Presupposti per l’assegno divorzile

Cass. Sez. I, Ord. 14/11/2023, n. 31.719, rel. Pazzi:

<<7.3 La Corte distrettuale ha mancato di attribuire all’assegno riconosciuto la funzione equilibratrice-perequativa che esso doveva necessariamente avere, omettendo di verificare in maniera appropriata, innanzitutto, l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.
Occorreva poi verificare – con riferimento all’intera vicenda coniugale, protrattasi nel caso di specie per dodici anni – se una simile condizione fosse saldamente ancorata alle caratteristiche e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.
La mancanza di quest’ultima verifica ha finito per condurre la Corte territoriale ad attribuire valore determinante alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, quando, al contrario, la situazione della richiedente costituiva una mera premessa fenomenica ed oggettiva che doveva essere seguita dalla verifica della riconducibilità delle cause che avevano prodotto la condizione di inadeguatezza agli indicatori delle caratteristiche dell’unione matrimoniale così come descritti nella L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, prima
parte i quali assumono rilievo in misura direttamente proporzionale alla durata del matrimonio.
In altri termini il giudice di merito, nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che richieda l’assegno divorzile, o l’impossibilità per lo stesso di procurarseli per ragioni oggettive, deve tener conto, utilizzando i criteri di cui alla L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest’ultimo, sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge, tenuto conto che la differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, ma è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito e/o del patrimonio dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sè, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 21234/2019>>.

L’interpretazione dell’art. 5.5 legge divorzio , sulla scia di Cass. sez. un. 18.287/2018, è ormai consolidata.

(testo fornito da Ondif)

La pretesa di indagini fiscali per la determinazione dell’assegno divorzile presuppone che l’istante abbia effettuato disclosure della propria situazione economica

Cass. sez. I, 22 agosto 2023 n. 24.995, rel. Amatore:

<<2.5 Invero, la Corte territoriale ha, infatti, escluso la fondatezza della domanda volta al riconoscimento dell’assegno divorziale avanzata dal M., evidenziando la mancata allegazione e prova da parte di quest’ultimo dei profili fattuali sottesi ai requisiti perequativi e compensativi del predetto assegno, secondo gli insegnamenti forniti dalla giurisprudenza di questa Corte negli arresti da ultimo citati.

2.6 Ne consegue che la predetta statuizione giudiziale circa la mancata dimostrazione in giudizio degli altri presupposti applicativi richiesti per il riconoscimento dell’invocato assegno divorziale (diversi rispetto al profilo dell’inadeguatezza dei mezzi economici dell’ex coniuge istante) – statuizione, come detto conforme, peraltro, ai principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte (per sopra ricordati) – toglie respiro anche all’ulteriore censura relativa alla mancata assunzione di indagine tributarie sui redditi e condizioni di vita degli ex coniugi, censura che si fondava proprio sulla necessità di acquisire informazioni sulla sperequazione reddituale e patrimoniali tra gli odierni contendenti.

2.7 Non essendo stata pertanto adeguatamente censurata da parte del ricorrente la ratio decidendi relativa alla dichiarata infondatezza dell’istanza istruttoria relativa agli accertamenti tributari, diventa superfluo esaminare le doglianze articolate in relazione alla prima ratio decidendi, come tale collegata all’affermata tardività nella presentazione di tale approfondimento istruttorio solo in grado di appello, in quanto anche il loro eventuale accoglimento non farebbe caducare la statuizione in merito all’affermata inutilità del richiesto mezzo istruttorio (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017; Sez. 5 -, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 18119 del 31/08/2020).

2.8 Senza contare che, comunque, la L. 898 del 1970, art. 5, comma 9, non impone in alcun modo al Giudice l’obbligo di disporre indagini tramite la polizia tributaria, ma dispone più semplicemente che “In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, scelta istruttoria che non può certo essere censurata in sede di legittimità, almeno nei termini proposti dal ricorrente, che, peraltro neanche aveva prodotto la richiesta documentazione fiscale né nella fase presidenziale celebrata innanzi al Tribunale di Ivrea né successivamente, come invece disposto nella successiva ordinanza 07.02.20. Ne consegue che la pretesa istruttoria, su cui si fondano le doglianze qui in esame, è destituita di fondamento logico, oltre che giuridico, in quanto non si può pretendere che il Giudice disponga d’ufficio approfondimenti tramite la polizia tributaria sulle condizioni economiche della controparte quando è la stessa parte interessata all’approfondimento a non avere adempiuto agli oneri di esibizione e di disclosure disposti dal Giudicante>>.

la brevissima durata del matrimonio circa la determinazione dell’assegno divorzile

Interessanti precisazioni della SC circa la rilevanza della durata del matrimonio al fine di determinare l’assegno di mantenimento (Cass. sez. I del 24 luglio 2023 n. 22.021, rel. Campese:

Premessa generale:

<< 1.1. Il suo articolato contenuto, peraltro, rende opportuno anteporre al relativo scrutinio alcune considerazioni di carattere generale, ricavate dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 32914 del 2022 (richiamata, in parte qua, nella più recente Cass. n. 8764 del 2023), circa gli effetti della separazione e del divorzio (e della crisi del rapporto di coppia, avuto riguardo alle unioni civili) sui rapporti patrimoniali fra i coniugi,

1.2. E’ stato ivi osservato, tra l’altro, che “La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significati mutamenti: a) il coniuge cui non è stata addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 c.p.c.; b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde, invece, il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno. (…). Invece, l’assegno divorzile, del tutto autonomo rispetto a quello di mantenimento concesso al coniuge separato, a seguito della riforma introdotta nel 1987, e dell’intervento chiarificatore da ultimo espresso da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 18287/2018, ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o, meglio, perequativo compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico), nel senso che i criteri previsti dall’art. 5 l. div. (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an della concessione sia al fine di determinare il quantum dell’assegno. Si è quindi evidenziato (Cass. SS.UU. n. 18287/2018) che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile – al pari dell’assegno di mantenimento in sede di separazione -, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. In sostanza, in presenza di uno squilibrio economico tra le parti, patrimoniale e reddituale, occorrerà verificare se esso, in termini di correlazione causale, sia, o meno, il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi. (…). In ogni caso, l’assegno divorzile cesserà con le nuove nozze dell’avente diritto (art. 5, comma 10), mentre, nell’ipotesi di instaurazione di una stabile convivenza di fatto con un terzo, viene caducata, alla luce di quanto affermato da queste Sezioni Unite nella recente sentenza n. 32198/2021, la sola componente assistenziale dello stesso, potendo essere mantenuto il diritto al riconoscimento di un assegno a carico dell’ex coniuge economicamente più debole, in funzione esclusivamente perequativa-compensativa. (…). Sia l’assegno di mantenimento sia quello divorzile possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza. Quanto all’assegno divorzile, se la necessità di un assegno si manifesti dopo il passaggio in giudicato della statuizione attributiva del nuovo status, esso verrà liquidato in separato giudizio, restando ferma la possibilità di avanzare la domanda successivamente alla sentenza di divorzio, anche in difetto di pregressa domanda giudiziale (Cass. n. 2198/2003, ove si è chiarito che il deterioramento delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, che consente il riconoscimento dell’assegno, può verificarsi anche dopo il divorzio, proprio perché trova fondamento nel dovere di assistenza, e non nel nesso di causalità o di concomitanza tra divorzio e deterioramento delle condizioni di vita). Ove si verifichino mutamenti di circostanza, così da richiedere una modifica dell’assegno, la pronuncia potrebbe far retroagire tale aumento dal momento (successivo alla domanda) del mutamento di circostanza o addirittura disporlo a far data dalla decisione (cfr., sul punto, Cass. 15 marzo 1986, n. 3202)”.

1.3. Esigenze di completezza, infine, impongono di rimarcare che l’indirizzo interpretativo inaugurato dalla già descritta decisione resa da Cass., SU, n. 18287 del 2018, è stato successivamente seguito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 1882 del 2019; Cass. n. 21234 del 2019; Cass. n. 5603 del 2020; Cass. n. 4215 del 2021; Cass. n. 23977 del 2022; Cass., SU, n. 32914 del 2022; Cass. n. 1996 del 2023; Cass. n. 2669 del 2023; Cass. n. 5395 del 2023; Cass. n. 8764 del 2023; Cass. n. 9104 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass., n. 11832 del 2023; Cass. n. 12708 del 2023; Cass. n. 13224 del 2023), la quale, peraltro, ha opinato pure che “Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente” (cfr. Cass. n. 29920 del 2022, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 23583 del 2022; Cass. n. 38362 del 2021). Significativa, infine, è anche la più recente Cass. n. 5395 del 2023, la quale ha ritenuto (cfr. in motivazione) che “la valutazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e in questo senso alla formazione del patrimonio comune non può andar disgiunta dalla considerazione del patrimonio (oltre che del reddito) personale di ciascuno degli ex coniugi, della durata del matrimonio e dell’età del coniuge economicamente più debole. La funzione perequativo-compensativa resta identificabile anche in rapporto alla condizione economica del coniuge più debole siccome conseguente alle scelte familiari”>>.

Andando poi al punto specifico:

<<1.4. Alla stregua di quanto fin qui riferito, allora, la doglianza in esame si rivela infondata.

1.4.1. Invero, pur dandosi atto della situazione di squilibrio economico, reddituale e patrimoniale tra gli ex coniugi, come dedotta dalla D.S., tanto non e’, di per sé, sufficiente a giustificare il riconoscimento dell’assegno ancora oggi invocato da quest’ultima, atteso che, come si è già ampiamente esposto, in presenza del suddetto squilibrio, occorre verificare: i) se esso, in termini di correlazione causale, sia, o meno, il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato anche il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi; ii) la impossibilità, per la odierna ricorrente, per ragioni oggettive, di procurarsi mezzi di sostentamento adeguati. Il tutto, peraltro, tenendo conto che, come puntualizzato dalla già più volte citata Cass., SU, n. 18287 del 2018, i criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an del riconoscimento dell’assegno de quo, sia per determinarne il quantum.

1.4.2. In quest’ottica, allora, viene immediatamente in rilievo che, come può agevolmente desumersi dalla sentenza oggi impugnata, oltre che da quanto riferito dalla stessa ricorrente, il matrimonio di quest’ultima con il B., contratto il (Omissis) (allorquando ella aveva circa trenta anni, a fronte dei cinquantotto del marito), era naufragato pressoché subito, se solo si pensi al fatto che già il successivo 7 luglio 2010 (poco meno di tre mesi dopo detta celebrazione) il B. aveva intrapreso il giudizio di separazione personale nei confronti della moglie, solo nel corso del quale era nata (il (Omissis)), la loro figlia E..

1.4.3. Per stessa ammissione della D.S., inoltre, le condizioni patrimoniali e reddituali dei due coniugi, già al momento del matrimonio, erano totalmente squilibrate in favore del B., titolare di una migliore situazione patrimoniale rispetto alla prima, giovane cittadina brasiliana, priva di cespiti patrimoniali, mobiliari o immobiliari.

1.4.4. Già solo per questo, allora, si rivela del tutto ragionevole la conclusione per cui lo squilibrio suddetto, in termini di correlazione causale, non poteva sicuramente ricondursi, stante la descritta, brevissima durata del matrimonio, a scelte comuni di conduzione della vita familiare, eventualmente comportanti anche il sacrificio di aspettative lavorative e professionali (nemmeno concretamente allegate, ancor prima che dimostrate) della D.S., evidentemente derivando esso esclusivamente dalle rispettive condizioni dei coniugi anteriori al matrimonio stesso.

1.4.5. Proprio la durata assolutamente esigua di quest’ultimo permette, altrettanto ragionevolmente, di escludere qualsivoglia significativo rilievo alla tipologia di vita concretamente svolta, in quel brevissimo lasso di tempo, dai coniugi (ove anche si volesse valorizzare l’art. 143, ultimo comma, c.c., che impone di tenere conto anche del lavoro casalingo quanto alle modalità di contribuzione ai bisogni della famiglia, e non solo dei soli suoi aspetti patrimoniali), come pure consente di negare un’effettiva sua incidenza con riguardo, da un lato, ad un eventuale incremento della complessiva situazione economica del B. e, dall’altro, ad un ipotetico mancato miglioramento (o addirittura ad un peggioramento) di quella della D.S.. In altri termini, l’estrema brevità della loro relazione non permette di affermare che vi sia stata conduzione di vita familiare e rende non valutabili eventuali scelte medio tempore effettuate, altresì ricordandosi che lo squilibrio patrimoniale costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

1.4.6. Va rimarcato, inoltre, che l’appellante nemmeno ha fornito adeguata dimostrazione circa la reale impossibilità, per ragioni oggettive (tale non potendosi intendere la mera, lamentata difficoltà a trovare una occupazione, cui era finalizzata la prova testimoniale invocata in sede di gravame), malgrado la sua ancora giovane età (trent’anni, al momento dell’inizio del giudizio di separazione; trentacinque, al momento della instaurazione del giudizio di divorzio) e l’assenza di patologie incidenti negativamente sulla sua capacità lavorativa.

1.5. In definitiva, come si legge in Cass. n. 13224 del 2023, “la corte di appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi” (l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale. Cfr. Cass., n. 38362 del 2021).

1.5.1. Ne consegue che, nella specie, alla stregua di tutto quanto si è detto circa la brevissima durata che ha caratterizzato il matrimonio tra la D.S. ed il B., le cui rispettive, reciproche condizioni patrimoniali erano pacificamente squilibrate, in favore di quest’ultimo, già prima del matrimonio stesso (senza significativi mutamenti nel corso del medesimo), la conclusione negativa della corte distrettuale quanto al riconoscimento, in favore della D.S. dell’invocato assegno divorzile si rivela assolutamente coerente con quanto ormai sancito dalla qui giurisprudenza di legittimità formatasi successivamente al descritto intervento delle Sezioni Unite del 2018 e, come tale, immune dalle censure ad essa ascritte dalla doglianza in esame.

1.6. Resta solo da dire che la ricorrente dovrà cercare di far fronte alla dedotta sua difficile situazione dovuta al non aver reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, la remuneri in misura tale da assicurarle una vita dignitosa, attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito>>.

Presupposti per l’assegno divorzile

Cass. 20.04.2023 n. 10.702:

Sintesi della giurisprudenza:

<<In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio,
presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale
delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle
esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo,
cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della
prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente
giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il
riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi
sufficienti per un’esistenza dignitosa, o non può pr ocurarseli per ragioni
oggettive>>.

Applicazione al caso de quo:

<<Nella specie, quanto alla componente perequativo compensativa dell’assegno
(attesa la sperequazione reddituale tra gli ex coniugi), la Corte d’appello ha
rilevato che nessuna delle parti risultava avere sacrificato il proprio percorso professionale onde consentire la crescita dell’altro coniuge ovvero risultava
avere contribuito alla formazione “di un patrimonio familiare (inesistente)”.
La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale”
La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale” da essada essa investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito.esclusiva dell’ex marito.

Ora, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile, questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: 1) “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”; 2) “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”; 3) “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Successivamente, questa Corte ha chiarito (Cass. 21926/2019) che “L’assegno divorzile ha una imprescindibile funzione assistenziale, ma anche, e in pari misura, compensativa e perequativa. Pertanto, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. Laddove, però, risulti che l’intero patrimonio dell’ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell’altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e – tenuto conto della composizione, dell’entità e dell’attitudine all’accrescimento di tale patrimonio ? sia stato già compensato il sacrificio delle aspettative professionali oltre che realizzata con tali attribuzioni l’esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali peculiari condizioni, l’assegno di divorzio” (cfr. anche Cass. 15773/2020; Cass. 4215/2021). In Cass. 24250/2021, si è affermato che ” sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, tuttavia tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa. Pertanto, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale” (cfr. anche Cass. 23583/2022).

In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa, o non può procurarseli per ragioni oggettive. [questa è la parte più im,prtante della  motivazione]

Nella specie, quanto alla componente perequativo-compensativa dell’assegno (attesa la sperequazione reddituale tra gli ex coniugi), la Corte d’appello ha rilevato che nessuna delle parti risultava avere sacrificato il proprio percorso professionale onde consentire la crescita dell’altro coniuge ovvero risultava avere contribuito alla formazione “di un patrimonio familiare (inesistente)”.

La ricorrente deduce che non si sarebbe tenuto conto del “consistente capitale” da essa investito nella ristrutturazione della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito.

Ora, dalla sentenza non risulta tale allegazione e in ricorso non si dice dove, come e quando tale documentazione sarebbe stata prodotta nel presente giudizio e solo nella memoria la ricorrente fa riferimento a documentazione (estratti conto corrente integrali del conto bancario comune delle parti) “prodotti in sede separativa” . Peraltro, questa Corte (Cass. 18749/2004) ha già affermato che “i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 c.c., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale” (nell’enunciare il principio, si è confermato la sentenza impugnata, la quale – esclusa la configurabilità, nella specie, di un mutuo endofamiliare – aveva ritenuto espressione di partecipazione alle esigenze dell’intero nucleo familiare, ai sensi della citata norma codicistica, il consistente intervento finanziario della moglie a titolo di concorso nelle spese relative alla ristrutturazione della casa di villeggiatura di proprietà del marito ma di uso familiare comune). E successivamente, si è precisato (Cass. 10927/2018) che “poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dall’art. 143 c.c. e art. 316 bis c.c., comma 1, a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio”.

Nella specie, comunque si deduce che ciò (il contributo nelle spese di ristrutturazione della casa di proprietà dell’ex coniuge) dovrebbe rilevare sotto l’aspetto del contributo richiesto per assolvere alla funzione perequativo-compensativa dell’assegno, ma la deduzione risulta generica ed aspecifica.

Sul piano delle condizioni patrimoniali delle parti e del criterio perequativo-compensativo, la Corte ha dunque operato una valutazione in fatto, motivata, sulla mancata rinuncia da parte di entrambi i coniugi ai propri percorsi professionali, né è dimostrato l’affermato contributo della ricorrente alla formazione del patrimonio familiare.

Quanto alla componente assistenziale dell’assegno, la Corte d’appello ha tenuto conto delle documentate condizioni di salute della U., rilevando che la grave patologia oncologica era insorta durante il matrimonio e che, a seguito del divorzio, la U., malgrado le fosse riconosciuta un’invalidità nella misura del 75% dal 2018, aveva continuato a svolte l’attività di libera professione, avendo dichiarato una “retribuzione mensile media pari a circa Euro1.000,00”, concludendo per un giudizio di inattendibilità dei redditi dichiarati (peraltro, solo attraverso dichiarazioni sostitutive di atto notorio, per quanto emerge).

Deve poi aggiungersi che la stessa ricorrente assume di avere rinunciato a richiedere un sussidio in relazione all’invalidità riconosciutale in sede amministrativa, “in ragione della libera professione esercitata, confidando nel mantenimento di una soglia reddituale tale da consentirle di prescindere dalla richiesta di invalidità/accompagno” (pag. 16 del presente ricorso).

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite, nella sentenza sopra richiamata del 2018 è che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e IN PARI MISURA compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (Cass. S.U. 18287/2018; Cass. 21234/2019).

Nella specie, la Corte d’appello ha accertato che le condizioni di salute della U. (isterectomia) erano già sussistenti alla data del matrimonio (durato meno di dieci anni), che la stessa non ha cessato l’attività lavorativa, che – anzi – la medesima non ha contestato di prestare attività lavorativa, come psicologa, in un altro centro, che la odierna ricorrente, pur essendo invalida al 75%, non ha richiesto né pensione di invalidità, né assegno di mantenimento, proprio perché continuava a lavorare>>.

Segnalzione di C. Fossati su Ondif.

Differenza tra gli assegni di mantenimento da separazione e divorzile

Cass. sez. I ord. 24.05.2023 n. 14.343, rel. Caprioli:
In materia di assegno di mantenimento in favore del coniuge separato ai sensi dell’art. 156 c.c., il giudice deve verificare la mancanza da parte del richiedente di adeguati redditi propri, ovvero di redditi sufficienti a garantire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Infatti, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa.
La valutazione relativa alle capacità di lavoro del coniuge beneficiario dell’assegno non potrà che avere ad oggetto l’effettiva e concreta possibilità di procurarsi mezzi propri mediante l’espletamento di un’attività lavorativa, essendo irrilevanti, per contro, valutazioni astratte
Niente di nuovo: ius receptum.
(massime di Valeria Cianciolo in www.osservatoriofamiglia.it)

Sempre sull’assegno divorzile

Cass. sez. I n. 13.420 del 16 maggio 2023, rel. Russo:

in astratto:

<Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cass. s.u. n. 18287 dell’11.07.2018) il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5 comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (cass. 07.12.2021, n. 38928; 08.09.2021, n. 24250). È vero che il richiedente deve dare la prova della oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, ma la prova si può raggiungere anche tramite presunzioni e con valutazione resa in concreto alla attualità. Il giudizio sull’adeguatezza dei redditi, infatti, deve essere improntato ai criteri dell’effettività e concretezza non potendo esso risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti
vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici non più rispondenti, all’attualità, a quello di riferimento (cass. 19.11.2021, n. 35710)>>

In concreto:
<3.2.- Di questi principi la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione, poiché nel valutare i requisiti per riconoscere un assegno con funzione assistenziale, ha svolto un ragionamento ipotetico, dando rilievo a vicende pregresse, esposte peraltro in termini dubitativi, osservando che il richiedente “avrebbe (non è chiaro quando) cessato l’attività lavorativa non essendo dato conoscere neppure se l’attività redditizia di commercio di materiale fotografico e altro e -parrebbe- la titolarità di quote sociali siano state cedute a terzi”; considerazioni che vengono collegate al rilievo che nel periodo tra il 1995 ed il 2007 egli ha “certamente avuto qualche risorsa” poiché nessun contributo era previsto in sede di separazione nè, in via provvisoria, nel giudizio di divorzio. Vicende appunto pregresse, delle quali -proprio perché ricostruite in termini vaghi- non si apprezza l’incidenza sulla attuale condizione economica del richiedente che, come lo stesso giudice d’appello rileva, ha documentato una invalidità del 46% e ha dedotto di essere privo di redditi e di cespiti, a fonte invece di una condizione della ex moglie più favorevole (pensionata e con proprietà della casa di abitazione). Del resto, l’assenza di contributo al mantenimento nelle condizioni di separazione non è elemento di per sé sufficiente a escludere il dritto all’assegno divorzile, posto che le valutazioni dell’assetto economico effettuate in sede di separazione rappresentano, al più, un mero indice di riferimento (cass. 22.09.2021, n. 25635).
Anche in punto di diligenza del ricorrente nel reperire una attività lavorativa, compatibile con le sue attuali condizioni di salute, la Corte rende un giudizio ipotetico, non calibrato alla attualità, perché ha molto valorizzato la circostanza che l’E., iscritto nelle liste di disponibilità immediata al lavoro sin dal 2010, ne è stato dichiarato decaduto nel febbraio 2015 -vicenda dovuta secondo il ricorrente ad un fraintendimento- senza tener conto che egli si è nuovamente iscritto in data 4 dicembre 2017 e tale risultava ancora al 18 marzo 2019, e cioè quando ha avanzato la pretesa di revisione delle condizioni di divorzio. Risultava inoltre ancora iscritto al 28 ottobre 2020, ma senza riferimento alla condizione di disabilità, il che ha portato la Corte, anziché a valorizzare la continuità nella ricerca -infruttuosa- di un lavoro, a rendere un altro giudizio ipotetico e dubitativo (“non potendosi escludere che il quadro complessivo delle condizioni dell’odierno reclamante sia in seguito migliorato”), non fondato su certificazione medica o accertamento sanitario, e ciò nonostante la deduzione del ricorrente di essere stato vittima di un altro incidente stradale nel 2016, la documentazione prodotta e la richiesta di prove testi e di consulenza medica.
Così operando la Corte non ha in concreto verificato, e nonostante le premesse sulla ammissibilità della domanda di revisione, se le attuali condizioni del ricorrente fossero effettivamente quelle dedotte in base alle prove offerte, e tali da richiedere l’applicazione del principio di solidarietà post- coniugale, che non è esclusa dalla circostanza che per lungo tempo egli abbia provveduto a sé stesso autonomamente ovvero anche -come da lui dedotto- con l’aiuto del padre, il cui intervento non varrebbe comunque ad esonerare l’ex coniuge dai suoi obblighi (cass. n. 15774 del 23.07.2020; 14.06.2016, n. 12218)>>.

<In sintesi, deve qui ribadirsi che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile è sufficiente anche verificare, in concreto e all’attualità, l’esigenza assistenziale, che ricorre ove l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, pur se in ipotesi abbia già goduto in passato di risorse sufficienti ad assicurarne il sostentamento nel periodo intercorrente tra la separazione e il divorzio, posto che tanto la sussistenza di mezzi adeguati che la diligenza spesa nel tentativo di procurarseli sono da valutare alla attualità, tenendo conto delle condizioni personali, di salute e del contesto individuale ed economico in cui agisce il richiedente>>.

Assegno divorzile di mantenimento in caso di moglie dedicatasi all’accudimento dei figli: due Cassazioni recenti

Cass. sez. 1 del 15.05.2023 n. 12.224, rel. Caiazzo:

<<La Corte d’appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass., n. 38362/21).

E’ stato altresì affermato che, in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex-coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass., SU, n. 18287/18; n. 23583/22)>>.

Ora , nel caso concreto il giudice di secondo grado ha ritenuto <<che la controricorrente abbia diritto all’assegno divorzile nella misura stabilita; infatti, è stato accertato, con motivazione insindacabile in questa sede, che la controricorrente si era dedicata per tutta la durata del matrimonio all’accudimento e all’educazione di tre figli, quale scelta condivisa con l’ex-coniuge, costituendo ciò una ragione impeditiva dello svolgimento di attività lavorative.

Ne consegue che l’assegno è stato correttamente liquidato in favore della controricorrente, nella sua declinazione compensativa e perequativa, sulla base della disparità reddituale-patrimoniale tra gli ex-coniugi, e del contributo che la L. aveva apportato alla formazione del patrimonio dell’ex-marito>>.

Si badi: non basta la prova della rinuncia alla carriera professionale, serve anche quella del lucro cessante conseguente.

* * * * * * * *
Cass. Sez. I, ord. 16 maggio 2023 n. 13316 , Tricomi:

In generale:

<<Invero, come già affermato da questa Corte “Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente.” (Cass. n. 29920/2022).

Quanto alla prova di tali circostanze, essa può essere desunta anche mediante il ricorso alle presunzioni semplici, potendosi rammentare in proposito che “Affinché sia riconoscibile valore giuridico alle presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero devono essere tali da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. senza che sia consentito al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un’altra presunzione.” (Cass. n. 14115/2006; cfr. Cass. n. 20671/2005)>>.

Applicando poi al caso sub iudice:

<<la Corte territoriale ha proceduto – conformemente ai principi ricordati – all’esame della situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi ed ad evidenziare il rilevante squilibrio esistente tra le condizioni economiche degli stessi alla stregua degli indici di riferimento previsti dalla L. n. 898 del 1970 cit., art. 5, comma 6, ritenendo di dover valutare il contributo fornito dal coniuge economicamente più debole ( G.) in costanza di matrimonio, al fine di accertare la ricorrenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativa.

Su tale premessa, facendo applicazione del criterio probatorio presuntivo, ha ravvisato i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativa, avendo considerato che G.- in costanza di matrimonio – si era precocemente pensionata con decisione condivisa dal coniuge, rinunciando così ad retribuzione altrimenti destinata ad incrementarsi progressivamente e che la lunga durata del matrimonio, la nascita di due figli ed l’impegnativo lavoro svolto dall’appellato (titolare di studio notarile) costituivano indizi da cui presumere l’esistenza di un rilevante contributo domestico nello svolgimento dei compiti genitoriale e di gestione della casa da parte dell’ex moglie, oramai impossibilitata per ragioni anagrafiche a rientrare nel mondo del lavoro>>

AN e QUANTUM dell’assegno divorzile

Il punto sulla disciplina dell’assegno divorzile è fatto da Cass. sez. I del 5 maggio 2023 n. 11832, rel. R.R.R. russo:

” 3.1.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., s.u. n. 18287 dell’11/07/2018), infatti, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi
per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o  autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (Cass., 07/12/2021, n.38928; Cass., 08/09/2021, n.24250). Di contro, la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno perché l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non
giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 09/08/2019, n. 21234).
La regola di giudizio, ispirata al canone dell’auto-responsabilità, in affermazione della funzione oltre che assistenziale anche perequativa e compensativa dell’assegno, vuole che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, accerti l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi (Cass. 09/08/2019 n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603; Cass. n. 5603 del 28/02/2020).

3.2.- Poiché la funzione assistenziale dell’assegno resta imprescindibile, in ragione dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari e potrebbe anche essere considerata prevalente sulle altre (in arg. Cass. n. 21926 del 30/08/2019; Cass. n. 5055 del 24/02/2021) la Corte di merito avrebbe dovuto verificare in primo luogo se le risorse di cui dispone la siano effettivamente sufficienti a consentirle una vita dignitosa in autonomia – cosa ben diversa dal mantenimento del tenore di vita matrimoniale- e segnatamente se i suoi mezzi fossero sufficienti alla soddisfazione (anche) delle primarie esigenze abitative, e se ella fosse nella oggettiva impossibilità di procurarseli, e non già semplicemente valorizzare la circostanza che dovrà sostenere una  spesa dalla quale prima era esente. Questa finalità dell’assegno di divorzio non è stata indagata, limitandosi a mettere in relazione il venir meno della assegnazione della casa coniugale con il dovere di corrispondere alla ex moglie una somma sufficiente a coprire i costi di un canone di locazione, senza valutare che l’assegnazione della casa coniugale ha la finalità di assicurare l’habitat domestico dei figli minorenni o privi di autonomia economica e non già a beneficiare economicamente l’ex coniuge, pur se si tratta un’utilità suscettibile di apprezzamento economico (Cass. sez. I , 21/09/2022, n.27599; Cass., Sez. I, 12/10/2018, n. 25604; Cass., Sez. VI, 7/02/2018, n. 3015). Questa utilità – e cioè il risparmio di spesa per l’abitazione personale- è una conseguenza in punto di
fatto dell’assegnazione della casa familiare, ma non può fondare alcun automatismo tra la revoca dell’assegnazione e il riconoscimento di un contributo economico in favore di colui che perde questo diritto personale di godimento (Cass. 24/06/2022, n.20452).

Ciò non significa che l’evento sia irrilevante, quanto piuttosto che se ne deve valutare in concreto l’effettiva incidenza sulle complessive condizioni economiche delle parti, ma non già per la mera sperequazione -sopravvenuta- delle risorse, bensì pur sempre in relazione alla funzione assistenziale e perequativocompensativa dell’assegno, nei termini e limiti sopra precisati.
Diversamente ragionando si riconoscerebbe un assegno divorzile anche al soggetto dotato di mezzi adeguati per il sol fatto che la revoca dell’assegnazione ne comporta un impoverimento, senza valutare se abbia risorse sufficienti a provvedere da sé e ricollegando la sopravvenuta sperequazione delle condizioni economiche non già ai sacrifici sostenuti nell’interesse della famiglia, ma alla circostanza -peraltro fisiologica- che ad un determinato momento cessano gli
obblighi di mantenimento e cura nei confronti dei figli”

Determinazione dell’assegno divorzile di mantenimento

Cass. sez. 1 ord. 28.03.2023 n. 8703, rel. Caprioli.

la SC ricorda il principio di diritto affermato da Cass. s.u. 18287/2018 “ai sensi della L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, dopo le modifiche introdot te con la L. n. 74 del 1987 , il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari
misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza
dei mezzi o comunque dell’impossibilità di pro curarseli per ragioni oggettive,
attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali
costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa
attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valu tazione
comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in
considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli
familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relaex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.zione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto“.

Poi lo interpreta:

<<L’innovativo orientamento giurisprudenziale espresso da Cass. n. 11504/2017che ha per la prima volta affermato che l’indagine sull’an debeaturdell’assegno divorzile in favore del coniuge richiedente non va ancorata alcriterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma a quellodell’autosufficienza economica) è stato perciò integrato dalle SS.UU. medianteil riconoscimento della natura, oltre che assistenziale, ancheperequati va/compensativa dell’assegno, che discende direttamente dalladeclinazione del principio costituzionale di solidarietà.

In tale ottica, quando ognuno degli ex coniugi sia in grado di mantenersiautonomamente, l’assegno va riconosciuto in favore di quello e conomicamentepiù debole in una funzione equilibratrice non più finalizzata alla ricostituzionedel tenore di vita endoconiugale, ma volta a consentirgli il raggiungimento inconcreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito alla vitafamili are, dovendosi tener conto, in particolare, se, per realizzare i bisognidella famiglia, questi, anche in ragione dell’età raggiunta e della durata delmatrimonio, abbia rinunciato (alle) o sacrificato le proprie personali aspirazionie aspettative profess ionali. (cfr. in termini Cass. 1882/ 2019 e 5603/2020).

Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della impossibilità diprocurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, a ll’esigenza di garantire dettapossibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniugepiù debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in basead accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contribu to allaformazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.

Nell’ambito dell’accertamento di siffatte condizioni la cui prova, è bene ricordarlo, incombe sul richiedente (Cass. civ. 3 dicembre 2021, n. 38362;Cass. civ. 5 novembre 2021 n. 32198), lo squilibrio economico tra le parti el’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno. Il mero dato della differenza reddituale tra i coniug i, che è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, è però estraneo alle finalità dell’assegno nel mutato contesto>>.

Parte finale (in rosso e sottolineata) molto importante e spesso trascurata.

Assegno divorzile oppure rendita vitalizia ad altro titolo?

Cass. sez 1 del 14.04.2023 n. 10.031, rel. Conti:

<<Giova premettere che questa Corte ha avuto modo di ribadire che gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perchè stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio (Cass., n. 11012/2012; Cass., n. 2224/2017; Cass., n. 20745/2022 e Cass., n. 28483/2022).
Si tratta di un indirizzo risalente (Cass. nn. 2955/98, 1315/96, 9416/95, v. anche Cass. n. 1801/2000) secondo il quale “il principio dell’indisponibilità dei diritti è motivato dalla riflessione che gli accordi preventivi possono condizionare il comportamento delle parti non solo per i profili economici preconcordati ma – quando sono accettati in funzione di prezzo o contropartita per il consenso al divorzio – anche per quanto attiene alla volontà stessa di divorziare, venendo così ad incidere su uno status personale ed a limitare la libertà di difesa nel successivo giudizio di divorzio. Fino alla pronuncia del divorzio i soggetti sono legati dal vincolo coniugale e non possono pertanto derogare ai diritti ed ai doveri derivanti dal matrimonio”).
Un orientamento parzialmente diverso si è manifestato per effetto di altre pronunce di questa Corte che hanno sancito l’efficacia di accordi patrimoniali futuri tra i coniugi, quali espressione della loro
autonomia contrattuale diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713; Cass., 8 novembre 2006, n. 23801).
In questa direzione, Cass. n. 24261/2015 ha ritenuto, superando l’indirizzo tradizionale orientato a considerare gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perchè in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (tra le altre, cfr. Cass. n. 6857/1992), che “l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora dà vita ad un vero e proprio contratto (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012).
Di recente questa Corte ha poi ritenuto che in tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante” il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)” – cfr. Cass., n. 11012/2021>>

(testo preso da da www.osservatoriofamiglia.it).