Accettazione tacita dell’eredità e atti a rilevanza fiscale: la denuncia di successione ha effetti minori della domanda di voltura catastale

Cass. sez. III, 13 Agosto 2024, n. 22.769, rel. Rossi:

<<L’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal compimento di atti di natura non meramente fiscale (come la denuncia di successione), ma al contempo fiscali e civili (come la voltura catastale), esclusivamente se posti in essere dal chiamato o a questo riferibili in via mediata, per conferimento di delega ovvero per svolgimento di mansioni procuratorie o attraverso negotiorum gestio, seguiti da ratifica dell’interessato; pertanto, non è configurabile l’accettazione tacita in caso di omessa identificazione del soggetto che ha conferito la delega o successivamente ratificato l’operato di chi ha in concreto compiuto l’atto>>

(massima ufficiale)

L’accettazione di eredità è irrevocabile

Cass. sez. III, sent. 16/01/2024 n. 1.735, rel. Fanticini:

<<13. In difetto di un accertamento giudiziale (tantomeno come res iudicata) sulla mancata acquisizione della qualità di erede (tesi che, invece, sostengono infondatamente i ricorrenti), la perdita del diritto di accettare l’eredità (al pari della rinuncia espressa alla medesima) deve reputarsi priva di effetti se intervenuta dopo l’acquisto della qualità di erede; in proposito, si richiama la puntuale statuizione di Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 15663 del 23/07/2020, Rv. 658738-01: “L’atto di accettazione dell’eredità, in applicazione del principio semel heres semper heres, è irrevocabile e comporta in maniera definitiva l’acquisto della qualità di erede, la quale permane, non solo qualora l’accettante intenda revocare l’atto di accettazione in precedenza posto in essere, ma anche nell’ipotesi in cui questi compia un successivo atto di rinuncia all’eredità.”>>.

REgola risaputa, nulla di nuovo.

Che poi prosegue.

14. Non sussiste, dunque, alcuna preclusione alla domanda di accertamento dell’accettazione tacita dell’eredità da parte di Cl.Bo. (in un momento antecedente alla tacita rinuncia derivante dallo spirare del termine ex art 481 cod. proc. civ.) e, di conseguenza, dell’acquisizione al patrimonio della stessa Bo. dei beni oggetto di pignoramento>>.

Impugnazione creditoria della rinuncia all’eredità fino a che non maturi la prescrizione decennale del diritto di accettare

Cass. sez. II 28 agosto 2023 n. 25.347, rel. Amato:

<<Si è discusso sulla questione della possibilità di applicazione del rimedio ex art. 524 c.c. a favore dei creditori soltanto in presenza di una rinunzia “formale” oppure anche nelle ipotesi di decadenza del chiamato dal diritto di accettare l’eredità a seguito dell’esperimento dell’actio interrogatoria ex art. 481 c.c. o ai sensi dell’art. 487, comma 3, c.c., ovvero nel caso di maturata prescrizione. Pur trattandosi di questioni dibattute in dottrina, si rileva che nella giurisprudenza di questa Corte – contrariamente a quanto sostenuto in sentenza (p. 7) – si è affermata la tesi estensiva con riferimento al meccanismo decadenziale previsto dall’art. 481 c.c. (Cass. Sez. 3, n. 7735 del 29.03.2007, punto 6.1.: (…)”da un lato, secondo l’art. 481 c.c., chiunque vi abbia interesse, e perciò pure chi se ne affermi creditore, può chiedere che al chiamato all’eredità sia fissato un termine nel quale dichiarare se accetta o rinuncia all’eredità; dall’altro, se rinunci o lasci trascorrere il termine senza accettare, ciò che comporta l’effetto che egli perda il diritto di accettare, l’art. 524 c.c. mette a disposizione dei creditori del chiamato lo strumento dell’azione di impugnazione della rinuncia”).

La stessa giurisprudenza, in linea con l’opinione dominante in dottrina, esclude – invece – il ricorso all’impugnazione ai sensi dell’art. 524 c.c. allorquando il diritto di accettare l’eredità si sia prescritto ai sensi dell’art. 480 cod civ.: “L’azione ex art. 524 c.c. è ammissibile unicamente ove i creditori abbiano richiesto, ai sensi dell’art. 481 c.c., la fissazione di un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all’eredità quando non sia ancora maturata la prescrizione del diritto di accettare l’eredità ex art. 480 c.c. In caso contrario si finirebbe per rimettere impropriamente in termini i creditori, anche con evidente pregiudizio dei successivi accettanti che confidano nella decorrenza di un termine prescrizionale per l’azione dei creditori inferiore a quello ordinario decennale” (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 15664 del 23.07.2020; Cass. Sez. 2, n. 33479 dell’11.11.2021)>>.

(sentenza segnalata da Ondif)

Onere della prova della qualità di erede nella prosecuzione del rapporto processuale

In caso di decesso della parte pendente lite, a chi spetta l’onere di provare la qualità di erede (o l’assenza  della stessa) in colui che è  chiamato in causa in riassunzione o tramite impugnazione (come nel caso de quo)?

Per Cass. 13.851 del 06.07.2020 , rel. Graziosi, spetta al chiamato all’eredità. Precisamente spetta al chiamato, che sia destinatario di un atto di impulso prcessuale proveniente dalla parte non colpita da evento interruttivo, provare l’assenza della propria qualità di erede .

Ciò naturalmente , sempre che la parte, non colpita dall’evento interruttivo, abbia individuato il presunto erede in base ad un titolo <<allo stato>> sufficiente, cioè dotato di sufficiente apparenza: ad es. in base ad una precisa delazione ereditaria, la quale ha un lungo termine prescrizionale, sicchè la controparte non puà stare ad attenderne il decorso per proseguire il processo (nella sentenza sono ricordati pure l’altra opinione , secondo cui spetta alla parte non colpita dall’evento provare in modo completo la qualità ereditaria).

La soluzione può forse condividersi.

Nonlo può invece il discorso sulla <vicinanza alla prova>.

Questa non è una deroga alla regola posta dall’art. 2697, come vuole invece la SC, laddove dice: <<Allora la prossimità/vicinanza della prova trae le conseguenze dalla peculiare natura di fattispecie in cui di una ordinariamente agevole possibilità di fornire la prova fruisce una parte soltanto, svincolando dall’usuale canone di ripartizione degli oneri probatori delineato dall’art. 2697 c.c.>>

La vicinanza alla prova, invece, è un criterio di integrazione dell’art. 2697 cc laddove non è chiara la distizione tra fatti costitutivi , da una parte, e fatti modificativi/estintivi, dall’altra.    Concorda A. Mondini, Contro il criterio di vicinanza alla fonte di prova come opzione disapplicativa dell’art. 2697 c.c., annotando la sentenza in Foro it., ed. online, 2021 (già il titolo della nota chiarisce l’opinione dell’a.).

Difesa nel merito degli eredi contro il Fisco: vale accettazione tacita?

Precisazioni sempre utili sul tema in oggetto da Cass. sez. trib. 29.10.2020 n. 23989.

Gli eredi, che si difendono nel merito impugnando un atto di accertamento fiscale emesso a loro carico quali eredi, compiono un’acccettazione tacita (per cui la successiva rinuncia è priva di effetto). Ciò purchè l’impugnazione sia stata proposta <<senza contestare l’assunzione di tale qualità e, quindi, il difetto di titolarità passiva della pretesa>>.

Quest’ultima precisazione è decisiva e non è stata evidenziata adeguatamente nella divulgazione giornalistica, anche giuridica.

Se infatti la prima difesa è quella della carenza di legittimazione passiva per assenza della qualità ereditaria e se la difesa nel merito è dunque subordinata, non è ravvisabile alcuna accettazione tacita.

Questo il passaggio:

<<§ 3.6 Partendo da tali premesse, questa Corte ha ritenuto che, qualora i chiamati all’eredità abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius o si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non siano configurabili ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità (Cass., sez. 3, 3/08/2000, n. 10197).

Qualora, invece, i chiamati all’eredità, come nel caso di specie, abbiano impugnato un atto di accertamento emesso nei loro confronti in qualità di eredi dell’originario debitore, senza contestare l’assunzione di tale qualità e, quindi, il difetto di titolarità passiva della pretesa, ma censurando nel merito l’accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria, deve ritenersi che essi abbiano posto in essere un’attività che non è altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, atteso che tale comportamento esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario>>

Poi la SC si spende per ricordare un’ovvietà, dimenticata -pare- dal giudice a quo:

<< Nè a tale conclusione vale obiettare, come ritenuto dalla Commissione tributaria centrale, che gli eredi del T. hanno prodotto atto di rinuncia all’eredità formalizzato con atto pubblico dinanzi al Notaio. Infatti, è pur vero che, in base all’art. 521 c.c., comma 1, “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”, con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente – cioè a far data dall’apertura della successione -l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario. Va, tuttavia, considerato che, nel caso di specie, l’atto di rinuncia all’eredità, essendo intervenuto successivamente all’impugnazione degli avvisi di accertamento, è, in realtà, privo di effetti, per essere i chiamati all’eredità decaduti dal relativo diritto in quanto già accettanti in dipendenza del comportamento dagli stessi tenuto, posto che la mancata contestazione della loro qualità di eredi configura accettazione tacita dell’eredità (in senso conforme, questa Corte con la sentenza n. 13384 del 8 giugno 2007 ha ritenuto che configurasse accettazione tacita dell’eredità, inconciliabile con la successiva rinuncia, il fatto del chiamato che era rimasto contumace in due giudizi di merito concernenti beni del de cuius e, nella fase d’appello e informalmente, mediante uno scritto, aveva dichiarato il disinteresse alla lite; in senso conforme Cass., sez. L., 18/01/2017, n. 1183)>>.