Sui criteri determinativi dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 15/03/2024 n.  7.069, rel. Reggiani:

<<Dalla lettura della menzionata ordinanza si evince chiaramente che questa Corte, nel richiamare la decisione delle Sezioni Unite del 2018 (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018), ha ribadito il principio secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, richiede ai fini dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima parte della norma, i quali costituiscono, in posizione pari ordinata, i parametri cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’ assegno. Il giudizio, premessa la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, avrà ad oggetto, in particolare, il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Nel valutare la statuizione impugnata, poi, ha rilevato che “3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel richiamare la pronuncia di questa Corte n. 11504/2017, ha basato il proprio convincimento ed ha motivato il percorso argomentativo della decisione assunta prendendo in considerazione, quanto alla situazione dell’attuale ricorrente, il solo requisito dell’inesistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli, senza attenersi ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18287/2018 e senza, quindi, effettuare alcuna valutazione comparativa degli altri parametri rilevanti nel senso precisato, alla stregua delle circostanze allegate da parte della ex moglie, come indicate in ricorso, anche in relazione al ruolo che assume di avere svolto all’interno della coppia durante la vita matrimoniale. Resta da aggiungere che la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativa, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio (Cass. n. 11178/2019)” (p. 4-5 dell’ordinanza n. 17426/2020 di questa Corte).

È pertanto evidente che la pronuncia di legittimità ha imposto un rinnovato giudizio in ordine al diritto all’attribuzione dell’assegno divorzile e alla sua quantificazione, che rimette in gioco tutti i parametri normativi previsti>>.

Ancora su assegno di mantenimento e convivenza more uxorio

Cass. sez. I, ord.  12/03/2024  n. 6.443, rel. Tricomo:

<<3.2.- Come chiarito nei precedenti di legittimità (Cass. n.3645/2023 e Cass. n. 14151/2022, Cass. n.34374/2023, in motivazione), la coabitazione assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo” e la Corte di appello si è attenuta a tale principio, perché non si è limitata a valorizzare la circostanza dell’assenza di coabitazione, ma ha affermato che non risultava provato nemmeno un progetto comune di vita.

Orbene, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, occorre che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal comma 1 dell’art. 2729 cod.civ.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729 cod.civ. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.

3.3.- La Corte d’appello si è attenuta a detti principi ed ha individuato plurimi elementi sintomatici dell’instaurazione di una relazione affettiva stabile e duratura (relazione investigativa confermata dal titolare dell’Agenzia, materiale fotografico documentante atteggiamenti intimi non meramente amicali, ruolo assunto da Cr. nella gestione del conto corrente intestato alla Ca.Sa., partecipazione di Cr. all’asta per la vendita dell’immobile di cui gli ex coniugi erano proprietari, acquisizione da parte di Ca.Sa. del diritto di abitazione dell’immobile di proprietà di Cr. per sua cessione, prove testimoniali, etc.), non utilmente elisi dalle avverse deduzioni della ricorrente, elementi che manifestano l’esistenza – non contestata – di un legame affettivo e di un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi.

3.4.- A fronte di tali accertamenti in fatto, il ricorso tende evidentemente ad una rivalutazione del merito. (…)  . Va, inoltre, ribadito che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730/2020; Cass. n. 3601/2006)>>.

E poi sull’an e quantum in generale:

<<4.2.- Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 18287/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass. n. 32398/2019).

II giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La natura perequativo-compensativa, poi, discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo, volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate.

In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. n. 9144/2023; Cass. n. 23583/2022; Cass. n. 38362/2021).

Infine, qualora – come nel caso di specie – sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, dovendo fornire la prova secondo i criteri già indicati (Cass. Sez. U. n. 32198/2021)>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Cass sez. I, ord. 08/03/2024  n. 6.263, rel. Caiazzo:

<<l riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del mancato svolgimento della propria attività lavorativa per il periodo di due anni nel quale aveva seguito la famiglia in Polonia. Il secondo e terzo motivo (spettanza dell’assegno divorzile), aventi carattere preliminare rispetto al primo (misura dell’assegno divorzile)-esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi- sono fondati.

All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Cass., S.U. 18287/2018).

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento; tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa>>.

Il rapporto tra le due funzioni (perequativa; assistenziale) non è chiarito adeguatamente, però.

Poi:

<<Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021; Cass. 23583/2022; Cass. 9144/2923).>>

Applicato al caso sub iudice:

<<Nel caso di specie, la Corte d’appello, con una motivazione più che stringata, ha ritenuto non provate le condizioni per il riconoscimento dell’assegno divorzile, poiché la Fe. insegna ed è proprietaria della porzione di casa in cui vive, e non provato – a differenza di quanto aveva ritenuto il giudice di primo grado, e senza alcun mutamento del quadro probatorio – che la medesima avesse perso la retribuzione e i contributi per il trattamento pensionistico per i 20 mesi nei quali aveva seguito il marito in Polonia, per ragioni di lavoro del medesimo. Orbene, la Corte territoriale non ha tenuto conto della durata (23 anni) del matrimonio, dell’età (circa 60 anni) della Fe., del fatto pacifico, che la stessa si fosse recata per 20 mesi in Polonia al seguito del marito, del fatto – del pari pacifico, essendo stato riconosciuto anche in questa sede dal Carver nel controricorso – che la ex moglie si era messa in aspettativa ai sensi della l. 26/1980, che prevede che il dipendente in aspettativa non ha diritto ad alcun assegno (art. 2) e che “Il tempo trascorso in aspettativa concessa ai sensi dello articolo 1 della presente legge non è computato ai fini della progressione di carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza”>>.

La componente assistenziale e quella compensativa dell’assegno divorzile restano ben distinte per la Cassazione

Cass. Sez. I, Ord. 08/03/2024, n. 6.253, rel. Lamorgese:

Fatti provati:

<<2.2. In relazione alla censura espressa con il primo motivo, occorre rilevare che la Corte di merito ha fondato la prova presuntiva sulla relazione investigativa, il cui contenuto – confermato dal teste, anche se non da lui sottoscritta – è stato riprodotto nel provvedimento impugnato, sull’ammissione della stessa ricorrente di avere una relazione sentimentale, nonché sulla dettagliata dichiarazione della figlia della coppia, che aveva riferito di avere conoscenza della relazione di convivenza della madre con un nuovo compagno dall’anno della separazione.

L’accertamento di una stabile convivenza della donna con un altro uomo è stato, pertanto, effettuato sulla base di diversi elementi indiziari convergenti, tali da dare vita ad una valida prova per presunzioni, sicché non ricorre affatto il vizio di violazione di legge denunciato>>.

Diritto:

<<2.3. Ciò posto, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge e l’assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo (Cass. S.U. 32198/2021; Cass. 14256/2022; cfr. pure Cass. 3645/2023).

E’ stato, dunque, precisato che la sussistenza della componente compensativa deve essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all’assegno, mentre la Corte d’appello ha affermato che l’odierna ricorrente non aveva provato nulla al riguardo. A fronte di detto assunto, con il secondo motivo la ricorrente, nel richiamare le deduzioni svolte nel giudizio d’appello, anche in ordine alla durata del matrimonio e alla cura delle figlie (pag. 7 e pag. 22 ricorso), in particolare rimarca il proprio contributo alla realizzazione del patrimonio familiare, consistito nell’acquisto della casa familiare, che, tuttavia, in base a quanto si legge nello stesso ricorso, è in comproprietà tra gli ex coniugi pur se abitata dall’ex marito (pag.7), e altresì consistito nell’aver ella prestato in passato attività di lavoro presso terzi (pag.23 ricorso), ossia di collaboratrice domestica, cessata per problemi di salute (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata)>>.

Solo che l’efficacia estintiva del diritto all’assegno, asseritamente prodotta dalla convivenza more uxorio, non è disposta dalla legge.

E  nemmeno vi è ricavabile  interpretativamente, dato che certo non si può equipararla alle “nuove nozze” di cui al medesimo art. 5 l. div. co. 10.

Del resto la legge 76/2016 su unioni civili e convivenze non ha modificato tale disposizione , mentre avrebbe potuto e dovuto dato che si occupava proprio del tema de quo.

Sulla determinazione dell’assegno divorzile

Cesare Fossati su Ondif così massima e,  sotto, commenta Cass. Sez. I  Ord. 27 febbraio 2024, n. 5.148, rel. Parise:

<<All’assegno divorzile deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche quella perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. È inoltre richiesto l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, dovendo trovare applicazione i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte dell’art. 5 della Legge 898/1970 e ss.mm.ii>>.

Commento:  “La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in oggetto, richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite sul tema (Cass. S.U. 18287/2019 e, ex multis, da ultimo Cass. n. 9144/2023), attribuisce alla funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, assegnata all’assegno divorzile, la finalità di riconoscere il ruolo e il contributo fornito dalla parte economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente.

La sentenza impugnata, per non avere accertato lo squilibrio effettivo e di non modesta entità tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, né se la sperequazione, ove esistente, fosse, o meno, la conseguenza del contributo fornito dall’ex moglie alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, né precisato in relazione a quale finalità fosse stato riconosciuto l’assegno divorzile, né se vi fosse già stata “remunerazione” dell’apporto dell’ex moglie, mediante l’attribuzione in suo favore della proprietà di due beni immobili da parte del coniuge obbligato, e per avere, viceversa, attribuito rilevanza al parametro del mantenimento del tenore di vita matrimoniale, viene cassata nei limiti dei motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, a cui viene demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità”.

Sull’assegno di mantenimento da separazione e sul dovere di mettere in atto la propria capacità lavorativa

Cass. sez. I, ORD. 29/02/2024 n. 5.242, rel. pAZZI, in un caso di coniuge rimasta a lavorare a part time, anzichè passare al full time, pur potendolo fare per essere ormai cresciuti i figli:

la corte di appello:

<<. La Corte d’appello di Venezia, a seguito dell’impugnazione principale presentata dalla Ca.Ba. e dell’impugnazione incidentale del Sa.Ar., osservava che se vi era stato uno squilibrio fra le posizioni economiche delle parti, questo era venuto meno da quando la Ca.Ba. aveva ottenuto l’assegnazione della casa familiare come genitore collocatario della prole e il Sa.Ar. aveva dovuto prendere in locazione un immobile ad uso abitativo. Escludeva che l’appellante principale avesse diritto a un assegno di mantenimento a suo vantaggio, tenuto conto che la stessa aveva ormai la possibilità, stante l’età dei figli, di incrementare con orario pieno il proprio stipendio e di poter cogliere occasioni di avanzamento/conversione professionale destinate a migliorare il suo reddito, mettendo a frutto la laurea conseguita in costanza di matrimonio>>.

La SC sulla differenza tra assegno divorzile e da separazione:

<<7.1 Esso, infatti, pretende di applicare i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di divorzio (evocando espressamente la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018) all’ambito dell’assegno di mantenimento previsto dall’art. 156 cod. civ..

Il che è non solo un’evidente fuor d’opera, posto che la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato la differenza dei due istituti (chiarendo che l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve, invece, essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all’art. 5, comma 6, l. 898/1970, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi; Cass. 17098/2019), ma anche un’affermazione che si pone in netto contrasto con le asserzioni della Corte distrettuale (la quale ha correttamente riconosciuto come il reddito adeguato a cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge sia quello necessario a conservare tendenzialmente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; pag. 9 della decisione impugnata) senza formulare alcuna precisa critica che consenta di comprendere perché, nella materia dell’assegno di separazione regolata dall’art. 156 cod. civ., debbano trovare ingresso i criteri previsti dall’art. 5, comma 6, l. 898/1970 per l’assegno di divorzio>>.

E soprattutto sul dovere di mettere in atto la propia capacità economica, confermando la cortre di appello:

<<7.2 Il profilo appena evidenziato non risulta l’unico vizio di non riferibilità della censura in esame alla decisione impugnata. La Corte d’appello ha spiegato, a giustificazione della propria decisione, che il richiedente l’assegno di mantenimento è gravato dall’onere di dimostrare che la situazione in cui versa non sia ascrivibile a sua colpa, in modo che rimanga escluso che egli, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire o migliorare la propria occupazione lavorativa retribuita in maniera confacente alle sue attitudini/capacità. [nds: questa la base giuridica; il 156 cc  nulla dice sulla capacità lavortiva, a diff. ad es. dall’art. 316 bis c. 1 cc]

I giudici distrettuali hanno ritenuto che la Ca.Ba. si trovasse proprio in queste condizioni di colpa, perché si avvaleva ancora di un orario lavorativo parziale con stipendio ridotto, pur avendo conseguito la laurea in scienze politiche nel 2012 e malgrado i tre figli fossero oramai divenuti maggiorenni, e già durante il matrimonio non si era maggiormente proiettata nella realtà lavorativa; per questo motivo la Corte di merito ha negato l’esistenza di una penalizzazione professionale da riequilibrare e che l’appellante potesse porre a carico dell’altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale.

A fronte di questi argomenti la doglianza in esame non considera in alcun modo, ancora una volta, le argomentazioni in diritto poste a fondamento della decisione e tenta di accreditare l’esistenza di una necessità di perequazione che la Corte distrettuale ha espressamente escluso (con un accertamento di fatto che, peraltro, non può essere rivisto in questa sede di legittimità)>>.

Mutamento decisionale in corso di causa sul diritto all’assegno di mantenimento e diritto alle restituizioni

Cass. Sez. I, ord. 22 febbraio 2024 n. 4.715 , Rel. Tricomi:

<<In tema di assegno di mantenimento separativo e divorzile, ove si accerti nel corso del giudizio – nella sentenza di primo o secondo grado – l’insussistenza “ab origine”, in capo all’avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della “condictio indebiti” che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: [1] ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto “ex tunc” delle sole condizioni economiche dell’obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed [2] ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell’ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consum<o da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica>>.

(caratteri in rosso da me aggiunti)

(massima di Valeria Cianciolo in Ondif)

La funzione perequativa dell’assegno divorzile va attuata anche se non c’è stata rinuncia alla propria carriera ma solo un concordato mero dedicarsi a famiglia e figli

Cass. sez. I, ord. 19/02/2024 n. 4.328, rel. Pazzi:

<<5.1 La Corte d’appello, dopo aver richiamato i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha ritenuto che lo squilibrio reddituale, alla luce degli indici di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, L. 898/1970, giustificasse pienamente il riconoscimento dell’assegno divorzile, in ragione del contributo dato alla famiglia dalla Ta.La. con la propria attività domestica e di accudimento prevalente della prole (oltre che con l’impegno profuso anche svolgendo attività lavorativa esterna), del fatto che questa condotta aveva consentito al marito di dedicarsi appieno e con soddisfazione economica alla propria attività lavorativa (non escludendosi per questo che anch’egli si fosse potuto interessare al figlio e alle attività domestiche) e della durata ventennale del matrimonio (v. pag. 6 della decisione impugnata). Simili valutazioni non si prestano a censure.

5.2 Le modifiche più significative apportate all’art. 5, comma 6, L. 898/1970 dall’art. 10, comma 1, L. 74/1987 attengono all’accorpamento nella prima parte della norma degli elementi di rilievo – quali “le condizioni dei coniugi”, il “reddito di entrambi” (relativi al criterio assistenziale), “il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune” (attinente al criterio compensativo) e le “ragioni della decisione” (relative al criterio risarcitorio) – di cui il giudice deve “tenere conto”, anche in rapporto alla durata del matrimonio, nel disporre l’assegno di divorzio, quando l’ex coniuge che richieda l’assegno non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Questi indicatori prefigurano una funzione, oltre che assistenziale, anche perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole.

Infatti (come ricorda Cass. 35434/2023, pag. 11), “l’autoresponsabilità deve … percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all’inizio del matrimonio (o dell’unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l’autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l’autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un’importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole”.

5.3 L’assegno divorzile può certo essere funzionale a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio) al fine di contribuire ai bisogni della famiglia.

È il caso in cui gli ex coniugi abbiano, di comune accordo, convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali-reddituali agli impegni casalinghi, così da ritrovarsi, a matrimonio finito, in una condizione menomata da questa scelta e diversa da quella a cui tale coniuge avrebbe potuto ambire.

Il che non significa – a parere di questo collegio – che, sempre in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale, l’assegno non possa essere riconosciuto, a prescindere dalla concordata rinuncia a occasioni professionali, anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare, la quale (salvo prova contraria) esprime una scelta comune, anche se tacita, compiuta nei fatti dai coniugi.

Una simile definizione di ruoli all’interno della coppia necessita nella fase post coniugale che sia assicurato, in funzione perequativa, un adeguato riconoscimento del contributo (esclusivo o prevalente) fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge (anche sotto forma di risparmio), come espressamente prevede uno dei criteri pari ordinati previsti dall’art. 5, comma 6, L. 898/1970.

Pure in questo caso occorre riconoscere – in una certa misura da ritenersi congrua – l’incremento di benessere (“attuale o potenziale, in atto o spendibile” spiega Cass. 35434/2023, pag. 16) concentratosi su uno solo dei due ex coniugi, grazie all’aiuto che egli abbia ricevuto dall’impegno familiare dell’altro.

5.4 Nel caso di specie la Corte di merito ha accertato (a pag. 5) che la Ta.La., nel corso del matrimonio, si era dedicata prevalentemente alla cura della casa e del figlio, consentendo al marito (ferroviere capotreno) di svolgere la propria attività professionale con orari anche notturni e viaggi lontani e di raggiungere così livelli professionali e reddituali di tutto rispetto.

L’assunzione su di sé, da parte della Ta.La., del peso prevalente della cura della casa e del figlio nel corso della vita matrimoniale, così da consentire all’altro coniuge di dedicarsi alla propria carriera e di godere dei correlati vantaggi patrimoniali, comporta ora la necessità, in presenza di una rilevante disparità nella situazione patrimoniale degli ex coniugi, di un riequilibrio delle loro posizioni attraverso il riconoscimento di un assegno divorzile che assolva la funzione perequativa prevista dall’art. 5, comma 6, L. 898/1970>>.

Ancora sulla determinazione dell’assegno divorzile

Cass. Sez. I, Sent. 19/12/2023, n. 35.434, rel. Ioffrida:

<<Sul tema della pariordinazione dei criteri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, si sofferma poi Cass. 17 febbraio 2021, n. 4215, a mente della quale, posto che l’assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, il giudice:   a) attribuisce e quantifica l’assegno alla stregua dei parametri pari ordinati di cui all’art. 5, 6 comma, prima parte, tenuto conto dei canoni enucleati dalle Sezioni Unite del 2018, prescindendo dal tenore di vita godibile durante il matrimonio;   b) procede pertanto ad una complessiva ponderazione “dell’intera storia familiare”, in relazione al contesto specifico e, in particolare, atteso che l’assegno deve assicurare all’ex coniuge richiedente – anche sotto il profilo della prognosi futura – un livello reddituale adeguato allo specifico contributo dallo stesso fornito alla realizzazione della vita familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell’altro coniuge, accerta previamente non solo se sussista uno squilibrio economico tra le parti, ma anche se esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due e verifica, infine, se siffatto contributo sia stato già in tutto o in parte altrimenti compensato, fermo che, nel patrimonio del coniuge richiedente, l’assegno non devono computarsi anche gli importi dell’assegno di separazione, percepiti dal medesimo in unica soluzione, in forza di azione esecutiva svolta con successo, in ragione dell’inadempimento dell’altro coniuge.

4.3. In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno “perequativo”, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall’ex coniuge all’organizzazione della vita familiare, senza che per ciò solo si introduca il parametro, in passato utilizzato e ormai superato, del tenore di vita endoconiugale, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza strettamente assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non può procurarseli per ragioni oggettive. L’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato, in particolare, a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa>>.

Si noti bene: son due ipotesi autonome, non cumulate.

Decorrenza della revisione dell’assegno divorzile: mai da prima della domanda di revisione

Cass. Civ., Sez. I, ord. 18 gennaio 2024 n. 1890 – Pres. Genovese, Cons. Rel. Caiazzo

<<In materia di revisione dell’assegno di mantenimento, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell’altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (“rebus sic stantibus”), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione.
In sede di revisione dell’assegno di divorzio (o delle altre condizioni economiche) il giudice può stabilire che il nuovo importo dello stesso decorra dalla data della domanda di revisione, anzichè da quella della decisione su di essa, ma resta sempre salva la facoltà del giudice, in relazione alle circostanze emergenti dall’istruttoria, di statuirne l’efficacia, in tutto o in parte, da momenti posteriori e anche dalla data della decisione>>.

(notizia e testo da Ondif; massima ivi di Valeria Cianciolo)

Si v. in termini Cass. sez. I del 26.04.2023 n. 10.974, rel. Iofrida, circa l’assegno per i figli.