Pregevole insegnamento in Cass. sez. un. n° 5657 del 23.02.2023, rel. Rossetti, sull’oggetto.
La chiarezza del dr. Rossetti è sempre apprezzabile, soprattutto su temi specialistici e quindi complessi, come quello sub iudice.
Allora subito evidenzio la bacchettata alla dottrina che complica troppo: <<Prima di stabilire se una clausola come quella oggetto del presente giudizio patto costituisca o meno uno “strumento finanziario derivato” reputa questa Corte doveroso premettere di non potere seguire le nimiae subtilitates con cui parte della dottrina ha proposto infinite distinzioni e sottodistinzioni in tema di strumenti finanziari derivati.
Compito del giudice di legittimità è infatti assicurare “l’esatta interpretazione della legge”, e l’esatta interpretazione consiste nel sussumere le nuove fattispecie concrete, fino a quando sia possibile, in categorie giuridiche note, piuttosto che partorirne continuamente di nuove>>. Difficile dissentire, anche se si trattasse di giudice del merito.
Il contratto:
<< 2. Il contratto di leasing prevedeva che:
a) la valuta nominale di riferimento del contratto fosse il franco svizzero;
b) la società utilizzatrice rimborsasse il finanziamento in Euro;
c) il rimborso dovesse avvenire in 15 anni, mediante pagamento di un anticipo, di 179 rate mensili di Euro 4.487,60 ciascuna (termine poi prorogato in corso di esecuzione del contratto), e di un prezzo finale di riscatto;
d) la rata dovuta dall’utilizzatrice alla concedente potesse aumentare o diminuire in funzione di due variabili:
d’) sia in funzione della variazione del tasso “LIBOR 3 mesi – CHF”; d’) sia in funzione delle variazioni del tasso di cambio tra l’Euro e il franco svizzero.
3. Il modo e la misura in cui il canone di leasing dovesse variare erano stabiliti dal contratto come segue:
a) la rata poteva variare sia in aumento che in diminuzione;
b) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del tasso LIBOR era illimitata in aumento, e limitata in diminuzione (non oltre due punti in meno dell’indice di base), e si sarebbe applicata a partire dal canone in scadenza nel mese in cui si era verificata la variazione del tasso LIBOR;
c) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro era illimitata sia in aumento che in diminuzione;
d) la misura della variazione del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro doveva determinarsi con una formula matematica, pari al canone, diviso per il cambio al momento del pagamento della rata, e moltiplicato per la differenza tra cambio storico (cioè il cambio fissato convenzionalmente dalle parti alla stipula del contratto) e cambio alla scadenza del canone.
Unica differenza tra l’ipotesi di apprezzamento del franco e quella di apprezzamento dell’Euro in corso di contratto era che nel primo caso (apprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del debitore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al netto dell’IVA, e nel secondo caso (deprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del creditore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al lordo dell’IVA;
e) infine, il contratto prevedeva che eventuali variazioni del canone non avrebbero comportato l’aumento o la diminuzione della rata mensilmente dovuta, ma sarebbero state regolate a parte, con periodiche rimesse reciproche tra le parti.>>
– Motivo della rimessione per le SU:
<< La suddetta ordinanza, dopo aver ravvisato l’esistenza di contrastanti decisioni di questa Corte circa la validità di clausole come quella oggetto del presente giudizio, ha ritenuto non persuasivo l’orientamento che nega alle clausole suddette la qualificazione di “derivati impliciti”, e sollecita queste Sezioni Unite a stabilire, siccome questioni di massima di particolare importanza:
a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una “scommessa”, o comunque abbia una finalità speculativa;
b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, “inquinandola”, ed in questo caso con quali effetti;
c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente.>>
Alcuni passaggi significativi:
– << Questa Corte ha già stabilito che il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa.
Secondo la Relazione al Codice civile la meritevolezza è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia (ex aliis, Sez. U -, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4223 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4224 del 17/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017).
Ed il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, II capoverso)>>.
Profilo importante però , in sostanza, immotivato.
– §§ 2.3 segg.: sul perchè la calusola de qua non è immeritevole. Ragionamento condivisibile.
§ 2.5: <<Tali considerazioni, svolte solo a mò d’esempio, corroborano la conclusione che il giudizio di “immeritevolezza” d’un contratto, ex art. 1322, comma 2, c.c., non può essere formulato in astratto ed ex ante, limitandosi a considerare il solo contenuto oggettivo dei patti contrattuali, ma va compiuto in concreto ed ex post, ricercando – beninteso, iuxta alligata et probata partium – lo scopo perseguito dalle parti>>.
Non è così: la valtuaizone non è mai ex post, è sempre ex ante, essendo un vizio genertico e non funzinale: vero è che deve considerare la futura ipotetica esecuzione del contratto (il che è ovvio). Probabilmente una svista .
Questo sulla teoria del contratto. Poi passa allo specifico stipulato
– il § 5 distingue tra <derivato implicito> e <clausola di indicizzazione>. E’ la parte più interessante e per lo più condivisibile.
– secco al § 5.1: <<5.1. Una clausola inserita in un contratto di leasing, la quale faccia dipendere gli interessi dovuti dall’utilizzatore dalla variazione di un indice finanziario insieme ad un indice monetario, in un caso come quello di specie, non è uno strumento finanziario derivato, e tanto meno un “derivato implicito”>>. Ciò sia in base al testo del TUF ratione temporis applicabile sia in abase all’attuale, §§ 5.2 segg.
– il § 5.7 spiega il funzionamento economico del finanziamento in valuta estera:
<< 5.7. La corretta qualificazione giuridica di clausole come quella oggetto del presente giudizio deve muovere del rilievo che il contratto oggetto del contendere aveva ad oggetto una operazione reale (leasing); prevedeva che il valore del debito complessivo dell’utilizzatore fosse determinato in franchi svizzeri, e accordava all’utilizzatore la facoltà di pagare in Euro.
Il contratto di leasing ha ovviamente sempre una funzione (anche) di finanziamento, ed un finanziamento può legittimamente essere concesso in valuta nazionale od in valuta estera.
Un finanziamento in valuta estera ha lo scopo di evitare i rischi connessi alla svalutazione della moneta nazionale (e cioè il rischio della svalutazione per il creditore, e il rischio della rivalutazione per il debitore).
Un finanziamento in moneta estera può avvenire con due modalità:
a) la prima modalità è prevedere che l’indebitamento venga direttamente denominato ed erogato nella valuta estera (ad es., il concedente acquista l’immobile in franchi, e lo dà in locazione finanziaria all’utilizzatore, che avrà facoltà di pagare in franchi o in Euro, secondo la previsione dell’art. 1278 c.c.);
b) la seconda modalità è esprimere sia la provvista erogata dal concedente, sia le rate dovute dall’utilizzatore in valuta domestica, ma agganciarne il valore al rapporto di cambio con una valuta estera.
In questo modo si realizza indirettamente lo stesso risultato della pattuizione sub (a).
In conclusione, un finanziamento (non importa se in forma di mutuo o di leasing) il cui importo è parametrato ad un rapporto di cambio è un debito di valore e non di valuta.
La clausola di cui si discorre dunque non è che una normale clausola-valore, attraverso la quale le parti individuano il criterio al quale commisurare la prestazione del debitore.
Pertanto:
-) l’aleatorietà del contratto, lungi dal costituire un indice della presenza d’un “derivato implicito”, non è che un effetto naturale d’una altrettanto normale clausola-valore;
-) la previsione che eventuali conguagli a favore dell’una o dell’altra parte fossero regolati a parte, e non incidessero sul valore della rata (che restava costante) non è che una modalità esecutiva delle reciproche obbligazioni, insuscettibile di riverberare effetti di sorta sulla qualificazione del contratto. Il titolo dell’obbligazione infatti non muta solo perché cambi il termine di adempimento. Del resto, il creditore ha facoltà di accettare un adempimento parziale (art. 1181 c.c.) o di rinunciare al termine stabilito a suo favore (art. 1185 c.c.), e ciò dimostra che la possibilità di regolare a parte alcune delle obbligazioni e non altre, oppure una aliquota dell’unica obbligazione, è un effetto normale dello statuto delle obbligazioni civili.>>
– § 6 : la clausola <rischio di cambio> non snatura il tipo astrattamente pattuito (leasing)
- principi di diritto: << 8. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in differente composizione, la quale tornerà ad esaminare l’appello proposto dalla RPS applicando il seguente principio di diritto:”il giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà“.
9. Va, infine, formulato nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto:
“La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/98″ >>.
Sentenza importante, che tocca temi di vertice nel diritto dei contratti, già oggetto di pregevoli commenti (ad es. D’Amico in I contratti, 2023/3, 260 ss.)