Cass. sez. III, ord. 30/05/2024 n. 15.216, rel. Rubino:
<<Come chiarito da Cass. S.U. 22437 del 2018, ai cui principi, già ripresi e sviluppati da numerose pronunce a sezioni semplici successive (basti citare Cass. n. 12981 del 2022, Cass. n. 6490 del 2024), va data continuità, il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole ori claims made basis, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale.
Si è altresì chiarito che l’indagine di conformità del contratto concluso dalle parti al tipo negoziale indicato riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti – e non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle claims made) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale on claims made basis vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.
La giurisprudenza di legittimità ha indicato quindi, in relazione alle clausole claims made, che si è fuori dal giudizio di meritevolezza, che attiene alla sfera dei contratti atipici, mentre il giudizio verte su un complesso ed articolato apprezzamento della causa in concreto, con idonea considerazione, alla luce del generale modello legale, di ogni suo aspetto rilevante>>.
Principi male applicato dalla cortge di appello:
<<3.1. – La Corte territoriale, nella fattispecie in esame, premette una corretta affermazione teorica, in linea di principio, là dove afferma che si è fuori dell’ambito del giudizio di meritevolezza, relativo ai contratti atipici, dovendosi invece verificare la causa concreta di un contratto tipico, essendo il contratto in questione riconducibile alla tipologia del contratto di assicurazione contro i danni.
A pagg. 12 e 13 la sentenza impugnata riporta la clausola oggetto di contestazione, quindi passa alla valutazione di essa ed afferma, con motivazione molto sintetica a pag. 13, che il contratto sia carente di causa in concreto, in quanto esso da un lato formalmente prevede che nel suo ambito di operatività siano ricompresi anche eventi di danno verificatisi nei tre anni precedenti al periodo di vigenza (che va dal 7.5.2005 al 7.5.2008), ma poi ne esclude ampie categorie, cosicché la copertura per il periodo precedente risulta di fatto svuotata di contenuto, non essendo peraltro coperti i sinistri verificatisi nel periodo di vigenza le cui richieste di risarcimento pervengano, come è normale, dopo il termine di esso (nel caso di specie, la denuncia di sinistro è arrivata all’assicurazione dopo il periodo di vigenza della polizza, quindi se la clausola claims made fosse valida, l’evento non sarebbe coperto).
3.2. – L’esame compiuto dalla corte d’appello sulla validità della clausola in discussione non appare rispondente a diritto sotto due distinti profili.
3.3. – In primo luogo, l’accertamento compiuto, sebbene formalmente qualificato come teso alla verifica della causa in concreto, appare più improntato ai caratteri del giudizio cri meritevolezza di un contratto atipico.
Il giudice di merito avrebbe dovuto, invece, valutare se il contratto presentava una assenza di corrispettività tra pagamento del premio e assunzione del rischio assicurato, quindi accertare in concreto la presenza o meno di un sostanziale disequilibrio sinallagmatico, nei termini rigorosi indicati dalle Sezioni Unite, che solo avrebbe potuto costituire sintomo di carenza della causa in concreto e quindi di inadeguatezza del contratto rispetto agli interessi che con esso le parti intendevano tutelare. L’esame condotto ai fini della verifica della causa in concreto non appare rispondente alla complessità di parametri indicati da S.U. n. 22437 del 2018, poi ripresi dalle pronunce successive (v. Cass. n. 12981 del 2022), che impongono di prendere in idonea considerazione, alla luce del generale modello legale, tutti gli aspetti del rapporto, la negoziazione informata, la convenienza del premio e la copertura di fatti pregressi, ovvero accaduti prima del periodo di validità della copertura decorrente dalla stipula, potendo proprio in ciò – ossia nella prospettiva di evitare “buchi” o “vuoti” di copertura – consistere l’utilità dell’accordo per l’assicurato.
L’esame della clausola, sbrigativamente motivato a pag. 13 della sentenza impugnata, si limita a porre in rilievo due dati, le stringenti previsioni che concernono i tre anni precedenti la vigenza del rapporto, volte a limitare (ma non ad escludere) una effettiva risarcibilità degli eventi precedenti, e la mancanza della considerazione di richieste di sinistri pervenuti dopo il periodo di vigenza. La motivazione non prende in considerazione, però, se, pur alla luce delle indicate limitazioni, dall’esame del complessivo assetto di interessi residui una sinallagmaticità delle prestazioni idonea a giustificare il rapporto sotto il profilo causale, ovvero se il contratto sia comunque in grado di esplicare la propria funzione tipica.
3.4. – Ma, soprattutto, la sentenza impugnata non si preoccupa affatto di prendere in considerazione le conseguenze della declaratoria di nullità della causa in concreto della clausola contrattuale, che vanno invece gestite dal giudice stesso che dichiara la nullità della singola clausola, cui spetta l’indicazione della norma imperativa con la quale sostituire la clausola dichiarata nulla, ai fini di lasciare alle parti una regolamentazione depurata della clausola nulla e tuttavia utilizzabile, perché regolamentata da regole certe. È, infatti, principio consolidato che il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c. deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla (in questo senso, in tema di clausola claims made apposta ad un contratto di assicurazione per la responsabilità civile, Cass. n. 9616 del 2023). La corte d’appello, in sede di rinvio, qualora confermi la sua valutazione di nullità della clausola, dovrà procedere alla individuazione della norma di riferimento alla stregua della quale regolamentare i profili svuotati di contenuto dalla declaratoria di nullità e, benché solo nel caso in cui non rinvenga la norma di riferimento che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, dovrà dedurne la nullità dell’intero contratto. Come ricordato da Cass. n. 6490 del 2024, peraltro, mette conto sottolineare che la pronuncia n. 22437/2018 a Sezioni Unite ha agevolato il compito del giudicante, che risulta in un certo senso guidato nella ricerca della clausola sostitutiva e non più lasciato a cimentarsi in avventate operazioni di ortopedia ermeneutica allo scopo di salvare il contratto; nei settori in cui il legislatore è intervenuto per disciplinare le polizze claims made il giudice dispone di un serbatoio di riferimento che risponde a “scelte precise del legislatore sui criteri di opportunità, efficienza e giustizia” nell’ambito della distribuzione del rischio; quel serbatoio rappresenta una sorta di limite invalicabile, “fin dove reso possibile dall’operare coerente del meccanismo della nullità parziale ex art. 1419 c.c., comma 2” per le polizze stipulande e un parametro funzionale allo svolgimento dell’indagine sull’adeguatezza delle polizze già stipulate da parte del giudice che, ritenuta inadeguata la clausola claims made pattizia, è investito del compito non solo di rilevarne la nullità, ma anche di sostituirla>>.