Ai fini dell’assegno divorzile, la scelta di dedicarsi alla famiglia , di per sè sola considerata, non basta

Cass. sez. 1  ord. 13.04.2023 n. 9817, rel. Lamorgese. , sull’oggetto:

<<Tali accertamenti non sono stati specificamente censurati, essendosi la ricorrente limitata, peraltro solo nella memoria, a riferire di avere fornito il proprio contributo casalingo nella gestione e conduzione della famiglia e di essersi presa cura del figlio, ormai maggiorenne, senza tuttavia attingere alcuna specifica ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata.
La predetta deduzione parrebbe implicare per implicito l’erroneo convincimento che tale forma di contributo reso dal coniuge in costanza di matrimonio sia sufficiente a far sorgere il diritto all’assegno una volta che il matrimonio sia sciolto. Tuttavia, il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sè, che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e/o dei figli, nè sull’esistenza in sè di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, poichè la scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare assume rilievo nei limiti in cui sia stata condivisa con l’altro coniuge e abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali reddituali che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio (cfr. Cass. 14256 e 29920-2022, 38362-2021), secondo evidentemente la incensurabile valutazione del giudice di merito>>.

Funzione dell’assegno divorzile

Cass. ord. 31.03.2023, sez. 2,  n. 9061 :

<<La sentenza impugnata ha giustificato l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile, nella misura indicata, in funzione preminentemente assistenziale, avendo registrato uno squilibrio reddituale-patrimoniale tra gli ex coniugi e valorizzato, quale contributo dato dall’appellante alla formazione del patrimonio comune, e quindi in chiave compensativa-perequativa, la circostanza che la residenza familiare era stata fissata presso l’abitazione dei genitori della richiedente nonchè l’attività lavorativa dalla stessa espletata come baby sitter e come assistente su un pulmino per trasporto bambini.
Questa impostazione non è in linea con la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018.
Benchè la Corte di appello abbia formalmente preso le mosse, nell’affrontare il tema dell’assegno divorzile riconosciuto alla B.B. dalla pronunzia a Sezioni Unite di questa Corte n. 18287/2018, riportando i principi massimati, ad essa non si è poi, nel decidere, pienamente e completamente conformata.
Occorre infatti ricordare che la principale e imprescindibile funzione assistenziale dell’assegno comporta la necessità di valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che lo richiede e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, posto che la soglia della indipendenza economica deve intendersi come possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, avendo riguardo alle indicazioni provenienti dalla coscienza sociale (ex plurimis, Cass. n. 11504 del 2017 e n. 3015 del 2018).
Il divario o lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi vale “unicamente come precondizione fattuale il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità composita – assistenziale perequativa e compensativa – del detto assegno” (cfr. Cass. n. 32398 del 2019).
Ora, nella specie, è mancata un’effettiva valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile in quanto si doveva accertare:
a) l’effettiva mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa;
b) in caso di accertamento dell’autosufficienza ma di riscontro di uno squilibrio reddituale-patrimoniale, se vi fosse la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che lo stesso avesse dimostrato di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, con sacrificio delle proprie concrete (e non ipotetiche) aspettative professionali (cfr. Cass.civ.21234/2019, 5603/2020, 22499/2021).
Il giudice di appello, non si è pertanto conformato ai principi sopra richiamati, riconoscendo all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, sulla base di un mero lo squilibrio fra le due posizioni reddituali e giungendo ad affermare, pur in assenza di un accertamento condotto secondo i principi sopra illustrati, la prevalenza di tale componente senza in alcun modo spiegarne le ragioni>>.

Sulla retroattività o meno della modifica in corso di causa degli assegni di mantenimento e divorzili inizialmente disposti hanno deciso le Sezioni Unite

Cass. sez. un. n. 32914 del 8 novembre 2022, rel. Iofrida , si sono pronunciate sul punto in oggetto con lunga sentenza qqui ricordata solo sul principio di diritto (largamente -ma non totalmente- incline verso la retroattività e quindi la ripetibilità):

«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile;

b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».

Significativa è l’analisi del concetto di assegno alimentare e della presunta sua irripetibilità in caso di successiva modifca o cancellazione.

In generale è logico che la statuzione definitiva metta nel nulla tutti gli effetti giuiridici prodotti dalle statuizioni anteriori , come tali provvisorie (tutte quelle anteriori al giudicato).

L’assegno di mantenimento da separazione è diverso da quello divorzile

Cass., sez. 1, 13.09.2022 n. 26.890, rel. Lamorgese:

L’appello riduceva l’assegno a favopre del marito così motiovando:

<<Il G., all’epoca della separazione nel 2012, aveva quarantasette anni ed era dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007, quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all’accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie; egli “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento” ed era diventato istruttore di tecnica equestre, né aveva dimostrato che le somme erogategli dalla moglie (indicate dal ricorrente in circa Euro 10000,00 al mese) servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio; il G. non contribuiva al mantenimento del figlio, al quale provvedeva la T.; il tenore di vita del G. aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell’abitazione familiare… e la necessità di reperire altra abitazione a pagamento, non disponendo egli di proprietà immobiliari”, sicché l’assegno mensile di Euro 300,00 serviva “per consentirgli di disporre di una adeguata abitazione”; dal canto suo, la T. “continua a godere del tenore di vita precedente alla separazione, grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che le derivano dalla sua famiglia, pur dovendo provvedere in via esclusiva a mantenere il figlio”>>.

La Sc però accoglie , così censurandolo

<<Da queste argomentazioni traspare che il criterio seguito per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore del G. non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che è espresso dal principio secondo cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione (ex plurimis, Cass. 5605 del 2020, 16809 del 2019, 12196 del 2017).

Ed infatti, il contributo di mantenimento in favore del G. non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale – che, come accertato dalla Corte di merito, aveva subito un rilevante ridimensionamento dopo la separazione, contrariamente alla T., la quale poteva contare su notevoli risorse a sua disposizione – ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”.

Apodittica è l’affermazione secondo cui il G. sarebbe titolare di idonee risorse personali e professionali, essendo priva di una comprensibile esplicitazione dei fatti idonei a corroborarla. Ne’ è chiaro il significato dell’ulteriore affermazione secondo cui “egli peraltro ha goduto per quattro anni di un contributo mensile da parte della moglie di Euro 1500,00 mensili (attribuitogli in sede presidenziale)”, non comprendendosi se e quali elementi rilevanti la Corte ne abbia tratto sul piano decisorio.

Si tratta di una motivazione in fatto perplessa e sostanzialmente apparente, dunque censurabile in sede di legittimità>>.

Ancora sull’assegno divorzile

Si legge in Cass. 28 luglio 2022 n. 23.583, sez. 1, rel. Fidanzia:

<< L’assegno di divorzio deve essere riconosciuto, non in rapporto al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata anzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, secondo un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021).

La giurisprudenza di legittimità ha poi costantemente ritenuto inidonea ad escludere l’obbligo di corrispondere un contributo di natura assistenziale la sola generica (e nella specie non professionale) capacità lavorativa. In particolare, ha stabilito che, con riguardo alla capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell’assegno, l’indagine del giudice di merito, onde verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell’attribuzione dell’assegno, va condotta “secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente (nella specie, di estetista) giustificare l’affermazione della “esistenza di una fonte adeguata di reddito” – onde negare il diritto all’assegno divorzile in capo all’istante -, specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire, “sic et simpliciter”, la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato” (Cass. 6468/1998; conf. Cass. 4584/2000). E l’irrilevanza, al riguardo, della generica ed astratta possibilità del coniuge di procurarsi lavori saltuari è stata più volte ribadita da questo giudice di legittimità (Cass. 10260/1999), essendosi chiarito che tale indagine, condotta in sede di merito, deve esprimersi sul piano della concretezza e dell’effettività, tenendo conto di tutti gli elementi e fattori (individuali, ambientali, territoriali, economico sociale) della specifica fattispecie (Cass. 432/2002; Cass. 13169/2004).

Ora, nella specie, è mancata un’effettiva valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile in quanto si doveva accertare [1] l’effettiva mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa, e [2] , nel caso di accertamento dell’autosufficienza ma di riscontro di uno squilibrio reddituale-patrimoniale, verificare se vi fosse la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che egli dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, avendo sacrificato le proprie concrete (e non aleatorie) aspettative professionali (cfr. Cass. civ. 21234/2019, 5603/2020, 22499/2021).>> (numeri in rosso aggiunti)

Nessuna particolare novità.

Assegno divorzile e oneri sopravvenuti per il debitore

Cass. 23.998 sez. 1 del 02.08.2022, rel. Valentino, interviene sull’oggetto (non ci sono apprfondimento o spunti di interesse).

L’ex marito, alla luce di allegati oneri sopraggiunti a suo carico, contesta la permanenza del suo debito di euro 1.400,00 mensili a favore della moglie (la quale nel aveva in primo grado chiesto 2.000,00 mensili)

1° <<La Corte di Appello
ha applicato correttamente i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di
questa Corte con la sentenza n. 18278/2018, secondo la quale il
riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge
deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura
compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della I.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale6
n. 898 del 1970 richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei
mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per
ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima
parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre
attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione
dell’assegno>>;

2° : << Deve sottolinearsi, inoltre, che la circostanza dell’aumentato
impegno economico del ricorrente a causa della nascita dei suoi
gemelli ha indotto prima il Tribunale a diminuire l’assegno divorzile
e poi la Corte a confermare la diminuzione per cui il ricorrente non
può dolersi della violazione delle norme che enuncia. In tema di
assegno divorzile, «qualora a supporto della richiesta di sua
diminuzione o revoca siano allegati sopravvenuti oneri familiari
dell’obbligato, il giudice deve verificare se gli stessi abbiano
determinato un effettivo depauperamento delle sostanze di
quest’ultimo, tale da postulare una rinnovata valutazione
comparativa della situazione economico-patrimoniale delle parti o
se, viceversa, la complessiva, mutata condizione dell’obbligato non
sia comunque di consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri»
(Cass., n. 21818/21;Cass., n. 14175/16; Cass., n. 618/2022).
Di talchè, allo stato, il ricorrente espone nuovamente i medesimi fatti
chiedendone una diversa valutazione nel merito insindacabile in sede
di giudizio di legittimità (ex multis Cass., S.U. n. 8053/2014; Cass.,
36171/2021). La Corte territoriale ha applicato correttamente le
norme richiamate dal ricorrente, svolgendo un esame dei fatti
acquisiti completo ed esaurientemente motivato (da ultimo Cass.,
n.618/2022). Il motivo è, pertanto, inammissibile in quanto diretto
a sollecitare un riesame dei fatti, attraverso una diversa loro
interpretazione
>>

Assegno divorzile e successiva convivenza di fatto : finalmente le sezioni unite

L’estensione alla convivenza della cessazione dell’assegno in caso di nuove nozze, disposta dall’art. 5/19 l. divorzio  è stata decisa dalla sezioni unite con sentenza 5 novembre 20121 n. 32198, rel. Rubino (leggila ad es. qui nel sito wolters kluwer)

Principi di diritto:

<<L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio>>.

Vi era stata rinviata dall’ord.  di Cass. n° 28995 del dicembre 2020.

La SC , accogliendo l’impostazione del collegio rimettente,  distingue dunque tra componente assistenziale e componente compensativa (secondo il noto insegnamento di Cass. sez. un. 18287/2018).

Quanto alla prima, la convivenza fa perdere l’assegno; quanto alla seconda, invece, no.

Il secondo punto ci pare corretto senz’altro; non altrettanto il primo.

Qui interessa solo la giustificazione del primo, che riporto:

<<23.2 – L’instaurazione di una nuova convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto a pretendere, finché permanga la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l’ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, anche l’adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale (come attualmente previsto dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), benché non privo di precarietà nel suo divenire, in quanto legato al perdurare della situazione di fatto.

23.3 – Ne consegue che, qualora sia stata fornita la prova dell’instaurarsi di tale stabile convivenza, il cui accertamento può intervenire sia nell’ambito dello stesso giudizio volto al riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, come nella specie, sia all’interno del giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio, può ritenersi che cessi, in conseguenza del nuovo progetto di vita intrapreso, che indubbiamente costituisce una cesura col passato, e nell’ambito del quale l’ex coniuge potrà trovare e prestare reciproca assistenza, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno, anche se il nuovo nucleo familiare di fatto abbia un tenore di vita che non sia minimamente paragonabile al precedente, e neppure a quello che sarebbe assicurato al convivente qualora potesse integrarlo con l’assegno divorzile>>.

Mi pare un errore.  La convivenza , anche se regolata dall’art. 1 commi 36 e segg. legge 76/2016, non attribuisce alcuna pretesa economica/di mantenimento: l’unica è quella dell’assegno alimentare dopo la fine della convivenza stessa, art. 1 c. 65.

Dunque far cadere l’assegno, in caso di nuovo rapporto affettivo convivenziale per la tranquillità economica da esso scaturente (in sostanza dice così),  non pare esattissimo …

Separazione tra coniugi, costituzione di simil rendita vitalizia e successiva decisione sull’assegno divorzile

Cass. n. 11.012 del 26.04.2021 si occupa dell’incidenza dell’accordo post separazine sul giudizio circa l’assegno divorzile.

Il giudice di legittimità ribadisce che <<la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sanzionare con la nullità gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio. In particolare, nella sentenza n. 2224 del 30/01/2017 (vedi anche Cass. 5302 del 10/03/2006) è stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.>>p. 4-5

La corte rigetta l’utilzizabilit àòdel precedente Cass. 8109/2000 in cui l’accordo medio tempore inrevenuto (ante divorzio) era una transazione.

Il principio di diritto allora è : <<“In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.>>