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Sempre sull’assegno divorzile
Cass. sez. I n. 13.420 del 16 maggio 2023, rel. Russo:
in astratto:
<Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cass. s.u. n. 18287 dell’11.07.2018) il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5 comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (cass. 07.12.2021, n. 38928; 08.09.2021, n. 24250). È vero che il richiedente deve dare la prova della oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, ma la prova si può raggiungere anche tramite presunzioni e con valutazione resa in concreto alla attualità. Il giudizio sull’adeguatezza dei redditi, infatti, deve essere improntato ai criteri dell’effettività e concretezza non potendo esso risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti
vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici non più rispondenti, all’attualità, a quello di riferimento (cass. 19.11.2021, n. 35710)>>
In concreto:
<3.2.- Di questi principi la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione, poiché nel valutare i requisiti per riconoscere un assegno con funzione assistenziale, ha svolto un ragionamento ipotetico, dando rilievo a vicende pregresse, esposte peraltro in termini dubitativi, osservando che il richiedente “avrebbe (non è chiaro quando) cessato l’attività lavorativa non essendo dato conoscere neppure se l’attività redditizia di commercio di materiale fotografico e altro e -parrebbe- la titolarità di quote sociali siano state cedute a terzi”; considerazioni che vengono collegate al rilievo che nel periodo tra il 1995 ed il 2007 egli ha “certamente avuto qualche risorsa” poiché nessun contributo era previsto in sede di separazione nè, in via provvisoria, nel giudizio di divorzio. Vicende appunto pregresse, delle quali -proprio perché ricostruite in termini vaghi- non si apprezza l’incidenza sulla attuale condizione economica del richiedente che, come lo stesso giudice d’appello rileva, ha documentato una invalidità del 46% e ha dedotto di essere privo di redditi e di cespiti, a fonte invece di una condizione della ex moglie più favorevole (pensionata e con proprietà della casa di abitazione). Del resto, l’assenza di contributo al mantenimento nelle condizioni di separazione non è elemento di per sé sufficiente a escludere il dritto all’assegno divorzile, posto che le valutazioni dell’assetto economico effettuate in sede di separazione rappresentano, al più, un mero indice di riferimento (cass. 22.09.2021, n. 25635).
Anche in punto di diligenza del ricorrente nel reperire una attività lavorativa, compatibile con le sue attuali condizioni di salute, la Corte rende un giudizio ipotetico, non calibrato alla attualità, perché ha molto valorizzato la circostanza che l’E., iscritto nelle liste di disponibilità immediata al lavoro sin dal 2010, ne è stato dichiarato decaduto nel febbraio 2015 -vicenda dovuta secondo il ricorrente ad un fraintendimento- senza tener conto che egli si è nuovamente iscritto in data 4 dicembre 2017 e tale risultava ancora al 18 marzo 2019, e cioè quando ha avanzato la pretesa di revisione delle condizioni di divorzio. Risultava inoltre ancora iscritto al 28 ottobre 2020, ma senza riferimento alla condizione di disabilità, il che ha portato la Corte, anziché a valorizzare la continuità nella ricerca -infruttuosa- di un lavoro, a rendere un altro giudizio ipotetico e dubitativo (“non potendosi escludere che il quadro complessivo delle condizioni dell’odierno reclamante sia in seguito migliorato”), non fondato su certificazione medica o accertamento sanitario, e ciò nonostante la deduzione del ricorrente di essere stato vittima di un altro incidente stradale nel 2016, la documentazione prodotta e la richiesta di prove testi e di consulenza medica.
Così operando la Corte non ha in concreto verificato, e nonostante le premesse sulla ammissibilità della domanda di revisione, se le attuali condizioni del ricorrente fossero effettivamente quelle dedotte in base alle prove offerte, e tali da richiedere l’applicazione del principio di solidarietà post- coniugale, che non è esclusa dalla circostanza che per lungo tempo egli abbia provveduto a sé stesso autonomamente ovvero anche -come da lui dedotto- con l’aiuto del padre, il cui intervento non varrebbe comunque ad esonerare l’ex coniuge dai suoi obblighi (cass. n. 15774 del 23.07.2020; 14.06.2016, n. 12218)>>.
<In sintesi, deve qui ribadirsi che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile è sufficiente anche verificare, in concreto e all’attualità, l’esigenza assistenziale, che ricorre ove l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, pur se in ipotesi abbia già goduto in passato di risorse sufficienti ad assicurarne il sostentamento nel periodo intercorrente tra la separazione e il divorzio, posto che tanto la sussistenza di mezzi adeguati che la diligenza spesa nel tentativo di procurarseli sono da valutare alla attualità, tenendo conto delle condizioni personali, di salute e del contesto individuale ed economico in cui agisce il richiedente>>.
Assegno divorzile di mantenimento in caso di moglie dedicatasi all’accudimento dei figli: due Cassazioni recenti
Cass. sez. 1 del 15.05.2023 n. 12.224, rel. Caiazzo:
<<La Corte d’appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass., n. 38362/21).
E’ stato altresì affermato che, in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex-coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass., SU, n. 18287/18; n. 23583/22)>>.
Ora , nel caso concreto il giudice di secondo grado ha ritenuto <<che la controricorrente abbia diritto all’assegno divorzile nella misura stabilita; infatti, è stato accertato, con motivazione insindacabile in questa sede, che la controricorrente si era dedicata per tutta la durata del matrimonio all’accudimento e all’educazione di tre figli, quale scelta condivisa con l’ex-coniuge, costituendo ciò una ragione impeditiva dello svolgimento di attività lavorative.
Ne consegue che l’assegno è stato correttamente liquidato in favore della controricorrente, nella sua declinazione compensativa e perequativa, sulla base della disparità reddituale-patrimoniale tra gli ex-coniugi, e del contributo che la L. aveva apportato alla formazione del patrimonio dell’ex-marito>>.
Si badi: non basta la prova della rinuncia alla carriera professionale, serve anche quella del lucro cessante conseguente.
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Cass. Sez. I, ord. 16 maggio 2023 n. 13316 , Tricomi:
In generale:
<<Invero, come già affermato da questa Corte “Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente.” (Cass. n. 29920/2022).
Quanto alla prova di tali circostanze, essa può essere desunta anche mediante il ricorso alle presunzioni semplici, potendosi rammentare in proposito che “Affinché sia riconoscibile valore giuridico alle presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero devono essere tali da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. senza che sia consentito al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un’altra presunzione.” (Cass. n. 14115/2006; cfr. Cass. n. 20671/2005)>>.
Applicando poi al caso sub iudice:
<<la Corte territoriale ha proceduto – conformemente ai principi ricordati – all’esame della situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi ed ad evidenziare il rilevante squilibrio esistente tra le condizioni economiche degli stessi alla stregua degli indici di riferimento previsti dalla L. n. 898 del 1970 cit., art. 5, comma 6, ritenendo di dover valutare il contributo fornito dal coniuge economicamente più debole ( G.) in costanza di matrimonio, al fine di accertare la ricorrenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativa.
Su tale premessa, facendo applicazione del criterio probatorio presuntivo, ha ravvisato i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativa, avendo considerato che G.- in costanza di matrimonio – si era precocemente pensionata con decisione condivisa dal coniuge, rinunciando così ad retribuzione altrimenti destinata ad incrementarsi progressivamente e che la lunga durata del matrimonio, la nascita di due figli ed l’impegnativo lavoro svolto dall’appellato (titolare di studio notarile) costituivano indizi da cui presumere l’esistenza di un rilevante contributo domestico nello svolgimento dei compiti genitoriale e di gestione della casa da parte dell’ex moglie, oramai impossibilitata per ragioni anagrafiche a rientrare nel mondo del lavoro>>
AN e QUANTUM dell’assegno divorzile
Il punto sulla disciplina dell’assegno divorzile è fatto da Cass. sez. I del 5 maggio 2023 n. 11832, rel. R.R.R. russo:
” 3.1.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., s.u. n. 18287 dell’11/07/2018), infatti, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi
per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (Cass., 07/12/2021, n.38928; Cass., 08/09/2021, n.24250). Di contro, la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno perché l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non
giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 09/08/2019, n. 21234).
La regola di giudizio, ispirata al canone dell’auto-responsabilità, in affermazione della funzione oltre che assistenziale anche perequativa e compensativa dell’assegno, vuole che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, accerti l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi (Cass. 09/08/2019 n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603; Cass. n. 5603 del 28/02/2020).
3.2.- Poiché la funzione assistenziale dell’assegno resta imprescindibile, in ragione dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari e potrebbe anche essere considerata prevalente sulle altre (in arg. Cass. n. 21926 del 30/08/2019; Cass. n. 5055 del 24/02/2021) la Corte di merito avrebbe dovuto verificare in primo luogo se le risorse di cui dispone la siano effettivamente sufficienti a consentirle una vita dignitosa in autonomia – cosa ben diversa dal mantenimento del tenore di vita matrimoniale- e segnatamente se i suoi mezzi fossero sufficienti alla soddisfazione (anche) delle primarie esigenze abitative, e se ella fosse nella oggettiva impossibilità di procurarseli, e non già semplicemente valorizzare la circostanza che dovrà sostenere una spesa dalla quale prima era esente. Questa finalità dell’assegno di divorzio non è stata indagata, limitandosi a mettere in relazione il venir meno della assegnazione della casa coniugale con il dovere di corrispondere alla ex moglie una somma sufficiente a coprire i costi di un canone di locazione, senza valutare che l’assegnazione della casa coniugale ha la finalità di assicurare l’habitat domestico dei figli minorenni o privi di autonomia economica e non già a beneficiare economicamente l’ex coniuge, pur se si tratta un’utilità suscettibile di apprezzamento economico (Cass. sez. I , 21/09/2022, n.27599; Cass., Sez. I, 12/10/2018, n. 25604; Cass., Sez. VI, 7/02/2018, n. 3015). Questa utilità – e cioè il risparmio di spesa per l’abitazione personale- è una conseguenza in punto di
fatto dell’assegnazione della casa familiare, ma non può fondare alcun automatismo tra la revoca dell’assegnazione e il riconoscimento di un contributo economico in favore di colui che perde questo diritto personale di godimento (Cass. 24/06/2022, n.20452).
Ciò non significa che l’evento sia irrilevante, quanto piuttosto che se ne deve valutare in concreto l’effettiva incidenza sulle complessive condizioni economiche delle parti, ma non già per la mera sperequazione -sopravvenuta- delle risorse, bensì pur sempre in relazione alla funzione assistenziale e perequativocompensativa dell’assegno, nei termini e limiti sopra precisati.
Diversamente ragionando si riconoscerebbe un assegno divorzile anche al soggetto dotato di mezzi adeguati per il sol fatto che la revoca dell’assegnazione ne comporta un impoverimento, senza valutare se abbia risorse sufficienti a provvedere da sé e ricollegando la sopravvenuta sperequazione delle condizioni economiche non già ai sacrifici sostenuti nell’interesse della famiglia, ma alla circostanza -peraltro fisiologica- che ad un determinato momento cessano gli
obblighi di mantenimento e cura nei confronti dei figli”
Determinazione dell’assegno divorzile di mantenimento
Cass. sez. 1 ord. 28.03.2023 n. 8703, rel. Caprioli.
la SC ricorda il principio di diritto affermato da Cass. s.u. 18287/2018 “ai sensi della L. n. 898 del 1970 , art. 5 , comma 6, dopo le modifiche introdot te con la L. n. 74 del 1987 , il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari
misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza
dei mezzi o comunque dell’impossibilità di pro curarseli per ragioni oggettive,
attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali
costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa
attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valu tazione
comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in
considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli
familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relaex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.zione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto“.
Poi lo interpreta:
<<L’innovativo orientamento giurisprudenziale espresso da Cass. n. 11504/2017che ha per la prima volta affermato che l’indagine sull’an debeaturdell’assegno divorzile in favore del coniuge richiedente non va ancorata alcriterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma a quellodell’autosufficienza economica) è stato perciò integrato dalle SS.UU. medianteil riconoscimento della natura, oltre che assistenziale, ancheperequati va/compensativa dell’assegno, che discende direttamente dalladeclinazione del principio costituzionale di solidarietà.
In tale ottica, quando ognuno degli ex coniugi sia in grado di mantenersiautonomamente, l’assegno va riconosciuto in favore di quello e conomicamentepiù debole in una funzione equilibratrice non più finalizzata alla ricostituzionedel tenore di vita endoconiugale, ma volta a consentirgli il raggiungimento inconcreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito alla vitafamili are, dovendosi tener conto, in particolare, se, per realizzare i bisognidella famiglia, questi, anche in ragione dell’età raggiunta e della durata delmatrimonio, abbia rinunciato (alle) o sacrificato le proprie personali aspirazionie aspettative profess ionali. (cfr. in termini Cass. 1882/ 2019 e 5603/2020).
Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della impossibilità diprocurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, a ll’esigenza di garantire dettapossibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniugepiù debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in basead accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contribu to allaformazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.
Nell’ambito dell’accertamento di siffatte condizioni la cui prova, è bene ricordarlo, incombe sul richiedente (Cass. civ. 3 dicembre 2021, n. 38362;Cass. civ. 5 novembre 2021 n. 32198), lo squilibrio economico tra le parti el’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno. Il mero dato della differenza reddituale tra i coniug i, che è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, è però estraneo alle finalità dell’assegno nel mutato contesto>>.
Parte finale (in rosso e sottolineata) molto importante e spesso trascurata.
Assegno divorzile oppure rendita vitalizia ad altro titolo?
Cass. sez 1 del 14.04.2023 n. 10.031, rel. Conti:
<<Giova premettere che questa Corte ha avuto modo di ribadire che gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perchè stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio (Cass., n. 11012/2012; Cass., n. 2224/2017; Cass., n. 20745/2022 e Cass., n. 28483/2022).
Si tratta di un indirizzo risalente (Cass. nn. 2955/98, 1315/96, 9416/95, v. anche Cass. n. 1801/2000) secondo il quale “il principio dell’indisponibilità dei diritti è motivato dalla riflessione che gli accordi preventivi possono condizionare il comportamento delle parti non solo per i profili economici preconcordati ma – quando sono accettati in funzione di prezzo o contropartita per il consenso al divorzio – anche per quanto attiene alla volontà stessa di divorziare, venendo così ad incidere su uno status personale ed a limitare la libertà di difesa nel successivo giudizio di divorzio. Fino alla pronuncia del divorzio i soggetti sono legati dal vincolo coniugale e non possono pertanto derogare ai diritti ed ai doveri derivanti dal matrimonio”).
Un orientamento parzialmente diverso si è manifestato per effetto di altre pronunce di questa Corte che hanno sancito l’efficacia di accordi patrimoniali futuri tra i coniugi, quali espressione della loro
autonomia contrattuale diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713; Cass., 8 novembre 2006, n. 23801).
In questa direzione, Cass. n. 24261/2015 ha ritenuto, superando l’indirizzo tradizionale orientato a considerare gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perchè in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (tra le altre, cfr. Cass. n. 6857/1992), che “l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora dà vita ad un vero e proprio contratto (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012).
Di recente questa Corte ha poi ritenuto che in tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante” il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)” – cfr. Cass., n. 11012/2021>>
(testo preso da da www.osservatoriofamiglia.it).
Ai fini dell’assegno divorzile, la scelta di dedicarsi alla famiglia , di per sè sola considerata, non basta
Cass. sez. 1 ord. 13.04.2023 n. 9817, rel. Lamorgese. , sull’oggetto:
<<Tali accertamenti non sono stati specificamente censurati, essendosi la ricorrente limitata, peraltro solo nella memoria, a riferire di avere fornito il proprio contributo casalingo nella gestione e conduzione della famiglia e di essersi presa cura del figlio, ormai maggiorenne, senza tuttavia attingere alcuna specifica ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata.
La predetta deduzione parrebbe implicare per implicito l’erroneo convincimento che tale forma di contributo reso dal coniuge in costanza di matrimonio sia sufficiente a far sorgere il diritto all’assegno una volta che il matrimonio sia sciolto. Tuttavia, il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sè, che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e/o dei figli, nè sull’esistenza in sè di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, poichè la scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare assume rilievo nei limiti in cui sia stata condivisa con l’altro coniuge e abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali reddituali che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio (cfr. Cass. 14256 e 29920-2022, 38362-2021), secondo evidentemente la incensurabile valutazione del giudice di merito>>.
Funzione dell’assegno divorzile
Cass. ord. 31.03.2023, sez. 2, n. 9061 :
<<La sentenza impugnata ha giustificato l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile, nella misura indicata, in funzione preminentemente assistenziale, avendo registrato uno squilibrio reddituale-patrimoniale tra gli ex coniugi e valorizzato, quale contributo dato dall’appellante alla formazione del patrimonio comune, e quindi in chiave compensativa-perequativa, la circostanza che la residenza familiare era stata fissata presso l’abitazione dei genitori della richiedente nonchè l’attività lavorativa dalla stessa espletata come baby sitter e come assistente su un pulmino per trasporto bambini.
Questa impostazione non è in linea con la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018.
Benchè la Corte di appello abbia formalmente preso le mosse, nell’affrontare il tema dell’assegno divorzile riconosciuto alla B.B. dalla pronunzia a Sezioni Unite di questa Corte n. 18287/2018, riportando i principi massimati, ad essa non si è poi, nel decidere, pienamente e completamente conformata.
Occorre infatti ricordare che la principale e imprescindibile funzione assistenziale dell’assegno comporta la necessità di valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che lo richiede e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, posto che la soglia della indipendenza economica deve intendersi come possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, avendo riguardo alle indicazioni provenienti dalla coscienza sociale (ex plurimis, Cass. n. 11504 del 2017 e n. 3015 del 2018).
Il divario o lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi vale “unicamente come precondizione fattuale il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità composita – assistenziale perequativa e compensativa – del detto assegno” (cfr. Cass. n. 32398 del 2019).
Ora, nella specie, è mancata un’effettiva valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile in quanto si doveva accertare:
a) l’effettiva mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa;
b) in caso di accertamento dell’autosufficienza ma di riscontro di uno squilibrio reddituale-patrimoniale, se vi fosse la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che lo stesso avesse dimostrato di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, con sacrificio delle proprie concrete (e non ipotetiche) aspettative professionali (cfr. Cass.civ.21234/2019, 5603/2020, 22499/2021).
Il giudice di appello, non si è pertanto conformato ai principi sopra richiamati, riconoscendo all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, sulla base di un mero lo squilibrio fra le due posizioni reddituali e giungendo ad affermare, pur in assenza di un accertamento condotto secondo i principi sopra illustrati, la prevalenza di tale componente senza in alcun modo spiegarne le ragioni>>.
Sulla retroattività o meno della modifica in corso di causa degli assegni di mantenimento e divorzili inizialmente disposti hanno deciso le Sezioni Unite
Cass. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022, rel. Iofrida , si sono pronunciate sul punto in oggetto con lunga sentenza qqui ricordata solo sul principio di diritto (largamente -ma non totalmente- incline verso la retroattività e quindi la ripetibilità):
«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:
a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;
b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;
c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».
Significativa è l’analisi del concetto di assegno alimentare e della presunta sua irripetibilità in caso di successiva modifca o cancellazione.
In generale è logico che la statuzione definitiva metta nel nulla tutti gli effetti giuiridici prodotti dalle statuizioni anteriori , come tali provvisorie (tutte quelle anteriori al giudicato).
L’assegno di mantenimento da separazione è diverso da quello divorzile
Cass., sez. 1, 13.09.2022 n. 26.890, rel. Lamorgese:
L’appello riduceva l’assegno a favopre del marito così motiovando:
<<Il G., all’epoca della separazione nel 2012, aveva quarantasette anni ed era dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007, quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all’accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie; egli “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento” ed era diventato istruttore di tecnica equestre, né aveva dimostrato che le somme erogategli dalla moglie (indicate dal ricorrente in circa Euro 10000,00 al mese) servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio; il G. non contribuiva al mantenimento del figlio, al quale provvedeva la T.; il tenore di vita del G. aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell’abitazione familiare… e la necessità di reperire altra abitazione a pagamento, non disponendo egli di proprietà immobiliari”, sicché l’assegno mensile di Euro 300,00 serviva “per consentirgli di disporre di una adeguata abitazione”; dal canto suo, la T. “continua a godere del tenore di vita precedente alla separazione, grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che le derivano dalla sua famiglia, pur dovendo provvedere in via esclusiva a mantenere il figlio”>>.
La Sc però accoglie , così censurandolo
<<Da queste argomentazioni traspare che il criterio seguito per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore del G. non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che è espresso dal principio secondo cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione (ex plurimis, Cass. 5605 del 2020, 16809 del 2019, 12196 del 2017).
Ed infatti, il contributo di mantenimento in favore del G. non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale – che, come accertato dalla Corte di merito, aveva subito un rilevante ridimensionamento dopo la separazione, contrariamente alla T., la quale poteva contare su notevoli risorse a sua disposizione – ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”.
Apodittica è l’affermazione secondo cui il G. sarebbe titolare di idonee risorse personali e professionali, essendo priva di una comprensibile esplicitazione dei fatti idonei a corroborarla. Ne’ è chiaro il significato dell’ulteriore affermazione secondo cui “egli peraltro ha goduto per quattro anni di un contributo mensile da parte della moglie di Euro 1500,00 mensili (attribuitogli in sede presidenziale)”, non comprendendosi se e quali elementi rilevanti la Corte ne abbia tratto sul piano decisorio.
Si tratta di una motivazione in fatto perplessa e sostanzialmente apparente, dunque censurabile in sede di legittimità>>.