Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 10/10/2024) 20/01/2025, n. 1.324, rel. Ioffrida, su una clausola di un accordo transattivo-deterinativo con questo contenuto: <<clausola n. 5 di una scrittura privata sottoscritta da tali parti in data 21.11.2018, “a transazione”, per definire gli aspetti relativi all’esercizio della responsabilità sul figlio minore (nato, nel 2007, dalla relazione sentimentale con convivenza more uxorio tra i due, terminata nel 2011) e quelli patrimoniali, clausola con la quale la A.A. si era impegnata “in qualità di proprietaria esclusiva dell’abitazione sita in M alla via (Omissis),… a vendere il predetto immobile ed a riconoscere al sig. B.B. sul prezzo della vendita un ricavato pari alla somma complessiva di Euro 380.000,00 (euro trecentottantamila/00)”, riconoscimento di debito, sul prezzo di vendita di immobile di proprietà della A.A., “finalizzato all’equiparazione delle elargizioni e dei beni conferiti dal sig. B.B. alla prima famiglia ed al primo figlio… con quelle riconosciute e da riconoscersi alla seconda famiglia ed al secondo figlio” >>.
Prima aprte largametne accettata:
<<Questa Corte ha affermato che le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso È stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. (Cass. S.U. 21761/2021). Ed, inoltre, si è chiarito che l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l’omologazione (Cass. 24621/2015) e questa Corte ha stabilito che la soluzione dei contrasti interpretativi, tra una pattuizione “a latere” ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti.
Cio’ in relazione alla natura di contratti estranei all’oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale) – seppure aventi causa nella crisi coniugale -, il che ne evidenzia la natura di contratti, impugnabili secondo le regole ordinarie>>.
Nella specie, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex conviventi di fatto, al momento della cessazione della convivenza, al fine di disciplinare sia profili relativi al mantenimento della prole sia questioni patrimoniali insorte nella coppia.
Al riguardo, è stato affermato che “In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all’art.337 ter comma 4 c.c., anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo “ex lege”, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole” (Cass. 663/2022).
Orbene, riconosciuto dalla stessa Corte d’Appello che rientrasse nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali, estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti, occorreva vagliare con attenzione il contenuto complessivo delle pattuizioni e della clausola n. 5 in particolare dell’accordo inter partes del 2018, in base ai criteri di legge in ambito di interpretazione del contratto.
Risponde, peraltro, ad un orientamento altrettanto consolidato il principio per cui, in sede di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate (Cass. n. 7927 del 2017).
Si è, tuttavia, precisato al riguardo che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale. Il giudice, infatti, non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto (Cass. n. 7927 del 2017, in motivazione; Cass. 23701 del 2016, in motivazione). Il giudice, quindi, deve raffrontare e coordinare tra loro le varie espressioni che figurano nella dichiarazione negoziale, riconducendole ad armonica unità e concordanza (Cass. n. 2267 del 2018; Cass. n. 8876 del 2006)>>.
Seconda aprte più interessante, affrontanto una questione non banale: l’accordo determinativo dell’assegno (come di qualunque obbligo da quantificare) è forse privo di sinallagmaticità, con conseguente inapplicabilità della disciplina generale risolutoria?
<<La sentenza impugnata, invece, laddove ha ritenuto la clausola n. 5, in relazione al contenuto dell’accordo complessivo, nella parte relativa ad una obbligazione ex lege, quale il mantenimento della prole che ricade su ciascun genitore, non avesse natura contrattuale, con conseguente inapplicabilità dei rimedi dell’eccezione di inadempimento e della risoluzione per inadempimento, in mancanza di sinallagmaticità tra gli obblighi previsti delle parti, non ha provveduto a ricostruire la volontà delle parti, per come fatta palese dal ricorso ai criteri di interpretazione teleologica e sistematica, oltre che letterale del testo al suo esame, omettendo, in particolare, di vagliare il tenore letterale della clausola n. 5, nella sua parte finale, laddove afferma che “il riconoscimento dell’importo di Euro 380.000,00 al sig. B.B. è finalizzato alla equiparazione delle elargizioni e dei beni conferiti dal sig. B.B. alla prima famiglia ed al primo figlio, al quale è stato intestato l’appartamento di via (Omissis), con quelle riconosciute e da riconoscersi alla seconda famiglia ed al secondo figlio ed alla ulteriore ed eventuale prole che dovesse sopravvenire”.
Del pari si è trascurato di vagliare l’autonomia dell’impegno di cui al punto 5 della scrittura, rispetto agli altri assunti negli art. da 2 a 4, quale poteva emergere dalla stessa lettera della scrittura dalle parti sottoscritta che, al punto 6, impegnava le parti a depositare un ricorso congiunto ex art. 316 e 337 bis ss. c.c., “aventi le medesime condizioni della presente scrittura (ad eccezione dei punto 5 e 6) entro un mese dalla sottoscrizione della presente scrittura privata” (doc. 5, p. 8).
Orbene, la clausola 5 (relativa ai 380.000 Euro che la A.A. si impegnava a versare all’ex convivente) deve essere letta nel suo insieme e già dal significato letterale emerge la condizionalità con l’assolvimento degli obblighi di mantenimento, laddove inadempiuti. Invero, si dice espressamente che si equiparano i diritti della “prima famiglia” e della “seconda” dello B.B.
Si È così ritenuto che una delle parti, nell’ambito di un accordo con l’ex convivente sul mantenimento del figlio (questo lo scopo) e sulla sostanziale sistemazione dei profili patrimoniali (ma sempre in funzione del figlio), abbia riconosciuto un debito, del tutto disancorato dall’assunzione dell’obbligo ex lege, nonostante sia spiegata, nell’atto complessivo, la causa concreta del riconoscimento, la equiparazione dei diritti dei figli delle due famiglie dello B.B.
Si deve ribadire che l’accordo va letto nel suo insieme, non potendo il nesso condizionale tra la prima parte e la seconda essere scisso.
Risultano pertanto essere stati violati i canoni legali ermeneutici, in primis quello letterale della singola clausola (art.5) che va letta nell’insieme dell’accordo e con la prima parte dello stesso atto.
La conseguente conclusione circa la non possibilità di una risoluzione per inadempimento risulta dunque falsata ed erronea>>.
Questioni interessanti ma difficili.
E’ vero che l’accordo pareva essere non solo determinativo ma con un plus di contenuto (l’impegno a parificare i due figliavuti da donne diverse). Ma questo basta a farlo ritenere sinallagmatico anche per la componente determinativa dell’obbligo di ex lege?
E comunque resta la questione a monte: la sola componente determinativa, cioè prescindendo dal resto, è di per sè risolubile per inadepimento ?