“Aceto Balsamico” in una lite nazionale

Tribunale di Venezia deciso 13.12.2023, RG 2889/2019, rel. Guzzo, emette ssntenza analiita ed interssante sull’uso del termine Aceto Balsamico.

Nè dà notizia Anna Maria Stein in IPKat, dandone pure il link al testo.

La domanda avanzata dal Consorzio è accolta solo in parte e cioè relativamente alla concorrenza sleale ex art. 2598 cc

Ecco il dispositivo:

Il Tribunale definitivamente pronunciando:

1) Rigetta le domande attoree formulate al punto I delle conclusioni attoree e le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sugli illeciti invocati in detto punto 1)

2) Rigetta le domande attoree formulate al punto II con riferimento alla concorrenza sleale ex art 2598 n .1 e 2 cc nonché le domande di inibitoria, penale e risarcimento danni fondate sulle fattispecie di concorrenza sleale ex art 2598 n.1 e 2 cc.

3) Accertato che i condimenti oggetto di causa non possiedono le caratteristiche necessarie per essere denominati con la denominazione legale “aceto”, accerta che l’uso del termine “aceto” pagina 17 di 18 nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti oggetto di causa integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc

4) in ragione di quanto accertato al punto 3 del presente dispositivo inibisce l’utilizzo della parola aceto per i condimenti in oggetto e ciò nella nell’etichettatura, presentazione o pubblicità dei condimenti stessi

5) Accertato che l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ nella etichettatura non è conforme alle prescrizioni del Regolamento (UE) 1169/11, accerta che l’uso di dette parole per le etichettature dei prodotti integra concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc.

6) In ragione di quanto accertato al punto 5) inibisce ai convenuti l’uso delle parole “Balsamico di..” , “Ristretto di Balsamico.. “ da sole o unite ad “aceto” per denominare i condimenti nella etichettatura dei recipienti e bottigliette contenenti detti prodotti ed altresì inibisce la presentazione e pubblicizzazione di foto in cui compaiano i recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o balsamico…” da soli o in aggiunta ad aceto. “ristretto di

7) Ordina di eliminare dal sito web www.teatrodelgusto.it la pubblicità presente in cui compaia il termine “aceto” riferito ai condimenti del tipo di cui trattasi ed altresì la pubblicità in cui compaiano foto di recipienti o bottigliette di detti condimenti o cartellini identificativi etichettati con “Balsamico di..” o “ristretto di balsamico” da soli o in aggiunta ad aceto dando termine all’uopo di giorni 30 dalla pubblicazione della presente sentenza

8) Pone una penale di € 80,00 per ogni giorno di ritardo nella rimozione di quanto indicato al punto 7) con decorrenza dal giorno successivo al termine di grazia di giorni trenta di cui al medesimo punto 7) , nonché pone una penale di € 30,00 per ogni futura violazione alle inibitorie di cui ai punti 4 e 6 del presente dispositivo

9) Condanna in via generica, in solido, le convenute al risarcimento dei danni per concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 cc come da parte motiva

10) Rigetta ogni altra domanda 11) Compensa le spese di lite e pone le spese di CTU per il 50% a carico dell’attore e per il restante 50% a carico delle convenute in solido

Concorrenza sleale verso Amazon per recensioni fasulle e prezzolate

Provvedimento cautelare interessante, anche non del tutto condivisibile, quello emesso da Trib. Milano sez. impr., ord., 21 marzo 2024, giudice Dal Moro (menzionato in molti siti; testo preso da Foro Italiano-News), Amazon EU sarl+1 c. DP.

La cautela inibitoria si basa su slealtà concorrenziale (art. 2598 n. 3 cc), data dalla falsità delle recensioni fatte apparire sul marketplace di Amazon in attuazione di apposito business (l’anonimato del quale e del suo sito è facilmente superabile con qualche rapida ricerca in rete e probabilmente pure dalla pubblicazione ordinata dal giudice sui siti Altroconsumo e Codacons)

In breve il soggetto pagava chi andava poi a disporre (o aveva in precedenza disposto) recensioni false su questo o quel venditore.

L’illiceità è sicura. Altrettanto non è la qualificazione come concorrenza sleale, mancando il rapporto di concorrenza.

Il Trib. opina in senso opposto: <<In secondo luogo, pare altrettanto indubitabile che l’attività economica svolta nella specie (offerta del servizio di recensione) concorra con quella medesima svolta da Amazon sul medesimo mercato, posto che quest’ultimo, come affermato anche in sede di legittimità, è identificato dalla “comunanza di clientela” da intendersi come “insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti (beni o servizi n.d.r.) che sono in grado di soddisfare quel bisogno”, e che, quindi, l’attività in concreto svolta deve identificarsi anche alla luce dell'”esito di mercato fisiologico e prevedibile”, e comprenda, perciò, servizi “affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale”.
Il “mercato dell’offerta in vendita” su cui opera Amazon si articola anche in un segmento specifico identificato nel servizio accessorio e funzionale delle recensioni dei prodotti venduti, il quale viene svolto anche dal sig. P., con strumenti che lo rendono illecito non solo perché mira a falsare la genuinità del riscontro del consumatore/ acquirente, ma anche perché si avvale in maniera subdola dello strumento che Amazon stessa utilizza per rendere detto servizio, alterandone la veridicità e l’affidabilità con conseguente grave danno all’immagine e alla reputazione della ricorrente. >>

La concorenzialità invece manca: Amazon trae ricavi dalla percentuale sui ricavi conseguiti dal venditore, non dalle recensioni, che sono solo strumentali a creare affidabilità verso il marketplace.

Nemmeno il periculum in mora pare esistere.

Dice invece di si il Trib.: <<Il Tribunale ritiene che sussista, altresì, il periculum in mora presupposto dell’emissione del richiesto provvedimento cautelare. Infatti, in assenza di un provvedimento urgente, appare fondato il timore che nell’attesa di una decisione di merito la prosecuzione di siffatta condotta illecita possa concorrere a causare pregiudizi difficilmente riparabili se non irreparabili in termini di credibilità della piattaforma di vendita on line ricorrente, considerando anche che risulta che il business illecito del P. si rivolga in modo prevalente a detta piattaforma e che stia, altresì, intensificandosi con particolare riferimento proprio alla medesima (cfr. doc. 18 e doc. 19, contenenti “screenshot” del sito (omissis), rispettivamente, alla sezione “bestsellers” in cui vengono pubblicizzati cinque pacchetti di recensioni false tre dei quali riferibili allo store Amazon, e alla sezione “nuovi arrivi” in cui vengono pubblicizzati pacchetti di recensioni false esclusivamente riferibili allo store Amazon)>>.

Che per qualche mese in più di opertività vernga irreparabilmente lesa la credibilità di Amazon, non è molto credibile. Si tenga infatti conto da un lato che una larga parte delle recensioni in rete è  di assai dubbia veridicità  e, dall’altro, che si tratta di fatto notorio (basta una rapida googlata di articoli in proposito).

L’irreparabilità poi andrebbe comunque argomentata un pò meglio.

Sul framing (oscuramento) pubblicitario di siti web altrui

Prof. Lemley su mastodon ci notjzia dell’appello del 9 circuito, Best CArpet v. Google , 11.02.2024 , No. 22-15899 .

Vedi anche la riproduzione delle pagine internet offerta da Eric Goldman, qui riprodotte

senza framing e (a dx) con framing minimo in basso

 

con il framing espanso

 

IN breve Google oscura i siti altrui dapprima con un piccolo annuncio in basso e poi, se l’utente lo clicca, in grande oscurando buona parte dello schermo.

Il danneggiato aziona la trespass to chattels (tra la nostra azione possessoria di manutenzione e la negatoria proprietaria  ex art. 949 cc).

Ma il 9 circuito rigetta perchè l’oggetto dell’azione di google non è costituito da “chattels” (per l’immaterialità dunque). Rigetta anche la causa petendi basata su copyright-

Caso interessante. Come sarebbe regolato da noi (a parte l’illecito aquiliano, in mancanza di contratto)? Forse da concorrenza sleale estendendo (non poco) il concetto di “rapporto di concorrenza”, altrimenti assente?

Interesse ad agire in una azione di accerttamento negativo di concorrenza sleale

Cass. 10.10.2022 n. 29.479, rel. Lamorgese, sull’oggetto:

<<Nella giurisprudenza di legittimità è principio consolidato quello per cui sussiste l’interesse ad agire nella proposizione di un’azione di mero accertamento negativo della propria condotta di contraffazione di un brevetto (o anche di un marchio) altrui, posto che tale azione mira a conseguire, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva, un risultato utile giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 3885 del 2014); analogo principio vale per l’azione di accertamento negativo dell’illiceità (ovvero di accertamento positivo della liceità) della condotta di concorrenza sleale. L’interesse ad agire nell’azione di mero accertamento sussiste anche in assenza di un’espressa iniziativa assunta dal titolare del diritto di privativa tramite l’invio (o la ricezione) di una diffida o di un suo coinvolgimento in giudizi o procedimenti, non implicando necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo (cfr. Cass. n. 16262 del 2015)>>.

Applicato al caso sub iudice::

<Nella specie, come correttamente rilevato in diritto nella sentenza impugnata, certamente sussisteva l’interesse di Publinord ad agire per l’accertamento negativo dell’attività contraffattiva e di concorrenza sleale posta in essere con la registrazione e l’utilizzo del nome a dominio (Omissis), al fine di rimuovere lo stato di incertezza giuridica circa la liceità della propria condotta. Ed infatti, la Publinord, che nel giugno 2004 aveva ottenuto la registrazione del dominio (Omissis), si era vista recapitare da Menage una missiva in data 24 settembre 2010 che le intimava “l’immediata cancellazione del sito… entro cinque giorni” con l’avviso che, in mancanza, avrebbe adito l’autorità giudiziaria, non assumendo rilievo il fatto che la Menage non avesse percorso la via giurisdizionale. Successivamente, non avendo le parti raggiunto l’accordo sulla cessione del dominio, la Menage aveva introdotto la procedura di riassegnazione del dominio, a dimostrazione della volontà di non rinunciare alle proprie pretese, confermandosi la permanenza dello stato di incertezza circa il legittimo uso del dominio da parte di Publinord che il Tribunale ha eliminato accertando la legittimità della condotta della stessa Publinord con statuizione non impugnata in appello e, quindi, divenuta definitiva.

Infondata è la doglianza di esercizio abusivo dell’azione giurisdizionale da parte dell’originaria attrice, per essere, in tesi, meramente strumentale all’estinzione della procedura di riassegnazione del dominio, trattandosi di un esito previsto dal regolamento per la “Risoluzione delle dispute” (art. 3.3) nel caso di proposizione del giudizio ordinario di accertamento negativo che, nella specie, è stato (fondatamente) introdotto da Publinord in pendenza della suddetta procedura proposta dalla stessa Menage.

La tesi della ricorrente circa la fondatezza della propria istanza di riassegnazione del dominio in considerazione della malafede della condotta di Publinord, da un lato, introduce una questione nuova perché estranea (o solo indirettamente connessa) all’oggetto della controversia svoltasi nel giudizio di merito (che non è l’accertamento del diritto di Menage alla riassegnazione del dominio in via amministrativa, ma l’accertamento negativo delle violazioni imputate a Publinord), come dimostrato anche dall’affermazione della Corte territoriale secondo cui “Manage avrebbe potuto comunque riattivare (la procedura di riassegnazione)”; dall’altro, la tesi confligge con l’ulteriore affermazione della Corte (non censurata specificamente) che, come già il Tribunale, ha escluso rischi di confusione e di sviamento di clientela imputabili a Publinord a norma del medesimo regolamento per la “Risoluzione delle dispute” (art. 3.6)>.

Decisione semplice.

Concorrenza sleale tra editori anche per la raccolta pubblicitaria

Interessante (ma laconica) precisazione di Cass. 14.03.2022 n. 8270, rel. Fraulini, GEDI gruppo editoriale spa c. RTI-reti telefvisive italiane spa, relativa alla illecita pubblicazione da parte della prima sul proprio portale di video illeciti, su cui aveva diritti di autore/connessi la seconda.

Per quanto qui interessa, la SC conferma la decisione di appello, secondo cui i due editori sono concorrenti nella gara per raccogliere la pubblicità ai fini della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.:

<<Una nozione “dinamica” di comunanza di clientela nel senso di richiedere l’accertamento che l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti [qui: spazi pubblicitari per inserzionisti], ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. Con tali presupposti, l’affermazione della Corte romana, secondo cui la concorrenza tra le due parti del giudizio poteva essere riguardata anche [sotto cosa altro? non riporta l’accertamento di Appello …] sotto il profilo della concorrenza sul mercato pubblicitario degli inserzionisti, che dal numero di utenti collegati trae certamente primaria indicazione per orientare le proprie scelte pubblicitarie, con conseguente rilevanza dell’utilizzazione non autorizzata dei contenuti immessi sulportale dell’odierna ricorrente, costituisce una valutazione che, in astratto, rientra nella larga nozione di comunanza di clientela e, in concreto, è un giudizio di fatto che si sottare al sindacato di questa Corte>>

Cioè , par di capire, permettendo la permanenza di video anche illeciti, favoriva i  conseguenti download degli utenti (cioè aumentava il numero di accessi) e quindi , adeguatamente rivelandolo, incrementava la propria attrattività  agli occhi degli inserzionisti.

Il punto è importante (anche se non nuovo) , ma purtroppo andava motivato di più, ben di più.

Si badi che il dare rilevanza al mercato della raccolta pubblicitaria comporta che tutti quelli che hanno portale web concorrono tra loro su tale mercato, a prescindere poi dal rispettivo mercato dei prodoitti/servizi caratteristici.

Concorrenza sleale denigratoria e interferenza illecita nelle relazioni contrattuali altrui

Un tribunale della California giudica la lite promossa da ENIGMA SOFTWARE GROUP USA LLC, contro MALWAREBYTES INC., competitors nel settore del software antivirus e antiintrusioni (US D.C.NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA SAN JOSE DIVISION, Enigma c. Malwarebytes, 9 agosto 2021, Case 5:17-cv-02915-EJD) . 

L’azione si basa spt. su concorrenza sleale denigratoria e interferenza nelle relazioni contrattuali: M. aveva qualificato come “malicious,” a “threat,” and as a Potentially Unwanted Program (“PUP”) il software di E.

1) Ex Lanham act, § 43.a , a plaintiff must allege that: (1) the defendant made a false statement of fact in a commercial advertisement, (2) the statement actually deceived or has the tendency to deceive a substantial segment of its audience, (3) the statement is material, (4) the defendant caused the statement to “enter interstate commerce,” and (5) the plaintiff has been or is likely to be injured as a result of the false statement.

Domanda però rigettata poichè , come nel caso Asurvio LP, Enigma has not pleaded that Malwarebytes’ alleged labels are verifiably false rather than just subjective opinions. Enigma’s allegations that users view statements categorizing Enigma’s programs and domains as “malicious, “threats,” and PUPs as statements of fact rather than subjective opinions are not supported by the facts presented. The allegations ignore that users of Malwarebytes are aware of why it opines that a given software program may be a PUP based on Malwarebytes’ disclosed criteria and can choose to quarantine or unquarantine the detected program, p. 17.

Si tratta insomma di mere opinioni.

2) tortious Interference with Business Relations.

Quest’azione richiede che l’attore provi (1) an economic relationship between the [claimant] and some third party, with the probability of future economic benefit to the [claimant], (2) that the opposing party knew of the relationship, (3) an intentional, wrongful act designed to disrupt the relationship, (4) actual disruption of the relationship, and (5) that the act caused economic harm to the claimant..

Ebbene, il rigetto della precedente domanda porta al ritgetto pure di questa: Here, Malwarebytes argues that since Enigma’s Lanham Act and NYGBL § 349 claims fail, Enigma’s tortious interference claim must also fail because Enigma does not allege any other independently wrongful conduct. Mot. at 2021. The Court agrees, and, therefore, grants Malwarebytes’ motion to dismiss the claim for tortious interference with business relations on this ground, p. 19.

Concorrenza sleale dei soci/dipendenti tramite altra società

Alcuni soci di spa (e dipendenti della stessa; nonchè figli dei soci principali e amministratori) costituiscono con terzi una srl in concorrenza con la spa (settore arredo) e ricevono una citazione per concorrenza sleale.

Decide Trib. Milano sentenza 2417/2020 del 16.4.20, RG 2108/2020, Asnaghi interiors spa c. Asnaghi Couture srl e altri

Sono concenuti in concorrnza sleale ed eccepiscono inter alia la mancanza di legittimazione passiva.in quanto non imprenditori.

Il T. non esita a rigettare l’eccezione: <<E’ infine da rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo ai convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI per non rivestire gli stessi le qualità soggettive di imprenditori commerciali e, quindi, per essere estranei alle attività di concorrenza sleale.  Parte attrice, nella formulazione delle domanda giudiziale, ha infatti dedotto specifiche condotte illecite perpetrate dai convenuti, persone fisiche, nell’esclusivo interesse della società ASNAGHI COUTURE S.R.L., la quale avrebbe direttamente beneficiato degli atti lesivi avvantaggiandosi slealmente.  Sul piano della prospettazione della domanda giudiziale, l’attrice ha imputato a Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI specifiche condotte illecite, che estenderebbero la loro responsabilità a titolo di concorso negli atti concorrenziali commessi dalla società convenuta, secondo il paradigma di cui all’art. 2055 c.c., norma pacificamente applicabile nei confronti dei soggetti terzi, non imprenditori, che concorrano nella commissione di condotte illecite integranti fattispecie sleali ex art. 2598 c.c. (per tutte, Cass. Civ. 5375/2001). Ne consegue, quindi, la legittimazione passiva degli stessi a resistere in giudizio a tale titolo – oltre che per quello concorrente ex art. 2495, II co., c.c. sopra declinato – rilevando semmai, quale questione di merito, la sussistenza o meno delle condotte descritte dell’attrice.>>, § 2.4

La fattispecie concreta è la solita della slealtà confusoria e per appropriazione di pregi: simile patronimico, simili iniziative commerciali e di prodotti, appropriaizone di anzianità spettante in realtà alla altra imrersa, etc., § 3.1

Inreressante è invece un altro passaggio: <<Invero, dalla copiosa corrispondenza e-mail prodotta in giudizio dall’attrice e pacificamente utilizzabile in questo giudizio perché estratta da account di posta elettronica in uso ad ASNAGHI INTERIORS S.P.A. – ma lo sarebbe ugualmente anche se fosse stata acquisita con modalità illegittime (cfr.  Cass. Civ., S.U., n. 3034/2011; Trib. Milano, 9109/2015 est. Tavassi; Trib. Milano, ord. 20.9.2019, est. Zana) dovendosi quindi rigettare l’eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla convenuta – appare ampiamente documentato come i fratelli ASNAGHI e il CERLIANI abbiano sistematicamente intrattenuto i rapporti con i clienti di ASNAGHI INTERIORS S.P.A. dirottando alcune commesse verso ASNAGHI COUTURE S.R.L. e comunque utilizzando i riferimenti aziendali dell’attrice a esclusivo vantaggio della neocostituita compagine (docc. 21, 22, 41, 55, attrice)>>

E’ interessante la dichiarazione di utilizzabilità dell’effetto probatorio proveniente da documenti anche se acquiiti illetittimamente: tema importante quello della prova illecita, su cui ormai c’è copiosa letteratura, e su cui il T sorvola.

Poi si torna al concorso sotto il profilo di merito: <<Ritiene inoltre il Collegio che delle attività di concorrenza sleale poste in essere dalla ASNAGHI COUTURE S.R.L. nei confronti della ASNAGHI INTERIORS S.P.A. debbano rispondere, in concorso solidale tra loro ex art. 2055 c.c., anche gli altri convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI, i quali, oltre a porre personalmente in esecuzione le condotte illecite sopra descritte nell’esclusivo interesse dell’altra convenuta, che se ne è avvantaggiata, rivestivano la qualità di soci, in misura tra loro paritaria, e di componenti del consiglio di amministrazione di ASNAGHI COUTURE S.R.L. Ciò a ulteriore prova della piena consapevolezza da parte degli stessi di porre in essere condotte illecite ex art. 2598 c.c. ad esclusivo vantaggio del competitor ASNAGHI COUTURE S.R.L., dalla quale percepivano integralmente gli utili d’impresa, così sussistendo un loro personale interesse economico alla commissione delle condotte contestate.>>, § 3.4

Quanto alla determinazione del danno, dà per scontato che tutto l’utile (non il fatturato, come aveva chiesto l’attore!!) dei prodotti in violazione spetti agli attori, § 4.1: applicando norma uguale a quella dell’art’. 125 /3 cpi, che però nella concorrenza sleale manca .

Tenuto conto però che rigurda anche prodotti diversi da quelli contraffatti, lo riduce in via equitativa ex ar. 1226 cc del 50 %.

Riconosce pure danno non patrimniale, seppur minimo: <<A tale somma è da riconoscere un’ulteriore posta risarcitoria per il danno non patrimoniale subito dall’attrice, consistito nella spendita presso clienti e fornitori del patronimico Asnaghi, illegittimamente utilizzato dalla società convenuta con effetti confusori, anche attraverso appropriazione di pregi. L’attrice, infatti, ha subito il potenziale svilimento del proprio blasone, perché, contro la propria volontà, la concorrente ha offerto sul mercato, con modalità oggettivamente confusorie, beni non appartenenti alla tradizione storica dell’impresa, esistente sul mercato sin dal 1916. Ritiene pertanto il Collegio che, in considerazione del ristretto periodo di operatività di ASNAGHI COUTURE S.R.L., così come dell’esiguo utile d’impresa da questa conseguito nella propria esperienza triennale, il danno non patrimoniale possa essere contenuto nel complessivo importo di € 9.000,00, liquidato anch’esso ai sensi dell’art. 1226 c.c.>>, § 4.1

Infine dichara inammissbile la produzione documentale tardiva (con gli scritti  conclusionali): ma non ne ordine l’espunzione dal fascicolo, ove dunque rimarrà (col rischio di aver influenzato la decisine presa -bisognerebbe vedere- o doi influenzare le future)

La Cassazione sullo storno di dipendenti (art. 2598 n. 3 c.c.)

Con sentenza di un anno fa circa , la SC si è pronunciata sul tema dello storno di dipendenti.

Si tratta di Cass. 17.02.2020 n. 3865, rel. Scotti, Asahi Kasei Fibers Italia s.r.I. contro F.D.G. s.p.a. in liquidazione e amministrazione straordinaria

Questa la ricostruione dei fatti in sentenza: <<L’attrice ha sostenuto di aver prodotto da decenni il filo di cupro Bemberg con il marchio Bemberg Cupro; che la multinazionale giapponese Asai Kasei Corporation negli anni ’30 aveva acquistato il brevetto per produrre la fibra artificiale in Giappone e aveva assunto la qualità di socio occulto o azionista fiduciante di F.D.G.; che l’Asai Kasei Corporation aveva quindi messo in atto, tramite la società convenuta, da essa controllata, una tattica diretta a distruggere la società attrice; che in questo contesto erano stati stornati i signori Fabris, Rovetta, Coda Zabetta e Piotti, dipendenti preposti all’area commerciale ed era stata realizzata una campagna di sviamento di clientela mediante attività pubblicitarie e snnembramento dell’organizzazione aziendale; che la convenuta aveva utilizzato la scritta Bemberg sul suo sito; che si era determinato un calo del fatturato contestuale all’aumento del fatturato della società giapponese.>>.

Tema che rimane delicato poichè, nonostante molte pronunce nel corso degli anni (anzi, dei decenni),  in un regime di economia di mercato il diritto ad una condotta leale da parte dei concorrenti si scontra sia con il loro diritto di organizzare liberamente l’azienda (in primis scegliendosi i lavoratori) sia col diritto di questi ultimi di scegliersi liberamente il datore di lavoro.

Ebbene, dapprima la SC offre una summa delle regole tralaticie osservate (o solo declamate,  è da vedere …) dai giudici: <<E’ ben nota la particolare delicatezza del tema della concorrenza sleale per storno di dipendenti perchè in questo caso i profili della correttezza del rapporto di concorrenza commerciale tra imprenditori vengono a interferire pesantemente con diritti costituzionalmente tutelati, e non solo con il diritto alla libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.) ma anche e soprattutto con il diritto al lavoro e alla sua adeguata remunerazione in capo ai collaboratori dell’imprenditore (artt. 4 e 36 Cost.).

La mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente non può infatti essere considerata di per sè illecita, essendo espressione del principio di libera circolazione del lavoro e della libertà d’iniziativa economica.

In sintesi, secondo la giurisprudenza, non può essere negato il diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purchè ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente; è indiscutibile il diritto di ogni lavoratore di cambiare il proprio datore di lavoro, senza che il bagaglio di conoscenze ed esperienze maturato nell’ambito della precedente esperienza lavorativa, lungi dal permettergli il reperimento di migliori e più remunerative possibilità di lavoro, si trasformi in un vincolo oppressivo e preclusivo della libera ricerca sul mercato di nuovi sbocchi professionali.

Per la configurazione della fattispecie residuale di illecito per “violazione del criterio della correttezza professionale” (ex art. 2598 c.c., n. 3), non è sufficiente, quanto all’elemento soggettivo, la mera consapevolezza in capo all’impresa concorrente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa, ma è necessaria l’intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi); inoltre la condotta deve risultare inequivocabilmente idonea a cagionare danno all’azienda nei confronti della quale l’atto di concorrenza asseritamente sleale viene rivolto.

La concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa a un’altra concorrente, nè dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente (attività in quanto tali legittime); è necessario invece che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso l’acquisizione di risorse del competitore, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando effetti distorsivi nel mercato; in siffatta prospettiva, assumono rilievo la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione all’interno dell’impresa concorrente, la difficoltà ricollegabile alla sua sostituzione e i metodi eventualmente adottati per convincere i dipendenti a passare a un’impresa concorrente>>, § 5.5.

Poi segue la loro applicazione al caso di specie, in particolare alla sentenza di appello, energicamente cassata (profilo interessante per capire i presunti errori):  <<La sentenza impugnata ha ravvisato l’attività di storno di dipendenti (in realtà, in due casi su quattro, di collaboratori autonomi) di F.D.G., omettendo completamente di valutare il profilo – in linea oggettiva – del danno competitivo e dello choc disgregativo che esprime in questa figura sintomatica la necessaria idoneità a danneggiare l’impresa concorrente richiesta dall’art. 2598 c.c., n. 3.

Tantomeno è stata accertata la sussistenza dell’animus nocendi, necessariamente nella sua concretizzazione oggettiva, dimostrando che lo storno era stato posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente.

La Corte territoriale ha omesso completamente di considerare il fatto, risultante anche dalla sentenza di primo grado, che non si era verificato un passaggio diretto dei quattro dipendenti/collaboratori da una società all’altra; che almeno tre dei quattro ex dipendenti/collaboratori di F.D.G. avevano iniziato a collaborare con Asahi quando il loro rapporto con F.D.G. era da tempo interrotto; che due di loro erano stati collocati in pensione; che per due di loro (e in particolare quello con il ruolo di maggior rilievo, ossia il dirigente R.) non solo non vi era stato passaggio diretto, ma era trascorso un rilevante intervallo di tempo di attività lavorativa prestata alle dipendenze di altre imprese (20 e 14 mesi); tantomeno erano state considerate le modalità di interruzione del rapporto dei collaboratori, verificando se l’interruzione era stata determinata dal recesso della stessa F.D.G. – Bemberg.

E’ del tutto evidente che lo storno di collaboratori non è neppur concepibile allorchè l’impresa concorrente approfitti – a maggior ragione a distanza di tempo – della disponibilità sul mercato del lavoro di risorse di personale, precedentemente dismesse dall’azienda concorrente, in difetto tanto del danno quanto dell’intenzione e della possibilità di arrecarlo.

Anche ammessa la posizione “apicale” (per vero del tutto apoditticamente attribuita anche a soggetti indicati come meri addetti alle vendite e procacciatori d’affari), o anche solo strategica, dei quattro collaboratori nell’organigramma aziendale di F.D.G. per il fatto di operare nella sua area commerciale marketing, nel sussumere la fattispecie nella figura dello storno concorrenziale illecito la Corte territoriale non avrebbe potuto prescindere nè dall’ostacolo dell’assunzione dei collaboratori stornati dopo un cospicuo intervallo di tempo dall’interruzione dei rapporti con F.D.G. e dopo rilevanti periodi di collaborazione con altre imprese, anche all’estero, nè dalla valutazione delle modalità e delle cause dell’interruzione dei rapporti predetti con l’azienda che si assume danneggiata.

5.7. La sentenza impugnata non accerta – o anche solo non prospetta – la sussistenza di manovre elusive poste in essere da Asahi con la complicità dei collaboratori per mascherare il passaggio diretto attraverso uno schermo artefatto, per mezzo di triangolazioni o simulazioni di rapporti contrattuali con terzi.

In effetti, al contrario, la sentenza impugnata ha escluso la prova della sussistenza di rapporti occulti o di natura concorrenziale fra Asahi Italia e i quattro collaboratori, assumendo esplicitamente (pag. 13) che dal complesso delle testimonianze assunte non emergeva la prova di contatti risalenti al 2002 (ossia all’epoca della cessazione del rapporto di lavoro e collaborazione) tra i dipendenti e collaboratori e la Asahi Italia; la Corte subalpina, anzi, pur dandone atto, ha giustamente affermato di dover prescindere dalle mere supposizioni, basate solo su convincimenti personali, privi di ancoraggio a fatti precisi, del teste B., ex Presidente e amministratore delegato e direttore generale di F.D.G..

5.8. La Corte di appello ha poi ignorato, nel valutare la configurabilità dello storno illecito, il grave stato di dissesto in cui si era venuta a trovare F.D.G., dipeso da una inadeguata gestione della precedente compagine societaria, in via del tutto indipendente dalla trasmigrazione di collaboratori contestata, accertato dal Tribunale di Novara e pur da essa stessa riconosciuto a pagina 18 della sentenza impugnata, allorchè ha riconosciuto che l’azienda dell’attrice “navigava già in cattive acque” e ha poi negato, rigettando la domanda risarcitoria, che il passivo accertato in sede di procedura di amministrazione straordinaria fosse riconducibile causalmente ai fatti di causa, sia pur con l’ipotetica riserva “tuttalpiù solo in parte” posta ad obiettivo del ricorso incidentale di F.D.G..>>, §§ 5.6 – 5.8.

Resta sempre aperta la questione dell’elemento soggettivo (animus nocendi), non richiesto dalla legge, che pare costituire solo un escamotage per superare la difficoltà, sopra accennata, del dover  conciliare interessi confliggenti.

Si tratta in effetti del profilo più problematico della fattispecie.

V. nota (parzialmente critica dell’orientamento seguito) di M. Lascialfari in Corr. giur., 2021/2, 209 ss.

Concorrenza sleale tra gestori ferroviari tramite contatto dei passeggeri in stazione

Trenitalia chiede l’accertamento della slealtà di Italo nella condotta che segue (come da allegazione Trenitalia): “gli addetti NTV (a) intercettano gli utenti, nella maggior parte dei casi di nazionalità straniera, mentre sono in procinto di acquistare il biglietto al DAB [Distributore Automatico  di  Biglietti]Trenitalia;  (b)  individuano  anzitutto  la  tratta  che  i  medesimi viaggiatori hanno selezionato; e poi (c) sottopongono ai viaggiatori l’offerta di NTV per il medesimo  servizio,  invitandoli  poi  a  recarsi  presso  il  DAB  Italo -fisicamente  adiacente  a uello di Trenitalia –e prestando altresì la propriaassistenza per coadiuvare i viaggiatori così adescati a completare il procedimento di acquisto del biglietto Italo”, § 2.

Rigetta però la domanda Trib. Roma 27.02.2019 a scioglimento di riserva assunta in ud. 27.02.2019, Trenitalia c. Italo, GU Carlomagno, RG 3140/19.

Infatti:

    • non c’è confusione, § 9
    • la proposta di acquisto è lecita, con mercato rilevante identificato nei <<viaggiatori già presenti in stazione>>, § 12.
    •  Le condizioni date del mercato di riferimento, in assenza di vincoli normativi, non possono per sé stesse costituire un vincolo all’attività concorrenziale degli operatori; nulla vieta in astratto che la condotta innovativa di uno di essi alteri il quadro in cui si svolge la competizione, ad esempio, introducendo nuove forme di comunicazione o tecniche innovative dimarketing; il fatto che i concorrenti non siano in grado o non abbiano interesse a reagire, ponendo in essere condotte analoghe, per sé stesso è irrilevante al fine di valutare la liceità della condotta dell’innovatore, § 17.
    • Trenitalia non ha indicato alcuna norma da cui si possa desumere un divieto di svolgere attività promozionale in stazione mediante l’approccio diretto del potenziale cliente, ritenendo, secondo quanto si desume dalla sua esposizione, che tale attività sia illecita perché rivolta nei confronti della sua clientela e perché diretta ad incidere su un processo di acquisto già avviato, § 18.
    • in concreto l’attività promozionale di Italo non è indirizzata in modo casuale ed indifferenziato nei confronti di tutti i viaggiatori presenti in stazione ma è rivolta in modo specifico ai viaggiatori in fila alle biglietterie automatiche o comunque presenti nelle aree in cui queste sono collocate. Si pone dunque la questione di quale rilevanza possa assumere, ai fini della sua valutazione, il fatto che essa si rivolga anche a viaggiatori in fila alle biglietterie di Trenitalia o che già stiano operando al terminale, § 20
    • A questo riguardo occorre considerare che l’acquisto self service per definizione si realizza, senza alcun intervento umano dal lato del venditore, con un’attività riferibile esclusivamente all’acquirente, il quale rimane libero di ritirarsi in qualunque momento sino al pagamento. Da ciò consegue che l’approccio diretto e personale ai viaggiatori presenti presso le biglietterie di Trenitalia, siano essi in attesa o stiano già operando al terminale, non si può considerare interferente con alcuna attività commerciale del concorrente, § 21
    • Nel contesto in esame la proposta di una alternativa al viaggiatore, con l’indicazione del prezzo, non fa che offrirgli la disponibilità di una informazione ulteriore, che questi è in grado di valutare secondo ilproprio personale metro di giudizio, ù 23.
    • Si intende che l’approccio diretto al cliente trova un limite nel rispetto dell’autodeterminazione di questo e nel divieto di effettuare turbative nei confronti di attività già avviate dal concorrente, siano anche esse promozionali o di assistenza alla clientela. Ma dalla relazione investigativa risulta la assoluta correttezza della condotta della resistente sotto entrambi i profili, § 24.

Raccogliere dati da Facebook senza suo consenso: è illecito?

Capita talora che Facebook (poi: F.) , invece che essere convenuta, sia attore: e cioè che, oltre a raccogliere dati dagli utenti, a sua volta subisca raccolte di dati dei sui utenti da un concorrente (c.d. data scraping e cioè raccolte massive ed automatizzate di dati).

La corte del Northern District della Californa ha deciso in via cautelare (temporary restraining order : “TRO”) la lite tra F. e Brandtotal ltd (poi: Br.) (US Nort. D. of California, 9 novembre 2020, Facebook v. Brandtotal, Case No.20-cv-07182-JCS).

Br. induceva i clienti ad installare due proprie estensioni scaricate da Google Store (UpVoice + AdsFeed) , con le quali raccoglieva molti loro dati su F. e su Instragram, nonostante misure adottate da F. per contrastare il fenomeno, p. 2..

Accortasene, F. disattivava sulla propria piattaforma gli account di Br.

Precisamente, secondo F., Br. faceva questo:

<< Once installed by the users . . . [BrandTotal] used the users’ browsers as a proxy to access Facebook computers, without Facebook’s authorization, meanwhile pretending to be a legitimate Facebook or Instagram user. The malicious extensions contained JavaScript files designed to web scrape the user’s profile information, user advertisement interest information, and advertisements and advertising metrics from ads appearing on a user’s account, while the user visited the Facebook or Instagram websites. The data scraped by [BrandTotal] included both public and non-publicly viewable data about the users.  [BrandTotal’s] malicious extensions were designed to web scrape Facebook and Instagram user profile information, regardless of the account’s privacy settings. The malicious extensions were programmed to send unauthorized, automated commands to Facebook and Instagram servers purporting to originate from the user (instead of [BrandTotal]), web scrape the information, and send the scraped data to the user’s computer, and then to servers that [BrandTotal] controlled >>, p. 3

Per precisazioni sulla parte in fatto, v.  Introduction, p. 1 ss e Background.  II, p. 2 ss.

I claims di F. sono: <<(1) breach of contract, based on the Facebook Network and Instagram terms of service, id. ¶¶ 67–73; (2) unjust enrichment, id. ¶¶ 74–80;
(3) unauthorized access in violation of the CFAA,
id. ¶¶ 81–86; (4) unauthorized access in violation of California Penal Code § 502, id. ¶¶ 87–95; (5) interference with contractual relations by inducing Facebook’s users to share their login credentials with BrandTotal, in violation of Facebook’s terms of service, id. ¶¶ 96–102; and (6) unlawful, unfair, or fraudulent business practices in violation of California’s Unfair Competition Law, Cal. Bus. & Prof. Code § 17200 (the “UCL”), Compl. ¶¶ 103–10. Facebook seeks both injunctive and compensatory relief. See id.
at 21–22, ¶¶ (a)–(h) (Prayer for Relief)>>, p. 5

Quelli di Br. sono:  <<(1) intentional interference with contract, based on contracts with its corporate customers, id. ¶¶ 32–41; (2) intentional interference with prospective economic advantage, id. ¶¶ 42–48; (3) unlawful, unfair, and fraudulent conduct in violation of the UCL, id. ¶¶ 49–63; and (4) declaratory judgment that BrandTotal has not breached any contract with Facebook because its access “has never been unlawful, misleading, or fraudulent,” because its products “have never impaired the proper working appearance or the intended operation of any Facebook product” or “accessed any Facebook product using automated means,” and because the individual users own the information at issue and have the right to decide whether to share it with BrandTotal, id. ¶¶ 64–73. BrandTotal seeks both injunctive and compensatory relief>>, p. 6/7.

La parte interessante è sub III, Analysis.

Qui , sub B a p. 12 ss , si espone che Br. ha invocato un precedente del 2019 hiQ Labs v. Linkedin in cui hiQLabs ottenne una riammissione ai servizi di Linkedin, pur avendo raccolto senza autorizzazione i dati dei suoi utenti. Solo che , fa notare il giudice, ci sono differenze sostanziali : i) mentre i dati di L. sono pubblici, quelli raccolti tramite F. sono invece largamente non pubblici (p. 22); ii) per questo l’interesse di F. al controllo dei dati è assai maggiore di quello di L., dato che molti sono ad accesso ristretto, p. 23.

Inoltre Br. non ha provato l’ irreparable harm per ottenere l’inibitoria della rimozione /disattivazione, p. 15 ss e 19-20.

Poi il giudice passa ad esaminare il likelihood of success (fumus boni iuris), p. 20 ss. Da un lato Br. non ha provato l’elemento soggettivo e cioè la consapevoelzza di F. che così facendo andava ad alterare il rapporto contratttuale tra Br e i suoi clienti, p. 21. Dall’altro c’è un serio interesse commerciale di F nell’ impedire l’accesso ai dati da parte di Br., p. 24 righe 18-22 e p. 26 righe 8-12.

Si aggiunge però che F. potrebbe aver agito così anche per impedire la sopravvivenza di (o comunque per danneggiare) un concorrente potenzialmente fastidioso nel mercato dell’advertising analytics: ciò dunque potrebbe far pendere la bilancia verso Br. per ragioni proconcorrenziali, p. 26.

Le ragioni proconcorrenziali sollevate da Br., però, sono serie ma non sufficienti: <The Court concludes that BrandTotal has raised serious questions as to the merits of this claim, but on the current record, it has not established a likelihood of success>, P. 26.

Complessivamente dunque , il bilanciamento equitativo delle pretese opposte (balancing of equities)  in relazione al danno per le parti porterebbe a far prevalere Br, p. 30-31,

Tenendo però conto di ragioni di public interest, la pretesa di inibitoria di Br verso F. va respinta, p. 31-34:  < BrandTotal has shown a risk of irreparable harm in the absence of relief, serious issues going to the merits of its claims, and a balance of hardships that tips in its favor, perhaps sharply so. The public interest, however, weighs against granting the relief that BrandTotal seeks >, p. 34