Trib. Milano 24.01.2020, sent. 4911/2019-RG 12255/2018 , decide una domanda di deindicizzazione verso Google.
Nel caso specifico l’istante, ottenuta una sentenza penale di diffamazione a carico di un terzo che l’aveva diffamato con post su internet, chiede a Google (G.) la deindicizzazione dal motore di ricerca di tali materiali.
La cronologia:
- l’attore si accorge delle notizie lesive nel giugno 2011;
- ottiene sentenza di condanna per diffamazione nel febbraio 2017;
- fa istanza a G. di deindicizzazione nel maggioo 2016 e poi tramite legale nel febbraio 2017;
- adisce il trib. MI nel febbraio 2018.
Adisce citando sia Google italy che Google LLC. Il primo però è ritenuto privo di legittimazione passiva, <<poichè il titolare del trattamento dei dati personali di cui parte attrice si duole è unicamente Google LLC>>, p. 5
Il Trib elenca le norme regolanti il caso, p. 9-10, tra cui figura la dir. 2016/680 del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.
Non figura direttamente il GDPR.
Il Trib. qualifica i motori di ricerca come banche dati di pagine reperite tramite i software c.d spiders, p. 13.
Non si applica la normativa sul safeharbour: <<Ritiene il Tribunale che la presente vicenda non possa trovare regolazione dalla normativa contenuta nel D. Lgs. n.70/03, che inerisce esclusivamente l’attività di memorizzazione di informazioni commerciali fornite daaltri. Oggetto del presente ricorso, invero, non è l’attività di host provider di Google in relazione alla formazione dei contenuti delle singole pagine web sorgente, ma la condotta posta in essere dal motore di ricerca in qualità di titolare del trattamento dei dati sottesa all’evocazione attraverso la semplice digitazione del nome e cognome dell’interessatodi tutti i siti in cui viene in risalto il preteso ruolo criminale del ricorrente attraverso un software messo a punto da Google e di cui quest’ultima si avvale per facilitare la ricerca degli utenti attraverso il suo motore di ricerca>> p. 14-15.
Il Trib. ribadisce che <<l’abbinamento dei siti al nome del ricorrente è frutto del sistema adottato da Google per scandagliare il web, copiare e immagazzinare i contenuti pubblicati dai siti sorgente, aggiornandoli, organizzare il materiale secondo chiavi di lettura in modo da rendere fruibile “worldwide” in tempo reale i contenuti relativi ad un soggetto, ad una data vicenda o ad argomento assegnati dall’utente nella stringa di ricerca; condotta da intendersi, dunque, comeprodotto di un’attività direttamente ed esclusivamente riconducibile, come tale, alla resistente. Ed è proprio questo il meccanismo di operatività del software messo a punto da Google che determina il risultato rappresentato dai possibili percorsi di ricerca, rendendo disponibili informazioni aggregate in grado di fornire agli utenti una profilazione dell’intera storia personale dell’interessato e che appaiono all’utente che inizia la ricerca digitando le parole chiave anche in relazione a settori potenzialmente differenti od estranei a quello oggetto della ricerca. Soprattutto, la capillarità della raccolta, la capacità di padroneggiare un numero potenzialmente illimitato di dati e notizie, la diffusività della propagazione del dato e delle notizie ad esso correlate costituiscono il valore aggiunto, autonomo da quello offerto dai siti sorgente, operato dal motore generale di ricerca>> p. 16
D’altro canto, il T. sottolinea che la rimozione a posteriori mediante de-indicizzazione dell’associazione dato personale/contenuti dei siti sorgente Google <<non impedisce la visualizzazione di contenuti immessi dagli utenti e non costituisce intromissione dell’hosting provider nei contenuti immessi nel sito dai siti sorgente (i cui titolari non venivano evocati nel presente giudizio), considerazione che consente di superare l’eccezione mossa da parte convenuta circa l’impossibilità (giuridica, non certo tecnica) di accedere e cancellare il testo veicolato in rete dal soggetto titolare del singolo sito informatico.
Va dunque ribadito che la deindicizzazione non comprime in alcun modo la libertà degli utenti di accedere alle ricerche offerte dal motore di ricerca Google-alla stessa maniera di quanto accade per gli altri motori di ricerca-attingendo la notizia dai singoli siti sorgente.
Infatti -come si è descritto in precedenza-il servizio indicato non compie alcun intervento diretto sui contenuti memorizzati nel web, ma svolge su di essi una rilevazione in ambito mondiale non solo meramente quantitativa e statistica (e dunque “esterna” rispetto al contenuto) dei dati oggettivi, ma provvede altresì alla estrapolazione dei dati organizzandoli in rankingsulla base diparametri non divulgati (non comprimibili nella sola, notoria, frequenza, c.d. popolarità, dei termini usati dagli utenti nelle ricerche e dei siti visitati), trasfusi nel grande algoritmo segreto che regola il funzionamento del sistema>>, p.17.
Nel web i dati assai sovente risultino <<inseriti in contenuti non comprimibili nella mera categoria delle aggregazioni di nudi dati, ma siano piuttosto inclusi in testi più ampi, ascrivibili all’area dell’esercizio della liberta di stampa o di espressione (come nel caso di specie), di talchè la cancellazione della pagina web dall’archivio del titolare del trattamento finirebbe per incidere su un’area ben più ampia del singolo dato che si vuole trattare. Occorre poi puntualizzare che, come più volte ribadito, la deindicizzazione non incide sui contenuti; nondimeno, limitando l’accessibilità alla pagina web, attingibile solo attraverso l’attivazione diretta del singolo sito sorgente, essa finisce per incidere sull’ampiezza e quindi sul concreto esercizio dei diritti di libertà ad esso connessi. Non ci si può infatti nascondere che la mancata comparsa sulla pagina web del motore generalista della pagina sorgente alla digitazione delle generalità dell’interessato sia in grado di incidere in maniera significativa -in ipotesi anche potenzialmente assorbente-sulla capacità diffusiva della notizia da parte del sito sorgente. Occorre dunque effettuare un attento bilanciamento dei contrapposti diritti>> p. 18
l diritto in esame [identità personale e riservatezza] , dice il T., <<piuttosto che un autonomo diritto della personalità costituisce un aspetto del diritto all’identità personale, segnatamente il diritto alla dis-associazione del proprio nome da un dato risultato di ricerca. Il c.d. ridimensionamento della propria visibilità telematica, difatti, rappresenta un aspetto “funzionale” del diritto all’identità personale, diverso dal diritto ad essere dimenticato, che coinvolge e richiede una valutazione di contrapposti interessi: quello dell’individuo a non essere (più) trovato on linee quello del motore di ricerca (nel senso poco sopra specificato).
Orbene, se tutto ciò vale per il caso in cui un dato sia vero, ma la sua conoscenza abbia perso di interesse per la collettività per la risalenza di esso, a maggior ragione dovrà porsi nel giudizio di bilanciamento una valutazione di supravalenza della falsità del dato in tutti i casi in cui l’interessato offra una ragionevole (sensible) rappresentazione della falsità allegata; bilanciamento sottratto, infine, alla disponibilità del titolare del trattamento in tutti i casi in cui dall’interessato sia allegata prova dell’accertamento giudiziario della falsità del dato. Nelle pagine web ricorrono entrambe le fattispecie menzionate>>, p. 21.
Poi passa ad applicare questi principi al caso de quo.
Ritiene che il trattamento di G. sia illecito a partire dalla diffida inotrata dall’ineressato, tra l’altro allegando la sentenza di condanna per diffamazione: <<la convenuta avrebbe, tuttavia, dovuto procedere a trattare lecitamente i dati del ricorrente, evitando che le ricerche effettuate dagli utenti partendo dalla stringa contenente le generalità di XX dessero luogo all’elencazione dei siti sorgente contenenti le notizie la cui diffamatorietà era stata giudizialmente accertata. IL motore di ricerca avrebbe quindi dovuto procedere in allora alla deindicizzazione dei risultati>> p. 22
Anche sul danno, naturalmente la responsaiblità rigurda l’omissione solo a partire dalla diffida.
Nulla accerta come danno patriminiale.
Liquida però euro 25.000,00 per danno morale così argomentando: <<Deve valutarsi il disagio subito da parte ricorrente, e dalla medesima allegato, dovuto alla preoccupazione conseguente al protrarsi della permanenza in rete dell’abbinamento del proprio nominativo alle URL riportanti le notizie diffamatorie in esito al rifiuto opposto da Google LLC. L’assenza di puntualizzazioni difensive in ordine ad un eventuale scarto qualitativo differenziante la sofferenza patita sin dall’origine della diffusione in rete dell’associazione diffamatoria dei propri dati da quella sopportata in progressione in esito al rifiuto ricevuto, impone al giudicante di attenersi, nel computi di base, ad una liquidazione per equivalente attestata su valori contenuti. D’altro canto, non può il Tribunale non tenere conto nella liquidazione del danno della risposta derisoria opposta da Google LLC alle richieste di cancellazione dell’interessato; la società aveva infatti motivato il proprio rifiuto affermando che le notizie attingevano la vita professionale del richiedente e che oggetto di esse era un “reato”, con ciò incorrendo in una (voluta?) confusione tra autore e vittima del delitto di diffamazione, ovvero pretermettendo la sussistenza di un provvedimento della A.G. con la quale si affermava la falsità delle notizie attribuenti il coinvolgimento di XX in gravi fatti di reato; si legge, infatti, nella nota del 13.12.2017 inviata al difensore dalla odierna resistente che “In merito alle seguenti URL” –e compariva l’elenco di cui al ricorso –“si riferiscono al contenuto riguardante la vita professionale del suo cliente di sostanziale interesse pubblico… potrebbero interessare potenziali e attuali consumatori, utenti o fruitori dei servizi del suo cliente… Pertanto la presenza di questo contenuto nei nostri risultati di ricerca … è giustificato dall’interesse pubblico ad averne accesso” (cfr doc. 6 ric.).>> p. 24-25