Affido esclusivo al padre (anche) per mutamento di residenza in città lontana da parte della madre: valutazione incensurabile in Cassazione

Cass. Sez. I Ord. 27/02/202  n. 5.136, rel. Parise, circa uno spostamento da Novara in Sardegna:

<<2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili perché diretti, tramite l’apparente denuncia di vizi motivazionali e di violazione di legge, a censurare il riesame dei fatti e di valutazioni espresse dalla Corte di merito con adeguata motivazione sotto ogni profilo di rilevanza.

In particolare, la Corte territoriale ha ricostruito in dettaglio i fatti salienti ed ha effettuato un’analitica disamina delle condotte dei genitori, anche sulla base delle risultanze della C.T.U., e della situazione psicologica in cui versava la minore. All’esito, la Corte d’appello ha espresso un motivato giudizio in ordine alle statuizioni ritenute più consone a realizzare l’interesse della bambina ed ha confermato il regime di frequentazione tra madre e figlia dettato dal Tribunale, in quanto oggettivamente stabiliva una tempistica idonea a garantire il mantenimento della relazione con la madre, nei limiti di quanto consentito dall’eventuale residenza di quest’ultima in Sardegna, dando altresì atto che il padre risultava avere sempre rispettato il principio di bigenitorialità, favorendo e consentendo lo svolgimento degli incontri tra la bambina e la madre. La Corte di merito ha, infine, precisato che “l’affido condiviso inizialmente prospettato dalla C.T.U. dottoressa D.D. non è in concreto attuabile in quanto esigerebbe che la signora A.A. risiedesse ad O o nelle vicinanze in modo da poter essere maggiormente partecipativa rispetto alla vita della figlia e alle decisioni da assumere nell’interesse della minore”.

Per contro, la ricorrente, nel richiamare diffusamente la normativa asseritamente violata e la giurisprudenza di questa Corte, nel denunciare la violazione del principio di bigenitorialità e l’asserita omessa adeguata valutazione di talune circostanze, da ella interpretate diversamente dalla Corte d’appello, in buona sostanza prospetta impropriamente una difforme ricostruzione fattuale e sollecita un nuovo riesame valutativo.

Occorre, peraltro, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi gli atti del processo penale a carico degli zii paterni su denuncia dell’odierna ricorrente e conclusosi con l’archiviazione) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatti-o storici-o, rilevanti-e in causa (nella specie le condotte dei genitori, la loro relazione con la minore e le problematicità emerse anche nel contesto complessivo della famiglia di origine di ciascun genitore), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante cfr. Cass. n. 27415/2018).

Generico, oltre che inconferente, è il richiamo della normativa Europea e internazionale, prospettato in ricorso sul presupposto di una “rottura” del legame con la madre che non trova riscontro nel regime di frequentazione con la figlia dettato dai giudici di merito e anche, in concreto, nelle relazioni dei servizi sociali e della neuropsichiatra citate nel decreto impugnato, da cui era emerso che C.C. esprimeva sentimenti positivi nei confronti di entrambi i genitori e stata costruendo un rapporto equilibrato e equidistante con entrambi. Il riferimento all’ascolto della minore, indicato nella rubrica del settimo motivo, non risulta neppure illustrato nell’esposizione di detto mezzo, difettando, al riguardo, una compiuta e pertinente critica>>.

Non chiara la SC: una cosa è l’errata percezione delle risultanze istruttorie; un’altra è l’errata applicazione ad esse del canone normativo del best interest of the child (art. 337 ter c.2 cc: “con esclusivo rierimento all’interesse morale e materiale” della prole, che è violazione di legge.

Azion e di danno contro una cryogenic facility per omessa adozione di misure che avrebbero evitato la distruzione di embrioni

Una coppia aziona il diritto risarcitorio (contrattuale) per omessa vigilanza verso il rischio di distruzione di embrioni crioconservati, azionando une legge del 1872, the Wrongful Death of a Minor Act.

In primo grado la domanda è rigettata per una  generale regola di irrisarcibilità della perdita della  vita e, sopratutto, per una speciale regola relativa al concetto normativo di “child”.

La corte suprema 16 febbraio 2024 ,  n° SC-2022-0515 , James Le Page ed altri v.  The Center for Reproductive Medicine, P.C., and Mobile Infirmary Association d/b/a Mobile Infirmary Medical r... invece annulla poichè fa rientrare in tale concetto tutti gli “unborn children”, sia in utero che dotati di vita (anche se attualmente criocongelati)   extrauterina , come nel caso de quo (questa la pag. del relativo docket/fascicolo processuale).

Dice che tanto nella legge quanto nel linguaggio comune nulla fa ritenere corretto escludere la seconda categoria.

<<Before analyzing the parties’ disagreement about the scope of the
Wrongful Death of a Minor Act, we begin by explaining some background
points of agreement. All parties to these cases, like all members of this
Court, agree that an unborn child is a genetically unique human being
whose life begins at fertilization and ends at death. The parties further
agree that an unborn child usually qualifies as a “human life,” “human
being,” or “person,” as those words are used in ordinary conversation and
in the text of Alabama’s wrongful-death statutes. That is true, as
everyone acknowledges, throughout all stages of an unborn child’s
development, regardless of viability.
The question on which the parties disagree is whether there exists
an unwritten exception to that rule for unborn children who are not
physically located “in utero” — that is, inside a biological uterus — at the
time they are killed. The defendants argue that this Court should
recognize such an exception because, they say, an unborn child ceases to
qualify as a “child or “person” if that child is not contained within a
biological womb>. p. 8

<<But these cases do not require the
Court to resolve them because, as explained below, neither the text of the
Wrongful Death of a Minor Act nor this Court’s precedents exclude
extrauterine children from the Act’s coverage. Unborn children are
“children” under the Act, without exception based on developmental
stage, physical location, or any other ancillary characteristics.>> p. 11

E sopratuttto alle pp. 15-17:

<<Courts interpreting statutes are required to give words their
” ‘ “natural, ordinary, commonly understood meaning,” ‘ ” unless there is
some textual indication that an unusual or technical meaning applies.
Swindle v. Remington, 291 So. 3d 439, 457 (Ala. 2019) (citations omitted).
Here, the parties have not pointed us to any such indication, which
reflects the overwhelming consensus in this State that an unborn child is
just as much a “child” under the law as he or she is a “child” in everyday
conversation.

Even if the word “child” were ambiguous, however, the Alabama
Constitution would require courts to resolve the ambiguity in favor of protecting unborn life. Article I, § 36.06(b), of the Constitution of 2022
“acknowledges, declares, and affirms that it is the public policy of this
state to ensure the protection of the rights of the unborn child in all
manners and measures lawful and appropriate.” That section, which is
titled “Sanctity of Unborn Life,” operates in this context as a
constitutionally imposed canon of construction, directing courts to
construe ambiguous statutes in a way that “protect[s] … the rights of the
unborn child” equally with the rights of born children, whenever such
construction is “lawful and appropriate.”.  When it comes to the
Wrongful Death of a Minor Act, that means coming down on the side of including, rather than excluding, children who have not yet been born.

The upshot here is that the phrase “minor child” means the same
thing in the Wrongful Death of a Minor Act as it does in everyday
parlance: “an unborn or recently born” individual member of the human
species, from fertilization until the age of majority>>.

Lite sul design di bottiglie di gin: Mark & Spencer batte Aldi in appello UK

Ecco le bottiglie in lite:

altro originale registrato da M&S
originale registrato da M&S
prodotto concorrente di ALDI, stimato in contraffazione

Il giudice inglese di appello conferma la contraffazione con decisione 27.02.2024, Case No: CA-2023-000521, della Court of Appeal, Judge Hacon (di cui ci notizia e a cui ci offre il link Alessandro Cerri in IPKat) su normativa ante-Brexit ma dalla stessa non influenzata (lo dice espresameente la corte)  e quindi di interesse per la UE.

Conclusioni del giudice di primo greado (come da sentenza di appello)

<<The judge’s assessment may be summarised as follows.
30. The relevant sector. The relevant sector was, as Aldi contended, spirits and liqueurs in the UK.
31. The informed user. It is common ground that the informed user is a consumer. It followed from the judge’s identification of the relevant sector that the informed user was a UK purchaser and consumer of spirits and liqueurs. As an informed user, the user would exercise a relatively high degree of attention compared to the average consumer who is the touchstone in trade mark law.
32. The designer’s degree of freedom. If a snow effect was to be used, it had to be created by the use of gold flakes. The aperture of the bottle had to accommodate the injection of the liqueur with gold flakes in it, but there was no reason to suppose that this was much of a limitation. If a design was to be printed on the side of the bottle, it would be simpler to print on a straight side. The more colours the design had, the more expensive production would be. Otherwise, the designer had considerable freedom, particularly with regard to the shape of the bottle and the design to be printed on it.
33. As to the design on the side of the bottle, if gold snow was to be used in the liquid and if a design was to be printed on the side of the bottle, it made sense to have a winter design. But there was almost complete freedom as to how to make a design look wintry.
34. There was no design constraint requiring the liqueur to be illuminated. There would be no other practical place to put a light other than in the base of the bottle, but that required the choice of a light in the first place.
35. Features solely dictated by technical function. Although Aldi argued that four features of the designs were solely dictated by technical function, all four features were aspects or consequences of aesthetic choices made by the designer.
36. The relevance of branding. The Aldi bottles bear the words “The INFUSIONIST
Small Batch”. This was relied on by Aldi as a difference from the Registered Designs in which no words appear. The judge’s assessment was that the word
“INFUSIONIST” was clear enough to make an impression, whereas the words “The” and “Small Batch” were less conspicuous and played no significant additional part in the overall impression of the designs.
37. Effect of the priority date and grace period. The judge found that a number of designs relied on by Aldi did not form part of the design corpus due to the effect of the priority date (15 December 2020) and the grace period (which started on 15
December 2019).
38. The  design corpus. The judge reproduced images of 33 bottles in [70] and [71] which represented a small proportion of the totality of the design corpus. Excluding M&S’s products, four bottles with an integrated light were marketed before December 2020, but none with a shape like that of the Registered Designs. Five members of the corpus had a snow effect of some sort, none with a bottle shape similar to that of the Registered Designs. Two had both a snow effect and an integrated light. Saverglass, the manufacturer of the bottles supplied to M&S, had a UK registered design for the shape of those bottles (referred to as the “botanics” shape) which formed part of the corpus. Of the totality of the design corpus, excluding M&S designs made available in the grace period, only the M&S 2019 Snow Globe shown in [33] had the botanics shape and a snow effect (but no integrated light).
39. Comparison of the overall impressions. The judge expressed his assessment of the comparison as follows:
80. The features that the informed user would note as being in
common between the RDs in suit and the Aldi bottle are these:
(1) The identical shapes of the two bottles. The informed
user would pay little attention to the fact that both have
in part straight sides. That is true of the vast majority
of the spirit bottles shown in the evidence. The
informed user would take into account that for
economic reasons the range of bottle shapes for spirits
and liqueurs does not extend to every functional and
aesthetic possibility. However, this would not detract
from the apparent identicality in shape when measured
against the design corpus as a whole.
(2) What appear to be the identical shapes of the two
stoppers.
Judgment Approved by the court for handing down. M&S v Aldi
(3) A winter scene over the entirety of the straight portion
of the side, consisting in one case entirely, and in the
other case mostly, of tree silhouettes.
(4) In the case of UK 80 and 84, a snow effect.
(5) In the case of UK 82 and 84, an integrated light.
81. In my judgment and with the design corpus in mind, each of
those similarities would appear significant to the informed user
and cumulatively they would be striking.
82. There are differences. Aldi relied on these:
(1) The winter scene of the RDs in suit is in white only and
features a stag and a doe. On the Aldi bottles the scene
is in white and a colour with trees only.
(2) The Aldi bottle has the “Infusionist” branding. The
RDs in suit have none.
(3) The foregoing two features of the Aldi bottle give it a
front. There is no front to the RDs in suit.
(4) The Aldi winter scene is brighter and busier than that on
the RDs in suit.
(5) The Aldi stoppers have a watch strap label with the Aldi
logo on the top, the RDs in suit do not.
(6) The Aldi stoppers are darker in shade than those of the
RDs in suit.
83. Going back to the statutory test, it is whether the RDs in suit
and the Aldi bottles produce a different overall impression. In
my judgment they do not because of the features they have in
common, set out above. The differences to which Aldi points
are there, but they are differences of relatively minor detail
which do not affect the lack of difference in the overall
impressions produced by the Aldi bottles on the one hand and
each of the RDs in suit on the other.” >>

Sul motivo di appello 7 relativo al comparison:
<<61 Since the judge’s conclusion that the designs of the Aldi products produced the same overall impression on the informed user as the Registered Designs involved a multifactorial evaluation, this Court can only intervene if he erred in law or in principle: see Magmatic at [24] and compare Actavis Group PTC EHF v ICOS Corp [2019] UKSC 15, [2019] Bus LR 1318 at [78]-[81] (Lord Hodge) and Re Sprintroom Ltd [2019] EWCA Civ 932, [2019] BCC 1031 at [72]-[78] (McCombe, Leggatt and Rose LJJ).
62. Aldi contends that, even if it fails on grounds 1-6, the judge did fall into error. Junior counsel for Aldi concentrated his oral submissions on two points. First, he argued that the judge had not properly considered the impact of the absence of the snow effect and the integrated light on the comparison with respect to the Registered Designs which did not include those features. Secondly, he argued that the judge had given undue weight to the shapes of the bottles and stoppers, particularly given that the shape of the bottle was protected by a third party registered design and that the design corpus included bottles with similar stoppers.
63. I do not accept either of these arguments. Given that I have concluded that UK 78 and UK 80 do both include a light, that point falls away. As for the point about the snow  effect, at best this would mean that Aldi infringed UK 80 (and UK 84) but not UK 78 (or UK 82). The correct approach, however, must be to compare UK 78 and UK 80 Judgment Approved by the court for handing down. M&S v Aldi (and UK 82 and UK 84) respectively with the Aldi products in the same states. I think that is effectively what the judge did, although he did not say so explicitly. The weight to be given to the shape of the bottles and the stopper was a matter for the judge as part of his overall assessment. The fact that the shape of the bottle was protected by a third party registered design is irrelevant apart from the fact that the design therefore formed part of the design corpus which the judge took into account.
He also took the stoppers in the design corpus into account. He made no error of
principle in comparing the overall impressions of the Aldi products with those of the Registered Designs, and his conclusion was one that he was fully entitled to reach”.
Conclusion

Mutamento decisionale in corso di causa sul diritto all’assegno di mantenimento e diritto alle restituizioni

Cass. Sez. I, ord. 22 febbraio 2024 n. 4.715 , Rel. Tricomi:

<<In tema di assegno di mantenimento separativo e divorzile, ove si accerti nel corso del giudizio – nella sentenza di primo o secondo grado – l’insussistenza “ab origine”, in capo all’avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della “condictio indebiti” che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: [1] ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto “ex tunc” delle sole condizioni economiche dell’obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed [2] ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell’ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consum<o da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica>>.

(caratteri in rosso da me aggiunti)

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

Ripetibilità di pagamenti per i bisogni della famiglia durante il matrimonio, rate di mutuo e acquisto dell’immobile : utili indicaizoni dalla Cassazione

Cass. Civ., Sez. III, ord. 21 febbraio 2024 n. 5385, rel. Rubino:

<< L’applicazione del dovere di contribuzione è particolarmente delicata nei casi di cessazione della comunione di vita tra i coniugi, nei quali occorre ricostruire ex post le vicende della vita familiare,cercando di distinguere tra elargizioni ingiustificate e contribuzioni ai bisogni familiari: in tutti questi casi, invero, le attribuzioni in costanza di matrimonio introducono non di rado il tema delle”restituzioni”. Detto tema è affrontato dal nostro ordinamento con una pluralità di disposizioni (talune speciali,relative al diritto di famiglia, quale ad es., art. 192 c.c.; altre generali, relative all’indebitoarricchimento, al possesso, al contratto): di qui la necessità di individuare la disciplina applicabile aseconda della fattispecie concreta. D’altronde, la necessità di soluzioni differenziate discende non soltanto dal diverso contenuto degliaccordi che possono in concreto intervenire tra i coniugi, ma anche dalla diversa natura del bene(mobile – immobile) di volta in volta in contestazione, dello strumento giuridico in concretoutilizzato (contratto di donazione, liberalità indirette, cointestazioni di diritti, ecc.) nonchè dellaconvenzione matrimoniale in concreto adottata.In via generale ed astratta, può soltanto affermarsi che sono irripetibili tutte quelle attribuzioni chesono state eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita in comune.

L’erogazione (eccessiva o non) si presume effettuata in ragione di un comune progetto di convivenza: diviene così irripetibile in quanto sorretta da una giusta causa. Sarà onere della parte che pretende di ottenere la restituzione della somma dimostrare l’eventuale causa diversa (ad esempio, un prestito) in ragione della quale l’operazione economica era stata attuata in costanza di rapporto coniugale o di convivenza.

2.4. Quanto al mutuo. cointestato ad entrambi i coniugi, ma pagato da uno solo di essi, secondo la giurisprudenza di legittimità salvo l’esistenza di un differente accordo inter partes, che va provato -non sono ripetibili le somme pagate da uno solo dei coniugi (in costanza di matrimonio, a titolo di rate del mutuo contratto da entrambi in solido per l’acquisto della casa coniugale, anche se cointestata). Invero, i pagamenti delle rate del mutuo cointestato, effettuati da uno solo dei coniugi in via esclusiva, talvolta sono stati considerati (cfr. sent. n. 18749/2004, n. 18749; sent. n. 10942/2015;ord. n. 10927/2018, che hanno appunto escluso il diritto al rimborso, richiamandosi ai principi disolidarietà matrimoniale) quale adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. (e,quindi, espressione di quei “doveri di collaborazione nell’interesse della famiglia, solidarietà eassistenza morale e materiale tra i coniugi” sanciti appunto dall’art. 143 c.c.); mentre talaltra sonostati ricondotti (in questo senso cfr. Cass. sent. n. 12551/2009) alla logica di solidarietà che connota la vita familiare (e, quindi, ad una sorta di presunzione di gratuità degli esborsi effettuati in costanzadi matrimonio).

Peraltro, proprietario dell’immobile (acquistato con il mutuo cointestato) non necessariamente è il coniuge che paga le rate del mutuo in costanza di matrimonio, essendo rilevante sul punto quanto pattuito in fase di rogito notarile: infatti, se un solo coniuge paga il mutuo per intero, ma in sede di rogito è stato pattuito che la casa è intestata all’altro, la proprietà in alcun modo fa capo a chi paga i ratei del mutuo (salvo che non vi sia la comunione dei beni).

In caso di interruzione del rapporto coniugale per effetto di separazione, entrambi i coniugi possono decidere di continuare a pagare normalmente le rate del mutuo. Ma se uno dei due coniugi non vuole più pagare le rate del mutuo, così rinunciando al diritto di proprietà sulla casa, l’altro coniuge può accollarsi interamente il mutuo, versando le rate mancanti fino all’estinzione dello stesso (e,qualora scelga di mantenere lo stesso istituto del credito in cui ha acceso il mutuo, addivenendo con la banca mutuante alla modifica dell’intestazione del mutuo).      La ripetibilità potrà essere fatta valere solo dalla data della separazione e per le somme successivamente pagate (cfr. Cass., sent. n. 1072/2018), purchè l’accollo del mutuo da parte di unosolo dei coniugi non sia imposto dal Giudice quale contributo al mantenimento del coniuge o deifigli, o non sia previsto negli accordi delle parti>>

Responsabilità medica e incompletezza della cartella clinica

Cass. sez. III ord. 11/12/2023  n. 34.427, rel. Porreca:

fatto:

<<la Corte territoriale, sebbene abbia dichiarato carente d’interesse l’appello incidentale interposto dal dottor G. per far accertare l’insussistenza di una sua imperizia, proprio in ragione della conferma del rigetto della domanda risarcitoria per la ritenuta mancanza di prova del nesso causale (pag. 16), ha costruito il suo “iter” motivazionale muovendo dall’assunto del “già rilevato ritardo diagnostico e, dunque, terapeutico” (pag. 12), concludendo nel senso che le conseguenze pregiudizievoli iatrogene lamentate dall’attrice, correlate alla “”inutile” terapia adiuvante” (pag. 13), di tipo fortemente invasivo, avrebbero potuto affermarsi “solo nel caso in cui al (Omissis) il livello della neoplasia fosse stato di stadio IA o IB”;

ma – prosegue il ragionamento del Collegio di merito – poiché non vi era prova certa o nemmeno probabilistica di quale fosse, nel momento del primo ricovero e delle cure del dottor G., lo stadio neoplastico, e atteso che la prova del nesso causale incombeva sul richiedente il ristoro, la conclusione doveva essere il rigetto;>>

Diritto, con cassazione:

<<la motivazione dlla Corte territoriale innesca un cortocircuito logico, non altrimenti risolvibile, poiché imputa alla vittima la mancanza di una prova derivata proprio dall’assunta colpa del medico;

e’ la stessa Corte territoriale che, a riscontro di quanto riportato in ricorso nella cornice di ammissibilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sottolinea come tale illogicità era stata oggetto di censura di appello (pag. 10), ma finisce poi per non spiegare le ragioni per le quali l’ha ritenuta superata, minando alla base la decifrabilità della sua motivazione;

la giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità professionale sanitaria ha affermato che l’incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può e deve utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno, ciò per una ragione prima logica che giuridica, oltre che per il principio di vicinanza della prova (Cass., 31/03/2016, n. 6209, Cass., 21/11/2017, n. 27561, Cass., 20/11/2020, n. 26428);

questo principio di specie ne sottende uno più generale, ossia quello per cui quando la mancata prova derivi dalle carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive, e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, quel “deficit” rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche di quello del nesso eziologico, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale;

in altri termini, la sentenza qui gravata non fa comprendere in alcun modo perché non rilevi nell’accertamento eziologico il mancato completamento dell’indagine diagnostica, che avrebbe in tesi, anche secondo le riportate ipotesi dei periti d’ufficio, potuto far acquisire i dati istologici idonei a dettagliare grado e stadio della malattia, e dunque, in ipotesi, approntare una terapia che, nella prospettiva ricostruttiva della stessa Corte territoriale, avrebbe potuto evitare le conseguenze iatrogene in discussione;

e’ vero che la sentenza afferma diffusamente la sussistenza di tale colpa del medico solo “”ad abundantiam”” dopo aver detto inammissibile, come anticipato, l’appello incidentale del dottor Giani, con statuizione peraltro “inutiliter data” proprio perché susseguente alla dichiarata (non in “obiter”: Cass., 11/03/2022, n. 7995) esclusione di ammissibilità del motivo di appello (Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840, e succ. conf.), ma è anche vero che, come pure constatato, lo fa dopo aver affermato l’ininfluenza del pur “rilevato ritardo diagnostico” per il mancato risconto del nesso di causalità materiale nei termini evidenziati;

non viene in gioco, quindi, una ricostruzione fattuale alternativamente e parimenti plausibile rispetto a quella della decisione censurata, e inammissibilmente inerente al sindacato di merito del relativo giudice, ma l’intrinseca illogicità della motivazione, in uno alla correlata violazione degli oneri probatori e della corretta sussunzione della fattispecie fattuale indiziaria in quella legale;>>

Sul dies a quo di efficacia della revisione di assegno divorzile

Cass.  Sez. I ord. 27 febbraio 2024 n. 5.170 , Rel. Pazzi:

<In materia di revisione dell’assegno di divorzio, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell’altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, sicché, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (“rebus sic stantibus”), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione>.

(massima di Valeria  cianciolo in Ondif)

Mantenimento del figlio ventinovenne con disturbi di personalità? No, dice la Cassazione

Cass.  Sez. I, Ord. 27/02/2024 n. 5.177, rel. Pazzi:

<<5.2 Va poi aggiunto che il figlio di genitori divorziati, nel caso in cui abbia ampiamente superato la maggiore età e non abbia reperito un’occupazione lavorativa stabile (o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente), non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso (Cass. 29264/2022).

Questo principio non soffre eccezioni ove il figlio ultramaggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia [nds: indicata dalla SC appena sopra: “disturbo di personalità di tipo borderline, descritto (a pag. 7 del provvedimento impugnato) come “disturbo dell’area affettiva cognitiva comportamentale”, le cui caratteristiche essenziali erano “una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé dell’umore ed una marcata impulsività”], ma non tale da integrare – come appena detto – la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento. In una simile fattispecie, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio ultramaggiorenne non autosufficiente, occorrerà richiedere, ove ne sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure sarà possibile proporre l’azione per il riconoscimento degli alimenti (i quali rappresentano un minus rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti; cfr. Cass. 23133/2023)>>.

Importante direttiva sulla parità stipendiale di genere e sul divieto di discriminazioni

Viene data notizia della Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione , portante  significative innovaizoni.

Solo alcune:

  • il punto più ostico dei concetti di “uguale lavoro” o “di pari valore”- Il secondo concetto è delineato dall’art. 4.4 (<I sistemi retributivi sono tali da consentire di valutare se i lavoratori si trovano in una situazione comparabile per quanto riguarda il valore del lavoro sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere concordati con i rappresentanti dei lavoratori, laddove tali rappresentanti esistano. Tali criteri non si fondano, direttamente o indirettamente, sul sesso dei lavoratori e includono le competenze, l’impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro, nonché, se del caso, qualsiasi altro fattore pertinente al lavoro o alla posizione specifici. Sono applicati in modo oggettivo e neutro dal punto di vista del genere, escludendo qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso. In particolare, le pertinenti competenze trasversali non devono essere sottovalutate>).
  • trasparenza retributiva prima dell’assunzione (cioè ai meri candidati all’assunzione), art. 5
  • trasparenza retributiva sulla progressione in carriera, art. 6
  • diritto di informazione scritta, art. 7
  • comunicazioni sul divario retribuivo di genere, art. 9, e obbligo di valutazione congiunta con i sindacati, art. 10
  • diritto al risarcimento, art. 16. Qui il c. 3 specifica il danno chiedibile: <<Il risarcimento o la riparazione pongono il lavoratore che ha subito un danno nella posizione in cui la persona si sarebbe trovata se non fosse stata discriminata in base al sesso o se non si fosse verificata alcuna violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione. Gli Stati membri assicurano che il risarcimento o la riparazione comprendano il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora>>.
  • recepimento entro 7 giugno 2026

Il danno per essere caduto nella trappola del phishing è a carico della banca

Un caso classico di phishing esaminato da Cass. sez. III sent. 12/02/2024 n. 3.780, rel. Moscarini:

fatto:

<Di.An., in qualità di procuratrice di Po.Ma., convenne in giudizio, davanti al Giudice di Pace di Paola, Poste Italiane Spa chiedendo accertarsi la responsabilità contrattuale o extracontrattuale della società convenuta per la perdita patrimoniale subita dal Polizza ammontante ad Euro 2900 a seguito di un’operazione posta in essere da ignoti sulla propria carta Postepay Evolution.

A sostegno della domanda rappresentò che il Polizza aveva ricevuto una mail in apparenza proveniente da Poste Italiane Spa, con la quale era stato invitato ad accedere al proprio conto mediante un link contenuto nella mail inserendo le proprie credenziali per effettuare il cambio della password; che l’utente aveva effettuato la richiesta operazione ed aveva successivamente riscontrato un addebito di Euro 2.900 per un’operazione a favore di Anytime Paris Fra, da lui mai compiuta.>>

Ecco l’insegnamento in diritto:

<<La giurisprudenza di questa Corte, qualificata in termini contrattuali la responsabilità della banca, ha affermato che la diligenza posta a carico del professionista, per quanto concerne i servizi posti in essere in favore del cliente, ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento assumendo come parametro quello dell’accorto banchiere (Cass. n. 806 del 2016); dunque la diligenza della banca va a coprire operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo.

La giurisprudenza di questa Corte è infatti consolidata nel senso di ritenere che la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale. Mentre, pertanto, il cliente è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto ed il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio. Ne consegue che, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente una eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore (Cass., 1, n. 2950 del 3/2/2017; Cass., 3, n. 18045 del 5/7/2019; Cass., 6-3, n. 26916 del 26/11/2020).

Era pertanto onere di Poste Italiane, come correttamente ritenuto dalla impugnata sentenza, a dover provare di aver adottato soluzioni idonee a prevenire o ridurre l’uso fraudolento dei sistemi elettronici di pagamento, quali ad esempio l’invio al titolare della carta di appositi sms alert di conferma di ogni singola operazione, sulla base di un principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. In assenza di tale prova è corretta la decisione di imputare alla banca il rischio professionale della possibilità che terzi accedano ai profili dei clienti con condotte fraudolente>>.

Invio di sms alert che, a questo punto, diverrà un onere imprescindibile per la banca.