Il richiamo delle clausole vessatorie per la seconda firma ex art. 1341 cc

Cass. sez. III, ord. 15/02/2024 n. 4.126, rel. Condello:

<<La doglianza incentrata sulla pretesa inefficacia della doppia sottoscrizione della clausola di tacita rinnovazione del contratto è infondata, risultando, nella specie, la clausola correttamente richiamata, in conformità al principio affermato da Cass. n. 22984/2015, secondo cui, nel caso di condizioni generali di contratto, l’obbligo della specifica approvazione per iscritto a norma dell’art. 1341 cod. civ. della clausola vessatoria è rispettato anche nel caso di richiamo numerico a clausole, onerose e non, purché non cumulativo, salvo che quest’ultimo non sia accompagnato da un’indicazione, benché sommaria, del loro contenuto, ovvero che non sia prevista dalla legge una forma scritta per la valida stipula del contratto.

La Corte d’appello, con accertamento di fatto, ha rilevato che nel contratto di installazione di gioco lecito la clausola in esame risultava evidenziata mediante una indicazione sommaria del contenuto, così risultando rispettata l’esigenza di tutela codificata nell’art. 1341 cod. civ., dovendo reputarsi essere stata l’attenzione del contraente, ai cui danni le clausole sono state predisposte, adeguatamente sollecitata e la sua sottoscrizione in modo consapevole rivolta specificamente proprio anche al contenuto a lui sfavorevole (Cass., sez. 6 -3, 02/04/2015, n. 6747). Deve, infatti, negarsi l’idoneità di un mero richiamo cumulativo, a clausole vessatorie e non, ma soltanto se si esaurisca nella mera indicazione del numero e non anche, benché sommariamente, del contenuto (ex multis, Cass., 29/02/2008, n. 5733; Cass., 11/06/2012, n. 9492; Cass., sez. 6 – 3, 09/07/2018, n. 17939)>>.

Mediazione e dovere pattizio temporalmente eccessivo di pagamento della provvigione

Cass. Sez. 2 sent.  del 09/01/2024 n. 785, rel. Giannaccari:

“ E’ vessatoria ed abusiva, ai sensi dell’art.1341 c.c. e dell’art.33 del
Codice del Consumo, la clausola, predisposta unilateralmente dal
mediatore, che prevede il diritto del compenso provvigionale, dopo la
scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un
soggetto che si sia avvalso della sua attività qualora l’affare sia stato
successivamente concluso da un familiare, società o persona
“riconducibile “; detta clausola determina un significativo squilibrio a
cari del consumatore perché lo obbliga ad una prestazione in favore
del professionista indipendentemente da ogni accertamento, anche in
via presuntiva, del preventivo accordo con il soggetto che ha concluso l’affare o di ogni altra circostanza concrete da cui risulti che l’affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti”.

Così la SC  riassume la clausola  sub iudice:

<<E’ pacifico che il contratto di mediazione predisposto su formulario dalla Toscano s.p.a. conteneva una clausola, non specificamente sottoscritta da Antonella Giglio, che la obbligava a corrispondere il compenso al mediatore anche nel caso in cui l’immobile fosse stato locato dopo la scadenza dell’incarico e anche qualora il contratto fosse stato concluso da parte di soggetti ad essa
riconducibili (familiari, società partecipate)>>.

La corte di appello milanese sulla clausola c.d. floor nei contratti di mutuo a tasso variabile

App. Milano sent n. 2836/2022-RG 1644/2020, rel. Milone, offreo tre spunti interessanti:

– la clausola è accessoria in quanto non costituisce oggetto principale del contratto: quindi è sindacabile in base alla disciplina della vessatorietà ex art. 33 ss. c. cons.

– la cluaola è vessatoria: << Ritiene la Corte che anche tale motivo sia fondato.
Deve essere, infatti, ricordato che si considera vessatoria la clausola che determina a
carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto e tale situazione certamente ricorre nel caso di applicazione della clausola
floor (non accompagnata da analogo meccanismo correttivo quale potrebbe essere quello
derivante dall’applicazione di una clausola
cap né da una riduzione dello spread, che
non emerge nella modulistica prodotta nel presente giudizio): la considerazione
dell’indice Euribor come pari a zero nel caso che assuma valore negativo implica,
infatti, l’obbligo del mutuatario di corrispondere gli interessi ad un tasso comunque pari
allo
spread pattuito, senza poter beneficiare interamente della variazione favorevole
dell’indice, come invece può fare la Banca mutuante, che non è soggetta ad alcuna
limitazione nel caso di rialzo dell’indice.
Tale situazione di significativo squilibrio non riguarda la convenienza economica, che
non è sindacabile dal giudice (v. art. 4 Direttiva cit. e art. 34 Codice del Consumo) ma
attiene proprio ai diritti e agli obblighi nascenti dal contratto.
La disciplina negoziale derivante dalla clausola
floor non incide infatti sulla congruità
della remunerazione (che non potrebbe essere oggetto di valutazione in termini di
abusività) bensì determina uno squilibrio giuridico e normativo, consentendo ad una sola
parte (la Banca) di trarre pieno beneficio dalle variazioni a sé favorevoli dell’indice e di
limitare il pregiudizio derivante dalle variazioni a sé sfavorevoli.
La sentenza appellata deve essere, quindi, riformata e deve essere accolta la domanda
volta ad inibire l’uso della clausola contestata
>>

– misure restitutorie inammissibili trattandosi di azione 37-140 cod. cons.: << In particolare sulle misure correttive l’appellante richiama la “sentenza della Corte di
giustizia della UE nelle cause riunite C-154/15, C-307-8/15, Gutiérrez Naranjo, del 21
dicembre 2016, la quale ha affermato (proprio in un caso in cui si discuteva del diritto
dei consumatori di ottenere la restituzione delle somme pagate in esecuzione delle
clausole floor contenute nei contratti di mutuo ipotecario stipulati con le banche
spagnole) che il principio di effettività del diritto comunitario impone che i consumatori
ottengano la restituzione di tutte le somme pagate in esecuzione di clausole vessatorie
dichiarate nulle: “l’assenza di tale effetto restitutorio, infatti, potrebbe pregiudicare
l’effetto deterrente che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato
disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della stessa, mira a collegare alla dichiarazione
del carattere abusivo delle clausole contenute in contratti stipulati tra un consumatore e
un professionista” (punto 63).
Ritiene la Corte che il richiamo alla suddetta decisione non sia pertinente poiché dalla
lettura dell’intera motivazione si evince che la Corte di Giustizia ha adottato tale
pronuncia in relazione a fattispecie che riguardavano azioni individuali e non collettive,
affermando il principio suindicato a fronte di una interpretazione della giurisprudenza
spagnola che aveva negato gli effetti retroattivi delle dichiarazioni di nullità delle
clausole abusive: in altre parole, la Corte di Giustizia ha ritenuto che dovesse essere
riconosciuta (contrariamente a quanto avevano ritenuto i giudici spagnoli) l’efficacia
retroattiva delle dichiarazioni di abusività delle clausole vessatorie in favore dei singoli
contraenti che avevano formulato richieste restitutorie o risarcitorie, ma non ha
certamente affermato che il principio di effettività imponga l’adozione di concreti ordini
ripristinatori a richiesta delle Associazioni portatrici di interessi collettivi.
Ritiene, pertanto, questa Corte che nessuna misura volta ad incidere sugli effetti concreti
che sono derivati dall’avvenuta esecuzione dei singoli contratti possa essere qui adottata
su richiesta dell’Associazione appellante, poiché la rimodulazione dei piani di
ammortamento o la restituzione di somme versate richiede accertamenti della situazione
di fatto, che è diversa per ogni singolo contraente e che può essere ricostruita solo
mediante l’esercizio di azioni individuali, non costituendo ragione sufficiente ad
escludere la necessità di tale accertamento in concreto l’affermata modestia degli
importi che ogni singolo interessato potrebbe richiedere.
È possibile, invece, proprio perché si tratta di misure che possono riguardare
indistintamente tutti i soggetti interessati senza la necessità di specifici accertamenti,
disporre la pubblicazione della presente sentenza, dopo il suo eventuale passaggio in
giudicato, sulla pagina iniziale del sito internet della Banca e, per una volta, sul
quotidiano a diffusione nazionale
Corriere della Sera.
Il termine per l’adempimento dei suddetti obblighi viene fissato ai sensi dell’art. 140 co.
7 Codice del Consumo in giorni trenta dal passaggio in giudicato della presente sentenza
e, nel caso di inosservanza degli stessi, si dispone a carico dell’odierna appellata il
pagamento della somma di euro 1.032,00 per ogni giorno di ritardo
>>

Dispositivo:

<<La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone:

accoglie l’appello e, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano n. 9976/19,
inibisce a Banco BPM S.p.A. l’uso della clausola
floor descritta nella parte finale
dell’art. 4 delle Condizioni Generali del “
Contratto di Mutuo Fondiario Immobiliare ai
Consumatori”
(doc. 9 appellante);

-ordina a Banco BPM S.p.A. di pubblicare, entro trenta giorni dal passaggio in giudicato
della presente sentenza, il presente dispositivo sulla pagina iniziale del proprio sito
Internet e, per una volta, sul quotidiano a diffusione nazionale
Corriere della Sera;

-dispone a carico di Banco BPM S.p.A. il pagamento della somma di euro 1032,00 per
ogni giorno di eventuale ritardo nell’adempimento degli obblighi stabiliti dalla presente
sentenza;

-compensa interamente le spese di entrambi i gradi di giudizio. >>

Vessatorietà ex art. 1341 cc e clausola di risarcimento in forma specifica nel contratto di assicurazione auto (c.d. polizza eventi atmosferici)

La clausola di risarcimento (rectius: indennizzo) del danno in forma specifica, sempre più frequente., non è vessatoria ex art. 1341 cc poichè non limita la responsabilità della Compagnia  ma determina solo l’oggetto contrattuale.

Così Cass. 23.415 del 27.07.2022, sez. 3, rel. Spaziani:

<<2.2. I primi quattro motivi del ricorso per cassazione in esame sono, invece, infondati nella parte in cui, deducendo la violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., nonché del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33, 34, 35 e 36, (Codice del consumo), contestano le rationes decidendi della sentenza impugnata, dubitando della legittimità, in base alle predette norme, del giudizio espresso dal giudice di appello sulla non vessatorietà della clausola contrattuale e sulla valida ed efficace formazione del consenso su di essa.

2.2.a. Questa Corte ha affermato il principio, cui deve darsi continuità, secondo il quale, nel contratto di assicurazione contro i danni, la clausola con cui si pattuisce che l’assicurato sia indennizzato mediante la reintegrazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (ad es., mediante riparazione del veicolo presso una carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell’art. 1341 c.c., ma delimitativa dell’oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato (Cass. 15/05/2018, n. 11757).

Infatti, premesso che, nell’ambito del contratto ci assicurazione, sono da considerare limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., le clausole che circoscrivono le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre, al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle che concernono il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (tra le altre, Cass. 10/11/2009, n. 23741 e, recentemente, Cass. 04/02/2021, n. 2660, non mass.), deve escludersi che siano soggette all’obbligo della specifica approvazione preventiva per iscritto le clausole che si limitano a prevedere, in luogo del risarcimento per equivalente, l’obbligo, per l’assicuratore, di provvedere alla riparazione in forma specifica (eventualmente, come nella specie, attraverso la previsione della riparazione del veicolo presso una carrozzeria convenzionata), la quale costituisce una forma di risarcimento o di indennizzo che consente al danneggiato di ottenere il ristoro del pregiudizio subito mediante la diretta rimozione delle conseguenze dannose e la restitutio in integrum del medesimo bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse leso.

2.2.b. Con siffatta clausola non viene imposto al contratto di assicurazione un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato né si consente all’assicuratore di sottrarsi in tutto o in parte alla sua obbligazione o si assoggetta la soddisfazione dell’assicurato all’arbitrio dell’assicuratore e ai tempi da questo imposti per la definitiva liquidazione della somma dovuta; piuttosto, senza determinare alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione (ma, anzi, attraverso una libera stipulazione intesa ad ottenere specifici vantaggi contrattuali a fronte dell’assunzione dell’impegno di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore), viene specificato l’oggetto del contratto stesso e vengono pattuite le modalità e la forma con cui l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro; la clausola in questione, pertanto, non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore e non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi dell’art. 1341 c.c..

2.2.c. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la quale sembra considerare il risarcimento per equivalente maggiormente satisfattivo per il creditore rispetto a quello in forma specifica – va altresì puntualizzato, in termini generali, che, sebbene la scelta tra le due forme risarcitorie spetti al creditore (art. 2058 c.c., comma 1), tuttavia, se il debitore offre il risarcimento in forma specifica, l’eventuale rifiuto di tale offerta sarebbe contrario a buona fede, perché precluderebbe al debitore di conseguire un risultato utile che non comporta per il creditore un apprezzabile sacrificio e che e’, anzi, normalmente più adeguato al fine risarcitorio e, dunque, al soddisfacimento dell’interesse creditorio (art. 1174 c.c.).

Proprio su tali presupposti la dottrina ammette che danneggiato e danneggiante possono validamente ed efficacemente accordarsi sul risarcimento in forma specifica, anche in via preventiva: tale accordo, infatti, integra un contratto innominato avente causa risarcitoria, diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c., comma 2).

La clausola contrattuale diretta a prevedere siffatta forma risarcitoria, predisposta unilateralmente dal debitore, non determina, pertanto, uno squilibrio in suo favore dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto: la concreta operatività di tale istituto, ove sia materialmente possibile, trova infatti un limite, non già nelle esigenze di tutela del creditore (il cui interesse viene, al contrario, pienamente reintegrato), ma nelle esigenze di tutela del debitore, il quale può liberarsi mediante il risarcimento per equivalente, ove quello in forma specifica risulti per lui eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c., comma 2).

2.2.d. Il giudizio del Tribunale, inteso ad escludere il carattere vessatorio della clausola “F.9.4”, integrativa del contenuto del contratto di assicurazione stipulato dalla ricorrente, nonché il susseguente giudizio inteso a ritenere validamente ed efficacemente formato il consenso dell’assicurata su detta clausola (che non necessitava di specifica approvazione per iscritto) attraverso la sottoscrizione della dichiarazione di conoscere ed accettare le disposizioni della “Linea Comfort” contenute nel fascicolo informativo, appare, per quanto si è detto, perfettamente conforme a diritto, con conseguente infondatezza delle censure formulate, al riguardo, negli illustrati motivi di ricorso per cassazione>>

Vessatorietà della clausola con cui il costruttore venditore si esenta dalle spese condominiali

Interessante il tema indagato da Cass. 21.06.2022 n. 20.007, rel. Scarpa: l’abusività ex art. 33 c. cons. della clausola (frequente nei condomini nuovi) con cui il venditore-costruttore viene esentato dal contribuire alle spese condominiali.

Mi limito a riprodurre il principio di diritto: “la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 1, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano

Interessi corrispettivi e interessi moratori: la disciplina dei primi per l’usura viene estesa ai secondi

Le sezioni unite della Cassazione estendono la disciplina sanzionatoria, posta dall’art. 1815 c. 2 cc per gl interessi usurati, a quelli moratori: così Cass. 19.597 del 18.09.2020, rel. Nazzicone, con ampia analisi e qualche suggerimento per soluzione dei problemi applicativi.

La ratio di eccessiva gravosità, che può inficiare il patto sugli interessi corrispettivi, vale pure per il patto relativo agli interessi da ritardo nell’adempimento: <Certamente esiste, infatti, l’esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercè del finanziatore: il quale, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, alla cui misura l’ordinamento (cfr. art. 41 Cost.) e la disciplina ad hoc dettata dal legislatore ordinario non restano indifferenti>, § 6, p. 16.

A nulla vale il fatto che questi ultimi, in quanto rientranti nel concetto di clausola penale, siano riducibili dal giudice ex art. 1384 cc (p. 18): <Questa, invero, non sarebbe equivalente ove operata ex art. 1384 c.c.: il quale potrebbe sempre consentire una riduzione casistica e difforme sul piano nazionale, oltre che, verosimilmente, condurre al mero abbattimento dell’interesse pattuito al tasso soglia, pur integrato con quello rilevato quanto agli interessi moratori, e non al minor tasso degli interessi corrispettivi, come oltre, invece, si indicherà; mentre, poi, il diritto positivo non impedisce una interpretazione che riconduca anche gli interessi moratori nell’alveo della tutela antiusura, con maggiore protezione del debitore, che sembra anzi consigliare.>, § 6, pag. 16.

Ecco i principi di diritto ex art. 384/1 cpc:

“La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”.

“La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perchè “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto””.

“Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista”.

“Si applica l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti” (passaggi logici svolti a p. 24) .

“Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento”.

“Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f) e art. 36, comma 1 codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.”.

“L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto”.