Trib. Milano 14-09.2021, RG 22523/2017, n° 7286/2021, affronta alcune questioni di cuia ll’oggetto nella lite promossa dalla Curatela fallimentare contro alcuni amministratori ex artt. 2393-2394 cc (era però una s.r.l.)
Interessano le affermazioni relative alle due domande azionate in causa (per vero, interesserebbe pure la loro applicazione ai fatti di causa, qui però non possibile):
1) <<Ciò posto, ritiene il Tribunale che, quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi n violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degliamministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservativedell’ integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi, o di operazioniassimilabili (v. postea) ….
A conforto di tali conclusioni sovvengono, con riferimento alla responsabilità degli amministratori,considerazioni relative a principi già immanenti ma ormai positivizzati nel sistema, ed in particolareche, a fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametrogestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo diconservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par.23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia dellagaranzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamentodella crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi diristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere ilfallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).D’altro canto, significativamente, il danno prospettabile sia con riferimento all’azione ex art. 2394 c.c.– ove concepita, come prevalentemente riconosciuto, quale azione diretta ed autonoma, nonsurrogatoria, cui è legittimato ciascun creditore -, sia con riferimento al danno da pagamentopreferenziale è comunque costituito dalla minor soddisfazione che il credito riceve per effetto delcompimento dell’atto illegittimo , chiaro sintomo, questo, della operatività del principio di parcondicio creditorum in presenza di insufficienza patrimoniale. La stessa determinazione del danno secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali (art. 2486, comma 2, c.c.) – portato positivo diuna precedente elaborazione giurisprudenziale poliennale – consiste in una diminuzione patrimoniale in danno anzitutto dei creditori e si sostanzia in una tutela della par condicio creditorum, andando il risarcimento ottenuto dalla procedura ad incrementarne l’attivo distribuibile>>, pp. 11 e 13.
2) <<Deve essere accolta parzialmente, per quanto di ragione, la domanda risarcitoria proposta dalFallimento con riferimento all’addebito sub B), ovvero il danno costituito da sanzioni irrogate edinteressi maturati in relazione all’omesso pagamento, da parte della Società in persona degliamministratori, dei debiti fiscali e contributivi. Ha dedotto il Fallimento che gli amministratori hanno preferito pagare altri creditori, invece che l’Erario, creditore privilegiato, soprattutto considerando che tali omissioni comportano altrettantiilleciti amministrativi cui accedono consistenti sanzioni ed applicazioni di interessi. I convenuti hanno molto genericamente fatto appello alla discrezionalità gestoria degli amministratoried all’impossibilità di pagare quando la società si trova in situazione di crisi. Osserva il Tribunale che la discrezionalità degli amministratori trova un limite naturale nel rispetto dispecifiche e tassative norme di legge la cui violazione integra un illecito amministrativo assistito dallerelative sanzioni, quali sono (tra le altre) le norme che prevedono i pagamenti di imposte, tasse e contributi. I nvero questo Tribunale ha costantemente affermato: “La condotta degli amministratori caratterizzata dalla perdurante violazione degli obblighi tributari è gravemente inadempiente rappresentando uno dei primi doveri dell’amministratore il rispetto degli obblighi contributivi e fiscali” . Inoltre, accertato il mancato pagamento delle imposte, spetta all’amministratore dimostrare la suamancanza di colpa, essendosi costantemente e condivisibilmente affermato in giurisprudenza dilegittimità che, in caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge,la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art.1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata nésuperata con la diligenza richiesta al debitore. Merita infine di essere ricordato – al fine di circoscrivere le situazioni che possono escludere laresponsabilità dell’amministratore – anche quell’orientamento della giurisprudenza penale di legittimità secondo cui una situazione di crisi di liquidità del contribuente (nel caso di specie un’impresa) può giustificare e comportare l’assoluzione solo se questi sia in grado di provare che per lui non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie al corretto e puntuale adempimento delle obbligazionitributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni dirette a consentire il recupero dellesomme necessarie>>