La corte di cassazione segue la tesi per cui il diritto di abitazione ex art. 540 c.2 c.c., in caso di comproprietà dell’immobile, spetta al coniuge sopravvissuto solo se i compropreitari erano lui e quello deceduto.
Se invece figuravano anche soggetti terzi, il diritto non gli spetta.
Così motiva Cass. ord. n° 29.162 del 20.10.2021, rel. Besso Marcheis:
<<Il Collegio aderisce all’orientamento di questa Corte seguito dalla Corte d’appello. Secondo tale orientamento (v., in particolare, Cass. n. 6691/2000, cfr. anche Cass. n. 8171/1991) la locuzione “di proprietà del defunto o comuni”, di cui all’art. 540, comma 2 c.c., va interpretata alla luce della ratio del diritto di abitazione e della sua stretta connessione con l’esigenza di godere dell’abitazione familiare. Il legislatore, prevedendo l’ipotesi della casa comune, si è riferito esclusivamente alla comunione con l’altro coniuge, tenuto conto che il regime della comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a verificarsi; inoltre, ove comproprietario sia un terzo non possono verificarsi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione, non essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto del diritto; in altri termini, intanto può sorgere il diritto di abitazione, in quanto vi è la possibilità di soddisfare l’esigenza abitativa e, se questa non può soddisfarsi perché l’immobile appartiene anche ad estranei, il diritto di abitazione non nasce. Il Collegio ritiene che vada altresì escluso che il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, possa avere l’equivalente monetario del predetto diritto, in quanto si finirebbe per attribuire “un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge superstite, garantendo in concreto l’esigenza di godere dell’abitazione familiare” (così la richiamata pronuncia n. 6691/2000, in diversi termini si era espressa Cass. n. 2474/1987, v. pure Cass. n. 14594/2004)>>.