Importante analisi del tema da parte di Cass. sez. un. 1 febbraio 2023 n. 3.077, rel. Ferro.
Alcuni passaggi di seguito,
Primi due motivi del ricorso , poi accolti:
<<1. con i primi due motivi s’invoca una pluralità di violazioni del D.Lgs. n. 152 del 2006 (artt. 240, 242, 245, 252), oltre al D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 17,15 DM 471-1999, contestando per un verso l’applicazione alla vicenda del principio ‘chi inquina pagà e dunque ogni responsabilità in capo al proprietario/gestore di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e, dall’altro, l’erronea mancata individuazione del responsabile della potenziale contaminazione;>>
<<12. imporre al soggetto inquinatore l’obbligo di riparare il danno o, in alternativa, quello di tenere indenne la comunità territoriale che l’abbia evitato o rimosso, significa pertanto addossare – non in chiave etica ma di efficacia, come rilevato nell’analisi economica di tale sistema – le esternalità negative (conseguenti alla produzione o al commercio di beni e servizi) a carico del soggetto cui sia riferibile l’attività, evitando alterazioni di mercato (per qualità dei prodotti e livelli di concorrenza), senza oneri per la collettività ovvero costi assunti in via definitiva dall’ente pubblico; viene così scongiurato ogni scenario di alternativa monetizzazione dell’inquinamento, disincentivato dallo scaricarsi sui soli prezzi, senza altri interventi ed invece declinandosi il principio riassuntivo ‘chi inquina pagà nella riparazione più diretta del danno ambientale (nei contesti di acque, terreno e biodiversità, i soli dell’art. 2 Direttiva), ad opera dell’autore (operatore in attività classificata pericolosa o terzo imputabile ad altro titolo) o, in sua vece e con recupero dei costi, a cura dell’ente pubblico;>>
Poi:
<<14. il testo del D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), anche a seguito di due procedure d’infrazione comunitaria (comunicazione del 31.1.2008 e parere del 26.1.2012) volte a superare il rilievo interno ancora proprio del rimedio della riparazione pecuniaria e le ambiguità sulla responsabilità colposa, ha dunque previsto, in pressoché adesivo allineamento alla citata direttiva, le reazioni ordinamentali al danno ambientale come effettivo ripristino (riparazione primaria) o, a seguire, riparazione complementare e compensativa conformemente ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” (art. 3ter); la stessa Corte di cassazione se ne è occupata (nelle pronunce 9012 e 16806 del 2015) innanzitutto chiarendo detti criteri risarcitori; così, la riparazione primaria, ha lo scopo di riportare le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle condizioni originarie; quella complementare, ove essi non tornino alle condizioni originarie, tende a compensare il mancato ripristino completo delle risorse e/o dei servizi naturali danneggiati; la riparazione compensativa pareggia la perdita temporanea di risorse dalla data di verificazione del danno a quella in cui la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo; ma la definitiva armonizzazione della disciplina italiana rispetto a quella UE ha reso esplicito il conseguente principio per cui “non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile – né in forma specifica, né a maggior ragione per equivalente – ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell’intervento inquinante o danneggiante, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti: misure che vanno ora tutte verificate alla stregua della nuova normativa”, con l’importante applicazione officiosa e retroattiva ai giudizi pendenti per fatti anteriori proprio della onnicomprensività del nuovo criterio riparatore a superamento di quello per equivalente (conf. Cass. 14935/2016; così anche Cass. 8662-2017 e Cass. 5705-2013 sui criteri di liquidazione del danno);
15. per l’art. 311 cod. amb. viene dunque fissata la responsabilità oggettiva di chi gerisce specifiche attività professionali elencate e quella imputabile e soggettiva (per colpa o dolo) in capo a chiunque altro cagioni un danno ambientale (comma 2); l’azione di risarcimento del danno ambientale, inteso come bene pubblico di carattere unitario, costituente autonomo diritto fondamentale, diverso dalla salute, di rilievo costituzionale, oggetto di tutela da parte del giudice ordinario (Corte costituzionale 210 del 1987; 233 del 2009; 85 del 2013) diviene così un’azione di reintegrazione in forma specifica, di competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente; a sua volta, l’art. 298bis distingue, nell’applicazione del codice, danno ambientale o minaccia imminente risalenti ad una delle attività professionali (dell’all. n. 5 della Parte Sesta, che include la gestione dei rifiuti) ovvero ad un’attività diversa, per la seconda richiedendo il caso di comportamento doloso o colposo (comma 1 lett.b); per “operatore”, poi, l’art. 302 comma 4, intende qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività; in adesione testuale al dettato della Direttiva, l’art. 308 esclude a carico dell’operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l’esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un’emissione o di un incidente imputabili all’operatore (comma 4); inoltre, l’operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta… qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l’intervento preventivo a tutela dell’ambiente è stato causato da: a) un’emissione o un evento espressamente consentiti da un’autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità Europea di cui all’allegato 5 della parte sesta… applicabili alla data dell’emissione o dell’evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste; b) un’emissione o un’attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un’attività che l’operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell’emissione o dell’esecuzione dell’attività. (comma 5); resta impregiudicata la responsabilità e l’obbligo risarcitorio del trasgressore interessato (comma 6);>>
V. anche § 16 sul c.d. inquinamento diffuso , che elide il nesso di causalità escludendo l’applicazione del principio <chi inquina paga>.
<<18. per quanto detto, e richiamando nella sua interezza l’art. 191 comma 2 TFUE, una lettura coordinata del principio ‘chi inquina pagà ne esige la declinazione integrata con quelli di precauzione e dell’azione preventiva, nonché della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, potendo così fungere il primo non solo da criterio selettivo della responsabilità, ma anche – come invocato in dottrina – quale limite alla discrezionalità dei pubblici poteri, tutte le volte in cui si intenda limitare attività potenzialmente inquinanti e al fine di tutelare l’ambiente; la conseguente affermazione di un equilibrio che giustifichi in modo proporzionale la stessa limitazione della libertà economica, in ragione degli obiettivi non altrimenti perseguibili, oltre a giustificare procedimenti a base partecipativa dei soggetti incisi dai provvedimenti dell’autorità pubblica e a porne le ragioni di una necessaria motivazione, interferisce pertanto sul perimetro di discrezionalità applicativa che, nella materia, la stessa Direttiva altresì consente agli Stati membri;>>