Fattispecie particolare decisa da Cass. n. 3.285 del 03.02.2022, rel. Giaime.
Il nuovo proprietario di un terreno fa causa ai due precedenti (uno dopo l’altro) proprietari per gli sversamenti di liquidi inquinanti provenienti da cisterne appostate sottoterra e in particolare sotto la sede stradale (in modo occulto cioè senza avvisare alcuno o quanto meno il nuovo propreitario).
La domanda riguarda la liquidazione del danno aquiliano (ex art. 2043-2050 cc ma anche ex art. 253/4 TU ambiente d. lgs. 152/2006)
Le corti di merito escludono la loro responsabilità perchè le cisterne interrate costituiscono antecedente troppo lontano, remoto: la vera causa sarebbe infatti il cedimento della porzione di sede stradale in corrispondenza delle cisterne, non le cisterne stesse.
Il proprietario non si perde d’animo, nonostante la doppia sconfitta presso le corti di merito, e ricorre in legittimità.
La SC censura il ragionamento del giudice di appello. In presenza di concause, la presenza di una causa più recente non esclude quelle anteriori, tranne che sia da sola causalmente sufficiente a produrre l’evento lesivo: <<La Corte territoriale, “appagandosi” della constatazione che fu il “cedimento della parte marginale della sede stradale” a determinare lo sversamento, oltre a non indagare sulla (eventuale) relazione eziologica esistente tra tale cedimento e la mancata rimozione delle cisterne (occultate sotto la strada), esclude che la loro presenza possa porsi come antecedente remoto – di una più ampia serie causale, cui appartiene pure il cedimento della strada, e ciò in base al solo dato, in sé anodino, della “risalenza nel tempo” delle condotte – interramento delle cisterne e mancata rimozione delle stesse – addebitato a Ba. e a Deon.
Si tratta di affermazione che integra violazione, più ancora che dell’art. 2043, dell’art. 1227 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., da intendersi come implicitamente richiamati dalla ricorrente nell’illustrazione del primo motivo di ricorso, che denuncia un “error in iuducando” nell’applicazione delle regole giuridiche di ricostruzione del nesso causale.>>
Orbene, anche nel contesto di un sistema, qual è quello della responsabilità civile, << “retto”, quanto all’apprezzamento della sussistenza del nesso causale, dal principio del “più probabile che non” (del quale è stata, di recente, sottolineata la “coerenza” con il principio Eurounitario della effettività della tutela giurisdizionale, come ritenuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 21 giugno 2017 in causa C-621/15; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 27 luglio 2021, n. 21530, Rv. 662197-01), resta inteso, nondimeno, che il giudice di merito, per stabilire se sussista il nesso di causalità materiale, deve applicare il principio della “regolarità causale” (tra le altre, Cass. Sez. 1, sent. 23 dicembre 2010, n. 26402, Rv. 615614-01 Cass..Sez. 3, sent. 30 aprile 2010, n. 10607, Rv. 612765-01) o dello “scopo della norma violata” (da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2021, n. 19033, Rv. 661748-01), sicché, “quando l’evento dannoso o pericoloso è stato cagionato da una pluralità di azioni o di omissioni, coeve o succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive, dovendo a ciascuna di esse riconoscersi un’efficienza causale del danno se nella concatenazione degli avvenimenti abbiano determinato una situazione tale che l’evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta per ultima, non si sarebbe verificato”, fermo restando che, nell’ipotesi, invece, in cui “la causa sopravvenuta sia da sola sufficiente a provocare l’evento perché autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, le cause preesistenti degradano al rango di mere occasioni perché quella successiva ha interrotto il legame causale tra esse e l’evento” (Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2003, n. 15789, Rv. 56757801; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 6 aprile 2006, n. 8096, Rv. 588863-01; si veda pure Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2013, n. 23915, Rv. 629115-01, secondo cui la causa sopravvenuta deve essere in grado di “neutralizzare” quella precedente, ponendosi come “di per sé idonea a determinare l’evento stesso”)>>.
In questa prospettiva, dunque, <<risulta errato far dipendere – come ha fatto la Corte veneziana – dal mero dato cronologico della “risalenza nel tempo” della condotta di Ba. e Deon il diniego della efficienza causale delle stesse rispetto all’evento dannoso verificatosi, e ciò perché – come si è detto all’interno di una stessa serie causale non può distinguersi “tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive”, salvo che non si riconosca all’ultima verificatasi ma a condizione che sia “autonoma, eccezionale ed atipica” l’idoneità a produrre, essa sola, l’evento dannoso, per tal ragione degradando la causa remota a semplice “occasio” dell’evento dannoso.
D’altra parte, a seguire sino in fondo l’impostazione della Corte lagunare, il nesso causale finirebbe col dover essere affermato solo in presenza di relazioni di “prossimità cronologica” tra la condotta addebitata all’asserito danneggiante e l’evento dannoso lamentato dal preteso danneggiato. Si finirebbe, in questo modo, con il dare ingresso al principio “post hoc ergo propter hoc”, in contrasto con quanto affermato, ancora di recente, da questa Corte>>.
Ragionamento corretto e aderente alla consueta interpretazione del nesso di causalità in presenza di concause (tranne il poco pertinente e comprensibile riferimemnto al “post hoc ergo propter hoc”,)