Il progetto Superlega calcistica scrutinato con successo dalla Corte di Giustizia

Usciota ora in traduzione italiana (chissà perchè c’e voluto così tanto, anche se sin dall’inizio c’era almeno quella inglese) la sentenza di dicembre u.s. sul progetto Superlega promosso da società spagnole, inglesi e italiane (Iuventus e le due milanesi).-

si tratta di Corte di giustizia 21.12.2023, C-333/21, European Superleague Company SL, c. FIFA-UEFA.

La risposta al giudice a quo spagnolo è favorevole al progetto Superlega: la reazione (azionando clausole statutarie) di FIFA-UEFa, consistente nell’escludere club e giocatori aderenti  dalla partecipazione ai loro tornei, costuisce abuso di posizione domnante.

Risposte della CG per il giudice a quo:

<<1) L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che costituisce un abuso di posizione dominante il fatto che associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, abbiano adottato e applichino norme che subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di una nuova competizione calcistica tra club e che controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a una siffatta competizione, senza che tali diversi poteri siano disciplinati da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.

2) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che costituisce una decisione di associazione di imprese che ha per oggetto di impedire la concorrenza il fatto che associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, abbiano adottato e applichino, direttamente o per il tramite di federazioni calcistiche nazionali che ne sono membri, norme che subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione, da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di una nuova competizione calcistica tra club e che controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a una siffatta competizione, senza che tali diversi poteri siano disciplinati da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.

3) L’articolo 101, paragrafo 3, e l’articolo 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che le norme con cui associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione, da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di competizioni calcistiche tra club e controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a siffatte competizioni, possono beneficiare di un’esenzione dall’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE o essere considerate giustificate alla luce dell’articolo 102 TFUE solo ove sia dimostrato, mediante argomenti ed elementi di prova convincenti, che sono soddisfatti tutti i requisiti richiesti a tal fine.

4) Gli articoli 101 e 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi:

– non ostano a norme emanate da associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, laddove esse designino tali associazioni quali proprietarie originali di tutti i diritti che possano sorgere dalle competizioni sotto la loro «giurisdizione», qualora dette norme si applichino unicamente alle competizioni organizzate dalle suddette associazioni, escludendo quelle che potrebbero essere organizzate da entità o imprese terze;[ovvietà assoluta!]

– ostano a siffatte norme laddove queste attribuiscano a dette medesime associazioni un potere esclusivo in materia di commercializzazione dei diritti di cui trattasi, salvo sia dimostrato, mediante argomenti ed elementi di prova convincenti, che sono soddisfatti tutti i requisiti richiesti affinché tali norme possano beneficiare, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, di un’esenzione dall’applicazione del paragrafo 1 di detto articolo ed essere considerate giustificate alla luce dell’articolo 102 TFUE.[ovvietà assoluta!]

5) L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a norme con cui associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione, da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di competizioni calcistiche tra club e controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a tali competizioni, quando tali norme non sono disciplinate da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.>>

Risposte esatte, anche se, a dispetto del clamore mediatico, per nulla difficili: costituiscono infatti piana applicaizone della disciplina antitrust, piaccia o meno a chi vi ha controinteressi emotivi o -soprattutto- finanziari.

Condiizoni contrattuali inique per le app di music streaming sullo Apple Store

I media riferiscono che la Commissione UE ha sanzionato significativamente Apple per l’abuso di posizione dominante ex 102.a) TFUE circa le clausole anti-steering imposte ai fornitori di musica in streaming (“In particular, the Commission found that Apple applied restrictions on app developers preventing them from informing iOS users about alternative and cheaper music subscription services available outside of the app (‘anti-steering provisions’). This is illegal under EU antitrust rules”).

Per ora c’è colo il comunicato odierno: seguirà il testo integrale della decisione.

Abuso di domanza nella distribuzione comemrciale quando l’impresa si avvale di distributori formalmente autonomi e obbligo di valutare le perizie di parte

Due interessanti questioni poste alla Corte di Giustizia dal nostro Consiglio di Stato sono state decise dalla prima con sentenza 19.01.2023, C-680/20.

Si tratta della lite amministrativa AGCM / Unilever circa un abuso nel settore della distribuzione di gelati.

I fatti , storici e procimentali per capire bene la fattispecie:

<< 7    Da tale decisione risulta che la Unilever ha condotto, sul mercato di cui trattasi, una strategia di esclusione idonea ad ostacolare la crescita dei suoi concorrenti. Detta strategia si sarebbe basata principalmente sull’imposizione, da parte dei distributori della Unilever, di clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita, obbligandoli a rifornirsi esclusivamente presso la Unilever per l’intero fabbisogno di gelati in confezioni individuali. Quale corrispettivo, tali operatori beneficiavano di un’ampia gamma di sconti e commissioni, la cui attribuzione era subordinata a condizioni di fatturato o commercializzazione di una determinata gamma di prodotti della Unilever. Tali sconti e tali commissioni, che si applicavano, secondo combinazioni e modalità variabili, alla quasi totalità dei clienti della Unilever, avrebbero mirato a indurre questi ultimi a continuare a rifornirsi esclusivamente presso tale società, dissuadendoli dal risolvere il loro contratto per rifornirsi presso concorrenti della Unilever.

8 In particolare, due aspetti della decisione dell’AGCM del 31 ottobre 2017 sono rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale.

9 Da un lato, sebbene i comportamenti abusivi non siano stati materialmente posti in essere dalla Unilever, bensì dai suoi distributori, l’AGCM ha ritenuto che tali comportamenti dovessero essere imputati unicamente alla Unilever in quanto quest’ultima e i suoi distributori avrebbero costituito un’unica entità economica. Infatti, la Unilever interferirebbe in una certa misura nella politica commerciale dei distributori, cosicché questi ultimi non avrebbero agito in modo indipendente quando hanno imposto clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita.

10 Dall’altro lato, l’AGCM ha ritenuto che, tenuto conto delle caratteristiche specifiche del mercato in questione, e in particolare dello scarso spazio disponibile nei punti vendita, nonché del ruolo determinante, nelle scelte dei consumatori, della portata dell’offerta in tali punti vendita, la Unilever, con il suo comportamento, avesse escluso, o quantomeno limitato, la possibilità per gli operatori concorrenti di esercitare una concorrenza fondata sui meriti dei loro prodotti>>.

I pareri (vincolanti) della CG  son condivisibili anche se non particolarmente originali.

Circa la prima questione:

<< 29      Orbene, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, un siffatto obbligo mira a prevenire non solo i pregiudizi alla concorrenza causati direttamente dal comportamento dell’impresa in posizione dominante, ma anche quelli generati da comportamenti la cui attuazione sia stata delegata da tale impresa a soggetti giuridici indipendenti, tenuti ad eseguire le sue istruzioni. Pertanto, qualora il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante sia materialmente attuato tramite un intermediario che fa parte di una rete di distribuzione, tale comportamento può essere imputato a detta impresa qualora risulti che esso è stato adottato conformemente alle istruzioni specifiche impartite da quest’ultima, e quindi a titolo di esecuzione di una politica decisa unilateralmente dall’impresa suddetta, cui i distributori interessati erano tenuti a conformarsi.

30 In una ipotesi siffatta, dato che il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante è stato deciso unilateralmente, quest’ultima può esserne considerata come l’autrice e quindi come la sola eventuale responsabile ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Infatti, in un caso del genere, i distributori e, di conseguenza, la rete di distribuzione che questi ultimi formano con tale impresa devono essere considerati semplicemente uno strumento di ramificazione territoriale della politica commerciale di detta impresa e, a tale titolo, come lo strumento tramite il quale è stata eventualmente attuata la prassi di esclusione di cui trattasi.

31 Ciò vale, in particolare, quando un siffatto comportamento assume la forma di contratti tipo, interamente redatti da un produttore in posizione dominante e contenenti clausole di esclusiva a vantaggio dei suoi prodotti, che i distributori di tale produttore sono tenuti a far firmare ai gestori di punti vendita senza potervi apportare modifiche, salvo espresso accordo di detto produttore. Infatti, in tali circostanze, il produttore non può ragionevolmente ignorare che, alla luce dei vincoli giuridici ed economici che lo uniscono a tali distributori, questi ultimi attuano le sue istruzioni e, in tal modo, la politica adottata da quest’ultimo. Tale produttore deve, pertanto, essere considerato disposto ad assumere i rischi di questo comportamento.

32 In tale ipotesi, l’imputabilità all’impresa in posizione dominante del comportamento attuato dai distributori facenti parte della rete di distribuzione dei suoi prodotti o servizi non è subordinata né alla dimostrazione che i distributori interessati facciano parte anche di tale impresa, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, né all’esistenza di un vincolo «gerarchico» risultante da una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo destinati a tali distributori, idonei ad influire sulle decisioni di gestione che questi ultimi adottano riguardo alle loro rispettive attività.

33 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori facenti parte della rete di distribuzione dei prodotti o dei servizi di un produttore che gode di una posizione dominante possono essere imputati a quest’ultimo, qualora sia dimostrato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente da detti distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori>>.

Circa la seconda , ricordiamo prima la domanda del nostro C.d.S.:

<<34 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, l’autorità garante della concorrenza competente è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare che tali clausole hanno l’effetto di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto l’impresa in posizione dominante e se, in ogni caso, in presenza di una pluralità di prassi controverse, tale autorità sia tenuta ad esaminare in modo dettagliato le analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa interessata, segnatamente ove siano fondate sul criterio detto del «concorrente altrettanto efficiente» >>.

Ripsota della CG:

<< l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, un’autorità garante della concorrenza è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, segnatamente, delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa in posizione dominante riguardo all’inidoneità dei comportamenti in questione ad escludere dal mercato i concorrenti efficienti tanto quanto essa stessa, che tali clausole siano capaci di limitare la concorrenza. Il ricorso al criterio del concorrente altrettanto efficiente ha carattere facoltativo. Tuttavia, se i risultati di un siffatto criterio sono prodotti dall’impresa interessata nel corso del procedimento amministrativo, l’autorità garante della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio>>.

Not every network is a monopoly: sulla concorrenza nei mercati online

dal saggio di uno dei maestri dell’antitrust (che si sta occupando molto dei mercati online)  Hovenkamp Herbert, Gatekeeper Competition Policy (February 4, 2023), intorno alla proposta di legge USA c.d. the American Innovation and Choice Online Act (AICOA)

<<While more studies need to be done, there is little reason today
for thinking that the exercise of market power is more common or
more harmful on online markets than on traditional markets.34 Internet
and traditional markets exhibit differing degrees of competition
depending on the product, including some monopoly. 35 Online firms
are more likely to be networked, and networking can be a source of
market power,36 but it can also result in better products, reduced costs,
or broader access.
Clearly networking can be a source of power because
networked markets appeal to a wider group of customers and can also
have lower costs. In addition to that are direct and indirect network
effects that can make networks appealing.
Not every network is a monopoly, however. Another
phenomenon that the internet facilitates is product differentiation, or
the assembly of different packages of products and other offerings.
For example, Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, TikTok,
Reddit, and others are all social networking sites that are subject to
both direct and indirect network effects. Within a site, they become
more valuable as the number of users increases. They are not natural
monopolies or winner-take-all platforms, however, because of product
differentiation. The same thing can be said of countless newspapers
and other periodicals and dating sites, virtually all of which operate
mainly or exclusively online. (….)

With these realities, the best approach for antitrust policy is
some expansion of duties to deal that take network operational
obligations more seriously. But these rules should apply to every firm
that has substantial market power in a particular networked product or
service, not to a subset that is identified by absolute firm size, and then
without regard to power in a particular product. That approach is both
underinclusive as to firms and overinclusive as to products>>, pp. 10-12.

Abuso di dominanza di Google nel mercato della pubblicià digitale: partita azione di alcuni stati USA

V. la notizia ad es. in Bloomberg law “US Sues Google to Break Up Ad Unit in Escalating Antitrust Fight” e qui il link diretto al pdf dell’atto introduttivo.

Spicca al IX. REQUEST FOR RELIEF, p 139-140, la richiestga di cessione forzosa del ramo di azienda:

<<Order the divestiture of, at minimum, the Google Ad Manager suite, including both Google’s publisher ad server, DFP, and Google’s ad
exchange, AdX, along with any additional structural relief as needed to
cure any anticompetitive harm;>>.

Vedremo.

Qui breve intervista trascritta a Luigi Zingales sul punto in npr.org 26.01.2023 .

Rumble v. Google su abuso di posizione dominante ai danni di concorrente (art. 2 Sherman Act): decisione interlocutoria

Il distretto nord della California con sentenza 29 luglio 2022 , Case 4:21-cv-00229-HSG , Rumble c. Google interviene sull’oggetto con decisione processuale non definitiva.

Lo ricorda Glenn Greenwald in Scheerpost.com il 30.07.2022.

Rumble è una piattaforma di condivisione video (amatoriali e professionali) assai cresciuta di recente: viene quindi naturalmente ostacolata da Youtube/Google.

E’ interessante l’allegazione fattuale di Rumble circa la modalità con cui G. la ostacola:

<< First, by manipulating the algorithms (and/or other means and
mechanisms) by which searched-for-video results are listed, Google
insures [sic] that the videos on YouTube are listed first, and that those
of its competitors, such as Rumble, are listed way down the list on the
first page of the search results, or not on the first page at all.

Second, by pre-installation of the YouTube app (which deters smart phone
manufacturers from pre-installing any competitive video platform
apps) as the default online video app on Google smart phones, and by
entering into anti-competitive, illegal tying agreements with other
smartphone manufacturers to do the same (in addition to requiring
them to give the YouTube app a prime location on their phones’
opening page and making it not-deletable by the user), Google assures
the dominance of YouTube and forecloses competition in the video
platform market
>>

E’ pure interessante la precisazione sui contratti di Google con gli Android-based mobile smart device manufacturers and distributors to ensure its monopoly of the video platform market :

<< Plaintiff alleges that once an Android device manufacturer signs an anti-forking agreement,
Google will only provide access to its vital proprietary apps and application program interfaces if
the manufacturer agrees: “(1) to take (that is, pre-install) a bundle of other Google apps (such as its
YouTube app); (2) to make certain apps undeletable (including its YouTube app); and (3) to give
Google the most valuable and important location on the device’s default home screen (including
for its YouTube app).”
Id. ¶ 85. As another example, Plaintiff asserts that “Google provides a
share of its search advertising revenue to Android device manufacturers, mobile phone carriers,
competing browsers, and Apple; in exchange, Google becomes the preset default general search
engine for the most important search access points on a computer or mobile device.”
Id. ¶ 86.
“And, by becoming the default general search engine, Google is able to continue its manipulation
of video search results using its search engine to self-preference its YouTube platform, making
sure that links to videos on the YouTube platform are listed above the fold on the search results
page.”
Id.; see also id. ¶¶ 161–72 (alleging that Google’s revenue sharing agreements allow it to
maintain a monopoly in the general search market and online video platform market).
Plaintiff alleges that Defendant uses these agreements “to ensure that its entire suite of
search-related products (including YouTube) is given premium placement on Android GMS
devices.”
Id. ¶ 149. Rumble alleges that the agreements “effectuate a tie” that “reinforces
Google’s monopolies.”
Id. ¶ 151. Specifically, Plaintiff alleges that Defendant provides “Android
device manufacturers an all-or-nothing choice: if a manufacturer wants Google Play or GPS, then
the manufacturer must also preinstall, and in some cases give premium placement to, an entire
suite of Google apps, including Google’s search products and Google’s YouTube app.”
Id.
Plaintiff alleges that “[t]he forced preinstallation of Google’s apps (including the YouTube app)
deters manufacturers from preinstalling those of competitors, including Rumble’s app. . . . [and]
forecloses distribution opportunities to rival general search engines and video platforms,
protecting Google’s monopolies.”
Id. Moreover, Plaintiff alleges that “[i]n many cases” the
agreements expressly prohibit the preinstallation of rival online video platforms, like Rumble.
See
id.
¶ 87.
According to Plaintiff, Defendant’s “monopolist’s stranglehold on search, obtained and
maintained through anticompetitive conduct, including tying agreements in violation of antitrust
laws, has allowed Google to unfairly and wrongfully direct massive video search traffic to its
wholly-owned YouTube platform” and therefore secure monopoly profits from YouTubegenerated ad revenue.
Id. ¶ 176. Plaintiff alleges that because “a very large chunk of that video
search traffic . . . should have rightfully been directly to Rumble’s platform,” Plaintiff and content
creators who have exclusively licensed their videos to Rumble “have lost a massive amount of ad
revenue they would otherwise have received but for Google’s unfair, unlawful, exclusionary and
anticompetitive conduct.”
Id >>

Ancora, <<without real dispute, Plaintiff has adequately alleged a Section 2 claim. First, it alleges that Defendant obtained and maintains monopoly power in the online video platform market, asserting that YouTube controls 73% of global online video activity. Id. ¶ 37, 63, 193.   And second, Plaintiff alleges among other things that Defendant, with no valid business purpose or benefit to users, designs its search engine algorithms to show users YouTube links instead of links to its competitors’ sites. Id. ¶ 71; see also ¶¶ 68-74. According to Plaintiff, “Rumble and consumers (e.g. content creators) are disadvantaged, and competition is harmed, in the defined market because Google provides self-preferencing search advantages to its wholly-owned YouTube platform as a part of its scheme to maintain its monopoly power, and to reap a
monopolist’s financial rewards.”
>>

G. avanza un’interessante teoria (inreressante sarebbe capure quale la ragione distratgegia processuale) per cui la domanda avveraria sarebe in realtià triplice in quanto concernernebbe tre vioalzioni. Deduce che due di queste sono inmfomndante e chiede alla corte di procedere solo sulla terza e di chiudere invece il processo sulle prime due.

La Corte rigetta questa istanza processuale

La posizione dominante è abusiva quando incide sulla struttura concorrenziale del mercato, a prescindere da un effettivo danno ai consumatori

Importante sentenza della Corte di Giustizia sul tema in data 12.05.2022, C-377/20, proveniente dalla lite italiana tra AGCM e gruppo Enel.

L’AGCM aveva <<accertato che il SEN e la EE, con il coordinamento della loro società madre ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 TFUE, sui mercati della vendita di energia elettrica ai clienti domestici e non domestici connessi alla rete a bassa tensione, nelle aree in cui il gruppo ENEL gestiva l’attività di distribuzione. Di conseguenza, l’AGCM ha inflitto alle società summenzionate, in solido tra loro, una sanzione pecuniaria per un importo pari a EUR 93 084 790,50>>, § 9.

La sentenza della CG andrà studiata con attenzione da chi dovrà occuparsi di abuso di dominanza.

Qui ricordo solo alcuni passaggi sulla 2° questione pregiuduiziale (probabilmente la più importante a livello teorico).

Tale questione, sollevata dal Consuiglio diSTato, era così formulata: <<Se la funzione dell’abuso [rectius: del divieto di abuso] sia di massimizzare il benessere dei consumatori, di cui il giudice debba misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione; oppure se l’illecito concorrenziale abbia il compito di preservare di per sé la struttura concorrenziale del mercato, al fine di scongiurare la creazione di aggregazioni di potere economico ritenute comunque dannose per la collettività>>.

La CG scioglie il dubbio nel secondo senso:

<<44   Tra tali regole, lo scopo più specificamente assegnato all’articolo 102 TFUE è, secondo una costante giurisprudenza, quello di evitare che i comportamenti di un’impresa che detiene una posizione dominante abbiano l’effetto, a danno dei consumatori, di ostacolare, ricorrendo a mezzi o a risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, la conservazione del grado di concorrenza esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza [v., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36, punto 91; del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 24, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 148 e giurisprudenza ivi citata]. In tal senso, come constatato dalla Corte, tale disposizione mira a sanzionare non soltanto le pratiche che possono provocare un danno diretto ai consumatori, ma anche quelle che li danneggiano indirettamente pregiudicando la struttura di effettiva concorrenza (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione, C‑95/04 P, EU:C:2007:166, punti 106 e 107, e del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C‑52/09, EU:C:2011:83, punto 24). (…)

46      Ne consegue, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 100 delle conclusioni, che il benessere dei consumatori, sia intermedi sia finali, deve essere considerato l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale del medesimo. Per tale ragione, come già dichiarato dalla Corte, un’impresa che detiene una simile posizione può provare che una pratica escludente non incorre nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, segnatamente dimostrando che gli effetti che tale pratica può produrre sono controbilanciati, se non superati, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità o di innovazione [v., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 134 e 140, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 165 e giurisprudenza ivi citata].

47      Pertanto, un’autorità garante della concorrenza assolve l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare, ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza, senza che sia necessario che la medesima dimostri che detta pratica ha, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai consumatori. L’impresa dominante in questione può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica di cui trattasi è controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori>>

Ne segue che << l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare se una pratica costituisca uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, è sufficiente che un’autorità garante della concorrenza dimostri che tale pratica è idonea a pregiudicare la struttura di effettiva concorrenza sul mercato rilevante, a meno che l’impresa dominante in questione non dimostri che gli effetti anticoncorrenziali che possono derivare da detta pratica sono controbilanciati, se non superati, da effetti positivi per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità e di innovazione.>>

Ne segue che <<deve essere considerata non sufficiente, di per sé, la prova, addotta dall’impresa in questione, che tale condotta non ha prodotto effetti restrittivi concreti. Tale elemento può costituire un indizio dell’incapacità della condotta in questione di produrre effetti anticoncorrenziali, il quale, tuttavia, dovrà essere integrato da altri elementi di prova volti a dimostrare tale incapacità. cuio la condotta non jha porodotto effetti restrittivi concreti>>, § 58, 3° questione.

Rifiuto di Apple di inserire applicazioni di terza parte sul suo marketplace: non è abuso di dominanza

Un tribunale californiano esamina la domanda giudiziale di un soggetto le cui applicazioni sono escluse dal marketplace di Apple

Si tratta del distretto nord della California, 30 novembre 2021 , Case No. 21-cv-05567-EMC, Coronivirus reportter e altri c. Apple .

Si trattava soprattutto di applicazioni per finalità sanitarie tra cui la gestione di dati sull’infezione da covid-19.

La domanda era basata su violazione dello sherman act e di contratto.

La domanda in antitrust è respinta sia per motivi processuali (insufficiente definizione del mercato rilevante; “implausibilità” del claim, secondo le regole  processuali ) sia nel merito.

Circa quest’ultimo egli aveva l’onere di allegare un danno <<to “competition in the market as a whole”—such as marketwide  reduction in output or increase in prices—“not merely injury to itself as a competitor” in the market>>, p. 22.15-17.

La sua allegazione era:

“Apple’s refusal to sell notarization stamps or onboarding
software . . . is intended to harm competition app developers,
like Plaintiffs and Class Members.” FAC ¶ 173.
• “The artificial monopoly created by notarization stamps and
software onboarding results in damages to nearly twenty
million proposed class members of approximately one
thousand dollars each. . . When the stamps aren’t issued,
further damages accrue from lost app revenues. . . In China,
‘open’ app stores are ten times the size of Apple’s App Store
in China.” FAC ¶ 174.
• “Much damage is done to the overall competition within the
institutional app markets, as a result of Apple’s
anticompetitive practices in userbase access, notarization and
onboarding. But the damages extend beyond those markets,
into the overall US economy, and even public health
response, in the case of Coronavirus Reporter.” FAC ¶ 179
• “Apple’s conduct and unlawful contractual restrains harm a
market that forms a substantial part of the domestic
economy, the smartphone enhanced internet device app
market.” FAC ¶ 200.

Il tribuale però ritiene non rispetti il requisito di cui sopra.

Sentenza alquanto ragionata e utile per eventuale approfondimento.

Uno dei massimi esperti USA suggerisce l’adozione nel suo paese della disciplina europea dell’abuso di posizione dominante : v. il breve ma chiaro articolo 20.12.2021 di Hovenkamp in promarket.org.

Sentenza milanese sulla riscossione dell’equo compenso da sfruttamento cinematografico ex art. 46 bis l. aut.

Viene fatta circolare ora Trib, Milano n° 7903/2020 del 03.12.2020, Rg 57224/2018, Sky italia c. SIAE ,che decide la lite sulla raccolta del compenso ex art. 46 bis l. aut.

I punti principali:

– tale raccolta non rientra nell’esclusiva di legge a favore della SIAE (dopo la dir. UE 26/2014 e il d. lgs. 35/17)

– la richiesta generalizzata dei compensi in mancanza di esclusiva ex lege e di incarico contrattuale costituisce abuso di posizione dominante nel mercato, merceologicamente determinato nel <<mercato specifico che attiene alla riscossione e ripartizione dell’equo compenso previsto dall’art. 46 bis l.a. che si pone in via del tutto autonoma ed indipendente rispetto ad altri diritti.>>, p. 19

<<Se infatti è del tutto pacifico in atti che attualmente SIAE gestisce la riscossione di tutti i proventi ex art. 46 bis l.a. per la totalità degli autori delle opere cinematografiche utilizzate dalle emittenti e cioè anche di quelli dovuti ad autori ad essa non associati o che non abbiano ad essa conferito alcun mandato la mancanza di una riserva legale che giustifichi l’attività di un unico ente di riscossione consente di individuare l’esistenza di un mercato concorrenziale potenziale che vale ad integrare un  ambito di sostituibilità dell’offerta di tali servizi da parte degli altri operatori indicati nel d.lsvo 35/17 (organismi di gestione collettiva ed enti di gestione indipendente).>>

La condotta di SIAE costituituisce abuso di posizione dominante laddove <<si è presentata dinanzi agli utilizzatori deelle opere cinematografiche come unico ente di riscossione dell’equo compenso con funzione di ripartizione di esso rispetto alla generalità degli autori delle opere stesse, a prescindere dall’esistenza di un rapposto volontario di rappresentanza ad essa conferito da ciascuno di essi in base alla manifestata volontà di associazione a SIAE o di conferire ad essa specifico mandato>>, 21-22

Tra le parti (e a seguito di precedente processo) era stata stipulato accordo nel 2015 che stabiliva gli obblighi di SKY per l’equo compenso cinema. Che SKY l’avesse liberamente sotto scritto non fa venir meno la sua impugnabilità: v. ad es. Corte giustizia 20.09.2001, C-453/99, caso Courage , come pure è pacifico se lo si ritiene nullo per violazione di norma imperativa (il passaggio sulla nullità: <<La clausola abusiva posta in essere da soggetto in posizione dominante viola in effetti l’ordine pubblico del mercato e la necessaria razionalità del suo assetto, violazione che connota il patto negoziale in termini di illiceità cui consegue la sua nullità (virtuale). La natura escludente dell’abuso induce infatti a ritenere l’esistenza di causa illecita, non già la mera violazione di una regola di comportamento.  L’eccezione di nullità dell’Accordo 13.2.2015 ai sensi dell’art. 1418 c.c.deve dunque essere ritenuta fondata >>, p. 23).

A maggiore ragione non fa venir meno l’impugnabilità (cioè non costituisce un venire contra factum proprium) la libera sottoscrizione del predetto accordo: infatti non era probabilmente tanto “libera”, se conseguente ad esercizio abusivo di posizione dominante

Infine, è processualmente  interessante la dichiarazione di inammissibilità e l’ordine di espunzione dal fascicolo (“dal giudizio”) dei doceumenti tardivamente introdotti.   Resta da vedere come si concretizzerà l’espunzione

Rigettata (per ora) la domanda antitrust della FTC statunitense contro Facebook

Leggo in post odierno del prof. Hovenkamp su promarket.org che sono state rigettate le domande giudiziali della FTC Federal Trade Commission  e degli Attorney General statali separatamente presentate contro Faceook: v. sentenze 28 giugno 2021 reperibili qui e rispettivamente qui (link forniti dal cit. post dell’illustre studioso).

La censura si appunta sulla misurazione del market share:

<<Even accepting that merely alleging market share “in excess of 60%” might sometimes be acceptable, it cannot suffice in this context, where Plaintiff does not even allege what it is measuring. Indeed, in its Opposition the FTC expressly contends that it need not “specify which . . . metrics . . . [or] ‘method’ [it] used to calculate Facebook’s [market] share.” FTC Opp. at 18.  In a case involving a more typical goods market, perhaps the Court might be able to reasonably infer how Plaintiff arrived at its calculations e.g., by proportion of total revenue or of units  sold. See U.S. Dep’t of Justice & FTC, Horizontal Merger Guidelines § 5.2 (2010) (suggesting these to be the typical methods). As the above marketdefinition analysis underscores, however, the market at issue here is unusual in a number of ways, including that the products therein are not sold for a price, meaning that PSN services earn no direct revenue from users. The Court is thus unable to understand exactly what the agency’s 60%plus figure is even referring to, let alone able to infer the underlying facts that might substantiate it.  

Rather than undergirding any inference of market power, Plaintiff’s allegations make it even less clear what the agency might be measuring. The overall revenues earned by PSN services cannot be the right metric for measuring market share here, as those revenues are all earned in a separate market viz., the market for advertising. See Redacted Compl., ¶ 164; see also, e.g., id., ¶ 101 (noting that prior to its acquisition, in addition to competing in the PSN services market, “Instagram also planned and expected to be an important advertising competitor” to Facebook). Percent of “daily users [or] monthly users” of PSN services metrics the Complaint mentions offhandedly, see Redacted Compl., ¶¶ 3, 97 are not much better, as they might significantly overstate or understate any one firm’s market share depending on the various proportions of users who have accounts on multiple services, not to mention how  often users visit each service and for how long>> (v. a p. 28-29).

Ottimista (dal punto di vista della FTC) ciò nonostante  è il post 19 luglio del prof. Newman su promarket.org.