Cass. sez. III ord. 06/09/2024 n. 24.007, rel. Rubino:

<<In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, qualora essa si sia tradotta nella impossibilità per il cliente di intraprendere l’iniziativa giudiziaria concordata (per omessa proposizione di una impugnazione nei termini, oppure, come nella specie, per omesso rilascio della firma del cliente sul ricorso, dichiarato per questo inammissibile) ai fini della configurabilità del diritto del cliente al risarcimento del danno è necessario all’attore non soltanto provare il comportamento imperito, negligente o imprudente del professionista e il suo rapporto causale con la preclusione della iniziativa giudiziaria, ma anche che, se fosse stata intrapresa, l’iniziativa giudiziaria avrebbe avuto, sulla base di una valutazione ex ante ed applicando la regola probatoria del più probabile che non, ragionevoli probabilità di accoglimento.

Non è sufficiente infatti a fondare il diritto risarcitorio la sola prova della negligenza, anche se preclusiva dell’azione giudiziaria, lasciando ricadere sul professionista convenuto l’onere di provare che l’iniziativa, anche se regolarmente intrapresa, non avrebbe avuto realistiche probabilità di successo, traducendosi ciò in un indebito ribaltamento degli oneri probatori, perché l’onere del convenuto di fornire la prova liberatoria della propria responsabilità scatta soltanto se è accertato il nesso causale tra la condotta colposa e il danno.

Il contenuto dell’onere probatorio in capo all’attore, in caso si alleghi la responsabilità professionale dell’avvocato, non si esaurisce dunque nel provare la negligenza dell’avvocato ma consiste nel fornire gli elementi di prova dell’evento di danno e cioè nel fornire elementi ai fini dell’esito positivo del giudizio probabilistico, al fine di condurre all’accertamento che fosse più probabile che non che, se l’avvocato si fosse correttamente attivato evitando di porre in essere comportamenti che vanificavano l’efficacia della sua attività professionale, con buona probabilità avrebbe ottenuto l’esito sperato in favore del cliente (v. in questo senso Cass. n. 2638 del 2013: “La responsabilità dell’avvocato – nella specie per omessa proposizione di impugnazione – non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone”).

Il giudizio di risarcimento del danno per responsabilità professionale comprende quindi, come detto, un giudizio prognostico ex ante sulla accoglibilità della domanda che si andava a proporre nel giudizio che non si è celebrato per la negligenza dell’avvocato. All’interno di esso si deve peraltro tener conto, anche ai fini di verificare l’intervenuta, corretta distribuzione degli oneri probatori, delle peculiarità del giudizio che non si è potuto celebrare. Nel caso di specie, occorre considerare, per la particolarità della normativa e per il contenuto della posizione giuridica soggettiva attiva che si andava a far valere, il tipo di diritto che si andava ad azionare, ed il tipo di giudizio che si andava ad aprire.

Il Mo.Ma., cioè, andava ad introdurre non un giudizio volto al risarcimento del danno aquiliano, ma un giudizio volto ad ottenere il riconoscimento del diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione, ex artt. 314 e 315 c.p.p.

È questo un giudizio sottratto ai canoni dell’art. 2043 c.c., di competenza del giudice penale, regolato almeno in parte dall’impulso di ufficio, in cui anche l’imputato assolto dalla incolpazione per la quale è stato sottoposto a carcerazione preventiva potrebbe essere ritenuto non meritevole dell’indennizzo ove ritenuto in colpa dal giudicante (v. Cass. pen. n. 29950 del 2019: “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue con soggetti condannati nel medesimo procedimento possono integrare un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, anche nel caso in cui intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate”).

Tutto ciò premesso, appare corretta l’applicazione delle regole da parte della Corte d’Appello, la quale ha ritenuto, a fronte della intervenuta assoluzione nel merito del Mo.Ma. dalle incolpazioni per le quali era stato sottoposto a carcerazione, che il giudizio volto al riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta riparazione avrebbe avuto esito probabilmente positivo, e che a fronte di ciò sarebbe stato onere del convenuto dover allegare, quale fatto estintivo, l’esistenza di una situazione riconducibile alla colpa o al dolo dell’imputato che avrebbe potuto portare ad un giudizio di non meritevolezza dell’indennizzo, pur a fronte di una assoluzione nel merito, ovvero all’esistenza di una condizione ostativa all’accoglimento>>.

Incarico ad avvocato conferito da altro avvocato: chi è tenuto al pagamento del primo? Il secondo oppure il cliente beneficiario della prestazione?

Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 21/02/2022) 25/03/2024, n. 7953, rel. Giannacari (testo da Onelegale:

<<Occorre, pertanto, distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura “ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura.    Più in generale, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. Ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo (Cass. Civ., Sez. VI, 12.3.2020, n.7037; Cass. Civ., Sez. III, 3.8.2016, n. 16261; Cass. Civ., Sez. II, 29.9.2004, n. 19596)

Il richiamato principio, ai fini dell’individuazione del soggetto obbligato a corrispondere il compenso al difensore per l’attività professionale richiesta, opera altresì quando, come nel caso in esame, sia stato conferito un incarico difensionale ad un avvocato da parte di un altro avvocato ed in favore di un terzo. Nonostante la presenza di una procura congiunta, ben può intendersi superata la presunzione di coincidenza del contratto di patrocinio con la procura alle liti, ove risulti provato, sia pur in via indiziaria, il distinto rapporto interno ed extraprocessuale di mandato esistente tra i due professionisti sicchè la procura rilasciata dal terzo in favore di entrambi costituisce solo lo strumento tecnico necessario all’espletamento della rappresentanza giudiziaria, indipendentemente dal ruolo di dominus svolto dall’uno rispetto all’altro nell’esecuzione concreta del mandato (Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, n. 7037; Cass. Civ., Sez. II, 20.11.2003, n. 26060; Cass. Civ., Sez. II, 27.12.2004, n. 24010)>>.

Applicato al caso di specie:

<<Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato che con delibera di Giunta n. 161 del 5.7.2002 il Comune aveva conferito mandato all’Avv. B.B., con facoltà di avvalersi dell’Avv. A.A. o di altro avvocato del proprio studio, sicchè sussisteva la prova dell’assenza del contratto di patrocinio tra l’Avv. A.A. ed il Comune, indipendentemente dalla sottoscrizione della procura da parte del Sindaco.

Detta delibera è stata richiamata dallo stesso ricorrente nel ricorso per decreto ingiuntivo, con ciò confermando l’esistenza del contratto di patrocinio con l’Avv. B.B., al quale dovrà indirizzare la richiesta di compenso.

La giurisprudenza richiamata dal ricorrente, secondo cui, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., il conferimento della procura ed il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale, costituiscono prova del contratto di patrocinio con la pubblica Amministrazione, non esclude che l’ente possa provare che il conferimento della procura sia limitato all’esercizio della sola rappresentanza processuale e che il contratto di patrocinio sia stato concluso con altro professionista>>.

Sulla responsabilità professionale dell’avvocato

Cass. sez. 3 del 14.11.2022 n° 33.442, rel. Condello P.A.P. sull’oggetto.

Si trattava di omessa notifica della opposizione a decreto oingijsntivo, dimenticata dal legale, che però eccepiva la presenza di clauslla arbitrale.

Non ci sono affermazioni nuove ma una piana applicaizone delle regole generali in tema di inadempimento.

<< 6.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra le tante, Cass., sez. 3, 14/10/2019, n. 25778), il professionista non può garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, per cui il danno derivante da eventuali sue omissioni, in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito.

Ciò comporta che il cliente non può limitarsi a dimostrare la condotta asseritamente colpevole, dovendo dare la prova che, in assenza di quella condotta, si sarebbe probabilmente verificato un esito diverso e favorevole della lite (Cass., sez. 3, 10/11/2016, n. 22882; Cass., sez. 3, 16/05/2017, n. 12038). La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti del proprio cliente presuppone, quindi, la prova del danno e del nesso causale tra il fatto omesso, conseguente alla negligente condotta del professionista, ed il pregiudizio del cliente.

In particolare, nel caso di attività dell’avvocato, l’affermazione di responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Sul punto, va, quindi, ribadito che “in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa” (Cass. sez. 3, 24/10/2017, n. 25112; Cass., sez. 3, 20/11/2020, n. 26516; Cass., sez. 2, 12/03/2021, n. 7064)>>.

Ne segue che <<La responsabilità dell’avvocato non può, quindi, affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, dovendosi altrimenti ritenere che tale responsabilità difetti.>>

Applicando quanto sopra al caso concreto:

<< 6.2. La sentenza impugnata non ha affatto disatteso tali principi, avendo affermato che l’avvocato non contestava l’omissione addebitata (consistente nella mancata tempestiva notifica dell’opposizione a decreto ingiuntivo), ma che, “sulla scorta delle produzioni agli atti” e stante l’inammissibilità delle prove orali dedotte dal cliente, in quanto inidonee a provare l’assunto difensivo, “non poteva dirsi provato il buon diritto del Condominio”.

Il Tribunale ha, quindi ritenuto, all’esito dell’esame del materiale probatorio offerto dal Condominio, che non fosse “possibile fare una valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale non intrapresa”, in tal modo escludendo che il Condominio potesse ragionevolmente attendere il risultato positivo dalla controversia giudiziale che il professionista avrebbe dovuto incardinare. Così motivando, il giudice del merito ha escluso che l’avvocato avesse a sua disposizione il materiale probatorio necessario per far ascrivere all’impresa appaltatrice la responsabilità dei vizi denunciati dal Condominio, concludendo che non era stata raggiunta la prova che l’esito favorevole della controversia, nell’ipotesi di condotta adempiente dell’avvocato, risultasse “più probabile che non”.

6.3. Con le doglianze in esame il ricorrente contesta, in realtà, la valutazione delle prove operate dal Tribunale, ma in tal modo introduce inammissibili questioni di merito, considerato che mentre l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risulta, per converso, del tutto consolidato il principio per cui l’accertamento che senza la condotta omissiva contestata l’esito favorevole della lite auspicato dal cliente sarebbe stato conseguito costituisce indagine riservata al giudice di merito, come tale non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata e scevra da vizi logici e giuridici (Cass., sez. 2, 27/03/2006, n. 6967; Cass., sez. 3, 14/12/2010, n. 25234).>>