Assegno divorzile (privo della compononente perequativa) e assegno alimentare: quali differenze?

Cass. Civ., Sez. I, ord. 16 febbraio 2025 n. 3952, rel. Russo:

<<Nella maggior parte dei casi la differenza concreta tra un assegno di divorzio privato della sua componente compensativa -perequativa e un assegno alimentare potrebbe essere di scarso rilievo: se la finalità assistenziale assume rilievo preponderante rispetto a quella perequativo-compensativa, la quantificazione dell’assegno divorzile deve tendenzialmente effettuarsi sulla base dei criteri di cui all’art. 438 c.c., salvi gli opportuni adattamenti.
Si tratta però di un tendenziale avvicinamento dei calcoli nel procedimento di concreta quantificazione, da farsi tenendo presente la differenza concettuale e normativa tra i due istituti.
Di conseguenza, assegno alimentare e assegno divorzile con funzione assistenziale possono essere anche sensibilmente differenti nel quantum qualora si tratti di patrimoni ingenti.>>

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

Parametri per la determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 11/02/2025 n. 3.506, rel. Caiazzo:

<<La ricorrente aveva appellato la sentenza di primo grado – che le aveva riconosciuto la misura di Euro 350,00 mensile – chiedendone l’aumento a Euro 1500,00 mensile, lamentando l’erronea applicazione delle norme disciplinati l’istituto, con riguardo al profilo assistenziale dell’assegno.

La ricorrente lamenta in particolare che la Corte d’Appello ha escluso anche il profilo assistenziale dell’assegno (accogliendo l’appello incidentale dell’ex marito), non avendo tenuto conto della rilevante sproporzione tra la situazione reddituale e patrimoniale tra le parti. Sul punto, in effetti, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che “se si considera che il matrimonio è avvenuto allorquando l’appellante aveva già compiuto 45 anni ed aveva certamente impostato correttamente la propria vita ed il proprio mantenimento, che il matrimonio stesso è durato solo 9 anni e che manca qualunque allegazione, che concretamente faccia ritenere che sussista tra le parti una sperequazione economica dovuta a scelte funzionali alla famiglia, che non consenta (oggi) all’appellante una vita dignitosa, di tal che il sacrificio deve essere compensato.”.

Inoltre, dalla sentenza di divorzio si evince che il Bi.Re. era socio “nella misura di 1/3 della Sassomet che presenta una notevole capacità di fatturato, ha circa 13/14 dipendenti, non sono stati prodotti documenti contabili recenti attestanti un calo dei ricavi che deve presumersi siano rimasti invariati e che quindi negli anni abbia accantonato notevoli risparmi, percepisce la pensione di Euro 1.885,22, è comproprietario di 95 porzioni di terreni e di 19 immobili”; di contro la Sl.Ir. ha prodotto solo le dichiarazioni dei redditi relative agli anni di imposta 2016-2019 da cui risulta che ha percepito annualmente soltanto la somma di Euro 4.200,00 a titolo di contributo erogato dai Servizi Sociali per l’affido della nipote”.

Invero, l’assegno di divorzio, avente funzione anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l’assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass., n. 26520/2024).

Nel caso concreto, la ricorrente aveva allegato il notevole squilibrio tra le situazioni patrimoniale delle partii, e il fatto di essere impossidente e di non poter ricercare un lavoro, essendo disabile al 75%, considerata anche l’età avanzata (nata nel 1957).

La Corte territoriale ha ritenuto assorbente rilevare che la ricorrente lavorava continuativamente, sebbene in maniera irregolare, senza attribuire rilievo al suddetto squilibrio patrimoniale, alla disabilità dell’ex moglie e alla relativa età che costituiscono elementi oggettivi incidenti sulla capacità di ricercare un’occupazione o anche di conservare quella pregressa.

Al riguardo, non può essere sottaciuto che l’irregolarità del lavoro prestato, che comportava una certa dose di energia fisica, sia un fatto che – a prescindere dalle violazioni di legge relative ai diritti spettanti alla lavoratrice – oggettivamente rende incerta la prosecuzione dell’attività che risultava svolta dall’ex moglie alla data della sentenza impugnata – .

Ora, atteso che dagli atti emergeva chiaramente tra le parti la sperequazione tra redditi e patrimoni – resa particolarmente acuita dal fatto che l’ex marito era proprietario di ben 19 immobili e 95 porzioni di terreno-, la Corte di merito non ha compiuto una corretta ricognizione dei presupposti dell’assegno divorzile nella funzione assistenziale, avendo ritenuto che la ricorrente disponesse di un lavoro stabile, trascurando di valutare, come detto, la sua disabilità, la sua età, e la relativa influenza sulla capacità lavorativa futura, omettendo altresì di approfondire la questione dell’irregolarità del lavoro prestato>>.

Assegno di mantenimento da separazione e assegno divorzile: differenze e (alcune) somiglianze

Breve ripasso in tema da parte di Cass. sez. I, ord. 07/01/2025 n. 234, rel. Russo R. E. A.:

<<La Corte territoriale si è limitata ad affermare che la moglie al momento della separazione non lavorava e che ha diritto di conservare l’elevato tenore di vita mantenuto in costanza di convivenza, senza valutare se ella sia in possesso di risorse economiche tra le quali rileva certamente, oltre che l’eventuale patrimonio, anche la capacità lavorativa, da valutarsi in concreto e non in astratto (Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

2.1.- Non si tratta qui di estendere automaticamente alla separazione i principi affermati da questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. S.U. 18287/2018), quanto di verificare se sussistano i presupposti per ottenere l’assegno di mantenimento ed in che misura, con accuratezza e considerando la concreta situazione, pur tenendo fermo che assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è correlato al tenore di vita ed è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art 156 c.c.).

2.2.- Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

2.3.- Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale fintanto che il matrimonio non è sciolto; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale (Cass. n. 34728 del 12/12/2023 in motivazione).

3.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative. Tuttavia, deve rilevarsi che l’accertamento del diritto ad esser mantenuti dall’altro coniuge a seguito di separazione non è scisso dalla valutazione che la solidarietà presuppone un rapporto paritario e di reciproca lealtà, incompatibile con comportamenti parassitari diretti a trarre ingiustificati vantaggi dal coniuge separato. Più volte questa Corte ha sottolineato come anche nelle relazioni familiari valga il principio di autoresponsabilità che è strettamente correlato alla solidarietà; tutte le comunità solidali presuppongono che ciascuno contribuisca al benessere comune secondo le proprie capacità e che nessuno si sottragga ai propri doveri.

4. – Deve quindi rilevarsi che ferma la differenza tra assegno di divorzio e assegno di separazione, vi sono alcuni tratti comuni tra i due istituti e tra questi il presupposto che il richiedente sia privo di risorse adeguate. L’art. 156 parla invero di mancanza di “adeguati redditi propri”, e non di “mezzi adeguati” come l’art. 5 della legge divorzile, ma, ove il richiedente sia dotato di concreta e attuale capacità lavorativa e non la metta a frutto senza giustificato motivo la assenza di adeguati redditi propri non può considerarsi un fatto oggettivo involontario ma una scelta addebitabile allo stesso interessato.

4.1.- Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 20866 del 21/07/2021). Ed ancora si è affermato che l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. n. 5817 del 09/03/2018; Cass. n. 24049 del 06/09/2021).

Nella specie la Corte d’Appello di Napoli non ha fatto buon governo di questi principi nell’omettere qualsivoglia indagine sulle capacità lavorative concrete della richiedente assegno e non indagando sulla possibilità che la moglie si procuri redditi diversi, ad esempio da patrimonio, limitandosi ad affermare che la stessa al momento della separazione non lavorava>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 28/11/2024  n. 30.602, rel. Garri:

<<I criteri di cui all’art.5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’ an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà. (…).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa.

Ciò detto, il giudice del merito dovrà effettuare un esame bifasico in ordine all’an debeatur dell’assegno divorzile in cui l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché dello squilibrio economico/patrimoniale fra i coniugi costituisce un prius logico-giuridico e fattuale preliminare alla ulteriore valutazione dell’apporto dato dal coniuge economicamente più debole al c.d. menage familiare in costanza di rapporto matrimoniale>>.

Solo che a  tutta questa copiosa (e costante, tutto sommato) giurisporudenza sfugge che nell’art. 5.6 è solo il parametro dell’ultima parte che regola l’AN, mentre sono solo quelli della prima parte che regolano il QUANTUM.

Nella determinazione dell’assegno divorzile, la possibilità di critica dell’omessa disposizione di indagini economico-patrimoniali vale anche per l’omesso esame di contestazioni sull’esito delle indagini disposte

Cass. sez. I, ord. 27/11/2024n. 30.537, rel. Reggiani:

<<3.3. Nei giudizi di divorzio, inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 9, L. cit. (abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha introdotto l’art. 473-bis.2 c.p.c., ma applicabile al presente giudizio ratione temporis) i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, con la precisazione che, in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso, anche della polizia tributaria.

Questa Corte ha precisato che il potere di disporre indagini sui redditi è un potere senza dubbio discrezionale, il cui mancato esercizio può essere sindacato per vizio di motivazione, ove non venga attivato a fronte di richiesta fondata su fatti concreti e circostanziati, di cui non sia spiegata l’irrilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).

Tale principio opera anche nel caso in cui le indagini siano state effettuate, ma a fronte di contestazioni circostanziate sull’esito e la completezza delle stesse venga richiesto al giudice di discostarsi dall’elaborato peritale o di effettuare delle integrazioni.>>

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e da divorzio

Cass. sez. I ord. 22.11.2024 n. 30.119, rel. Acierno:

<<La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè in assenza della condizione ostativa dell’addebito, resta ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio. Quanto alla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento, inoltre, è sufficiente che sia fondata su un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi>>.

(massima di Valeria Cianciolo in OndiF)

La componente compensativo-perequativa nella determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 19/08/2024  n.22.942, rel. Caiazzo:

<<Il ricorrente lamenta l’omesso esame del nesso causale, da una parte, tra il contributo alla vita familiare della ex moglie e la formazione del patrimonio comune e personale degli ex coniugi e, dall’altra parte, la rinuncia da parte della stessa di opportunità lavorative o professionali, nonché l’omesso esame della questione dell’impossibilità della controricorrente di procurarsi migliori occasioni di lavoro.

Al riguardo, va rilevato che l’assegno divorzile assolve una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativo-perequativa che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole; ne consegue che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio (Cass., n. 4328/24). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha esaminato i fatti sottesi alle predette questioni e, attraverso un ragionamento presuntivo, come detto, è pervenuta al convincimento che la madre si era prevalentemente dedicata alla crescita del figlio, di 17 anni- fatto ritenuto non contestato dalla controparte- anche se coadiuvata da colf e baby-sitter, e che il ricorrente abbia potuto dedicare gran parte delle sue energie all’attività lavorativa, anche grazie a tale maggior contributo dell’ex moglie nella gestione familiare e nell’accudimento del figlio, considerando altresì la durata del matrimonio>>.

No assegno divorzile quando il matrimonio è stata di brevissima durata

Cass. sez. I, ord. 05/08/2024 n. 21.955, est. Tricomi:

<<Non spetta l’assegno divorzile in funzione assistenziale qualora la breve durata del matrimonio non abbia consentito l’effettiva realizzazione di una comunione di vita tra i coniugi, che costituisce, secondo quanto previsto dall’art. 1 L. 898/1970, l’essenza stessa del matrimonio in difetto, altresì, di una convivenza continuativa ed effettiva>> (massima di Cesare Fossati in ONDIF)

Sulla durata del matrimonio:  “erano rimasti uniti in matrimonio dal 15 maggio 2004 al 17 gennaio 2005 e poi, dopo una richiesta di separazione avanzata dalla moglie, dal 4 dicembre 2007, quando era intervenuta la riconciliazione, al 15 giugno 2009, anno in cui era stato introdotto un altro giudizio di separazione, senza la nascita di prole”

Per l’assegno divorzile , alla moglie non basta essersi dedicata alla famiglia, ma bisogna anche che ciò abbia comportato sacrifici economici e/o di crescita professional-lavorativa

Cass. sez. I, ord. 20/05/2024 n. 13.919, rel. D’Orazio:

<<4. …  In particolare, si è affermato che il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo – compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970 – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente – nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in presenza di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, aveva attribuito l’assegno divorzile in ragione dell’attività domestica svolta dalla ex moglie, a prescindere dall’allegazione e dalla prova della perdita di concrete prospettive professionali e di potenzialità reddituali conseguenti alla scelta di dedicarsi alle cure della famiglia ed omettendo, altresì, di considerare che il patrimonio della richiedente era formato in misura prevalente da attribuzioni compiute da parte dell’ex coniuge – (Cass. , sez. 1, ordinanza, 13 ottobre 2022, n. 29920; in tal senso anche Cass. , sez. 1, 28 luglio 2022, n. 23583; Cass. , sez. 1, 8 settembre 2021, n. 24250). (…)

Va, insomma, data continuità al principio di diritto per cui, in tema di attribuzione dell’assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte “manente matrimonio”, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali – reddituali, la cui prova prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. , n. 9144 del 2023; Cass. Sez.U. , n. 35385 del 2023)>>.

Richiesto uno squilibrio economico per l’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 13/05/2024  n. 12.953, rel. Meloni:

fatti

<<Con ricorso notificato l’11.03.2022 Ma.An. impugnò la sentenza n. 1167/2021 pubblicata il 19 agosto 2021 nel giudizio n. 3526/2018 dal Tribunale di Nocera Inferiore, prima sezione civile, che negava il riconoscimento di un assegno divorzile alla medesima censurandola con particolare riguardo alla insussistenza dello squilibrio economico tra i coniugi così come ritenuta dal Tribunale. L’appellante affermò nell’atto di appello di aver dovuto locare un immobile da adibire a casa familiare, inoltre evidenziò di aver iniziato a lavorare soltanto nel 2004 all’età di 47 anni, perché i coniugi di comune accordo stabilirono che la stessa dovesse sacrificare le proprie aspettative professionali per dedicarsi unicamente al menage familiare, ed infine dimostrò attraverso i modelli 730/2016,2017 e 2018 di essere titolare di un reddito imponibile di circa 25.000,00.

La Corte di Appello di Salerno, in riforma dell’impugnata sentenza, attribuì all’appellante un assegno divorzile di euro 200,00 ritenendo che: “tra i coniugi è poi, documentata una disparità reddituale, atteso che dai modelli 730/2016,2107 e 2018 di parte appellante risulta un reddito imponibile di circa 25.000,00 mentre dalla documentazione fiscale di parte appellata risulta un reddito imponibile di circa 32.000,00 euro. Allo stato, dunque, alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati si ritiene che Ma.An. abbia diritto ad un assegno di divorzio nella misura minima di euro 200,00, considerata la situazione complessiva delle parti come sopra delineata”. (…)  La Corte di merito così ha motivato: “Orbene, nel caso di specie deve rilevarsi che il matrimonio contratto nel 1984 ha avuto lunga durata (circa 29 anni), dall’unione non sono nati figli, Ma.An., prima di iniziare l’attività lavorativa quale dipendente ASL nel 2004 (come documentato dall’estratto conto INPS) ha necessariamente contribuito con il proprio lavoro personale e casalingo al menage familiare. Dopo la cessazione della unione matrimoniale, mentre Fr.An. ha continuato a vivere nella casa familiare di sua proprietà, la moglie ha dovuto locare un appartamento, come da contratto di locazione in atti, dal quale si desume la pattuizione di un canone mensile di euro 370,00, oltre spese. Tra i coniugi è, poi, documentata una disparità reddituale, atteso che dai modelli 730/2016, 2017 e 2018 di parte appellante risulta un reddito imponibile di circa 25.000,00, mentre dalla documentazione fiscale di parte appellata risulta un reddito imponibile di circa 32.000,00 euro.” >>

Diritto:

<<Se questi sono i fatti emersi pacificamente e riconosciuti da parte dei Giudici di Appello, non emerge un sostanziale squilibrio delle rispettive condizioni reddituali delle parti trattandosi di una differenza minimale. La Corte di Appello di Salerno nel caso di specie ha applicato non correttamente l’art. 5 comma 6 della Legge 898 del 1970, avendo fondato anzitutto il suo errato convincimento sulla circostanza (Pag. 7 della sentenza – parte finale) che la ex moglie prima di iniziare l’attività lavorativa quale dipendente ASL nel 2004, avrebbe necessariamente contribuito con il proprio lavoro personale e casalingo al menage familiare. Tuttavia tale ultima circostanza non è stata provata ma risulta formulata in forma ipotetica e non all’esito di valutazione presuntiva di mezzi di prova.

In mancanza di tale riscontro e dell’allegazione di un’esigenza specifica di carattere assistenziale, il modesto squilibrio reddituale è del tutto inidoneo, in via esclusiva a fondare il diritto all’attribuzione dell’assegno di divorzio.

Si deve rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del 11/07/2018) hanno affermato riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass. 5603/2020 e 17098/2019).

Ciò premesso nel caso concreto, oltre alla comparazione reddituale e al mancato svolgimento di attività lavorativa in corso di matrimonio, non si ravvisa alcun altro elemento indiziante l’applicazione del criterio compensativo e, come già rilevato, non è stata allegata un’esigenza specificamente assistenziale, tenuto conto del fatto che la mancanza di figli esclude dalle statuizioni post scioglimento del vincolo quella relativa all’assegnazione della casa coniugale.

Il ricorso deve quindi essere accolto, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno anche per le spese del giudizio di legittimità perché si proceda al concreto accertamento della sussistenza in concreto di elementi di fatto idonei a consentire l’applicazione del criterio compensativo>>.