Presupposti per l’assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, ord. 10/02/2025, (ud. 21/01/2025, dep. 10/02/2025), n.3.354, rel. Caiazzo:

<<In tema di separazione personale dei coniugi, l‘attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., n. 5817/2018: in applicazione di tale principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso il diritto al mantenimento del coniuge, in ragione della pacifica esistenza di proposte di lavoro immotivatamente non accettate).

In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l’assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l’onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un’occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell’assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass., n. 20866/2021; n. 24049/21; n. 234/20215).

Nella specie, in applicazione del citato consolidato orientamento di questa Corte, la doglianza in esame è dunque inammissibile, poiché la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi è da ritenere preclusa dall’accertamento preliminare della mancata prova dell’adeguata ricerca di lavoro, tanto più che è emersa la mancata accettazione di un’offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto>>.

Si noti la preliminarità dell’accertamento della ricerca lavorativa.

Sul dovere di cercarsi un lavoro, ai fini dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. Civ., Sez. I, ord. 7 gennaio 2025 n. 234, rel. Russo, enuncioa il seguente principio di diritto:

<<In tema di separazione dei coniugi il diritto a ricevere un assegno di mantenimento ai sensi dell’art 156 c.c. è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio e non ha, a differenza dell’assegno di divorzio, componenti compensative. Tuttavia, nel valutare se il richiedente è effettivamente privo di adeguati redditi propri, deve tenersi conto anche della sua concreta e attuale capacità lavorativa, pur se l’istante non la metta a frutto senza giustificato motivo, dal momento che l’assegno di mantenimento non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo>>.

Assegno di mantenimento da separazione e assegno divorzile: differenze e (alcune) somiglianze

Breve ripasso in tema da parte di Cass. sez. I, ord. 07/01/2025 n. 234, rel. Russo R. E. A.:

<<La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza, senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).

2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in motivazione).

3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà, incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che nessuno si sottragga ai propri doveri.

4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione, vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso interessato.

4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava>>.

Nella separazione coniugale, l’assegno di mantenimento va parametrato al precedente tenore di vita (a differenza dal divorzio)

Cass. Civ., Sez. I, Ord. 26 novembre 2024, n. 30502, rel. Acierno:

<<Risulta, infine, pienamente condivisibile l’interpretazione dell’art. 156 c.c.
offerta dalla Corte d’Appello presta piena adesione alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte per cui: “a norma dell’art. 156 cod. civ., il
diritto all’assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore
del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi
che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente
durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il parametro
al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza è dato dalle potenzialità
economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento
condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del
richiedente, senza che occorra un accertamento dei redditi rispettivi nel loro
esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle
situazioni patrimoniali complessive di entrambi” (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n.
3974 del 19/03/2002 )>>

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e da divorzio

Cass. sez. I ord. 22.11.2024 n. 30.119, rel. Acierno:

<<La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè in assenza della condizione ostativa dell’addebito, resta ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio. Quanto alla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento, inoltre, è sufficiente che sia fondata su un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi>>.

(massima di Valeria Cianciolo in OndiF)

Determinazione dell’assegno di mantenimento (verso coniuge e figli) da separazione personale

Cass. sez. I, ord. 18/09/2024  n. 25.055, rel. Tricomi:

<<4.2. – L’art. 156, primo comma 1, c.c., stabilisce che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. Per quanto riguarda i figli, l’art. 155 c.c. richiama l’art. 337-ter c.c. (applicabile anche ai figli maggiorenni ancora non indipendenti economicamente), il quale prevede che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (così, tra le tante, Cass. n. 9915-2007). Anche l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, o maggiori d’età ma non autosufficienti economicamente, deve essere determinato considerando le esigenze del beneficiario in rapporto al tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori, tenendo conto di tutte le risorse a disposizione della famiglia, non potendo i figli di genitori separati essere discriminati rispetto a quelli i cui genitori continuano a vivere insieme (cfr. già Cass. n. 9915-2007 e, di recente, Cass. n. 16739-2020). È per questo che l’art. 706 c.p.c., nel disciplinare i procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi, in deroga alla disciplina ordinaria dell’onere della prova, lasciata di regola alla libera iniziativa delle parti interessate, stabilisce che “Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate”.

Dall’esame delle norme sopra richiamate si evince con chiarezza che ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato (Cass. n. 9915-2007), a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria (Cass. n.22616-2022) e l’espletamento di una consulenza tecnica.

Inoltre, va rammentato che in tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871-2018; Cass. n.34728-2023) e che il diritto all’assegno di mantenimento, in caso di crisi familiare, viene meno ove, durante lo stato di separazione, il coniuge avente diritto instauri un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduca in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, con onere della prova a carico del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno; ne consegue che la stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, se le risorse economiche sono state messe in comune, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa (Cass. n.34728-2023)>>.

Sulll’assegno di mantenimento da separazione

Cass. Sez. I, ord. 18 settembre 2024 n. 25.055, rel. Tricomi:

<<Ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza matrimoniale. Non possono a tal fine, prendersi in considerazione le spese medie mensili dei due coniugi relative anche agli anni successivi alla separazione.

La stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all’assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa. [errore: non è affatto presumibile]

In mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno, deve essere compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729 c.c.>>

(massime di Valeria Cianciolo in  Ondif)

Determinazione dell’assegno di mantenimento da separazione

Cass. ord. sez. I, 23/05/2024  n. 14.371, rel. Pazzi:

<<5.1 L’art. 156, comma 2, cod. civ. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. 605/2017).

Nell’effettuare questa ricostruzione la Corte d’appello ha ritenuto che il cospicuo patrimonio immobiliare di pertinenza dell’odierno ricorrente, dell’importo di oltre quattro milioni di Euro, potesse essere oggetto di sfruttamento diretto, “anche in misura maggiore a quale” (rectius quella) “sino ad oggi attuata come da osservazioni dell’ausiliario” (pag. 10 della decisione impugnata), o di alienazione. In questa prospettiva valutativa non assume alcuna decisività la mancata considerazione degli oneri che l’odierno ricorrente dovrebbe sostenere per rendere commerciabile il suo patrimonio commerciale ubicato in F, dato che la Corte di merito ne ha valorizzato – con valutazione in fatto incensurabile in questa sede – non le rendite percepite, ma le potenzialità reddituali in termini anche maggiori rispetto all’attualità.

Giova, poi, ricordare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 20553/2021).

5.2 La Corte di merito non ha affatto tralasciato di considerare l’intervenuta morte del padre dell’odierno ricorrente nel corso del giudizio, posto che, dopo aver ricordato che nella ricostruzione del tenore di vita assume rilievo l’apporto costante del nucleo di origine di uno dei coniugi, ha sottolineato che tale disponibilità non era venuta meno nel corso degli anni, poiché il Po.Ro. aveva ereditato (dunque a seguito del decesso del congiunto) un cospicuo patrimonio immobiliare.

In altri termini, l’apporto esterno si era trasformato in apporto ereditario, continuando a contribuire alla determinazione del reddito e del patrimonio dell’odierno ricorrente.

5.3 Né è possibile sostenere che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’indennità di Euro 1.500 corrisposta dal Po.Ro. al fratello per l’occupazione della casa familiare da parte del coniuge separato e dei figli. Tale somma, infatti, costituisce proprio la differenza fra l’ammontare del contributo dovuto fino al rilascio dell’abitazione e dell’assegno da corrispondere in seguito, a testimonianza del fatto che i giudici distrettuali hanno tenuto conto dell’esborso, detraendolo, fino a quando lo stesso fosse stato versato, dall’importo dell’assegno giudicato congruo>>.

Per la determinazione del tenore di vita ai dini dell’assegno di mantenimento, conta non solo il reddito ma anche il “patrimonio goduto” in costanza di matrimonio

Cass. Sez. I, Ord. del 24 aprile 2024, n. 11146,rel. Reggiani

<< Ciò che rileva, ai fini della determinazione dell’assegno in questione è
l’accertamento del tenore di vita condotto dalle parti quando vivevano insieme,
da rapportare alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento
della separazione. (…)

Ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, il tenore di vita goduto dalle parti in costanza di convivenza va rapportato alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento della separazione e tale accertamento va condotto considerando non solo il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma anche gli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso>>.

Poi:

<<Nel rigettare il ricorso promosso avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva ripristinato l’assegno di mantenimento in favore della moglie, la Corte di Cassazione ritorna nuovamente sul concetto del medesimo tenore di vita, quale criterio per il riconoscimento del contributo in favore del coniuge economicamente debole, insistendo sulla valutazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi durante la convivenza e successive alla separazione: al riguardo anche l’attitudine dei coniugi al lavoro proficuo costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento, ma l’accertamento non può essere limitato al solo mancato svolgimento di tale attività e vanno escluse mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., Sez. I, Ordinanza n. 24049 del 06.09.2021).

Nel caso concreto, la Corte territoriale, dopo avere esaminato le risultanze processuali, ha correttamente valutato gli elementi di prova relativi al periodo di convivenza dei coniugi, così acquisendo elementi per ricostruire il tenore di vita matrimoniale da rapportare alla situazione delle parti successiva alla separazione, dando rilievo al lungo periodo durante il quale la moglie è rimasta a casa per accudire la famiglia.

Le generiche deduzioni del ricorrente in ordine alla relazione sentimentale e alla convivenza della moglie, in difetto di specifiche allegazioni di fatti impeditivi del diritto all’assegno di mantenimento, rendono la relativa censura inammissibile, né consentono di prospettare la decisività dei fatti di cui si lamenta l’omesso esame>>

(massime di CEsare Fossati in ONDIF)

Sull’assegno di mantenimento da separazione e sul dovere di mettere in atto la propria capacità lavorativa

Cass. sez. I, ORD. 29/02/2024 n. 5.242, rel. pAZZI, in un caso di coniuge rimasta a lavorare a part time, anzichè passare al full time, pur potendolo fare per essere ormai cresciuti i figli:

la corte di appello:

<<. La Corte d’appello di Venezia, a seguito dell’impugnazione principale presentata dalla Ca.Ba. e dell’impugnazione incidentale del Sa.Ar., osservava che se vi era stato uno squilibrio fra le posizioni economiche delle parti, questo era venuto meno da quando la Ca.Ba. aveva ottenuto l’assegnazione della casa familiare come genitore collocatario della prole e il Sa.Ar. aveva dovuto prendere in locazione un immobile ad uso abitativo. Escludeva che l’appellante principale avesse diritto a un assegno di mantenimento a suo vantaggio, tenuto conto che la stessa aveva ormai la possibilità, stante l’età dei figli, di incrementare con orario pieno il proprio stipendio e di poter cogliere occasioni di avanzamento/conversione professionale destinate a migliorare il suo reddito, mettendo a frutto la laurea conseguita in costanza di matrimonio>>.

La SC sulla differenza tra assegno divorzile e da separazione:

<<7.1 Esso, infatti, pretende di applicare i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di divorzio (evocando espressamente la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018) all’ambito dell’assegno di mantenimento previsto dall’art. 156 cod. civ..

Il che è non solo un’evidente fuor d’opera, posto che la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato la differenza dei due istituti (chiarendo che l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve, invece, essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all’art. 5, comma 6, l. 898/1970, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi; Cass. 17098/2019), ma anche un’affermazione che si pone in netto contrasto con le asserzioni della Corte distrettuale (la quale ha correttamente riconosciuto come il reddito adeguato a cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge sia quello necessario a conservare tendenzialmente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; pag. 9 della decisione impugnata) senza formulare alcuna precisa critica che consenta di comprendere perché, nella materia dell’assegno di separazione regolata dall’art. 156 cod. civ., debbano trovare ingresso i criteri previsti dall’art. 5, comma 6, l. 898/1970 per l’assegno di divorzio>>.

E soprattutto sul dovere di mettere in atto la propia capacità economica, confermando la cortre di appello:

<<7.2 Il profilo appena evidenziato non risulta l’unico vizio di non riferibilità della censura in esame alla decisione impugnata. La Corte d’appello ha spiegato, a giustificazione della propria decisione, che il richiedente l’assegno di mantenimento è gravato dall’onere di dimostrare che la situazione in cui versa non sia ascrivibile a sua colpa, in modo che rimanga escluso che egli, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire o migliorare la propria occupazione lavorativa retribuita in maniera confacente alle sue attitudini/capacità. [nds: questa la base giuridica; il 156 cc  nulla dice sulla capacità lavortiva, a diff. ad es. dall’art. 316 bis c. 1 cc]

I giudici distrettuali hanno ritenuto che la Ca.Ba. si trovasse proprio in queste condizioni di colpa, perché si avvaleva ancora di un orario lavorativo parziale con stipendio ridotto, pur avendo conseguito la laurea in scienze politiche nel 2012 e malgrado i tre figli fossero oramai divenuti maggiorenni, e già durante il matrimonio non si era maggiormente proiettata nella realtà lavorativa; per questo motivo la Corte di merito ha negato l’esistenza di una penalizzazione professionale da riequilibrare e che l’appellante potesse porre a carico dell’altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale.

A fronte di questi argomenti la doglianza in esame non considera in alcun modo, ancora una volta, le argomentazioni in diritto poste a fondamento della decisione e tenta di accreditare l’esistenza di una necessità di perequazione che la Corte distrettuale ha espressamente escluso (con un accertamento di fatto che, peraltro, non può essere rivisto in questa sede di legittimità)>>.