Vendere informazioni aggregate, pur tratte da fonti in cui erano già state pubblicate (pubblici registri), costituisce trattamento diverso ed ulteriore, per cui va acconsentito. L’aggregazione infatti costituisce una diversa lesione della diritto alla protezione dati, poichè si amplia la sfera di possibile conoscenza delle informazioni stesse.
Così suppergiù Cass. 13.01.2021 n. 368, rel. Caradonna, su ricorso ex art. 152 cod. privacy del 2014 (quindi ante GDPR e ante d lgs. 101 del 2018), eccependo soprattutto la violazione della regola di pertinenza e di non eccedenza.
Precisamente osserva la SC: <<Questa Corte ha affermato che in tema di trattamento dei dati personali, il D.Lgs. n. 196 del 2003 (nella versione applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101) ha ad oggetto della tutela anche i dati già pubblici o pubblicati, poichè colui che compie operazioni di trattamento di tali informazioni, dal loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio può ricavare ulteriori informazioni e, quindi, un valore aggiunto informativo, non estraibile dai dati isolatamente considerati, potenzialmente lesivo della dignità dell’interessato (ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 1 e dell’art. 2 Cost.), valore sommo a cui è ispirata la legislazione sul trattamento dei dati personali (Cass., 25 giugno 2004, n. 11864).
Affermazione ineccepibile.
Prosegue poi ricordando che <<nella gerarchia dei valori costituzionalmente tutelati la dignità dell’interessato è ritenuta preminente rispetto all’iniziativa economica privata che, secondo l’art. 41 Cost., non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana (Cass., 8 agosto 2013, n. 18981)>>