un’offerta di opportunità diretta a migliorare i rapporti con i figli, in un percorso scevro da pregiudizi originati da postulate e non accertate psicopatologie.

La Corte territoriale ha considerato le asprezze caratteriali della ricorrente in senso fortemente stigmatizzante, come espressione di un’incapacità di esprimere le capacità genitoriali nei confronti dei figli, pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria; e non ha tenuto conto delle evidenziate buone competenze genitoriali della madre, anche sotto il profilo del supporto emotivo, unite alla sua capacità di interpretare e dare una risposta ai bisogni e alle aspettative dei figli.>>.

Segue cassazione del decreto impugnato

Revoca implicita della condizione appposta al testamento , costituita dalal condotta del de cuius successiva al suo confezionamento

Cass. sez. II, ord. 18/09/2024 n. 25.116, rel. Grasso, in cui la condizione di essere accudito presso una certa località era stata implicitamente revocata dall’essersi il testatore poi rifiutato di ivi trasferirsi:

<<Al contrario, si ribadisce, qui è stato proprio il testatore a impedire l’avveramento della condizione e, nonostante ciò, ha mantenuto ferma la nomina ad eredi universali dei nipoti. Quindi, se appare improprio evocare la disciplina di cui all’art. 1359 cod. civ. per le ragioni in estrema sintesi sopra esposte, proprio il “favor testamenti” impone comunque la salvezza dell’istituzione testamentaria non revocata, nonostante la revoca, per condotta incompatibile del disponente, della condizione sospensiva apposta.

In definitiva, appare utile enunciare il seguente principio di diritto: “ove il testatore, dopo avere apposto una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria, ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace” >>.

Disegni e modelli: prova della anteriore divulgazione tramite screenshot di pagina internet

Anna Maria Stein in IPKat segnala interessante decisione sull’oggetto: 3rd Board of Appeal 11.09.2024 , case R 5/2024-3, Ekomill OÜ v. Ecosauna Project OÜ.

<<20 The invalidity applicant invoked as prior design D1, an oval-shaped wooden sauna as manufactured and sold by a Lithuanian company. It provided as evidence of disclosure two screenshots of two posts allegedly from Facebook, dated 22 August 2013 and July 2014 (Annex 3), and indicated two hyperlinks in its observations. It did not file any additional evidence at the appeal stage.
21 The Invalidity Division considered that this evidence constitutes sufficient proof of disclosure. The Board does not concur.
22 Although the appearance of a picture of a design on the internet constitutes a publication within the meaning of Article 7(1) CDR (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 32), the invalidity applicant must provide solid evidence of this event of disclosure.
23 To establish disclosure, a printout or a screenshot should show the full URL address of a website, demonstrating the source of design disclosure on the internet (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 33-34).
24 As correctly pointed out by the design holder, the indication of a hyperlink in the invalidity applicant’s observations cannot suffice in this respect. Hyperlinks or URL addresses per se cannot be considered sufficient evidence for proving the disclosure of a prior design. Even if these are active, they should be supplemented with additional evidence, such as a printout or a screenshot of the relevant information contained therein (07/02/2007, T 317/05, Guitar, EU:T:2007:39, § 43) including the full URL address. This is because information accessible through a hyperlink or URL address may later be altered, removed or difficult to identify. Even assuming that the URL link would display the screenshot, as shown in Annex 3, it is impossible for the Board to ascertain whether the content to be found under the hyperlink has been changed or removed over time.
25 In this regard, the Board notes that this assessment aligns with the ‘CP 10 Common Practice – Criteria for assessing disclosure of designs on the internet’ (Section 2.4.4, p. 29) established by the IP offices of the European Union in the framework of the European Union Trade Mark and Design Network, with the purpose of offering guidance on the sources, reliability, presentation, and assessment of online evidence. Accordingly, when the screenshot does not contain all relevant information, namely source, date, and depiction of the invoked prior design, additional evidence should be submitted. Although these texts are not binding for the Board, it may take it into account in its decision-making process.
26 Considering that the screenshots provided do not show the source of disclosure, and that the event of disclosure cannot be proved by means of probabilities or suppositions but must be demonstrated by solid and objective evidence (09/03/2012, T-450/08, Phials, EU:T:2012:117, § 24-25), the Board finds that the invalidity applicant failed to submit sufficient proof of disclosure of the prior design D1 within the meaning of Article 7(1) CDR>>.

La decisione va condivisa; solo che un difensore, minimamente prudente e pratico della rete, lo sa e lo fa d’istinto

La Cassazione sull’assegno di mantenimento nell’unione civile

Cass. sez. I, ord. 17/09/2024  n. 24.930, rel. Tricomi:

<<In caso di unioni civili, cui si applica l’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, richiamato dall’art. 1, comma 25, l. n. 76/2016, il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore dell”ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell”ex partner istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno, come chiarito da Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto>>

(massima da De Jure)

Azione per l’adempimento e onere nella prova nell’appalto

Cass. sez. II, ord. 23/09/2024  n. 25.410, rel. Giannaccari:

<<Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento (Cass., Sez. Un., 30/10/2001 n.13533).

L’applicazione di tale principio al contratto di appalto – cui per giurisprudenza costante si estende la disciplina generale dell’inadempimento del contratto – comporta che l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di provare di avere esattamente adempiuto la propria obbligazione, cioè di avere eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle regole dell’arte, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa (Cass., Sez. II, 13/02/2008 n.3472). Con l’effetto che la sua domanda non può essere accolta nel caso in cui l’altra parte contesti il suo adempimento, come avvenuto nel caso di specie, in cui il committente ha contestato che la prestazione non era stata integralmente eseguita e che alcune piante non erano attecchite.

A fronte di tale contestazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se la prestazione dell’appaltatore fosse stata integralmente e correttamente eseguita e, solo in caso positivo, avrebbe potuto condannare il committente al pagamento del prezzo.

La Corte d’Appello ha omesso di considerare che Bo.Ro. aveva eccepito l’inadempimento dell’appaltatore per inesattezza qualitativa e quantitativa della prestazione e, ribaltando l’onere della prova, ha erroneamente condannato il committente al pagamento del prezzo, senza accertare se la prestazione dell’appaltatore fosse stata adempiuta>>.

Interessante pure il prosieguo:

<<Non è pertinente, ai fini dell’obbligo di pagamento del corrispettivo da parte del committente, il richiamo all’art. 1181 c.c., secondo cui il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile; nel caso di specie, nessuna delle parti ha chiesto la risoluzione del contratto, sicché non è applicabile il principio statuito da Cass., Sez. II, 17/02/2010 n. 3786, in forza del quale, nel contratto d’appalto, il committente può rifiutare l’adempimento parziale oppure accettarlo e, anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno>>.

Il fondo intercluso può essere tale anche per disposto di legge o della PA e non solo per ostacolo fisico

Cass. sez. II, ord. 18/09/2024 n. 25.088, rel. Grasso, esprime i seguenti principi di diritto:

” (1) In materia di costituzione di servitù coattiva di passaggio, ai sensi del primo comma dell’art. 1051 cod. civ., costituisce impedimento ad usufruire d’uscita sulla via pubblica la circostanza che un tale accesso risulti precluso dalla legge o dalla pubblica amministrazione.

(2) Spetta a colui che richiede la costituzione della servitù dimostrare la giuridica impossibilità di accesso alla via pubblica; tuttavia, ove il consulente del giudice abbia escluso, sulla base degli accertamenti e delle informazioni ricevute dalla pubblica amministrazione, che dell’accesso l’interessato possa legittimamente fruire, non costituisce argomento che possa ribaltare una tale valutazione tecnica la circostanza che non consti essere stata presentata istanza per l’autorizzazione al passo carrabile”.

Sussidiarietà dell’obbligazione di mantenimento a carico dei nonni ex art. 316 bis c.c.

Cass. sez. I, 18/09/2024, ord. n. 25.067, rel. Tricomi:

<<2.5. – Invero, questa Corte nell’impugnata ordinanza n. 13345-2023, ha – sulla base di una valutazione delle risultanze processuali del giudizio di merito – ritenuto corretta la sentenza della Corte d’appello che aveva applicato la responsabilità sussidiaria dei nonni, ex art. 316-bis c.c., in considerazione del fatto che il padre della minore si era reso irreperibile, cambiando di continuo abitazione e lavoro, in modo da non consentire di agire nei suoi confronti, e che il medesimo era stato perfino condannato ai sensi dell’art. 570 c.p. L’impugnata sentenza è, peraltro, conforme alla giurisprudenza di questa Corte circa l’obbligo sussidiario dei nonni (Cass. n.10419-2018), che ha ritenuto sussistente, con valutazione in diritto insindacabile in questa sede>>.

Sulll’assegno di mantenimento da separazione

Cass. Sez. I, ord. 18 settembre 2024 n. 25.055, rel. Tricomi:

<<Ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza matrimoniale. Non possono a tal fine, prendersi in considerazione le spese medie mensili dei due coniugi relative anche agli anni successivi alla separazione.

La stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa. [errore: non è affatto presumibile]

In mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno, deve essere compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729 c.c.>>

(massime di Valeria Cianciolo in  Ondif)

Le azioni proprie vanno computate per il calcolo della maggioranza di qualunque delibera societaria: sia sul capitale totale che su quello presente in assemblea

Cass. sez. I, 03/09/2024 n. 23.557, rel. Falabella, sull’art. 2357 ter c. 2 cc, nella nota lite all’interno del grupppo Salini:

<<1.3. – La conformazione che ha assunto il secondo comma dell’art. 2357-ter, comma 2, a seguito della novella consente di affermare che, proprio muovendo dalla logica che informava la richiamata pronuncia, deve oggi pervenirsi a conclusioni opposte rispetto a quelle cui giunse la medesima. Infatti, nell’odierna versione della disposizione è venuto meno il riferimento al capitale e, come si è visto, le azioni proprie sono computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea, onde esse entrano nel conteggio di tutti i quorum costitutivi e deliberativi: anche quelli che dipendono dal capitale presente in assemblea (come è previsto per le delibera dell’assemblea ordinaria in seconda convocazione). Che il termine maggioranza possa essere riferito, come sostenuto dai ricorrenti, tanto al capitale intervenuto in assemblea quanto all’intero capitale sociale è da escludere, visto che una tale lettura è contrastante col dato letterale, specie se letto in una chiave diacronica, avendo riguardo al diverso tenore delle due versioni della medesima norma, e finisce per postulare l’obiettiva inutilità, e quindi la sostanziale irragionevolezza dell’intervento legislativo del 2010. (…)

La volontà espressa dal legislatore trova ragione nell’esigenza, ben evidenziata da Cass. 2 ottobre 2018, n. 23950 cit., di impedire, nelle società “chiuse”, che le azioni proprie modifichino i rispettivi poteri dei soci e, più in generale, che risulti alterata la c.d. funzione organizzativa del capitale sociale: la prospettiva funzionale associata alla norma vigente è dunque rovesciata rispetto a quella che poteva accostarsi alla precedente versione del testo legislativo, ove era dominante il fine di evitare situazioni di stallo, per l’impossibilità di formare una maggioranza, rispetto a decisioni dalle quali dipendesse la stessa sopravvivenza della società (Cass. 16 ottobre 2013, n. 23540 cit., in motivazione)”.

Poi:

><<1.4. – Oppone la parte ricorrente che accogliendo la soluzione dalla stessa avversata si conferisce ai soci di minoranza un peso maggiore rispetto a quello che avrebbero se le azioni proprie fossero distribuite proporzionalmente tra tutti i soci: è vero, però, che il mancato computo delle azioni proprie può consentire al socio di maggioranza relativa, in situazioni particolari, quale quella in esame, una prevalenza nei processi deliberativi, convertendo, di fatto, quella maggioranza relativa in una maggioranza assoluta; si deve quindi semplicemente prendere atto che il legislatore, facendo uso della propria discrezionalità, di fronte a più soluzioni astrattamente ipotizzabili, ha inteso optare per il criterio che più si mostrava capace di preservare, in seno all’assemblea, gli equilibri preesistenti all’acquisto delle azioni proprie da parte della società. Tale discrezionalità, merita aggiungere, è stata spesa differenziando le società “chiuse” da quelle “aperte” ed escludendo per queste ultime che le azioni proprie fossero incluse nel quorum deliberativo: ciò al fine evidente di consentire che in queste ultime, in cui l’azionariato è diffuso, la maggioranza si formasse in modo più agevole>>.

Cass. Sez. I, ord. 16 settembre 2024 n. 24811, rel. Pazzi:

<<La tolleranza dell’altro coniuge, di per sé, non assume rilievo al fine di escludere un simile nesso causale [NB: tra infedeltà e intollerabilità della convivcenza] ma, al più, può essere presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore del fatto che l’affectio coniugalis era già venuta meno da tempo.
Tali altri elementi erano stati solo genericamente dedotti ed erano rimasti privi di adeguate allegazioni probatorie.
E’ onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà>>.