Locazione dissimulata da comodato accertabile sia verso il locatore che il terzo acquirente

Cass. sez. III, ord. 04/12/2023 n. 33.727, rel. Sestini:

<<il ricorrente assume che, quando venga stipulato un contratto di comodato dissimulante un contratto di locazione, deve trovare applicazione la norma dell’art. 1599 c.c., comma 1 e il requisito della data certa del contratto di locazione (dissimulato) deve essere accertato e valutato in relazione al contratto simulato di comodato (scritto e registrato); sostiene altresì che, ai sensi dell’art. 1417 c.c., comma 3, è sempre ammissibile la prova per testi (e, quindi, anche quella presuntiva) quando si intenda far valere la illiceità del contratto dissimulato (nel caso di specie, perché in violazione del canone legale);

orbene, l’assunto che il contratto di comodato dissimulasse una locazione con canone difforme da quanto consentito dalla legislazione sui patti in deroga deve intendersi certamente come volto ad evidenziare un profilo di illiceità per contrasto con normativa imperativa della locazione dissimulata e, dunque, la prova testimoniale era ammissibile (al pari di quella presuntiva);

il rilievo di cui al punto 11 della motivazione, circa il non essersi dedotto in iure che il canone era eccedente il dovuto non è condivisibile, in quanto si riferisce ad una questione che è logicamente successiva alla prova del contratto locativo e della sua opponibilità agli acquirenti;

peraltro, fissando la legge una durata del contratto locativo e le modalità di rinnovazione, la deduzione della simulazione del contratto di comodato e della dissimulazione di un contratto locativo evidenzia comunque un profilo di illiceità del comodato quale contratto dissimulato, la cui prova sarebbe contraddittorio vincolare alla regola dettata per la forma stessa della stipula del contratto di locazione: la contraddizione è resa evidente dal fatto che pretendere la forma del contratto dissimulato per la stipula di quello simulato e sottrarre la prova di quest’ultimo alla regola normale dettata per la prova della simulazione servirebbe a “coprire” l’illiceità;

deve dunque ritenersi che, se il contratto effettivo è quello di locazione (benché “mascherato” come comodato), non c’e’ ragione per non applicare dell’art. 1599 c.c. il comma 1 e che, quando è dedotta l’illiceità del contratto dissimulato di locazione per violazione di norme imperative, deve essere consentito alla parte conduttrice di provare la simulazione (nei confronti sia della originaria parte locatrice, che degli aventi causa) con prove testimoniali e per presunzioni;

nello specifico, è la stessa Corte di Appello che, pur affermando (al punto 9) che le limitazioni alla prova testimoniale e a quella presuntiva non operano quando si tratti di far valere l’illiceità del contratto dissimulato e pur richiamando (al punto 10) Cass. n. 11017/2005 -che dichiara ammissibili dette prove quando siano dirette a far valere l’illiceità dell’accordo simulatorio-, afferma contraddittoriamente che la prova della simulazione avrebbe potuto essere fornita soltanto mediante controdichiarazione (sull’ammissibilità della p.t. e delle presunzioni, fra tante, anche Cass. n. 1288/2001, Cass. n. 11611/2010 e Cass. n. 9672/2020);>>

Nel recesso per giusta causa da rapporto finanziamento la giusta causa va espressa a pena di nullità

Cass. sez. 1 n. 5415 del 29.02.2024, rel. Vanentino, circa (parrebbe) l’aRT. 1845 CC:

<<La Corte d’appello ha ritenuto che il recesso per giusta causa dagli
affidamenti possa essere intimato dalla banca anche senza
indicazione alcuna della causa che lo sorregge.

Il che non è esatto, ad avviso del Collegio, perché la giusta causa è coessenziale alla fattispecie negoziale di cui trattasi, che proprio per la presenza di
essa si differenzia dalla fattispecie del recesso ad nutum; onde non
potrebbe dirsi perfezionata una manifestazione di volontà di
recedere (non già ad nutum, bensì) “per giusta causa”, che non
indichi tale causa.

Del resto, come esattamente osserva il Procuratore generale, la necessità di detta indicazione nell’atto di recesso si connette direttamente al rispetto dei principi di correttezza e buona fede e all’esigenza che la controparte, cui il recesso è rivolto,
sia posta in condizione di difendersi e di contestarlo efficacemente in
giudizio>

Il precetto parrebbe esatto, anche se necessiterebbe forse di miglior motivazione. La mera necessità di difensiva infatti parrebbe insufficiente, in quanto toccherebbe pur sempre al receduto l’onere di provare l’esistenza di giusta causa. Ma forse la buona fede è esattamente invocata, in quanto rende fin da subito chiara la ragione al destinatario: non essendoci ragione per tenerlo momentaneamente all’oscuro dei motivi di una scelta, che potrebbe essere per lui  foriero di conseguenze assai pesanti.

Concorrenza sleale verso Amazon per recensioni fasulle e prezzolate

Provvedimento cautelare interessante, anche non del tutto condivisibile, quello emesso da Trib. Milano sez. impr., ord., 21 marzo 2024, giudice Dal Moro (menzionato in molti siti; testo preso da Foro Italiano-News), Amazon EU sarl+1 c. DP.

La cautela inibitoria si basa su slealtà concorrenziale (art. 2598 n. 3 cc), data dalla falsità delle recensioni fatte apparire sul marketplace di Amazon in attuazione di apposito business (l’anonimato del quale e del suo sito è facilmente superabile con qualche rapida ricerca in rete e probabilmente pure dalla pubblicazione ordinata dal giudice sui siti Altroconsumo e Codacons)

In breve il soggetto pagava chi andava poi a disporre (o aveva in precedenza disposto) recensioni false su questo o quel venditore.

L’illiceità è sicura. Altrettanto non è la qualificazione come concorrenza sleale, mancando il rapporto di concorrenza.

Il Trib. opina in senso opposto: <<In secondo luogo, pare altrettanto indubitabile che l’attività economica svolta nella specie (offerta del servizio di recensione) concorra con quella medesima svolta da Amazon sul medesimo mercato, posto che quest’ultimo, come affermato anche in sede di legittimità, è identificato dalla “comunanza di clientela” da intendersi come “insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti (beni o servizi n.d.r.) che sono in grado di soddisfare quel bisogno”, e che, quindi, l’attività in concreto svolta deve identificarsi anche alla luce dell'”esito di mercato fisiologico e prevedibile”, e comprenda, perciò, servizi “affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale”.
Il “mercato dell’offerta in vendita” su cui opera Amazon si articola anche in un segmento specifico identificato nel servizio accessorio e funzionale delle recensioni dei prodotti venduti, il quale viene svolto anche dal sig. P., con strumenti che lo rendono illecito non solo perché mira a falsare la genuinità del riscontro del consumatore/ acquirente, ma anche perché si avvale in maniera subdola dello strumento che Amazon stessa utilizza per rendere detto servizio, alterandone la veridicità e l’affidabilità con conseguente grave danno all’immagine e alla reputazione della ricorrente. >>

La concorenzialità invece manca: Amazon trae ricavi dalla percentuale sui ricavi conseguiti dal venditore, non dalle recensioni, che sono solo strumentali a creare affidabilità verso il marketplace.

Nemmeno il periculum in mora pare esistere.

Dice invece di si il Trib.: <<Il Tribunale ritiene che sussista, altresì, il periculum in mora presupposto dell’emissione del richiesto provvedimento cautelare. Infatti, in assenza di un provvedimento urgente, appare fondato il timore che nell’attesa di una decisione di merito la prosecuzione di siffatta condotta illecita possa concorrere a causare pregiudizi difficilmente riparabili se non irreparabili in termini di credibilità della piattaforma di vendita on line ricorrente, considerando anche che risulta che il business illecito del P. si rivolga in modo prevalente a detta piattaforma e che stia, altresì, intensificandosi con particolare riferimento proprio alla medesima (cfr. doc. 18 e doc. 19, contenenti “screenshot” del sito (omissis), rispettivamente, alla sezione “bestsellers” in cui vengono pubblicizzati cinque pacchetti di recensioni false tre dei quali riferibili allo store Amazon, e alla sezione “nuovi arrivi” in cui vengono pubblicizzati pacchetti di recensioni false esclusivamente riferibili allo store Amazon)>>.

Che per qualche mese in più di opertività vernga irreparabilmente lesa la credibilità di Amazon, non è molto credibile. Si tenga infatti conto da un lato che una larga parte delle recensioni in rete è  di assai dubbia veridicità  e, dall’altro, che si tratta di fatto notorio (basta una rapida googlata di articoli in proposito).

L’irreparabilità poi andrebbe comunque argomentata un pò meglio.

Liquidazione del danno in via equitativa

Cass. sez. I, ord.  07/03/2024 n. 6.116, rel. Abete:

<<15. Questo Giudice spiega che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’ “an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (cfr. Cass. 8.1.2016, n. 127; Cass. 17.10.2016, n. 20889; Cass. 22.2.2018, n. 4310; Cass. 6.12.2018, n. 31546; Cass. (ord.) 18.3.2022, n. 8941, secondo cui la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. consente di sopperire alle difficoltà di quantificazione del danno, al fine di assicurare l’effettività della tutela risarcitoria, ma non può assumere valenza surrogatoria della prova, incombente sulla parte, dell’esistenza dello stesso e del nesso di causalità giuridica che lo lega all’inadempimento o al fatto illecito extracontrattuale; Cass. 19.3.1980, n. 1837).

Ulteriormente questo Giudice spiega che è necessario che il giudice indichi in maniera congrua, ancorché sommaria, le ragioni del percorso logico cui è ancorata la valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17492)>>.

Debito per assegno di mantenrimento e sopravvenienza di figli per il debiore

Cass.  sez. I, ORD. 12/03/2024,  n. 6.455, rel. Tricomi:

<<Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la quantificazione dell’assegno di mantenimento previsto in favore del figlio, deve tenere conto non solo delle “rispettive sostanze”, ma anche della capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione, oltre che delle risorse economiche individuali, anche delle accertate potenzialità reddituali (Cass. n. 6197/2005 e Cass. n. 3974/2002), in uno con la considerazione delle esigenze attuali del figlio (Cass. n. 4811/2018; Cass., n. 16739/2020 e Cass. n. 19299/2020), nonché dei tempi di permanenza dello stesso presso ciascuno dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass. n. 17089/2013).

Inoltre, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli con il nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza che può incidere nella determinazione dell’importo dovuto in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico (Cass. n. 14175/2016; Cass. n. 21818/2021). [o incide o non incide: non può essere che “possa incidere”]

Nel caso in esame, la Corte di merito non si è attenuta ai principi ricordati, essendo la motivazione sul raddoppio del mantenimento della figlia minore del tutto generica ed apodittica, oltre che costituente violazione delle norme succitate, essendo fondata sul solo presuntivo incremento delle esigenze della minore e sulla valorizzazione della più ampia permanenza temporale presso la madre, atteso che non vengono in alcun modo illustrate le ragioni del così cospicuo aumento, né vengono presi in esame ad alcun titolo i sopravvenuti oneri di mantenimento rispetto alla nuova prole dello Za.Ma>>.

E poi sul tema in generale ripete le note consideraizoni della sezione (anzi del relatore):

<<Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U. n.18287/2018).

Nella specie, la Corte d’appello – pur avendo accertato che, al momento della decisione, la moglie aveva quasi cinquanta anni, che la medesima, pur essendo laureata, si era sempre dedicata alla cura della figlia, pur avendo ricevuto diverse proposte di lavoro, e che aveva comunque cercato di lavorare, trasferendosi all’estero – ha negato l’assegno, sulla base del riscontro di un diritto di abitazione acquisito su di una casa in Firenze e della nuda proprietà di altra abitazione, senza effettuare ulteriori accertamenti sui redditi effettivi della medesima, e sulla sua ipotetica autosufficienza economica. La Corte ha, poi, del tutto omesso di effettuare una valutazione comparativa con i redditi del marito, neppure indicati, e sul contributo dato dalla donna alla formazione del patrimonio familiare, rinunciando ad accettare le proposte di lavoro dalla stessa Corte elencate>>.

Ancora su assegno di mantenimento e convivenza more uxorio

Cass. sez. I, ord.  12/03/2024  n. 6.443, rel. Tricomo:

<<3.2.- Come chiarito nei precedenti di legittimità (Cass. n.3645/2023 e Cass. n. 14151/2022, Cass. n.34374/2023, in motivazione), la coabitazione assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo” e la Corte di appello si è attenuta a tale principio, perché non si è limitata a valorizzare la circostanza dell’assenza di coabitazione, ma ha affermato che non risultava provato nemmeno un progetto comune di vita.

Orbene, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, occorre che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal comma 1 dell’art. 2729 cod.civ.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729 cod.civ. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.

3.3.- La Corte d’appello si è attenuta a detti principi ed ha individuato plurimi elementi sintomatici dell’instaurazione di una relazione affettiva stabile e duratura (relazione investigativa confermata dal titolare dell’Agenzia, materiale fotografico documentante atteggiamenti intimi non meramente amicali, ruolo assunto da Cr. nella gestione del conto corrente intestato alla Ca.Sa., partecipazione di Cr. all’asta per la vendita dell’immobile di cui gli ex coniugi erano proprietari, acquisizione da parte di Ca.Sa. del diritto di abitazione dell’immobile di proprietà di Cr. per sua cessione, prove testimoniali, etc.), non utilmente elisi dalle avverse deduzioni della ricorrente, elementi che manifestano l’esistenza – non contestata – di un legame affettivo e di un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi.

3.4.- A fronte di tali accertamenti in fatto, il ricorso tende evidentemente ad una rivalutazione del merito. (…)  . Va, inoltre, ribadito che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730/2020; Cass. n. 3601/2006)>>.

E poi sull’an e quantum in generale:

<<4.2.- Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 18287/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass. n. 32398/2019).

II giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La natura perequativo-compensativa, poi, discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo, volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate.

In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. n. 9144/2023; Cass. n. 23583/2022; Cass. n. 38362/2021).

Infine, qualora – come nel caso di specie – sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, dovendo fornire la prova secondo i criteri già indicati (Cass. Sez. U. n. 32198/2021)>>.

Spese ordinarie e straordinarie a favore dei figli nel riparto tra coniugi divorziati

Analiticamente sujlla distinzione in ogetto Cass.  ord. sez. I del 18/03/2024 n. 7.169, rel. Reggiani:

in generale:

<<5.1. Questa Corte ha già chiarito che, in materia di spese straordinarie, occorre in via sostanziale distinguere tra: a) gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali più o meno ampi, anche se sono incerti nel loro ammontare, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento e possono essere azionati in forza del titolo originario di condanna adottato in materia di esercizio della responsabilità nei giudizi separativi previsti dall’art. 337-bis c.c., previa un’allegazione che consenta, con mera operazione aritmetica, di preservare del titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità; b) le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento, richiedono, per la loro azionabilità, l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento, in cui convergono il rispetto del principio dell’adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico-patrimoniali del genitore onerato in comparazione con quanto statuito dal giudice che si sia pronunciato sul tema della responsabilità genitoriale nei procedimenti sopra menzionati (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 379 del 13/01/2021).

In tale ottica, Questa Corte ha ritenuto che le spese scolastiche e mediche straordinarie, che in sede giudiziale siano state poste pro quota a carico di entrambi i coniugi, pur non essendo ricomprese nell’assegno periodico forfettariamente determinato, ne condividono la natura, qualora si presentino sostanzialmente certe nel loro ordinario e prevedibile ripetersi, così integrando, quali componenti variabili, l’assegno complessivamente dovuto, sicché il genitore che abbia anticipato tali spese può agire in via esecutiva, per ottenere il rimborso della quota gravante sull’altro, in virtù del titolo sopra menzionato, senza doversi munire di uno ulteriore, richiesto solo con riguardo a quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3835 del 15/02/2021).

Secondo la Corte, in particolare, le spese mediche e scolastiche, da ritenersi comprese nella categoria delle spese straordinarie routinarie, sono quegli esborsi (per l’acquisto di occhiali, per visite specialistiche di controllo, per pagamento di tasse scolastiche, ecc…) che, pur non ricompresi nell’assegno fisso periodico di mantenimento – ove il titolo preveda espressamente, in aggiunta ad esso, il pagamento del 50% delle spese mediche straordinarie e delle spese scolastiche – tuttavia, nel loro ordinario riproporsi, assumono una connotazione di probabilità tale da potersi definire come sostanzialmente certe cosicché esse, se non predeterminabili nel quantum e nel quando, lo sono invece in ordine all’an (v. ancora Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3835 del 15/02/2021).    Siffatte spese, che nella sostanza finiscono per rispondere ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio, tanto da assumere nel loro verificarsi una connotazione di certezza, anche se non ricomprese nell’assegno forfettizzato e periodico di mantenimento, possono essere richieste, tuttavia, quale parte “non fissa” del primo di cui condividono la natura, in rimborso dal genitore anticipatario sulla base della loro elencazione in precetto ed allegazione in sede esecutiva al titolo già ottenuto, senza che, per ciò, insorga la necessità di fare accertare, nuovamente in sede giudiziale e per un distinto titolo, la loro esistenza e quantificazione.

Nella stessa ottica, la S.C. ha ritenuto che la spesa per la frequentazione degli studi universitari lontano dal luogo di residenza, nella parte riferibile all’alloggio, rientra nelle vere e proprie spese straordinarie, in ragione, quanto meno, della sua usuale rilevanza, oltre che, normalmente, dell’imprevedibilità della sede presso cui lo studente deciderà di svolgere i propri studi (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19532 del 10/07/2023).

Le vere spese straordinarie, infatti, non sono prevedibili e per la loro rilevanza e imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, con la conseguenza che la loro sussistenza giustifica un accertamento giudiziale specifico a seguito dell’esercizio di apposita azione.

La ratio che sostiene la non ricomprensione di dette spese nell’ammontare dell’assegno in via forfettaria posto a carico di uno dei genitori è il contrasto che altrimenti si realizzerebbe con il principio di proporzionalità e adeguatezza del mantenimento sancito dall’art. 337-ter, comma 4, c.c. e il rischio di un grave nocumento per il figlio che potrebbe essere privato di cure necessarie o di altri indispensabili apporti, ove non sia consentito dalle possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno.>>

Poi sul criterio di riparto:

<<5.5. Com’è noto, l’art. 337-ter c.c. (applicabile anche ai figli maggiorenni ancora non indipendenti economicamente) stabilisce, per quanto riguarda le statuizioni riguardanti la prole nei cosiddetti giudizi separativo, che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

Dalla norma appena richiamata emerge con chiarezza l’obbligo di mantenimento dei figli ha due dimensioni.

Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e da un’altra vi è il rapporto tra genitori obbligati.

Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati, come pure a quelli nati da persone non unite in matrimonio (che continuano a vivere insieme o che hanno cessato la convivenza), impone di tenere a mente che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni (art. 315-bis, comma 1, c.c.).

È per questo che l’art. 337-ter c.c., nel disciplinare la misura del contributo al mantenimento del figlio, nel corso dei giudizi disciplinati dall’art. 337-bis c.c., pone subito, come parametri da tenere in considerazione, le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto da questi ultimi durante la convivenza con entrambi i genitori (art. 337-ter, comma 4, nn. 1) e 2), c.c.).

I diritti dei figli di genitori che non vivono assieme, infatti, non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori che stanno ancora insieme, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di allontanarsi.

Nei rapporti interni tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno.

Per i genitori sposati, il dovere di contribuire al mantenimento del figlio è regolato dall’art. 143, comma 3, c.c. che sancisce il dovere di entrambi i coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle capacità di lavoro professionale e casalingo.

In generale, l’art. 316-bis, comma 1, c.c. prevede, poi, che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no) è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno (art. 337-ter, comma 4, n. 4), c.c.), valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (art. 337-ter, comma 4, nn. 3) e 5), c.c.), quali modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari.

Ciò che emerge dal quadro normativo è, prima di tutto, che il legislatore non opera alcuna distinzione tra spese ordinarie e spese straordinarie e la previsione di un assegno periodico è stabilita come possibile, “ove necessario … al fine di realizzare il principio di proporzionalità”.

Anche l’individuazione di spese straordinarie che non siano comprese nell’importo predeterminato nell’assegno di mantenimento, assume, pertanto significato in vista della salvaguardia del principio di proporzionalità.

D’altronde, la determinazione del contributo al mantenimento viene effettuata sulla base delle spese che prevedibilmente si compiono per il figlio al momento in cui tale contributo è determinato, le quali, poi, vengono ripartite tra i genitori in proporzione delle rispettive consistenze e dei diversi apporti dati da ciascuno.

La valutazione va fatta considerando in concreto gli elementi di valutazione menzionati nell’art. 337-ter c.c., tenendo conto della situazione attuale, e nell’attualità viene effettuata la ponderazione della proporzione.

Tutto ciò che è previsto o comunque prevedibile e ponderabile, nei termini sopra indicati, deve, pertanto, ritenersi compreso nell’assegno di mantenimento del figlio, che è oggetto di quella valutazione ponderata necessaria per distribuire proporzionalmente tra i genitori le spese per i figli. Tutto ciò che non è previsto né prevedibile e ponderabile al momento della determinazione dell’assegno, non è compreso nell’assegno e, se di rilevante entità, deve essere considerato come un esborso straordinario.

La prevedibilità e la ponderabilità, in concreto e nell’attualità, della spesa, va dunque riferita al tempo della determinazione del contributo e senza dubbio non può riguardare spese neppure ipotizzabili al tempo della determinazione dell’assegno perché suscettibili di possibile verificazione molti anni dopo (come la frequentazione universitaria di un bambino), e dunque prive del requisito dell’attualità>>.

Principio di diritto:

“In tema di mantenimento dei figli, costituiscono spese straordinarie, non comprese nell’ammontare dell’assegno ordinario previsto con erogazione a cadenza periodica, quelle che (ove non oggetto di espressa statuizione, convenzionale o giudiziale) non siano prevedibili e ponderabili al tempo della determinazione dell’assegno, in base a una valutazione effettuata in concreto e nell’attualità degli elementi indicati nell’art. 337-ter, comma 4, c.c. e che dunque, ove in concreto sostenute da uno soltanto dei genitori, per la loro rilevante entità, se non intese come anticipazioni dell’obbligo di entrambi i genitori, produrrebbero l’effetto violativo del principio di proporzionalità della contribuzione genitoriale, dovendo infatti attribuirsi il carattere della straordinarietà a quegli ingenti oneri sopravvenuti che, in quanto non espressamente contemplati, non erano attuali né ragionevolmente determinabili al tempo della quantificazione (giudiziale o convenzionale) dell’assegno”.

Doveri del sindaco di società ed eccezione di inadempimento sollevata dalla società fallita di fronte alla sua richiesta di ammissione al passivo per il compenso

Cass. ord. Sez. 1 n. 3459 del 07.02.2024, rel. DONGIACOMO GIUSEPPE:

Il giudice a quo:

<<Il tribunale, infatti, ha ritenuto la fondatezza
dell’eccezione d’inadempimento sollevata dal Fallimento sul
duplice rilievo per cui, da un lato, gli addebiti posti a fondamento
della stessa, vale a dire l’“omessa vigilanza della rilevazione
della causa di scioglimento della società amministrata, a causa
della perdita del capitale sociale … occultata tramite la falsa
esposizione nei bilanci … di valori fittizi degli assets immobiliari
…”, “risultano compiutamente descritti e trovano riscontro nella
abbondante documentazione prodotta in atti” e, dall’altro lato,
che l’opponente, a fronte di tale eccezione, non aveva
adempiuto all’onere di provare “l’esatto e completo
adempimento delle prestazioni contrattualmente dedotte”>>.

La SC:
<<4.3. Il tribunale, così ragionando, si è attenuto ai principi
ripetutamente esposti da questa Corte, e cioè che il curatore del
fallimento della società committente, nel giudizio di
verificazione conseguente alla domanda di ammissione del
credito vantato dal professionista (come il sindaco della società
poi fallita) al compenso asseritamente maturato nei confronti
della stessa, è legittimato a sollevare l’eccezione
d’inadempimento (anche nel caso in cui si fosse prescritta la
corrispondente azione: art. 95, comma 1°, l.fall.) secondo i
canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale: vale a
dire con il (solo) onere di contestare, in relazione alle
circostanze del caso (come “la falsa esposizione nei bilanci … di
valori fittizi degli assets immobiliari …” e il conseguente
l’occultamento “della perdita del capitale sociale”, che ha
specificamente dedotto e altrettanto doverosamente
documentato in giudizio quali fatti storici che avrebbero imposto
al sindaco la condotta che, in relazione al mandato ricevuto,
avrebbe dovuto tenere e non ha, invece, tenuto, e cioè la
tempestiva “rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata”), la negligente o incompleta esecuzione, ad
opera del professionista istante, della prestazione di vigilanza
dovuta, restando, per contro, a carico di quest’ultimo l’onere di
dimostrare, a fronte delle circostanze dedotte e provate dal
curatore, di aver, invece, esattamente adempiuto per la
rispondenza della sua condotta al modello professionale e
deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è
intervenuto con la propria opera (cfr. Cass. SU n. 42093 del
2021).
4.4. In tema di prova dell’inadempimento di
un’obbligazione, infatti, il creditore che agisca per
l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattuale ovvero
per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del
suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla
mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della
controparte [incongfruenza: poche righe sopra aveva detto “dedotte e provate”], mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere
della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito
dall’avvenuto adempimento (Cass. SU n. 13533 del 2001).
4.5. Si tratta, peraltro, di un criterio di riparto dell’onere
della prova applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto
si avvalga, com’è accaduto nel caso in esame, dell’eccezione
d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. poiché il debitore
eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o
l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore
(di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando,
per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver
esattamente adempiuto alle stesse (Cass. SU n. 13533 del
2001; Cass. n. 3373 del 2010; Cass. n. 826 del 2015; Cass. n.
3527 del 2021).
4.6. Pertanto, ove il preteso creditore (come il sindaco
della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo,
dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato)
del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla
pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per
paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di
totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da
parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali (e cioè, com’è
accaduto nel caso in esame, l’“omessa vigilanza della
rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata, a causa della perdita del capitale sociale …
occultata tramite la falsa esposizione nei bilanci … di valori fittizi
degli assets immobiliari …”), con, appunto, il solo onere di
allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha
l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo
dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art.
2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di
provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto
esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato
sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza
professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione
concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma
1°, c.c.)>>.

Prosegue la SC:

<<4.7. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento
dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle
attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto,
l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta
in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni
altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione)
che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare,
degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi,
non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi
di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di
un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza
sull’amministrazione della società e le relative operazioni
gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.,
per cui “l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di
responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso
che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il
fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme
che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale
onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità,
restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver
avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in
essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami,
indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale”)>>

E subito dopo:

<<.Il decreto impugnato ha fatto corretta applicazione
degli esposti principi, dal momento che il Fallimento ha dedotto
un circostanziato inesatto adempimento (e cioè la mancata
“rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata, a causa della perdita del capitale sociale …
occultata tramite la falsa esposizione nei bilanci … di valori fittizi
degli assets immobiliari …”) ai compiti della carica, laddove, per
contro, il sindaco opponente (senza contestare l’insussistenza
di tali presupposti e i doveri giuridici che se conseguono), come
accertato in fatto dal tribunale, non ha, a sua volta, fornito la
prova di aver correttamente adempiuto.
4.9. Non può, in effetti, seriamente dubitarsi che i
sindaci (i quali, infatti, in caso d’inadempimento da parte degli
amministratori, sono legittimati ad agire in giudizio innanzi al
tribunale: artt. 2485, comma 2°, e 2487, comma 2°, c.c.)
abbiano (anche se si tratta di società quotate: cfr. l’art. 154,
comma 1, del d.lgs. n. 58/1998) il dovere di vigilare sul corretto
e tempestivo adempimento da parte degli amministratori
all’obbligo di rilevare tempestivamente la verificazione di una
causa di scioglimento della società, come la perdita del capitale
sociale (art. 2484, n. 4, c.c.), e di procedere alla relativa
iscrizione nel registro delle imprese (art. 2485, comma 1°, c.c.),
e che, in difetto, a prescindersi dalla dannosità o meno di tale
inosservanza, la società (o, in caso di fallimento, il suo curatore)
sia legittimata ad eccepire l’inadempimento a tale dovere per
escludere l’obbligo (e l’insinuazione al passivo del relativo
credito) al pagamento del compenso, in ipotesi, maturato.
4.10. Nelle società quotate, anzi, il dovere di vigilanza
sancito dall’art. 2403 c.c. non è circoscritto all’operato degli
amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera
gestione dell’ente in modo ancora più stringente, considerata
l’esigenza di garantire l’equilibrio del mercato (Cass. n. 1601 del
2021).
4.11. L’eccezione d’inadempimento, che può essere
dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, (salvo il
limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è, del
resto, subordinata alla presenza degli stessi presupposti
richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento
dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass.
n. 12719 del 2021).
4.12. Quanto al resto, non può che ribadirsi come la
violazione dell’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui
il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte
diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta
norma e non anche quando la censura abbia avuto ad oggetto,
com’è accaduto nel caso in esame, la valutazione che il giudice
abbia svolto delle prove proposte dalle parti lì dove ha ritenuto
(in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad
opera della parte (e cioè, nel caso in esame, il creditore
opponente) che ne era gravata in forza della predetta norma,
che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti
previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 17313 del 2020;
Cass. n. 13395 del 2018)>>.

Rivendicazioni e descrizione nell’interpretazione del brevetto

Europeran Patent Office, Board of appeal, 28.-09.2023, case numeber T 0447/ 22 – 3.2.05, Patent Proprietor: Picote Solutions Oy Ltd , § 13.1 Reasons, p. 43 ss:

<<There is an extensive body of case law of the Boards of
Appeal according to which, within certain limits, a
claim may be interpreted with the help of the
description and the drawings for understanding the
subject-matter to be assessed under the requirements of
the EPC.
It is a general principle applied throughout the EPC
that a term of a claim can be interpreted only in
context. The claims do not stand on their own, but
together with the description and the drawings they are
part of a unitary document, which must be read as a
whole (see e.g. T 556/02, Reasons 5.3; T 1646/12,
Reasons 2.1, T 1817/14, Reasons 7.3, and T 169/20,
Reasons 1).
The extent to which description and drawings can
provide an aid to interpret the claims is however
subject to certain limitations.
A decision often cited in this context is T 190/99,
which in point 2.4 of the Reasons states that the
skilled person when considering a claim should rule out
interpretations which are illogical or which do not
make technical sense. He should try, with synthetical
propensity i.e. building up rather than tearing down,
to arrive at an interpretation of the claim which is
technically sensible and takes into account the whole
disclosure of the patent; the patent must be construed
by a mind willing to understand not a mind desirous of
misunderstanding.
The present board concurs with T 1408/04 (Reasons 1)
that this statement must be understood to mean only
that technically illogical interpretations should be
excluded (see also T 1582/08, Reasons 16, and T 169/20,
Reasons 1.3.3). A claim can thus be interpreted in the
light of the description and the drawings to the extent
that they contain logical and technical sensible
information.
Furthermore, interpreting the claims in the light of
the description and the drawings does not make it
legitimate to read into the claim features appearing
only in the description or the drawings and then
relying on such features to provide a distinction over
the prior art. This would not be to interpret claims
but to rewrite them (see T 881/01, Reasons 2.1). In this context, it is important to differentiate between a claim consisting of terms with a clear technical
meaning and an unclear claim wording. The preparatory
material available on the discussions leading up to the
European Patent Convention shows that even in the
framework of Article 69 EPC and its Protocol on
Interpretation (see for instance Armitage, “Die
Auslegung europäischer Patente”, in GRUR Int. 1983,
242; Decker in Stauder/Luginbühl, “Europäisches
Patentübereinkommen”, 9th edition, Art 69, marginal no.
22, with reference to Stauder, “Die
Entstehungsgeschichte von Art 69(1) EPÜ und Art 8(3)
StraßbÜ über den Schutzbereich des Patents”, GRUR Int.
1990, 793, 799), it was never the scope to exclude what
on the clear meaning was covered by the terms of the
claims. Accordingly, many decisions of the Boards of
Appeal have concluded that a discrepancy between the
claims and the description is not a valid reason to
ignore the clear linguistic structure of a claim and to
interpret it differently (see, for example, T 431/03,
Reasons 2.2.2; T 1597/12, Reasons 3.2.1; T 1249/14,
Reasons 1.5). The description cannot be used to give a
different meaning to a claim feature which in itself
imparts a clear, credible technical teaching to the
skilled reader (T 1018/02, Reasons 3.8; T 1391/15,
Reasons 3.5). On a similar note, the board in T 197/10
(Reasons 2.3) held that, in the event of a discrepancy
between the claims and the description, those elements
of the description not reflected in the claims are not,
as a rule, to be taken into account for the examination
of novelty and inventive step>>.

(segnalazione di  Rose Hughes in IPKat)

Nullità di combinazione cromatica come marchio perchè insufficientemente chiaro e preciso

Il 2° Board of Appeal EUIPO 07.02.2024m, Case R 2087/2023-2, Storch-Ciret Holding GmbH, decide sull’appello contro la decisione che aveva rigetgtat la domadna di retistarizone per il seguente segno

Conferma il 1 grado amministrativo per cui è insufficientemente preciso violando gli artt. 4 e 7.1.a):

24 On that basis, it must be found that the sign applied for does not meet the precision requirement specified in Article 3(3)(f) (ii) EUTMIR, which is also to be used when interpreting Article 4(b) EUTMR.
25 The rectangles reproduced in the representation mentioned are already visually reminiscent of a mere coloured pattern. Above all, however, it is evident from the nature of the applicant’s request, which is directed at a colour mark, that the representation in rectangles can only have a pattern. It cannot constitute a restriction of the colour shades to the shown sequence of rectangles. Such a view would be inconsistent with claiming as a colour mark (27/03/2019, C-578/17, Hartwall, EU:C:2019:261, § 40 et. seq.). If only a horizontal row of coloured rectangles with white intermediate areas were claimed, the trade mark would be a purely figurative mark which, as emphasised by the applicant, is precisely not claimed (cf. in this respect the first decision of the Office on the application
of 8 March 2021, 3 et seq.).
26 The distribution by volume of the colours claimed, which requires a sufficiently clear systematic arrangement (cf. denied in respect of ‘approximately 50 % to 50 %’ in 30/11/2017, T-102/15 ure T-101/15, BLUE AND SILVER, EU:T:2017:852, § 58 et seq.), is unclear in the present case. As stated, the reproduction of the shades in rectangles appears to be a simple representation of colour patterns. It may be that the applicant thereby wishes to express an identical distribution of these shades of colour.
However, there is no objective evidence of this, which means that there is ultimately a speculation. In addition, the quantitative proportion of the colour ‘white’ is also open to doubts. In the specific representation, it indicates a narrow distance between the individual shades of colour in the rectangles. However, as stated (para. 25), the application for protection is not restricted to a reproduction of the shades in rectangles. It is unclear how the proportion in other designs is supposed to be.
27 The representation applied for also leaves open the question of which systematic arrangement of the shades is otherwise claimed. The information provided by the applicant, if the entry as rectangles is not understood as conclusive, allows a large number of different combinations of colours to be associated (30/11/2017, T-102/15 —  T-101/15, BLUE AND SILVER, EU:T:2017:852, § 58 et seq.; see also the colour mark ……….., 14/06/2012, T-293/10, seven squares of different colours, EU:T:2012:302, § 56 et seq.) comparable with the colour mark applied for. It is not even clear whether each of the colours has the same shape and be designed in parallel.
28 As a result, too many ambiguities remain in the present case, which cannot be to the detriment of the general public. In its submissions, too, the applicant itself only withdrew itself with the general assertion that what can be seen here was claimed. However, this is precisely unclear if no purely figurative design is claimed.
29 The applicant could have easily encountered these objections, for example by making use of the possibility of submitting a description in the field of colour combination marks by way of exception. It is correct that a description pursuant to Article 3(3)(f) (ii) EUTMIR is not formally mandatory. However, it remains the responsibility of the applicant to satisfy the precision requirement under Article 4 EUTMR or the requirement of a systematic arrangement in which the colours concerned are combined in a predetermined and uniform manner pursuant to Article 3(3)(f) (ii) EUTMIR. That did not happen in this case.
30 The refusal of the application pursuant to Article 7(1)(a) in conjunction with Article 4 EUTMR was therefore ultimately correct.
31 The examiner expressly refrained from refusing registration under Article 7(1)(b) EUTMR. That is logical, because such a decision requires a clear subject of the application, which cannot be assumed here. Nor does the Board currently see any basis for such a decision.
32 The applicant’s appeal therefore had to be dism