Responsabilità aquiliana da lesione del rapporto parentale è aquiliana, prescrizione e potere del giudice di qualificare la domanda

Cass. sez. III, sent. 05/02/2024 n. 3.267, rel. Rubino:

<<Le figlie della vittima, sig. Bo.Ma., agiscono per il risarcimento del danno iure proprio patito a causa della perdita del rapporto parentale col padre. La loro azione è stata correttamente inquadrata dal giudice di merito nell’ambito della responsabilità extracontrattuale fatta valere nei confronti della struttura sanitaria.

Non è invocabile in riferimento all’azione proposta, contrariamente a quanto auspicato dalle ricorrenti, la figura del contratto con effetti protettivi anche nei confronti del terzo, al fine di ricondurla nell’alveo della responsabilità contrattuale, in quanto è giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte l’affermazione secondo la quale il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, fatta eccezione per il peculiare e circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, in cui il contratto concluso dalla gestante con la struttura sanitaria, avente ad oggetto le prestazioni sanitarie correlate alla nascita del bambino, per la peculiarità dell’oggetto, è idoneo ad incidere in modo diretto anche sulla posizione di quei soggetti diversi dalla gestante, ma ad essa inscindibilmente legati nel comune interesse al miglior andamento del parto, ovvero del nascituro e del padre, sì da farne scaturire una tutela estesa a tali soggetti (Cass. n. 14615 2020, in cui la Corte ha escluso la spettanza dell’azione contrattuale “iure proprio” agli eredi di un soggetto ammalatosi e poi deceduto a causa di infezione da HCV contratta a seguito di emotrasfusioni eseguite presso un ospedale, precisando che essi avrebbero potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana per i danni da loro stessi subiti; v. anche Cass. n. 11320 del 2022).

Al di fuori di questa peculiare situazione trova invece applicazione, in relazione al contratto stipulato dal paziente col medico con o la struttura sanitaria, il principio generale di cui all’art. 1372, comma 2, c.c., secondo il quale il contratto non produce effetti nei confronti dei terzi se non nei casi previsti dalla legge, con la conseguenza che l’autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall’inadempimento dell’obbligazione contratta dalla struttura sanitaria nei confronti del loro congiunto rileva nei loro confronti come illecito aquiliano e si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale (da ultimo, in questo senso, Cass. n. 14258 del 2020, Cass. n. 21404 del 2021; Cass. n. 11320 del 2022; Cass. n. 28959 del 2023).

La responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è dunque qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall’altro i parenti di quest’ultimo non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto”, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso i terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale>>.

E poi sulla regola iura novit curia:

<<Deve ritenersi che la domanda, nel suo nucleo immodificabile, va identificata non in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa (che costituisce oggetto dell’attività qualificatoria rimessa al giudice), ma esclusivamente in base al bene della vita (sia esso la res o l’utilità ritraibile come effetto della pronuncia giudiziale) ed ai fatti storici-materiali che delineano la genesi e lo svolgimento della fattispecie concreta, così come descritta dalle parti e portata a conoscenza del Giudice.

Con la conseguenza che se i “fatti materiali”, come ritualmente allegati hinc et inde, rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti, indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte. In tal senso si giustificano, del resto, le ipotesi di “cumulabilità” della domanda di risarcimento danni, là dove, a tutela del medesimo bene della vita, vengono a “concorrere” sia l’azione contrattuale che quella extracontrattuale, in quanto la modifica della azione non comporta il mutamento del quadro fattuale mediante allegazione di una diversa “condotta materiale”, lesiva dell’interesse giuridico protetto (in questo senso Cass. n. 10049 del 2022, che richiama a sua volta, ex aliis, Cass. 25/09/2018, n. 22540, secondo cui non immuta la “vicenda sostanziale” oggetto del giudizio, la sostituzione dell’originaria domanda del terzo trasportato, tesa a far valere la responsabilità del proprietario del veicolo fondata sul contratto di trasporto concluso tra le parti, con un’altra basata sulla presunzione di responsabilità del proprietario medesimo, ex art. 2054 cod. civ.).

Seguendo tale impostazione ci si allontana dal momento qualificativo astratto ex ante degli elementi giuridici identificativi della domanda, come riferibili ad una determinata fattispecie legale, dovendo invece procedersi progressivamente — secondo la evoluzione della attività allegatoria e deduttiva delle parti — alla esatta configurazione giuridica della pretesa, una volta che risultino compiutamente definiti ed immutati i fatti storici allegati dalla parte a sostegno della richiesta di tutela del bene della vita, elementi che vengono quindi a costituire il nucleo essenziale della domanda (v. Cass. 15/09/2020, n. 19186). L’esatta qualificazione della domanda proposta è quindi compito del giudice, che deve muoversi beninteso nel perimetro delle allegazioni dalle parti per non alterare il contraddittorio.

6.4. – Calando il discorso nel concreto, le signore Bo.Si. e Bo.Ba. hanno chiesto il risarcimento del danno subito, prospettando una responsabilità (contrattuale o extracontrattuale che essa fosse) della struttura sanitaria per aver dato causa alla morte del padre: in senso ampio sono formulate infatti le conclusioni originariamente contenute nell’atto di citazione, riportate a pag. 4 del ricorso. Hanno introdotto il fatto, di possibile rilevanza anche penalistica, della morte del padre in conseguenza del negligente operato dei medici. Hanno poi privilegiato la ricostruzione, a sé più favorevole, in termini di responsabilità contrattuale, ma la domanda è stata proposta ad ampio raggio.

Nel caso di specie, dunque, i fatti storici materiali posti a fondamento della dedotta responsabilità dell’azienda convenuta sono rimasti inalterati nel corso del giudizio (contatto del paziente con il pronto soccorso dell’ospedale – omessa diagnosi di infarto – dimissioni del paziente senza avvia di alcuna terapia, cui faceva seguito a due giorni di distanza la morte) e non sono incompatibili con una qualificazione dell’azione in termini di responsabilità extracontrattuale.

Sul punto non può ritenersi si fosse formato alcun giudicato interno: come rappresentato dal Pubblico Ministero, in appello era ancora in gioco la questione, dirimente, se la responsabilità fosse contrattuale o extracontrattuale. Il gravame era volto a contestare la riconduzione dell’illecito nell’area della responsabilità aquiliana piuttosto che nell’area della responsabilità contrattuale. Di conseguenza, entrambi i titoli di responsabilità erano, e sono restati, in discussione, nel corso del giudizio di impugnazione. Parallelamente, la discussione verteva sulla durata e sulla decorrenza della prescrizione.

L’illecito ipotizzato a carico dell’ospedale, il cui reparto di Pronto Soccorso non avrebbe individuato tempestivamente la patologia infartuale miocardica in atto, dimettendo il paziente senza ulteriori accertamenti e determinandone la morte nell’arco di due giorni, sarebbe riconducibile, ove positivamente accertato nel suo elemento materiale e nel nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento infausto, alla ipotesi di rilevanza penale, astrattamente configurabile, dell’omicidio colposo. Così qualificato l’illecito, e ricondotto alla fattispecie di astratta rilevanza penalistica, il termine di prescrizione applicabile per l’azione di danni proposta iure proprio è quindi non il termine ordinario quinquennale, ritenuto applicabile dalla corte d’appello, ma il più lungo termine di prescrizione decennale previsto per il reato, applicabile ratione temporis (in quanto solo con la legge n. 251 del 2005, entrata in vigore l’8 dicembre 2005, e quindi non applicabile al caso di specie, che ha modificato, tra l’altro, il regime della prescrizione, è stata ridotta la durata del termine di prescrizione previsto per l’omicidio colposo a sei anni).

Si tratta peraltro di un principio più volte già affermato da questa Corte in relazione all’ipotesi dell’azione proposta iure proprio dai congiunti in dipendenza della morte di un componente della famiglia provocata da trasfusione di sangue infetto: “La responsabilità del Ministero della Salute per i danni da trasfusione di sangue infetto ha natura extracontrattuale, sicché il diritto al risarcimento è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2947, comma 1, c.c., non essendo ipotizzabili figure di reato (epidemia colposa o lesioni colpose plurime) tali da innalzare il termine ai sensi dell’art. 2947, comma 3, c.c.. ne consegue che in caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento “iure hereditatis”, trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa, reato a prescrizione quinquennale (alla data del fatto), mentre la prescrizione è decennale per il danno subito dai congiunti della vittima “iure proprio”, in quanto, da tale punto di vista, il decesso del congiunto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale (alla data del fatto)” (Cass. n. 20882 del 2018; Cass. n.7553 del 2012)>>.

Decorrenza della prescrizione in caso di ripubblicazione lesiva di immagine intime

L’appello del 9° circuito con sentenza 21.12.2023, caso n° 22-55822, Elden v. Nirvana etc., regola la questione del decorso prescrizionale del risarcimento per child pornography nel noto caso Elden v. Nirvana. Esso riguarda la celeberrima ed iconica immagine del bimbo nudo che nuota appena sotto il pelo dell’acqua (se ben capisco).

Quel bimbo, all’epoca (1991) di quattro mesi ed ora divenuto adulto, fa causa ai Nirvana in base ad una legge ad hoc . Qui però interessa il decorso del termine prescrizionale.

In primo grado la pretesa era stata rigettata per prescrizione, ma ora l’appello la rimette in pista.

(immagine tratta da uno dei risultati di ricerca Google)

Infatti è pur vero che la prima pubblicizione porterebbe alla prescrizione: solo che seguì una ridistribuzine che ll’ha mantenuto in termini.

<<Reading § 2255(b)(1)(B) in this light, we hold that if a
predicate criminal offense occurred when the plaintiff was a
minor, the statute of limitations does not run until ten years
after the victim reasonably discovers a personal injury
resulting from the offense, which may include republication
of the child pornography that was the basis of the predicate
criminal offense. (…)

The allegations in Elden’s complaint are enough to
render the claim timely under 18 U.S.C. § 2255(b)(1)(B).
The complaint alleges that Defendants committed a
predicate offense when they “knowingly possessed,
transported, reproduced, advertised, promoted, presented,
distributed, provided, and obtained commercial child
pornography depicting [Elden].” These alleged violations
began in 1991, when the photograph was taken, and were
ongoing. The violations therefore occurred “while [Elden
was] a minor.” 18 U.S.C. § 2255(a). Elden seeks damages
for “personal injuries” he alleges he suffered “as a result of
such violation[s].” Id. § 2255(a). Elden alleges he suffered
the personal injuries “during the ten years preceding this
action,” including the Defendants’ redistribution of the
Nevermind album in 2021. Because that and other
republications can constitute personal injuries under
§ 2255(b)(1)(B), Elden had ten years from the date of
reasonable discovery of those injuries to file his complaint.
Elden’s complaint covered only injuries discovered in the
preceding ten years, so his claim is timely under 18 U.S.C.
§ 2255(b)(1)(B)>>

Cass. sez. 3 del 27.10.2023 n. 29.859, rel., Vincenti:

<<Pertanto, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento della verificazione materiale dell’evento di danno, bensì dal momento della conoscibilità del danno inteso nella sua dimensione giuridica; un danno ingiusto, cioè, che non soltanto sia “oggettivamente percepibile” all’esterno (elemento della conoscibilità del danno), ma che – attraverso parametri oggettivi quali la diligenza esigibile all’uomo medio e il livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico – possa essere astrattamente ricondotto alla condotta colposa/dolosa di un terzo (requisito della rapportabilità causale).

Il principio così delineato (ossia, della conoscibilità del danno nella sua dimensione giuridica) trova applicazione, ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, in tutti i casi di esercizio del diritto al risarcimento del danno, con la precisazione, tuttavia, che il carattere mobile dell’iniziale dies a quo e il suo “spostamento in avanti” si giustificherà nelle ipotesi in cui sia dato scindere, sotto il profilo temporale, il momento dell’accadimento materiale dell’evento di danno e il diverso momento della “esteriorizzazione del danno” nei termini sopra precisati.

Infatti, è solo in questi casi – a differenza di quelli in cui si possa apprezzare la coincidenza tra la verificazione dell’evento di danno e la conoscibilità del danno ingiusto patito -, che l’individuazione di un “dies a quo mobile” è sorretto dalla ratio di evitare che il termine di prescrizione inizi a decorrere in assenza della percezione di aver subito un danno ingiusto.

Ed è ciò che avviene, a titolo meramente esemplificativo, nei casi di responsabilità per danni cd. lungo-latenti, come quello di danni da emotrasfusioni infette. Non a caso la sentenza delle Sezioni Unite n. 576/2008, ha enunciato l’anzidetto principio proprio con riferimento al caso di “chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo” >>.

Poi: <<- E’ principio consolidato che, qualora l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato ma il giudizio penale non sia stato promosso, ancorché per difetto di querela, all’azione civile di risarcimento si applica, ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato purché il giudice civile accerti, incidenter tantum, con gli strumenti probatori ed i criteri propri del relativo processo, l’esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi (tra le altre: Cass. n. 24988/2014 e Cass. n. 2350/2018, richiamate anche nella sentenza impugnata).

Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale (pp. 8 e 9 della sentenza impugnata), non è “necessario”, a tal fine, dover coltivare “un’espressa domanda volta a ottenere in via incidentale l’accertamento dell’ipotizzato reato”, giacché – alla luce dell’orientamento del pari consolidato di questa Corte (per tutte: Cass., S.U., n. 9993/2016; Cass. n. 24260/2020; Cass. n. 21404/2021) – la deduzione circa l’applicabilità del termine prescrizionale più lungo di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, integra una contro-eccezione in senso lato, la cui rilevazione può avvenire anche d’ufficio, nel rispetto dei termini di operatività delle preclusioni relative al thema decidendum ex art. 183 c.p.c., qualora sia fondata su nuove allegazioni di fatto.

Là dove invece essa sia basata su fatti storici già allegati entro i termini di decadenza propri del giudizio ordinario a cognizione piena, la sua proposizione è ammissibile nell’ulteriore corso del giudizio di primo grado, in appello e, con il solo limite della non necessità di accertamenti di fatto, anche in Cassazione, dove non integra una questione nuova inammissibile.

La rilevabilità ex officio della contro-eccezione e’, dunque, subordinata alla allegazione – tempestiva, giacché effettuata originariamente con l’atto introduttivo del giudizio ovvero perché le nuove circostanze fattuali sono state dedotte nei termini di cui all’art. 183 c.p.c. (così da consentirne il rilievo officioso anche oltre detti termini) – dei fatti posti a suo fondamento e, quindi, ai fini dell’applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, del “fatto considerato dalla legge come reato”, ossia delle circostanze da cui evincere la sussistenza degli elementi costitutivi (oggettivi e soggettivi) del reato di omicidio colposo, ex art. 589 c.p>>.

Ancora:

<< In tema di danno non patrimoniale risarcibile, iure haereditatis, in caso di morte causata da un illecito, la tassonomia invalsa che distingue tra varie voci di danno (danno biologico terminale, danno morale terminale, danno catastrofale o catastrofico, danno da lucida agonia) risponde ad una esigenza meramente descrittiva e non viene a configurare delle categorie giuridiche.

A tal fine, infatti, ciò che rileva è la reale fenomenologia del pregiudizio ed è sotto tale profilo che, pur nell’unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale, si diversificano le conseguenze dannose risarcibili, le quali, dunque, se effettivamente sussistenti, sono tutte da riconoscere, senza che si verifichi una duplicazione risarcitoria ingiustamente locupletativa.

In siffatta prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte (tra le molte: Cass. n. 26727/2018; Cass. n. 18056/2019; Cass. n. 21837/2019), assumendo a fondamento la reale fenomenologia dei pregiudizi alla persona, ha comunque tradotto l’anzidetta esigenza meramente descrittiva nei seguenti termini: a) il “danno biologico terminale” è un pregiudizio alla salute, da invalidità temporanea sebbene massimo nella sua entità ed intensità, da accertarsi con criteri medico-legali e da liquidarsi comunque, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, se tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; b) il “danno catastrofale” (o anche detto: “danno morale terminale”, “danno da lucida agonia”), consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando, ai fini della liquidazione in via equitativa in base alle specificità del caso concreto, soltanto l’intensità della sofferenza medesima>>.

Infine;

<<. Giova, infatti, rammentare che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall’altro i parenti non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto”, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale (tra le altre: Cass. n. 14258/2020 e Cass. n. 21404/2021)>>.