Sentenza restrittiva circa la liceità del patto di quota-lite tra avvocato e cliente

Cass.  Sez. II, sent.  n. 23.738 del 4 settembre 2024, rel. Giannaccari, nella seguente fattispecie concreta: <<Il giudizio si era concluso con la soccombenza in primo grado e le parti, successivamente, in data 13.10.2015, avevano stabilito che, per la difesa nel giudizio d’appello, in caso di soccombenza, il compenso sarebbe stato contenuto in Euro 8000,00 mentre, in caso di vittoria sarebbe stato determinate in una percentuale pari al 15% delle somme ricevute dalla A.A. dal Comune di A. Nella scrittura privata, si specificava che “resta inteso che eventuali somma pagate dal Comune di T. di A. a titoli di rifusione spese legali si somma alla percentuale sopra pattuita e restano acquisite al professionista”>>.

Ebbene:

<<Come sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare Cassazione civile sez. II, 06/07/2022, n.21420, non massimata ed i precedenti in essa richiamati), il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.

Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione (Cass. 11485/1997; Cass. 4777/1980).

Coerentemente con la ratio del divieto, infatti, accentuando il distacco dell’avvocato dagli esiti della lite, diminuisce la portata dell’eventuale commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato (Cass. Sez. Unite, N.25012/2014).

La nullità del patto di quota lite è assoluta e colpisce qualsiasi negozio avente ad oggetto diritti affidati al patrocinio legale, anche di carattere non contenzioso, sempre che esso rappresenti il modo con cui il cliente si obbliga a retribuire il difensore, o, comunque, possa incidere sul suo trattamento economico.

Nel caso di specie, il compenso dell’avvocato era stato parametrato ad una percentuale dell’importo che la ricorrente avrebbe percepito dal Comune a titolo di retribuzioni intermedie dalla data dell’illegittimo licenziamento fino alla data di reintegra. Il compenso non era parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma al risultato raggiunto all’esito del giudizio, avente ad oggetto non solo la reintegra nel posto di lavoro, ma anche la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non versate.

L’argomento sostenuto dalla controricorrente, secondo cui la causa verteva sull’illegittimità del licenziamento, non è condivisibile in quanto a tale accertamento conseguiva la condanna al pagamento delle retribuzioni e, sulla loro percentuale, ovvero sulla res litigiosa, era stato determinato il compenso dell’avvocato.

Viene dunque in rilievo non una questione di interpretazione dell’accordo, ma una questione di falsa applicazione dell’art. 13 terzo comma, essendo stata quest’ultima estesa ad un caso non consentito, ovvero alle ipotesi in cui il compenso sia correlato al risultato pratico dell’attività svolta.

Non è condivisibile la tesi difensiva secondo cui la corresponsione di una somma parametrata al risultato raggiunto costituiva “palmario”. Nel sostenere tale tesi, la controricorrente ha enfatizzato la previsione dell’accordo in forza del quale, oltre alla percentuale de 15%, all’Avv. B.B., in caso di vittoria della lite, erano dovute le somme pagate dal Comune di A. a titolo di rifusione delle spese legali. Il palmario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce una componente aggiuntiva del compenso riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e la difficoltà della prestazione professionale (Cassazione civile sez. un., 08/06/2023, n.16252; Cassazione civile sez. II, 26/04/2012, n.6519).

Nel caso di specie, manca, nell’accordo intercorso tra cliente e professionista il riferimento al pagamento di una somma ulteriore, aggiuntiva, cioè, al compenso, in caso di esito positivo della controversia o in caso di particolare gravosità dell’impegno. La nullità del patto di quota lite non pregiudica la validità dell’intero contratto di patrocinio (Cass. Civ., Sez. II, 30.7.2018, n.20069), e, conseguentemente l’avvocato conserva il diritto al compenso per le sue prestazioni sulla base delle tariffe professionali (Cassazione civile sez. II, 10/03/2023, n.7180 (non massimata)>>.

La Cassazione sul patto di quota lite (stipulato nel periodo tra lenzuolata Bersani e legge professionale del 2012)

Principio di diritto enunciato da Cass.  28.914 del 5 ottobre 2022, sez. 2, rel Scarpa:

<< il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali>>.

Per “tariffa di mercato” leggesi -credo- “tariffa professionale”

Nel caso specifico, il credito pattuito era del 30 % sull’incassato, oltre a aspese

Nessun cenno ad anticipazione di spese vive da parte del cliente.