Utili messe a punto da parte della Cassazione sull’art. 170 cc in tema di <<esecuzione sui beni e sui frutti>> inseriti in fondo patroimoniale-
<<Con particolare riferimento ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, anche se la circostanza che il debito sia sorto nell’ambito dell’impresa o dell’attività professionale non è di per sè idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (v. Cass., 26/3/2014, n. 15886; Cass., 7/7/2009, n. 15862), risponde invero a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12998, ove si è sottolineato come la finalità di sopperire ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa).>>
Il vincolo di inespropriabilità ex art. 170 c.c., deve però essere contemperato con l’esigenza di tutela dell’affidamento dei creditori, prosegue la SC.
Atteso che la prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, <<ove come nella specie venga proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest’ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 29/1/2016, n. 1652; Cass., 19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385; Cass., 7/2/2013, n. 2970; Cass., 15/3/2006, n. 5684).
Poichè il vincolo de quo opera esclusivamente nei confronti dei creditori consapevoli che l’obbligazione è stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea, si è sottolineato come tale consapevolezza debba sussistere al momento del perfezionamento dell’atto da cui deriva l’obbligazione.
La prova dell’estraneità e della consapevolezza in argomento può essere peraltro fornita anche per presunzioni semplici (v. Cass., 17/1/2007, n. 966; e, conformemente, Cass., 8/8/2007, n. 17418. Con riferimento alla prova della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori quale condizione per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, cfr. Cass., 11/2/2005, n. 2748).
E’ pertanto sufficiente provare che lo scopo dell’obbligazione apparisse al momento della relativa assunzione come estraneo ai bisogni della famiglia.>>.
Precisazione, quest’ultima, assai importante. La interpreterei così: l’elemento soggettivo (consapevolezza nel creditore) non va provato per come era realmente in mente creditoris (prova impossibile), ma per come ragionevolmente può esistere in un soggetto di media avvedutezza (al pari, del resto, di tutte le prove dell’elemento soggettivo: è prova necessariamente indiziaria).
Nel caso specifico , <<non è dato invero evincere su quali basi e con quali argomentazioni la corte di merito abbia evinto che la stipulazione delle fideiussioni sia stata dall’odierno ricorrente nella specie operata non già quale atto di esercizio della propria attività imprenditoriale volto a garantire la Banca in ordine agli affidamenti concessi funzionali allo svolgimento dell’attività della società (di cui era socio), quanto bensì per sopperire ai bisogni della famiglia…. Non spiega infatti come abbia potuto ritenere che risponda all’id quod plerumque accidit che il professionista o come nella specie l’imprenditore, ove coniugato, nell’esercizio della propria attività professionale o imprenditoriale di norma assuma debiti non già al fine del relativo espletamento quanto bensì per direttamente ed immediatamente sopperire ai bisogni della famiglia>>