la sopravvenuta stabile convivenza è causa di revisione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 30/04/2024 n. 11.627, rel. Meloni, sull’art. 8 legge divorzio:

<<Nel caso in esame la Corte d’appello ha ampiamente motivato in ordine al presunto giudicato: ” ritiene la Corte che il provvedimento impugnato debba essere confermato posto che si rilevano circostanze sopravvenute e provate dalla controparte tali da alterare l’equilibrio raggiunto e accertato in precedenza dal medesimo Tribunale nell’ambito del processo di divorzio, la cui sentenza è stata impugnata e poi confermata dalla Corte di Appello e, successivamente, anche dalla Suprema Corte di Cassazione, ma, a differenza di quanto sostenuto dalla reclamante, non ha delibato l’aspetto della consolidata convivenza con il Bu.Fr., che costituisce dunque l’elemento nuovo che ha legittimato la revoca dell’assegno divorzile ivi riconosciuto in suo favore: nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio si era fatto invece riferimento ad una precedente relazione della Gi.An., che però era da poco cessata e si fa cenno in sede di appello all’inizio di una nuova convivenza, che all’epoca dunque non era consolidata. Ed invero, la produzione dei documenti significativi della stabilità della convivenza in sede in primo grado è avvenuta in occasione dell’udienza di trattazione e comunque di questi ha preso atto il legale della reclamante che a verbale ha dichiarato di non contestarli dovendo rilevarsi che ben poteva interloquire sul punto chiedendo un termine per note sicché la produzione non può ritenersi irrituale alla luce della libertà delle forme di cui ai procedimenti di volontaria giurisdizione. In buona sostanza un elemento nuovo c’è che giustificherebbe la modifica delle condizioni di divorzio e cioè la stabile convivenza della reclamante con il Bu.Fr., che dura da moltissimi anni, tanto che gli accertamenti prodotti sono stati fatti da un’agenzia investigativa nel corso di 12 anni, ed è significativo che egli stesso abbia ricevuto la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado qualificandosi come persona di famiglia convivente, mentre a nulla rileva a questi fini che questi mantenga la residenza anagrafica in altro Comune. Da un lato, quindi, abbiamo una relazione di convivenza stabile, un nuovo progetto famigliare che dura da anni e che non può essere messo in discussione e deve ritenersi elemento nuovo rispetto alla sentenza di divorzio.”. Sulla base di tali sovrani accertamenti di merito, non è né illogico né irrazionale concludere – come ha fatto la Corte territoriale – che, nel caso, era venuta del tutto meno la componente relativa alla funzione assistenziale dell’assegno divorzile.

Con riguardo alla componente compensativa, la Corte ha così motivato:” come ha osservato il Tribunale di Pescara, la ricorrente non ha fornito elementi, già in occasione della causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di aver contribuito alla comunione familiare, così come nella memoria difensiva, dovendosi ritenere all’uopo certamente non sufficiente il dato del mancato svolgimento di attività lavorativa, avendo in proposito la Suprema Corte evidenziato (Cass. n. 21228/2019, richiamata dalle Sezioni Unite sopra citate) che il giudice di merito non potrà nemmeno presumere, puramente e semplicemente, che il non aver uno dei due coniugi svolto alcuna attività lavorativa sia da ascrivere ad una scelta comune dei coniugi e neppure che il non aver svolto attività lavorativa abbia di per sé sicuramente giovato al successo professionale dell’altro coniuge”.

I motivi proposti nel presente ricorso, pertanto, non sono idonei a censurare tali passaggi argomentativi che costituiscono accertamenti di merito non rivalutabili in questa sede>>.

Distranza tra costruzioni, distanza dal confione e principio di prevenzione: sugli artt. 873, 875 e 877 cc (in ogni caso: non c’è atto emulativo)

Cass. sez. II, ord. 09/05/2024 n. 12.702, rel. Oliva:

<<La Corte di Appello ha accertato che tra i manufatti realizzati dalle parti residua una intercapedine della larghezza di 20 cm. (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata) e ciò è sufficiente per escludere l’applicabilità dell’art. 877 c.c., non configurandosi una ipotesi di costruzione in aderenza. Di conseguenza, la norma da applicare è quella prevista dall’art. 873 c.c., che prescrive la distanza minima di tre metri tra le costruzioni, ove non derogata dalle normative regolamentari locali e salvo il principio della prevenzione stabilito dall’art. 875 c.c.

La Corte di seconda istanza ha altresì accertato che la costruzione box dei Be.An. – Ne.Pi. era stata realizzata 19 anni prima di quella del De.St. ad una distanza “… tra i dieci e i venti centimetri dal confine” (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata). L’art. 7.2 delle N.T.A del Comune di B (trascritto a pag. 11 del ricorso) prevede che si possano elevare sul confine tra due fondi “… pareti non finestrate di locali accessori, pertinenze ed impianti tecnologici (box e simili) a condizione che abbiano altezza del punto più alto della copertura non superiore a m. 3,00. Questi stessi locali accessori possono essere posti a distanza dal confine non inferiore da m. 3,00”.

Il box edificato dai prevenienti Ne.Pi. – Be.An., dunque, si trova ad una distanza dal confine minore della metà di quella stabilita dal regolamento locale, e poiché quest’ultimo non prevede un distacco assoluto dal confine, opera il criterio della prevenzione. Va, sul punto, data continuità al principio affermato da questa Corte, secondo cui “Il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874,875 e 877 c.c.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10318 del 19/05/2016, Rv. 639677; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14705 del 29/05/2019, Rv. 654186).

In applicazione del principio sopra richiamato, il De.St. (secondo costruttore) aveva la scelta tra edificare il suo manufatto rispettando la distanza dalla costruzione dei prevenienti oppure avanzare nel rispetto dell’art. 875, ma non lo ha fatto. Il De.St. infatti ha eretto il suo box con modalità tali da creare una intercapedine di 20 cm. dal fabbricato della Be.An., con conseguente violazione della norma di cui all’art. 875 c.c., la cui finalità ultima è proprio quella di evitare la creazione di intercapedini dannose tra gli edifici>>.

La SC rigetta pure la difesa di atto emulativo, cìil quale assai difficilmente è ravvisabile nella costruzione a distanza illegale:

<<La Corte di Appello ha esaminato il primo motivo di gravame, con il quale sia la Be.An. che il Ne.Pi. (il quale aveva spiegato appello incidentale adesivo rispetto all’impugnazione principale, perfettamente coincidente con quest’ultima: cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) avevano sollevato la questione della natura emulativa dell’edificazione posta in essere dal De.St. , e lo ha disatteso, affermando che “Non può esservi una volontà emulativa né nella scelta di costruire un’autorimessa (locale accessorio di un’abitazione) né nella sua ubicazione, a ridosso di analoghi locali della confinante proprietà: in tal modo eventuali disturbi (rumori delle autovetture, gas di scarico) risultano confinati, per entrambe le proprietà, in aree ristrette e contigue. Ben maggiore disturbo arrecherebbe, ad es., un box costruito a ridosso di un’abitazione” (cfr. pag. 13 della sentenza). Il passaggio appena richiamato esprime in modo adeguato le ragioni del rigetto del motivo di appello proposto, onde non vi è né violazione dell’art. 112 c.p.c., né vizio della motivazione, in quanto quest’ultima non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).

Peraltro va ribadito il principio per cui “Poiché gli atti emulativi, vietati dall’art 833 c.c., sono caratterizzati, oltre che dall’elemento oggettivo del danno e della molestia altrui, anche dall’animus nocendi, consistente nell’esclusivo scopo di nuocere o molestare i terzi senza proprio reale vantaggio, non è riconducibile nella previsione della citata disposizione né l’attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, in quanto comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il mantenimento dell’opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con dette norme, il quale (salva l’ipotesi dell’inosservanza delle distanze legali e di un provvedimento amministrativo di riduzione in pristino) rientra sempre nel legittimo esercizio dei poteri del proprietario, sia in relazione a possibili diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto, sia con riferimento ad una eventuale abrogazione delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri cui l’interessato dovrebbe altrimenti soggiacere per ridurre in pristino lo stato dei luoghi” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3010 del 08/05/1981, Rv. 413559; cfr. anche, in termini, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4708 del 05/11/1977, Rv. 388304).

Inoltre, la sentenza impugnata è coerente con l’ulteriore principio, che pure merita di essere ribadito, secondo cui “La sussistenza di un atto di emulazione postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell’assenza di utilità per il proprietario e di un elemento soggettivo, costituito dall’animus nocendi, ossia l’intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri. Pertanto, si è al di fuori dell’ambito dell’art. 833 cod. civ. quando ricorra un apprezzabile vantaggio del proprietario da cui l’atto sia stato compiuto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3558 del 25/03/1995, Rv. 491409)>>.

Data-scraping ancora ammesso : Bright Data presso la Northern District of California Court riesce a far rigettare pure la domanda di Twitter/X

Kieran McCarthy nel blog di Eric Goldman segnala l’importante sentenza del tribunale North. Dist. of California, X v. Bright Data, 9 maggio 2024,   No. C 23-03698 WHA.

Fatti:

<<Defendant Bright Data Ltd. is a data-scraping company (Amd. Compl. ¶ 6). According
to Bright Data, “[i]ts suite of technologies and services help Fortune 500 companies, academic
institutions, and small businesses retrieve and synthesize vast amounts of public information”
(Br. 3). There are three types of products that Bright Data offers: (1) datasets built from data
that Bright Data scrapes itself, (2) scraping tools that enable their purchasers to scrape data
themselves, and (3) proxy network services that enable their purchasers to scrape data through
proxy servers, using those servers’ IP addresses (Amd. Compl. ¶¶ 50–51, 55–58, 63–64; Br. 4).
In this lawsuit, X Corp. alleges that Bright Data scrapes data from X and sells data
scraped from X, using elaborate technical measures to evade X Corp.’s anti-scraping
technology, while facilitating its customers in and inducing them to scrape data from X —
all in violation of the Terms to which Bright Data and its customers are bound (Amd. Compl.
¶¶ 1–2). How so? X Corp. contends that Bright Data and its customers are bound as X users.
Specifically, X Corp. contends that Bright Data is bound (1) by a “browser-wrap” or “browse-
wrap” contract, having used X Corp. services in the act of scraping data from X, impliedly
agreeing to the Terms in the process; and (2) by a “click-wrap” or “click-through” contract,
having registered an account (@bright_data) to promote Bright Data products, expressly
agreeing to the Terms as early as February 2016 (Amd. Compl. ¶¶ 39–41; see also Amd.
Compl. ¶ 44). Meanwhile, Bright Data customers are conceivably likewise bound by browser-
wrap and click-wrap contracts, having used X Corp. services in the act of scraping data from
X and, in some instances, having registered accounts (see Amd. Compl. ¶¶ 22, 55, 63)>>.

Due gruppi di censure sono azionati: 1) improperly accessed its systems (p. 8 ss)  , e 2) improperly scraped and sold its data, and assisted others in improperly scraping its data , p. 18 ss

Quanto ad 1  e alle quattro azioni ivi inserite, possono interessarci le ultime due (sub C e sub D), relative a “Tortious interference with contract” e alla violazione delle Terms of service di X: queste ultime infatti verosimlmente saranno uguali o simili alle nostre (sarebbe interessante accertarlo).

Quanto a 2, è degna di nota  la specificazione della corte circa la “stranezza” per cui X non pretende l’acquisto del diritto pieno sui dati caricati dagli utenti sulla sua piattaforma, ma solo facoltà di uso: per non perdere i safe harbours. Ma al tempo stesso vuole poterne guidare l’uso.

<<But X Corp. disclaims ownership of X users’ content and does not acquire a
right to exclude others from reproducing, adapting, distributing, and displaying it under the non-exclusive license>>

Poi: <<One might ask why X Corp. does not just acquire ownership of X users’ content or grant itself an exclusive license under the Terms. That would jeopardize X Corp.’s safe harbors from civil liability for publishing third-party content. Under Section 230(c)(1) of the Communications Decency Act, social media companies are generally immune from claims based on the publication of information “provided by another information content provider.”
47 U.S.C. § 230(c)(1). Meanwhile, under Section 512(a) of the Digital Millenium Copyright Act (“DMCA”), social media companies can avoid liability for copyright infringement when they “act only as ‘conduits’ for the transmission of information.” Columbia Pictures Indus., Inc. v. Fung, 710 F.3d 1020, 1041 (9th Cir. 2013); 17 U.S.C. § 512(a). X Corp. wants it both ways: to keep its safe harbors yet exercise a copyright owner’s right to exclude, wresting fees from those who wish to extract and copy X users’ content>>

Però i claims , basati su legge statale, sul divieto di scraping and selling of data inficiano il copyright act federale: quindi la prima legge deve cedere di fronte alla seconda (la corte individua tre modi con cui l’Act federale viene inficiato: qui però non interessanti, attenendo alle peculiarità dell’ordinamento multilivello statunitense ).

La corte ritiene che prevalga la legge federale.

Bright Data aveva in gennaio u.s. ottenuto il rigetto anche della domanda avanzata da Meta nel medesimo ufficio (ma diverso giudice): v. mio post 4 marzo 2024.

V.ne un commento di Jeremy Goldman qui. cjhe posta unb altro link alla sentenza.

Deferimento alla CG di complessa questione inerente al rapporto tra marchio e posteriore DOP-IGP sul segno vitivinicolo SALAPARUTA

Cass. sez 1 del 8 maggio 2024 n. 12.-563, rel. Iofrida, deferisce alla Corte di Gustizia due questioni interpretative sul tema in oggetto.

Le norme di riferimento sono oggi state abrogate. Ma la seconda questione , non di diritto transitorio (la prima , si), può dare spunti utili pure oggi.

Eccola:

«Ove si affermi, in base alla risposta al primo quesito, la necessaria
applicazione, alla situazione di fatto oggetto del presente giudizio, del Reg. n. 1493/1999, dica la Corte di Giustizia se la disciplina di cui all’Allegato “F” del Reg. 1493/1999, dettata per regolare il conflitto tra un marchio registrato per un vino o un mosto di uve che sia identico a denominazioni d’origine o indicazioni geografiche protette di un vino, esaurisca tutte le ipotesi di coesistenza tra i diversi segni e di proteggibilità delle denominazioni per vini ovvero residui comunque un’ipotesi di invalidità o non proteggibilità delle DOP o IGP posteriori, nel caso in cui l’indicazione geografica possa ingannare il pubblico circa la vera identità del vino a causa della reputazione di un marchio anteriore, in forza del principio generale di non decettività dei segni distintivi»

L’ordinanza esamina analiticamente  la disciplina delle denominazioni dei prodotti agricoli (non vini e vini: i due settori hanno discipline autonome, pur se simili). Disciplina complessa per l’intersecarsi di provvedimenti legislativi e amministrativi e per le frequenti modifiche.

(notizia di Jocelyn Bosse in IPKat)

Assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non indipendente economicamente ed onere della prova

Cass. sez. I, ord. 06/05/2024  n. 12.123, rel. Tricomi:

<<Va ricordato che il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso (Cass. n.29264/2022) e che, in materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda di esclusione, sono integrati: dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366 /2021); inoltre, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento – che è a carico del richiedente il mantenimento – vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro, richiede una prova particolarmente rigorosa per il caso del “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. n. 26875/2023), se del caso anche ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass. n. 17183/2020; Cass. n.27904/2021).

La Corte di merito ha riservato valenza decisiva alla declaratoria di inammissibilità delle testimonianze prodotte dalla Fo.Ro., trascurando di considerare la retta applicazione dei principi in tema di onere probatorio, prima ricordati, gravanti su colui che richiede l’assegno, ovvero, a secondo della prospettiva dell’azione, su colui che si oppone alla revoca, a cui la ricorrente odierna si era richiamata; inoltre, non risulta l’esame della documentazione prodotta dalla ricorrente e la statuizione risulta decontestualizzata dalla concreta ed attuale situazione personale della figlia, che non appare esplicitata in alcun modo>>.

Non chiara la regola posta sul riparto dell’onere probatorio. Parrebbe che incombesse al genitore quando è lui a chiedere la revoca dell’assegno ed invece al figlio quando è lui a chiederne la disposizione.

Violenze fisiche e morali sono per se causa di addebito della separaizone

Cass. sez. I, ord. 15/02/2024 n. 12.478, rel. Meloni:

<<Invero, le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass., n. 31351/22, n. 3925/18).

Tali principi, già affermati da questa corte, vanno in questa sede ulteriormente ribaditi ed enunciati, come criteri guida prevalenti nelle valutazioni relative alle controversie sull’addebitabilità della separazione personale tra coniugi.

Nella specie, alla luce della citata consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, l’affermato addebito della separazione è conforme ai principi e legittimato dal consumato reato di maltrattamenti da parte del ricorrente, nei confronti di Zi.Fr., condotta che non può trovare esimente nella ipotizzata (ed esclusa dal giudice di merito) violazione dell’obbligo di fedeltà realizzato anteriormente, non trattandosi di condotte bilanciabili, come motivato dalla Corte territoriale, per il prevalente ed assorbente disvalore della condotta violenta e prevaricatrice per quanto in ipotesi successiva rispetto alla ipotizzata violazione dell’obbligo di fedeltà.

Inoltre, è inammissibile la censura di inefficacia causale della condotta violenta (nella specie violenze fisiche efferate, verbali e sessuali, vere e proprie condotte criminali plurime e continuate perpetrate verso la moglie alla presenza dei figli minori) rispetto alla presunta cessazione dell’affectio nel rapporto coniugale, atteso che le condotte criminali perpetrate prima della separazione inter partes assumono carattere preminente in quanto consapevolmente tese ad annientare la persona del coniuge rendendo del tutto irrilevante l’esaurirsi pregresso della comunione di vita, assumendo quelle un carattere assorbente e causativo dell’irreparabile fine del matrimonio per l’azione di tendenziale annientamento dell’altra persona (il coniuge), più facilmente raggiungibile e manipolabile, in ragione della prossimità di vita>>.

Affisameno condiviso è la regola , quello esclusivo l’eccezione

Cass. sez. I, ord. 08/05/2024  n. 12.474, rel. Meloni:

<<In ordine all’affido esclusivo alla madre, la Corte di Appello ha ritenuto di “penalizzare” il padre a cagione della sua condotta ritenuta censurabile; la Corte tuttavia non ha motivato adeguatamente in ordine all’affido esclusivo delle minori alla madre nell’ottica dell’interesse delle minori e di una equilibrato rapporto tra i due genitori, cui è stata anteposta una valutazione in chiave sanzionatoria per comportamenti del padre, ritenuti inadeguati (per la scelta del Fi.Iv. di andare a vivere con la propria compagna, subito dopo la separazione, nello stesso stabile ove vivevano anche le minori, determinando la conseguente necessità del trasferimento delle bambine con la madre in altro edificio; per la “decisione” di “presentarsi al primo incontro” con le figlie, presso il consultorio familiare, accompagnato dalla nuova moglie).

Tuttavia, tali comportamenti – esaminati separatamente o posti tra di loro in connessione – non appaiono motivati dal giudice a quo con riferimento a quella gravità necessaria per giustificare l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori (e la penalizzazione dell’altro nella dialettica educativa delle minori): misura che può essere adottata, in via di eccezione, solo in presenza del manifestarsi di quelle concrete ragioni contrarie all’interesse del minore (art. 155-bis), tali da giustificare una tale misura rigorosa, quali ad esempio la obiettiva lontananza del genitore o il suo disinteresse rispetto all’affettività delle figlie e agli accordi in ordine alle stesse, espliciti o taciti, in tal senso raggiunti dalle parti.

La regola dell’affidamento condiviso costituisce la scelta tendenzialmente preferenziale (cfr. Cass. n. 6535 del 2019) onde garantire il diritto del minore “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l’affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia (cfr. Cass. n. 1777 del 2012), la sua derogabilità, neppure consentita in caso di grave conflittualità tra i genitori (cfr. Cass. n. 5108 del 2012), risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore” (cfr. Cass. n. 977 del 2017).

Tanto più che, come diversamente ritenuto dal Tribunale in prima istanza, nel caso di specie, non erano stati ritenuti sussistenti gli estremi per disporre in conformità della proposta domanda di affido esclusivo in quanto non era stata provata la completa assenza del resistente nella vita delle minori, sia sotto l’aspetto psichico ed educativo, sia sotto l’aspetto dei doveri economici>>.

Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Sussidiarietà dell’azione di ingiusificato arricchiemnto (applicndo Cass. SU 33954/2023)

Cass. sez. III, ord. 13 Marzo 2024 n. 6.735, rel.  Saija.

<<Ritiene la Corte che il senso dell’arresto appena citato – contrariamente a quanto opinato dalla ricorrente, in memoria – sia che la sussidiarietà (e quindi
l’ammissibilità) dell’azione deve escludersi quando l’azione principale non sia
meramente infondata, ma quando sia rigettata per fatto sostanzialmente
imputabile all’attore (testualmente il citato arresto, in motivazione: “resta
precluso l’esercizio dell’azione di arricchimento ove l’azione suscettibile di
proposizione in via principale sia andata persa per un comportamento imputabile all’impoverito e, quindi, con riferimento ai casi di più frequente applicazione, per la prescrizione ovvero per la decadenza”) o per illiceità del titolo; se, invece, il titolo contrattuale è allegato dall’attore, è contestato dal convenuto, ma il primo non ne dà prova, ciò significa semplicemente che il titolo non c’è: dunque, nulla osta alla proponibilità della domanda subordinata ex art. 2041 c.c. e alla sua delibazione nel merito (v. in particolare par. 6 della citata Cass., Sez. Un., n. 33954/2023, pp. 27-28).
Così stando le cose, è evidente come, nella specie, non possano porsi ostacoli
alla ammissibilità dell’azione spiegata, in subordine, dal Montanari ex art. 2041
c.c., perché il potenziale concorso tra azioni s’è risolto in un concorso meramente
apparente: molto semplicemente, l’azione contrattuale proposta dal predetto è
infondata perché il titolo non esiste ab origine (id est, non è mai esistito), come
appunto accertato dal giudice del merito, sicché del tutto correttamente la Corte
fiorentina – una volta rigettata detta domanda – ha esaminato l’azione di
arricchimento senza causa>>

Il marchio di posizione si conferma difficile da registrare, spesso mancando il suo distacco dalla ornamentalità e dagli usi del settore

Anna Maria Stein dà notizia del rigetto di Alicante della domanda di marchio avanzata da Loro Piana , consistente <<nella combinazione di fascetta più nodino e nastrini più pendenti metallici, uno a forma di lucchetto, l’altro a forma di ghiera che, nel suo insieme, è applicata alla mascherina della tomaia che copre la parte superiore del piede, in tutto o in parte, e sempre posizionata più vicino alla linguetta, rispetto alla punta della scarpa>>

Si tratta della decisione 26 aprile 2024, fascicolo n° 018895734 .

Qui:

Succo della motivazione:

<<In tale contesto, soltanto il marchio che diverga significativamente dalla norma o dagli usi del settore e sia pertanto in grado di soddisfare la sua funzione essenziale originaria non è privo di carattere distintivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), RMUE (25/10/2007, C-238/06 P, Plastikflaschenform, EU:C:2007:635, § 81; 04/05/2017, C-417/16 P, DEVICE OF A SQUARESHAPED PACKAGING (fig.), EU:C:2017:340, § 35-36).
Nel caso di specie, il segno in questione è solo un’ulteriore variante dei molti esistenti sul mercato che adottano elementi decorativi più o meno semplici, da sole o in combinazione tra di loro. Infatti, la posizione del segno nonché la sua rappresentazione, non si discostano significativamente dalla norma né dalle consuetudini del settore di riferimento. In particolare, il segno consiste meramente di una fascetta con nodino e nastrini con pendenti metallici apposti sulla mascherina della tomaia>>.

Quanto al potere istruttorio dell’Ufficio:

<<La giurisprudenza europea ha più volte stabilito che l’Ufficio, laddove accerti
l’assenza di carattere distintivo intrinseco del marchio richiesto, può fondare il proprio esame su fatti risultanti dall’esperienza pratica generalmente acquisita nella commercializzazione di prodotti di largo consumo, fatti conoscibili da qualsiasi persona e, soprattutto, dai consumatori di tali prodotti, non essendo obbligato a dedurre esempi tratti da tale esperienza pratica (15/03/2006, T-129/04,
Plastikflaschenform, EU:T:2006:84, § 15; 29/06/2015, T-618/14, Snacks con forma
de taco, EU:T:2015:440, § 29-30, 32 e giurisprudenza ivi citata)>>.

Vedremo l’esito del reclamo (che riterrei probabile).