Ancora sull’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 28/11/2024  n. 30.602, rel. Garri:

<<I criteri di cui all’art.5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’ an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà. (…).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa.

Ciò detto, il giudice del merito dovrà effettuare un esame bifasico in ordine all’an debeatur dell’assegno divorzile in cui l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché dello squilibrio economico/patrimoniale fra i coniugi costituisce un prius logico-giuridico e fattuale preliminare alla ulteriore valutazione dell’apporto dato dal coniuge economicamente più debole al c.d. menage familiare in costanza di rapporto matrimoniale>>.

Solo che a  tutta questa copiosa (e costante, tutto sommato) giurisporudenza sfugge che nell’art. 5.6 è solo il parametro dell’ultima parte che regola l’AN, mentre sono solo quelli della prima parte che regolano il QUANTUM.

Nella determinazione dell’assegno divorzile, la possibilità di critica dell’omessa disposizione di indagini economico-patrimoniali vale anche per l’omesso esame di contestazioni sull’esito delle indagini disposte

Cass. sez. I, ord. 27/11/2024n. 30.537, rel. Reggiani:

<<3.3. Nei giudizi di divorzio, inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 9, L. cit. (abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha introdotto l’art. 473-bis.2 c.p.c., ma applicabile al presente giudizio ratione temporis) i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, con la precisazione che, in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso, anche della polizia tributaria.

Questa Corte ha precisato che il potere di disporre indagini sui redditi è un potere senza dubbio discrezionale, il cui mancato esercizio può essere sindacato per vizio di motivazione, ove non venga attivato a fronte di richiesta fondata su fatti concreti e circostanziati, di cui non sia spiegata l’irrilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).

Tale principio opera anche nel caso in cui le indagini siano state effettuate, ma a fronte di contestazioni circostanziate sull’esito e la completezza delle stesse venga richiesto al giudice di discostarsi dall’elaborato peritale o di effettuare delle integrazioni.>>

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e da divorzio

Cass. sez. I ord. 22.11.2024 n. 30.119, rel. Acierno:

<<La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè in assenza della condizione ostativa dell’addebito, resta ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio. Quanto alla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento, inoltre, è sufficiente che sia fondata su un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi>>.

(massima di Valeria Cianciolo in OndiF)

La componente compensativo-perequativa nella determinazione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 19/08/2024  n.22.942, rel. Caiazzo:

<<Il ricorrente lamenta l’omesso esame del nesso causale, da una parte, tra il contributo alla vita familiare della ex moglie e la formazione del patrimonio comune e personale degli ex coniugi e, dall’altra parte, la rinuncia da parte della stessa di opportunità lavorative o professionali, nonché l’omesso esame della questione dell’impossibilità della controricorrente di procurarsi migliori occasioni di lavoro.

Al riguardo, va rilevato che l’assegno divorzile assolve una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativo-perequativa che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole; ne consegue che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio (Cass., n. 4328/24). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha esaminato i fatti sottesi alle predette questioni e, attraverso un ragionamento presuntivo, come detto, è pervenuta al convincimento che la madre si era prevalentemente dedicata alla crescita del figlio, di 17 anni- fatto ritenuto non contestato dalla controparte- anche se coadiuvata da colf e baby-sitter, e che il ricorrente abbia potuto dedicare gran parte delle sue energie all’attività lavorativa, anche grazie a tale maggior contributo dell’ex moglie nella gestione familiare e nell’accudimento del figlio, considerando altresì la durata del matrimonio>>.

No assegno divorzile quando il matrimonio è stata di brevissima durata

Cass. sez. I, ord. 05/08/2024 n. 21.955, est. Tricomi:

<<Non spetta l’assegno divorzile in funzione assistenziale qualora la breve durata del matrimonio non abbia consentito l’effettiva realizzazione di una comunione di vita tra i coniugi, che costituisce, secondo quanto previsto dall’art. 1 L. 898/1970, l’essenza stessa del matrimonio in difetto, altresì, di una convivenza continuativa ed effettiva>> (massima di Cesare Fossati in ONDIF)

Sulla durata del matrimonio:  “erano rimasti uniti in matrimonio dal 15 maggio 2004 al 17 gennaio 2005 e poi, dopo una richiesta di separazione avanzata dalla moglie, dal 4 dicembre 2007, quando era intervenuta la riconciliazione, al 15 giugno 2009, anno in cui era stato introdotto un altro giudizio di separazione, senza la nascita di prole”

Per l’assegno divorzile , alla moglie non basta essersi dedicata alla famiglia, ma bisogna anche che ciò abbia comportato sacrifici economici e/o di crescita professional-lavorativa

Cass. sez. I, ord. 20/05/2024 n. 13.919, rel. D’Orazio:

<<4. …  In particolare, si è affermato che il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo – compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970 – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente – nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in presenza di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, aveva attribuito l’assegno divorzile in ragione dell’attività domestica svolta dalla ex moglie, a prescindere dall’allegazione e dalla prova della perdita di concrete prospettive professionali e di potenzialità reddituali conseguenti alla scelta di dedicarsi alle cure della famiglia ed omettendo, altresì, di considerare che il patrimonio della richiedente era formato in misura prevalente da attribuzioni compiute da parte dell’ex coniuge – (Cass. , sez. 1, ordinanza, 13 ottobre 2022, n. 29920; in tal senso anche Cass. , sez. 1, 28 luglio 2022, n. 23583; Cass. , sez. 1, 8 settembre 2021, n. 24250). (…)

Va, insomma, data continuità al principio di diritto per cui, in tema di attribuzione dell’assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte “manente matrimonio”, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali – reddituali, la cui prova prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. , n. 9144 del 2023; Cass. Sez.U. , n. 35385 del 2023)>>.

Richiesto uno squilibrio economico per l’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 13/05/2024  n. 12.953, rel. Meloni:

fatti

<<Con ricorso notificato l’11.03.2022 Ma.An. impugnò la sentenza n. 1167/2021 pubblicata il 19 agosto 2021 nel giudizio n. 3526/2018 dal Tribunale di Nocera Inferiore, prima sezione civile, che negava il riconoscimento di un assegno divorzile alla medesima censurandola con particolare riguardo alla insussistenza dello squilibrio economico tra i coniugi così come ritenuta dal Tribunale. L’appellante affermò nell’atto di appello di aver dovuto locare un immobile da adibire a casa familiare, inoltre evidenziò di aver iniziato a lavorare soltanto nel 2004 all’età di 47 anni, perché i coniugi di comune accordo stabilirono che la stessa dovesse sacrificare le proprie aspettative professionali per dedicarsi unicamente al menage familiare, ed infine dimostrò attraverso i modelli 730/2016,2017 e 2018 di essere titolare di un reddito imponibile di circa 25.000,00.

La Corte di Appello di Salerno, in riforma dell’impugnata sentenza, attribuì all’appellante un assegno divorzile di euro 200,00 ritenendo che: “tra i coniugi è poi, documentata una disparità reddituale, atteso che dai modelli 730/2016,2107 e 2018 di parte appellante risulta un reddito imponibile di circa 25.000,00 mentre dalla documentazione fiscale di parte appellata risulta un reddito imponibile di circa 32.000,00 euro. Allo stato, dunque, alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati si ritiene che Ma.An. abbia diritto ad un assegno di divorzio nella misura minima di euro 200,00, considerata la situazione complessiva delle parti come sopra delineata”. (…)  La Corte di merito così ha motivato: “Orbene, nel caso di specie deve rilevarsi che il matrimonio contratto nel 1984 ha avuto lunga durata (circa 29 anni), dall’unione non sono nati figli, Ma.An., prima di iniziare l’attività lavorativa quale dipendente ASL nel 2004 (come documentato dall’estratto conto INPS) ha necessariamente contribuito con il proprio lavoro personale e casalingo al menage familiare. Dopo la cessazione della unione matrimoniale, mentre Fr.An. ha continuato a vivere nella casa familiare di sua proprietà, la moglie ha dovuto locare un appartamento, come da contratto di locazione in atti, dal quale si desume la pattuizione di un canone mensile di euro 370,00, oltre spese. Tra i coniugi è, poi, documentata una disparità reddituale, atteso che dai modelli 730/2016, 2017 e 2018 di parte appellante risulta un reddito imponibile di circa 25.000,00, mentre dalla documentazione fiscale di parte appellata risulta un reddito imponibile di circa 32.000,00 euro.” >>

Diritto:

<<Se questi sono i fatti emersi pacificamente e riconosciuti da parte dei Giudici di Appello, non emerge un sostanziale squilibrio delle rispettive condizioni reddituali delle parti trattandosi di una differenza minimale. La Corte di Appello di Salerno nel caso di specie ha applicato non correttamente l’art. 5 comma 6 della Legge 898 del 1970, avendo fondato anzitutto il suo errato convincimento sulla circostanza (Pag. 7 della sentenza – parte finale) che la ex moglie prima di iniziare l’attività lavorativa quale dipendente ASL nel 2004, avrebbe necessariamente contribuito con il proprio lavoro personale e casalingo al menage familiare. Tuttavia tale ultima circostanza non è stata provata ma risulta formulata in forma ipotetica e non all’esito di valutazione presuntiva di mezzi di prova.

In mancanza di tale riscontro e dell’allegazione di un’esigenza specifica di carattere assistenziale, il modesto squilibrio reddituale è del tutto inidoneo, in via esclusiva a fondare il diritto all’attribuzione dell’assegno di divorzio.

Si deve rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del 11/07/2018) hanno affermato riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass. 5603/2020 e 17098/2019).

Ciò premesso nel caso concreto, oltre alla comparazione reddituale e al mancato svolgimento di attività lavorativa in corso di matrimonio, non si ravvisa alcun altro elemento indiziante l’applicazione del criterio compensativo e, come già rilevato, non è stata allegata un’esigenza specificamente assistenziale, tenuto conto del fatto che la mancanza di figli esclude dalle statuizioni post scioglimento del vincolo quella relativa all’assegnazione della casa coniugale.

Il ricorso deve quindi essere accolto, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno anche per le spese del giudizio di legittimità perché si proceda al concreto accertamento della sussistenza in concreto di elementi di fatto idonei a consentire l’applicazione del criterio compensativo>>.

Ancora sulla funzione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 29/04/2024 n. 11.479, rel. Valentino:

<<6.1 – La censura è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi ed offre una peculiare interpretazione della sentenza delle S.U. citata. Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico – patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Cass., S.U. n. 18287/2018). Nella motivazione della sentenza si chiarisce limpidamente la funzione e i rapporti esistenti tra i vari criteri: l’arresto di Cass., n. 11504/2017 si è “(…) pur condividendo la premessa sistematica relativa alla rigida distinzione tra criterio attributivo e determinativo, ha individuato come parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, la non autosufficienza economica dello stesso ed ha stabilito che solo all’esito del positivo accertamento di tale presupposto possano essere esaminati in funzione ampliativa del quantum i criteri determinativi dell’assegno indicati nella prima parte della norma”. La sentenza svolge la sua significativa statuizione esaltando il valore degli altri parametri in sintonia con i principi di autoresponsabilità e solidarietà, ma soltanto come elementi che incidono sulla quantificazione dell’assegno che creano vincoli ineludibili per il giudice di merito che non può considerare come parametro il pregresso tenore di vita. La Corte statuisce che: “Al fine di indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell’esigenza riequilibratrice posta a base della dell’orientamento proposto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standards Europei, questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, c.6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come già evidenziato, dagli artt. 2,3 e 29 Cost.”. “Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari”. La norma regolatrice dell’assegno “conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente”. Elementi tutti che la Corte di merito ha elencato e valutato con chiarezza evidenziando che la scelta di dedicarsi ad un ruolo esclusivamente endofamiliare sia stata condivisa e che le attualità difficoltà del sistema economico rendevano particolarmente complesso la ricerca di un lavoro adeguato alla specificità professionale e compatibile con il ruolo di madre della controricorrente. Si può riconoscere l’assegno divorzile soltanto sulla base del criterio assistenziale; e il mero accertamento della potenziale capacità lavorativa diviene inadeguato se la parte prova, efficacemente, che allo stato le richieste di lavoro non sono state accolte>>.

Affidamento dei figli e assegno divorzile

Cass.  sez. I, Ord. 11/04/2024 n. 9.839, rel. Russo R.E.A.:

sul punto 1:

<<La Corte d’appello si è quindi correttamente attenuta, nel regolare l’affidamento, a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (Cass. n. 18817 del 23/09/2015; Cass. n. 14728 del 19/07/2016; Cass. n. 28244 del 04/11/2019.) La Corte distrettuale ha altresì tenuto conto del fatto che costituisce giurisprudenza consolidata, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte EDU, che per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che l’autorità giudiziale deve predisporre misure volte ad attuare, salvo che non sussistano serie controindicazioni, il diritto alla bigenitorialità (cfr. Kutzner c. Germania, n. 46544/99, Corte EDU 2002; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Cass. n. 9764 del 08/04/2019; Cass. n. 19323 del 17/09/2020)>>.

Sul punto 2:

<< La Corte distrettuale, da un lato, ritiene adeguata la ricostruzione dei redditi e in genere delle condizioni economiche delle parti effettuate dal Tribunale, dall’altro, senza condurre ulteriori indagini su quelle che sono le attuali condizioni economiche di tali parti, ha ridotto l’assegno già disposto dal giudice di primo grado in favore dei figli, genericamente menzionando le “esigenze di vita dei figli”, che non vengono però nel concreto specificate, e facendo riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per come rappresentate dalle condizioni di separazione. Ciò senza tenere conto che le condizioni della separazione erano dirette ad assicurare il mantenimento di due bambini in tenerissima età e che normalmente le esigenze dei figli crescono nel corso del loro sviluppo; ed inoltre che, tra il tempo della separazione e quello del divorzio, sono intercorse molteplici vicende tra cui le riferite vicissitudini giudiziarie conseguenti al fallimento delle iniziative economiche intraprese dal B.B. sul territorio nazionale, che lo hanno indotto a espatriare e vivere a lungo negli Emirati Arabi per poi rientrare in Italia, pur se – a quanto deduce la ricorrente – i suoi affari sono attualmente legati a società estere; e infine, ma non ultimo, che, nel momento in cui si ritiene corretta la ricostruzione dei redditi operata dal giudice di primo grado, per discostarsi dalle sue valutazioni sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata. Inoltre, la circostanza che nessuna delle parti abbia depositato dichiarazioni dei redditi aggiornati nulla sposta, perché in tali casi il giudice può, o addirittura deve, disporre indagini di polizia tributaria (Cass. n. 22616 del 19/07/2022).

4.1. – Pertanto, il giudizio sul quantum del mantenimento dei figli dovrà essere rivisto ed aggiornato alla attualità, tenendo conto che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 4145 del 10/02/2023) Il contributo al mantenimento dei figli, si caratterizza per la sua bidimensionalità, poiché da una parte, vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (Cass. n. 2536 del 26/01/2024).

(…)

Inoltre, la Corte distrettuale pur dando atto che la A.A. ha una professionalità, in quanto avvocato, e una età che le consente di reinserirsi nel mondo del lavoro, ed è proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare, non pienamente sfruttato economicamente, ritiene di confermare l’assegno pur riducendolo, poiché “la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

Con questa ultima argomentazione il giudice d’appello fa cattiva applicazione del principio, ormai solido nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. sez. un n. 18287 del 11/07/2018) Ed ancora, si è affermato che il tenore di vita matrimoniale è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno e che l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 21234 del 09/08/2019; Cass. n. 22738 del 11/08/2021).>>.

Funzione dell’assgno divorzile a costitizione di trust

Cass. sez. I, ord. 03/04/2024 n. 8.859, rel. Caiazzo:

<<La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., SU, n. 18287/18).

In tema di attribuzione dell’assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte “manente matrimonio”, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali – reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente; a tal fine, l’assunzione, in tutto o in parte, delle spese di ristrutturazione dell’immobile adibito a casa coniugale, di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, non costituisce ex se prova del suddetto contributo, rientrando piuttosto nell’ambito dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia durante la comunione di vita coniugale (Cass., n. 9144/23).

Nella specie, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, il thema decidendum consiste nel verificare se la Corte d’appello abbia correttamente applicato i principi affermati dapprima dalle Sezioni Unite, e poi ribaditi da questa stessa Sezione, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile.

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata che non avrebbe motivato sul contributo dell’ex moglie alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex coniuge; la So.Ro. ha sostanzialmente replicato che avrebbe contribuito alla formazione del trust che, sebbene formalmente di proprietà della madre del ricorrente, si sarebbe costituito con il contributo di entrambi i coniugi (s’invoca la proprietà indivisa, in comunione).

Al riguardo, la Corte d’appello, nell’argomentare sui presupposti dell’assegno divorzile, ha affermato che “..considerando le utilità connesse all’essere beneficiaria, insieme al coniuge, dei proventi di gestione del trust, l’appellata non aveva certamente investito in proprie aspettative professionali, che pur ha coltivato..”.

La controricorrente assume altresì che la prova di tale comproprietà sarebbe desumibile dalle lettere inviatele dal ricorrente nelle quali avrebbe sostanzialmente riconosciuto tale comproprietà, prescindendo dai dati formali (e ciò sebbene la stessa controricorrente abbia eccepito, infondatamente, l’improcedibilità del ricorso proprio per la mancata regolare produzione di tali lettere).

Orbene, come detto, la Corte territoriale ha fatto riferimento, genericamente, alle utilità che l’ex moglie traeva dal trust, ma non ha certo argomentato su una proprietà comune indivisa (in tal senso, alla luce della narrazione della controricorrente, emerge che neppure il Tribunale abbia chiaramente affermato ciò).

Si può dunque ragionevolmente presumere che l’ex moglie beneficiasse delle rendite del trust allo stesso modo di ogni utilità connessa al tenore di vita garantito dalla rilevante consistenza del patrimonio e del reddito dell’ex marito.

Pertanto, può affermarsi che, effettivamente, come lamentato dal ricorrente, la Corte d’appello abbia riconosciuto la funzione perequativa – assistenziale dell’assegno divorzile, senza nessuna evidenza probatoria del contributo che l’ex moglie avrebbe apportato alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex marito, né di rinunce ad aspettative professionali (al riguardo, la So.Ro. assume di non svolgere l’attività di psicoterapeuta dal 2013), considerando altresì che la sentenza impugnata ha accertato che l’unico figlio, convivente dall’età di 12 anni con il padre, sia stato poi accudito e mantenuto esclusivamente dallo stesso genitore.

Inoltre, la corte d’appello ha accertato che il patrimonio della So.Ro. è consistente e, quantunque, di dimensioni inferiori a quello del ricorrente, certo idoneo alla richiedente per garantire di vivere autonomamente e dignitosamente.

Peraltro, la questione della contitolarità del patrimonio costituente il trust (prescindendo dalla valenza probatoria che s’intenda attribuire alle lettere inviate dal ricorrente all’allora moglie, di cui la sentenza impugnata non discorre) non può, in astratto, venire in rilievo ai fini dell’assegno divorzile, ma solo in ordine all’accertamento delle comproprietà; ma il ricorrente adduce la sentenza del marzo 2022, che avrebbe riconosciuto la titolarità del trust in capo alla propria madre; tale sentenza risulta depositata in cassazione, indicata al punto 5.ci del relativo indice, da intendersi come inammissibile produzione di documento nuovo.

Invero, nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (Cass., n. 18464/18; n. 4415/20).

In definitiva, deve affermarsi che la motivazione della Corte territoriale risulta di fatto imperniata sul mantenimento del tenore di vita pregresso di cui godeva l’ex moglie e, pertanto, non è rispettosa dei principi affermati dalla richiamata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, dei quali ha sostanzialmente omesso l’esame>>.