Poco chiara sentenza della SC sul tema del patto in oggetto, relativo al periodo successico allo scioglimento del rapporto, regolato dalla’rt. 2125 cc.
Si tratta di Cass. 23.723 del 01.09.2021, Canova c. Adecco , rel. Cinque.
La particolarità stava nel fatto che era stato pure stipulato il recesso da tale patto a favore del datore, che venne di fatto esercitato sei anni prima dello scioglimento del rapporto.
La Corte di merito avedva rilevato <<che il patto de quo era sottoposto ad una condizione potestativa a favore di parte datoriale, che si era riservata, al momento della risoluzione del rapporto, di decidere se avvalersene o meno e che una siffatta clausola era stata ritenuta nulla, per contrasto con norme imperative, in sede di legittimità. Tuttavia, la Corte territoriale ha sottolineato che, nella fattispecie, il contrasto con le norme imperative non era ravvisabile perché il datore di lavoro aveva esercitato il diritto di recesso ben sei anni prima della risoluzione del rapporto di lavoro per cui la lavoratrice non aveva subito alcun sacrificio, in relazione alla facoltà di riorganizzare il proprio futuro lavorativo e da indennizzare con la indennità pretesa>>, § 2.
Così risponde la SC: <Invero, è stato affermato che la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative; inoltre, è stato altresì precisato, sempre con la richiamata giurisprudenza di legittimità, che il fatto che, nella fattispecie, il recesso del patto di non concorrenza sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro non rileva, poiché i rispettivi obblighi si sono cristallizzati al momento della sottoscrizione del patto, il che impediva al lavoratore di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimeva la sua libertà; ma detta compressione, appunto ai sensi dell’art. 2125 cc, non poteva avvenire senza l’obbligo di un corrispettivo da parte del datore: corrispettivo che, nella specie, finerebbe per essere escluso ove al datore stesso venisse concesso di liberarsi ex post dal vincolo (cfr. Cass. n. 3 del 2018)>>
Tali argomentazioni rendono, conseguentemente, non condivisibile l’assunto della Corte territoriale <<secondo cui, la circostanza che il recesso fosse avvenuto in costanza di rapporto di lavoro, addirittura diversi anni prima (oltre sei) dallo scioglimento dello stesso, non concretizzava alcuna compressione della libertà del lavoratore di progettare il proprio futuro lavorativo. 8. Pertanto, premesso che l’obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge, nella fattispecie, sin dall’inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 8715 del 2017), tamquam non esset va considerata la successiva rinuncia al patto stesso appunto perché, mediante questa, si finisce per esercitare la clausola nulla, tramite cui la parte datoriale unilateralmente riteneva di potersi sciogliere dal patto, facendo cessare ex post gli effetti, invero già operativi, del patto stesso, in virtù di una condizione risolutiva affidata in effetti a
mera discrezionalità di una sola parte contrattuale (Cass. n. 3 del 2018).>>
Certamente erra la corte di appello nel vanificare la nullità con la tempestività del recesso.
Dubbio invece che il diritto di recesso renda nullo il patto di non concorrnza: lo stesso allora potrebbe dirsi per qualunque pattuizione di recesso aggiunta ad un contratto. Come patto accessorio, andrebbe probabilmente vagliato ai sensi dell’art. 1419 cc sulla nullità parziale.
Infine, se si tien ferma la nullità, dovrebbe discenderne il diritto alle restituzioni (prestazioni già eseguite) e l’estinzione degli obblighi (prestazioni ancora da eseguire).