Ancora su IP e Intelligenza Artificiale

Nuovo documento sul rapporto tra IP e Artificial Intelligence (poi: AI).

E’ lo studio  edito da The Joint Institute for Innovation Policy (Brussels) e da IViR – University of Amsterdam , autori Christian HARTMANN e Jacqueline E. M. ALLAN nonchè rispettivamente P. Bernt HUGENHOLTZ-João P. QUINTAIS-Daniel GERVAIS, titolato <<Trends and Developments in Artificial Intelligence Challenges to the Intellectual Property Rights Framework, Final report>>, settembre 2020.

Lo studio si occupa in particolare di brevetti inventivi e diritto di autore.

V.  la sintesi e le recommendations per diritto diautore sub § 5.1, po. 116 ss :

  • Current EU copyright rules are generally sufficiently flexible to deal with the challenges posed by AI-assisted outputs.
  • The absence of (fully) harmonised rules of authorship and copyright ownership has led to divergent solutions in national law of distinct Member States in respect of AI-assisted works, which might justify a harmonisation initiative.
  • Further research into the risks of false authorship attributions by publishers of “work-like” but “authorless” AI productions, seen in the light of the general authorship presumption in art. 5 of the Enforcement Directive, should be considered.
  • Related rights regimes in the EU potentially extend to “authorless” AI productions in a variety of sectors: audio recording, broadcasting, audivisual recording, and news. In addition, the sui generis database right may offer protection to AI-assisted databases that are the result of substantial investment.
  • The creation/obtaining distinction in the sui generis right is a cause of legal uncertainty regarding the status of machine-generated data that could justify revision or clarification of the EU Database Directive.
  • Further study on the role of alternative IP regimes to protect AI-assisted outputs, such as trade secret protection, unfair competition and contract law, should be encouraged.

Si vedano poi quelle per il diritto brevettuale: sub 5.2, p. 118 ss:

  • The EPC is currently suitable to address the challenges posed by AI technologies in the context of AI-assisted inventions or outputs.
  • While the increasing use of AI systems for inventive purposes does not require material changes to the core concepts of patent law, the emergence of AI may have practical consequences for national Intellectual Property Offices (IPOs) and the EPO. Also, certain rules may in specific cases be difficult to apply to AI-assisted outputs and, where that is the case, it may be justified to make minor adjustments.
  • In the context of assessing novelty, IPOs and the EPO should consider investing in maintaining a level of technical capability that matches the technology available to sophisticated patent applicants.
  • In the context of assessing the inventive step, it may be advisable to update the EPO examination guidelines to adjust the definition of the POSITA and secondary indicia so as to track developments in AI-assisted inventions or outputs.
  • In the context of assessing sufficiency of disclosure, it would be useful to study the feasibility and usefulness of a deposit system (or similar legal mechanism) for AI algorithms and/or training data and models that would require applicants in appropriate cases to provide information that is relevant to meet this legal requirement, while including safeguards to protect applicants’ confidential information to the extent it is required under EU or international rules [forse il punto più interessante in assoluto!]
  • For the remaining potential challenges identified in this report arising out of AI-assisted inventions or outputs, it may be good policy to wait for cases to emerge to identify actual issues that require a regulatory response, if any.

Produzione documentale in giudizio e comunicazione al pubblico: un interessante dubbio di diritto di autore

Avevo già segnalato con mio post 12.10.2020 le conclusioni 03.09.2020 dell’AG  in questa lite avanti la Corte di Giustizia (CG) .

La questione è se costituisca <comuncazione al pubblico> ex art. 3 dir. 2001/29 la produzione in giudizio (via email) di un documento riproducente opera dell’ingegno (fotografia, tra l’altro scaricata dal sito di controparte).

Ora è stata pronunciata la sentenza della CG, 28.10.2020, C-637/19,  BY c. CX.

La Corte, come già l’AG, nega che ricorra comunicazione al pubblico. O meglio, ricorre certamente un atto di comunicazione, ma non diretto <al pubblico>.

Per la CG infatti con tale ultimo concetto si vuole <rendere un’opera percepibile in modo adeguato dalla gente in generale, vale a dire senza limitazioni ad individui specifici appartenenti ad un gruppo privato (sentenze del 15 marzo 2012, SCF, C‑135/10, EU:C:2012:140, punto 85, e del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 42)>, § 27.  E nel caso specifico ricorre <una comunicazione …  rivolta ad un gruppo chiaramente definito e limitato di persone che esercitano le loro funzioni nell’interesse pubblico, in seno ad un organo giurisdizionale e non ad un numero indeterminato di destinatari potenziali>, § 28.

Pertanto, tale comunicazione è da ritenersi effettuata <non ad un gruppo di persone in generale, bensì a professionisti individuali e determinati. In tal contesto, si deve considerare che la trasmissione per via elettronica di un’opera protetta ad un organo giurisdizionale, come elemento di prova nell’ambito di un procedimento giudiziario tra privati, non può essere qualificata come «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 (v., per analogia, sentenza del 19 novembre 2015, SBS Belgium, C‑325/14, EU:C:2015:764, punti 23 e 24)>, § 29.

A nulla osta -precisazione non secondaria- che in Svezia sia previsto l’accesso civico (cioè da parte del quisque del populo) ai documenti di causa. La soluzione non cambia poichè <tale accesso viene concesso non dall’utilizzatore che ha trasmesso l’opera all’organo giurisdizionale, ma da quest’ultima ai singoli che ne fanno domanda, in forza di un obbligo e secondo un procedimento previsti dal diritto nazionale, relativo all’accesso ai documenti pubblici, sulle cui disposizioni la direttiva 2001/29 non ha alcuna incidenza, come espressamente previsto dal suo articolo 9>, § 30.

La tutela d’autore infatti non è assoluta ma va contemperata con diritto confliggenti, come quello di difesa in giudizio (art. 47 Carta di Nizza: ad un ricorso effettivo), § 32.    Considerazione però non coordinata con le precedenti, le quali bastano da sole alla decisione della lite nel senso indicato. In altre parole, la mancanza del <pubblico> e la tutela del diritto di difesa sono due rationes distinte di decisione della lite.

Diritto di autore su fotografie realizzate “amatorialmente” per organizzazione non profit

La Corte distrettuale della Pennsylvania (Hubay, Losieniecki e altri c. Mendez, Heal e MSTM, 13.11.2020, Case 2:19-cv-01327-NR) , decide il seguente caso.

Un gruppo di membri dell’assocazine non profit Military Sexual Trauma Movement (MSTM; associazione di ex militari che affronta il problema delle violenze sessuali nell’esercito) fa una gita a Washington nel settembre 2019 per conoscersi di persona dopo contatti sui social.

Qui il sig. Losieniecki (poi <L.>) , marito di una delle associate, si incarica di fare delle fotografie al gruppo.

Capita però che l’organizzatrice , modificando il programma, volle anche andare a manifestfare davanti alla casa del  <Commandant of the United States Marine Corps>. Alcuni associati tuttavia non sono d’accordo , temendo ritorsioni, e le intimano di non pubblicare loro fotografie o dati che possano renderle riconoscibili.

Ciò nonostante 26 fotografie scattate da L. vengono ugualmente pubblicate da MSTM ed anzi registrate per copyryght allo US copyright Office. Analoga registrazione viene chiesta e ottenuta pure da L.

L. (con altri), allora, agisce a vario titolo contro MTSM e o dirigenti , tra cui il in base alla causa petendi del copyright sulle foto.

MTSM eccepisce  su questo ultimo punto che i diritti sono stati acquisiti dalla  MTSM , avendo L. fatto foto per la stessa: invocando cjoè la fattispecie del work made for hire (contratto di opera o lavoro subordinato).

La Corte accoglie la domanda di L. e altri.

Intanto è indiscusso che L. sia l’autore e per questo c’è una presunzione di sua titolarità-

Poi,  non ci sono i requisiti del work made for hire: <<a “work for hire” is “either (1) a work created by an employee within the scope of his employment, or (2) a ‘specially ordered or commissioned’ work if it falls within nine enumerated categories of works and the parties agree in writing to designate it as a work for hire.” >>, p. 16 (la disposizione di riferimento è la § 101 of the Copyright Act (title 17 of the U.S. Code).

Dice la corte che L.:

1° non era <hired party> (v. CONCLUSIONS OF LAW / ANALYSIS sub I, 17 ss) ; e comunque che

2° non era <employee> in base alla disposizione stessa (v. CONCLUSIONS OF LAW / ANALYSIS sub II, p. 21 ss) ma semmai un mero independent unpaid contractor. La Corte conclude così soppesando 13 fattori alla luce del precedente della Corte Suprema  Cmty. for Creative Non-Violence v. Reid, 490 U.S. 730, 737 (1989).

Pertanto, <<weighing these considerations in a holistic manner, the Court finds that, on balance, they weigh against finding that Mr. Losieniecki was an employee. Indeed, to the extent Mr. Losieniecki’s volunteer status could be analogized to an employment relationship at all, it would be that of a “non-agent independent contractor” (albeit without a contract), hired “to perform a particular, discrete task.” … Ultimately, nothing about Mr. Losieniecki’s relationship with MSTM approximates that of a traditional employee>>.

Dalle circostanze di fatto esposte (in dettaglio) dal giudice,  la soluzione sarebbe probabilmente stata uguale nel nostro ordinamento: ove manca sì una norma generale, ma ci sono diversi indizi particolari (artt. 12 bis, 88 e 98 l. aut. nonchè art. 64 cod. propr. ind.).

(notizia della sentenza e link alla stessa presi dal blog di Eric Goldman)

Ancora su intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: indagine dell’ufficio USA

Il tema dei rapporti tra proprietà intellettuale (PI) e intelligenza artificiale (AI) è sempre più al centro dell’attenzione.

L’ufficio brevetti e marchi statunitense (USPTO) ha appena pubblicato i dati di un’indagine (request for comments, RFC) su AI e diritti di PI (ci son state 99 risposte, v. Appendix I, da parte di enti ma anche di individuals) : USPTO’s report “Public Views on AI and IP Policy”, ottobre 2020 (prendo la notizia dal post 12.10.2020 di Eleonora Rosati/Bertrand Sautier in ipkat).

Il report (id est, le risposte riferite) è alquanto interessante. Segnalo:

1° – INVENZIONI

  • le risposte non ritengono necessarie modifiche al diritto brevettuale: alla domanda 3 (<Do current patent laws and regulations regarding inventorship need to be revised to take into account inventions where an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention?>), la maggiornza delle risposte < reflected the view that there is no need for revising patent laws and regulations on inventorship to account for inventions in which an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention.>, p. 5. Alla domanda 4 (<Should an entity or entities other than a natural person, or company to which a natural person assigns an invention, be able to own a patent on the AI invention? For example: Should a company who trains the artificial intelligence process that creates the invention be able to be an owner?>) , la larga maggiorahza ha detto che <no changes should be necessary to the current U.S. law—that only a natural person or a company, via assignment, should be considered the owner of a patent or an invention. However, a minority of responses stated that while inventorship and ownership rights should not be extended to machines, consideration should be given to expanding ownership to a natural person: (1) who trains an AI process, or (2) who owns/controls an AI system>, p. 7
  • sulla domanda 10 (<Are there any new forms of intellectual property protections that are needed for AI inventions, such as data protection? Data is a foundational component of AI. Access to data>), le risposte sono invece divise: <Commenters were nearly equally divided between the view that new intellectual property rights were necessary to address AI inventions and the belief that the current U.S. IP framework was adequate to address AI inventions. Generally, however, commenters who did not see the need for new forms of IP rights suggested that developments in AI technology should be monitored to ensure needs were keeping pace with AI technology developments.
    The majority of opinions requesting new IP rights focused on the need to protect the data associated with AI, particularly ML. For example, one opinion stated that “companies that collect large amounts of data have a competitive advantage relative to new entrants to the market. There could be a mechanism to provide access to the repositories of data collected by large technology companies such that proprietary rights to the data are protected but new market entrants and others can use such data to train and develop their AI.”>, p. 15

2 – ALTRI DIRITTI DI PI

  • domanda 1: la creazione da parte di AI è proteggibile come diritto di autore? No de iure condito e pure de iure condendo: <The vast majority of commenters acknowledged that existing law does not permit a non-human to be an author (outside of the work-for-hire doctrine, which creates a legal fiction for non-human employers to be authors under certain circumstances); they also responded that this should remain the law. One comment stated: “A work produced by an AI algorithm or process, without intervention of a natural person contributing expression to the resulting works, does not, and should not qualify as a work of authorship protectable under U.S. copyright law.”109 Multiple commenters noted that the rationale for this position is to support legal incentives for humans to create new works.110 Other commenters noted that AI is a tool, similar to other tools that have been used in the past to create works: “Artificial intelligence is a tool, just as much as Photoshop, Garage Band, or any other consumer software in wide use today … the current debate over whether a non-human object or process can be ‘creative’ is not new; the government has long resisted calls to extend authorship to corporations or entities that are not natural humans>, p. 20-21
  • domanda 2: quale livello di coinvolgimento umano serve allora per la proteggibilità [domanda molto rilevante nella pratica!!] ? Non si può che vederlo caso per caso:  <More broadly speaking, commenters’ response to this question either referred back to their response to the first question without comment (stating that human involvement is necessary for copyright protection) or referred back and made some further observations or clarifications, often pointing out that each scenario will require fact-specific, case-by-case consideration. Several commenters raised or reiterated their view that natural persons, for the foreseeable future, will be heavily involved in the use of AI, such as when designing models and algorithms, identifying useful training data and standards, determining how technology will be used, guiding or overriding choices made by algorithms, and selecting which outputs are useful or desirable in some way. The commenters thus predicted that the outputs of AI will be heavily reliant on human creativity>, p. 22.
  • dom. 7 sull’uso di AI nelle ricerche sui marchi: v. la distinzione tra uso dell’USPTO  e uso dei titolari di marchio, p. 31 ss.
  • dom. 9 sulla protezione dei database, p. 36 ss.: la normativa attuale è adeguata e non c’è bisogno di introdurne una ad hoc come in UE : <Commenters who answered this question mostly found that existing laws are adequate to continue to protect AI-related databases and datasets and that there is no need for reconsidering a sui generis database protection law, such as exists in Europe. Furthermore, one commenter cautioned “that AI technology is developing rapidly and that any laws proposed now could be obsolete by the time they are enacted>, p. 37

Contraffazione musicale: l’attore deve prima preoccuparsi che la propria opera sia proteggibile

la District Court, C.D. California, il 16 marzo 2020, decide la lite tra PKA Flame e Kate Perry (d ). Il primo, titolare dei diritti sulla canzone <Joyful noise>, asseriva che la seconda l’aveva contraffatta tramite la canzione <Dark Horse>: in particolare, avrebbe riprodotto solo il c.d. “ostinato” e cioè una breve sequenza ritmica (riff) ripetuta nel corso della canzone.

La giuria accolse la domanda , concedendo danni per 2,8 milioni di dollari.

La Corte però va di contrario avviso, poichè l’opera attorea non è originale: solo se lo è, naturalmente, il titolare può far valere il relativo diritto.

Secondo il diritto USA, l’attore deve provare << (1) “ownership of a valid copyright,” and (2) “copying of constituent elements of the work that are original.”>> (v. sub III).

Il copiaggio a sua volta va provato o <<(a) with direct evidence that the defendant actually copied the work, or (b) by showing that the defendant (i) had access to the work and (ii) that the works are “substantially similar.”>> , p. 5.

Nel caso de quo, gli attori allegarono la modalità sub b (accesso+substantial similarity).

A sua volta la substantial similarity richiede di superare il two-part test: extrinsic similarity (elementi oggettivamente somiglianti: <there are two steps to the analysis: the Court (1) identifies the protected elements of the plaintiff’s work, and then (2) determines whether the protected elements are objectively similar to the corresponding elements of the allegedly infringing work>) e intrinsic similarity (somiglianza per l’utente medio: anzi, esattamente, per la reasonable person): p. 5-7.

Provata la substantial similarity, l’attore deve provare l’accesso: << “Proof of access requires an opportunity to view or to copy plaintiff’s work…. “To prove access, a plaintiff must show areasonable possibility, not merely a bare possibility, that an alleged infringer had the chance to view the  protected work.” >>, p. 7

Gli attori non hanno fortuna in Corte: questa nega il superamento dell’extrinsic test.

In generale nella musica pop più che in altre arti il “prestito” tra autori è diffuso e gli elementi originalui e dunque proteggibili sono rari  (passaggio interessante per ragionare sulla tutelabilità di questo tipo di musica), p. 9-10.

Il perito di parte Decker spiegò i cinque o sei elemenri copiati: < “The length of the ostinato is similar, eight notes. The rhythm of the ostinato is similar. The melodic content, the scale degrees present. The melodic shape so the—the way the melody moves through musical space. Similar, the timbre or the quality and color of the sound is similar, and the use of the the placement of this material, this ostinato, in the musical space of the recording in the mix, that is also similar. So that’s five or six points of similarity between the two ostinatos.”> p’. 10

Anzi , se meglio individuati, gli elementi copiati sarebbero addirittura nove: < “(1) a melody built in the minor mode; (2) a phrase length of eight notes; (3) a pitch sequence beginning with ‘3, 3, 3, 3, 2, 2’; (4) a similar resolution to both phrases; (5) a rhythm of eighth notes; (6) a square and even rhythm; (7) the structural use of the phrase as an ostinato; (8) the timbre of the instrumentation; and (9) the notably empty and sparse texture of the compositions.”>, p.10.

Tuttavia per la Corte nessuno di questi è proteggibile, singolarmente preso, p. 11 ss (ed anzi pure il perito di parte Decker dice in pratica che molti di essi non sarebbero originali, p. 12: affermazione alquanto strana per un perito di parte…): < In fact, the nine individual elements that plaintiffs identify in their opposition (see JMOL Opp. at 8) are precisely the kinds of commonplace elements that courts have routinely denied copyright protection, at least standing alone, as a matter of law>, p. 13. (segue analisi di ciascuno).

Inevitabilmente dunque <for the foregoing reasons, the Court cannot conclude, pursuant to the extrinsic test, that any of the allegedly original individual elements of the “Joyful Noise” ostinato are independently [*23] protectable as a matter of law>, p .15.

Anche se individualmente non sono proteggibili, i vari elementi potrebbero esserlo se considerati assieme (Protection For Combination Of Unprotected Elements, sub ii., p. 15 ss), ma l’esito è ancora una volta negativo: < in view of these decisions, the Court now turns to whether the musical elements that comprise the 8-note ostinato in “Joyful Noise” are “numerous enough” and “arranged” in a sufficiently original [*32] manner to warrant copyright protection. .. The Court concludes that they do not>, p. 19

Pertanto, <because the sole musical [*36] phrase that plaintiffs claim infringement upon is not protectable expression, the extrinsic test is not satisfied, and plaintiffs infringement claim—even with the evidence construed in plaintiffs’ favor fails as a matter of law> p. 22.

Ma anche se la combinazione di elementi (singolarmente non originali) fosse originale , non ci sarebbe substantial similarity (sub  iii, p,. 22 ss): <The evidence in this case does not support a conclusion that the relevant ostinatos in “Dark Horse” and “Joyful Noise” are virtually identical>, p. 23

Quanto all’intrinsic test, la Corte si attiene ai precedenti , secondo cui la decisione è lasciata alla giuria, p. 24.

SULL’ACCESSO: sotto tale aspetto <The question presented by this posttrial motion is therefore “not whether Plaintiff has proven access by a preponderance of evidence, but whether reasonable minds could find that Defendants had a reasonable opportunity to have heard Plaintiffs song before they created their own song.>, p. 25.

E la Corte ritiente che le prove effettivamenTe permettano di ritenere provato l’accesso, dato che gli attori ha dato prova <at trial that “Joyful Noise” was played more than 6 million times on YouTube and MySpace,  hat “Joyful Noise” was nominated for a Grammy, that “Joyful Noise” was performed at hundreds of concerts across the country, and that “Joyful Noise” ranked highly on the Billboard charts for popular music.> p. 25.

SUI DANNI E SULL’APPORTIONMENT:

la giuria decide che il 22.5% del profitto netto di ciascun convenuto, tratto dalla canzone censurata, derivasse dall’uso dell’ostinato della canzone attorea , sulla base del fatto che l’ostinato ricorre per il 45 % della canzone contraffattrice, p. 29 : la giuria evidentemente  <decided to divide plaintiffs’ requested amount in half—either as a result of defendants’ evidence, or some other reason—and award damages in the amount of 22.5% of total profits>, p. 29/30.

Qui va ricordata la disciplina sull’onere probatorio, specifica del diritto di autore USA: <The copyright owner is entitled to recover the actual damages suffered by him or her as a result of the infringement, and any profits of the infringer that are attributable to the infringement and are not taken into account in computing the actual damages. In establishing the infringer’s profits, the copyright owner is required to present proof only of the infringer’s gross revenue, and the infringer is required to prove his or her deductible expenses and the elements of profit attributable to factors other than the copyrighted work> US code, tit. 17, § 504 (b). Sarebbe opportuno valutarne l’introduzione anche nella proprietà intellettuale italiana (ed europea, laddove armonizzata).

La Corte ritiene però esatta la quantificazione della giuria, p. 29-30.

Quanto alla deduzione delle spese generali, questione spesso aperta e importante nella pratica, i conveuti censurarono la decisione della giuria. La Corte però rigetta la censura e ricorda la prassi del 9° circuito: < To determine the defendants’ net profits, the Court instructed the jury to “deduc[t] all appropriate expenses incurred by that defendant from that defendant’s gross revenue.” …. In the Ninth Circuit, appropriate expenses are only those which “contributed to the production, distribution or sales of the infringing goods,” including “fixed  overhead” costs, provided that the overhead “contributed” to the infringing good >.

La Corte ricorda più volte il precedente (di pochi giorni prima) Skidmore c. Led Zeppelin, ricordato in precedente post.

Diritto di difesa versus diritto d’autore: interessante questione portata davanti al giudice europeo

Proviene dalla Svezia una fattispecie molto interessante (anche se di non frequente realizzabilità): si può riprodurre in giudizio  a fini difensivi un’opera dell’ingegno altrui?

In una lite tra due soggetti, titolari ciascuno di un sito web, uno dei due si difendeva in giudizio producendo un file reperito nel sito dell’avversario, file che conteneva una fotografia.

Controparte eccepiva l’illegittimità della produzione, contenente la riproduzione fotografica, fondandola non tanto sulla violazione della privacy (come spesso succede in tema di prove cosiddetti illecite; anche se qui la fotografia era stata pubblicamente esposta dall’autore nel proprio sito , sorgendo dunque  il solito dilemma del se detta esposizione tiene conto tutti gli internauti del mondo oppure solo dei frequentatori del sito), quanto piuttosto e sorprendentemente sulla violazione del diritto di autore sulla fotografia stessa

Sorge quindi il problema del se  la produzione in giudizio di un’opera protetto (o meglio di una sua riproduzione) costituisca comunicazione al pubblico.

C’è poi una particolarità nel caso specifico: nel sistema giudiziario svedese, una volta prodotto un documento in giudizio, chiunque può chiederne copia e cioè accedervi.

Si tratta del caso BY c. CX, C-637/19 per il quale sono state depositate il 3 settembre 2020 le conclusioni dell’avvocato generale Hogan (poi solo “AG”).

La risposta suggerita dall’AG è nel senso che tale produzione giudiziaria di (riproduzione della) opera protetta non costituisce comunicazione al pubblico: <sebbene la comunicazione di materiale protetto a terzi che svolgono funzioni amministrative o giudiziarie possa perfettamente superare «una certa soglia de minimis», dato il numero di persone potenzialmente coinvolte , a mio avviso essa non costituisce, in circostanze normali, una «comunicazione al pubblico» nel senso previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, proprio perché tali persone, pur non costituendo, di per sé, un gruppo privato, sono comunque vincolate dalla natura delle loro funzioni ufficiali. In particolare, esse non avrebbero il diritto di trattare il materiale protetto dal diritto d’autore come se fosse esente da tale protezione. Ad esempio, la comunicazione di tale materiale ad opera di una parte nel corso di un procedimento giudiziario ai funzionari giudiziari o ai titolari di un funzione giudiziaria, oltre a non possedere alcuna rilevanza economica autonoma, non consentirebbe ai destinatari di tale materiale di farne uso a loro piacimento. Del resto, in questo esempio, il materiale è comunicato a tali persone nell’ambito delle loro funzioni amministrative o, a seconda dei casi, giudiziarie e l’ulteriore riproduzione, comunicazione o distribuzione di tale materiale da parte loro è soggetta a certe restrizioni giuridiche ed etiche, espresse o implicite, ivi compresa la legge sul diritto d’autore, previste dal diritto nazionale>, § 42-43.

Aggiunge che <nonostante il numero potenzialmente elevato di funzionari giudiziari coinvolti, la comunicazione non sarebbe quindi diretta a un numero indeterminato di potenziali destinatari, come richiesto dalla Corte al punto 37 della sua sentenza del 7 dicembre 2006, SGAE (C‑306/05, EU:C:2006:764). La comunicazione sarebbe invece rivolta a un gruppo chiaramente definito e limitato, o chiuso, di persone, che esercitano le loro funzioni nell’interesse pubblico e che sono, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, vincolate da norme giuridiche ed etiche concernenti, tra l’altro, l’uso e la divulgazione delle informazioni e delle prove ricevute nel corso di un procedimento giudiziario>, § 44.

Ed ancora: <A mio avviso, la comunicazione di materiale protetto dal diritto d’autore a un giudice come prova nell’ambito di un procedimento giudiziario non pregiudica, in linea di principio, i diritti esclusivi del titolare del diritto d’autore su tale materiale, ad esempio, privandolo della possibilità di rivendicare un compenso adeguato per l’utilizzo della sua opera. La possibilità di presentare materiale protetto da diritto d’autore come prova in un procedimento civile serve, piuttosto, ad assicurare il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale, come garantiti dall’articolo 47 della Carta. I diritti di difesa di una parte sarebbero gravemente compromessi se essa non potesse presentare prove a un giudice nel caso in cui un’altra parte di tale procedimento o un terzo invocassero la tutela del diritto d’autore in relazione a tali prove>,§ 45.

Le ragioni parebbero allora tre :

i) il fatto che i destinatari (giudici cancellieri avvocati in causa) non sarebbero legittimati a disporre dell’esemplare/copia prodotta;

ii) il fatto che i destinatari sono in numero determinato e non indeterminato.

iii) il fatto che uno deve pur difendersi: se la difesa giudiziale comporta la necessità (o anche solo l’opportunità, aggiungerei io) di produrre un documento sottoposto a diritto di autore, tale produzione deve essere per questo solo motivo lecita (anche perchè non  danneggia economicamente controparte).

Il reciproco rapporto tra queste tre ragioni, però, non è chiarito, dato che ciascuna di essere dovrebbe essere sufficiente. Perciò non è chiaro quale sia quella fondante il suggerimento dell’AG di rigettare le istanze del titolare del diritto di autore  .

Il tema è assai interessante a livello teorico (anche se , come detto, probabilmente di rara riscontrabilità). In particolare interessa la ragione sub 3 e cioè l’eccezione al diritto d’autore consistente nella necessità difensiva

Nella disciplina d’autore non c’è una disposizione che regoli espressamente questo conflitto di interessi.

C’è  si l’art. 5/3 lettera e) dir. 29/2001, che legittima l’uso <allorché si tratti di impieghi per fini di pubblica sicurezza o per assicurare il corretto svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>. Però la correttezza dello svolgimento processuale/procedurale è concetto altamente ambiguo, potendo essere altro dalla necessità difensisa (v. da noi l’art. 71 quinquies c.1 <I  titolari  di  diritti  che  abbiano  apposto   le   misure tecnologiche  di  cui  all’articolo  102-quater  sono   tenuti   alla rimozione delle stesse, per consentire l’utilizzo delle opere  o  dei materiali protetti, dietro richiesta dell’autorita’  competente,  per fini di sicurezza pubblica o per assicurare il  corretto  svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>, l. aut.).

Forse con buona interpretazione analogica anche altre disposizioni dell’art. 5/3 dir. 29 potrebbero soccorrere: come la lett. f) <quando si tratti di allocuzioni politiche o di estratti di conferenze aperte al pubblico o di opere simili o materiali protetti, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e sempreché si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore;> oppure la lettera   h) <quando si utilizzino opere, quali opere di architettura o di scultura, realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblic> (la messa on line costituisce una stabile collocazione in luoghi che si vogliono aperti al pubblico).

Ci vorrebbe perà una disposizione che espressamente prevedesse l’uso a fini difensivi, trattandosi di diritto costituzionalmente protetto (art. 24 Cost.; artt .47 e 48 Carta dir. fondametnali UE).

Da noi c’è già una disposizione interessante, che dovrebbe bastare allo scopo : art. 67 l. aut. per cui <Opere o brani di opere possono essere  riprodotti  a  fini  di pubblica  sicurezza,  nelle  procedure  parlamentari,  giudiziarie  o amministrative, purche’ si indichino la fonte e,  ove  possibile,  il nome dell’autore>.

L’art. 67 anzi è probabilmente più utile di quella del GDPR, per cui il trattamento dati è lecito se <è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore> (art. 6/1 lett. f): magari si potrebbe in casi estremi invocare pure l’art. 6/1 lettera d): <il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica>).

Il nostro art. 67 è piu utile del GDPR perchè sembra dare tutela assoluta al diritto di difesa, mentre il GDPR lo bilancia col diritto dell’interssato (anche se nel caso nostro il diritto di difesa certamente prevale sul diritto patrimoniale di autore)

Successivamente l’AG si domanda se la risposta debba cambiare, quando si consideri la citata pubblica accessibilità dei documenti prodotti in giudizio, secondo l’ordinamento processuale svedese

La risposta è negativa, ma la ragione desta perplessità.

Infatti così dice l’AG al paragrafo 48: <A mio avviso, e come indicato sia dalla Commissione (21), sia dal governo svedese (22), la comunicazione di materiale protetto da diritto d’autore a un giudice ad opera di una parte non costituisce, in tali circostanze, una comunicazione al pubblico ad opera della parte, dato che, in ultima analisi, è il giudice stesso (o i funzionari giudiziari) a poter eventualmente concedere accesso al materiale ai sensi delle norme nazionali sulla libertà di informazione o sulla trasparenza>.  La perplessità sta nel fatto che,  se c’è un diritto di accesso, nulla possono i funzionari di cancelleria (per loro è atto dovuto): è sempre la parte processuale il motore della comunicazione pubblica.

Poi l’AG su questo secondo aspetto precisa che: < 52.    Inoltre, e forse, aspetto ancora più importante, il governo svedese ha dichiarato che, mentre l’articolo 26b, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore disciplina la divulgazione di documenti pubblici, esso non attribuisce il diritto di utilizzare tali documenti. Secondo tale governo, «chiunque abbia ricevuto una copia dell’opera ai sensi di tale disposizione non può quindi disporne in violazione della [legge sul diritto d’autore]. Ogni ulteriore utilizzo richiede l’autorizzazione dell’autore o deve essere basato su una delle eccezioni alla tutela del diritto d’autore previste dalla [legge sul diritto d’autore]».  53.      Sembrerebbe quindi che il materiale protetto dal diritto d’autore non diventi di pubblico dominio per effetto delle disposizioni relative alla libertà di informazione contenute nella legge sulla libertà di stampa semplicemente per il fatto di essere stato divulgato o esibito, o comunque, reso disponibile come prova nel corso di un procedimento giudiziario.  54.      In altri termini, la divulgazione di tale materiale protetto dal diritto d’autore ai sensi delle norme sulla trasparenza non produce l’effetto sostanziale di privare tale materiale del suo status di materiale tutelato dal diritto d’autore e renderlo, quindi, di pubblico dominio.  55.      È quindi chiaro, con riserva, naturalmente, di verifica, in ultima istanza, da parte del giudice nazionale, che il diritto svedese non prevede né consente che la tutela del diritto d’autore venga meno per il mero fatto che una delle parti abbia esibito tale materiale nel corso di un procedimento civile e che un terzo possa successivamente ottenere accesso a tale materiale in virtù della legge svedese sulla libertà di informazione.>>

Anche qui, ragioni plurime, il cui reciproco rapporto logico non è chiarito: – o la comunicazione non è imputabile alla parte ma alla Cancelleria; – oppure non c’è nemmeno comuncazione, perchè il diritto di autore permane e non viene meno  anche in caso di accessibililità pubblica ai documenti.

Questa seconda ragione, poi,  è irrilevante, dato che, da un lato, la comunicazione proverrebbe non dal titolare del diritto ma da un terzo e, dall’altro, che anche quella prodotta dal titolare non esaurirebbe il diritto (art. 3/3 dir 29).

Stiamo a vedere cosa dirà la Corte.

Nuova questione interessante sulla comunicazione al pubblico in diritto d’autore: le conclusioni dell’avvocato generale

Il bravo avvocato generale Szpunar (di seguito: AG) ha depositato il 10.09.2020 le conclusioni nella causa C39 2/19, VG BildKunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz.

Una collecting society chiedeva , per l’inserimento di opere del proprio catalogo in un database artistico gestito da una Fondazione, che questa si impegnasse ad adottare misure tecnologiche contro il framing da parte di terzi delle immagini in miniatura delle opere così rese accessibili, p. 25.

Il titolare del database non lo ritenne accettabile e chiese in via di accertamento giudiziale che la collecting fosse obbligata a dare licenza anche senza tale clausola.

La questione di rinvio proposta dalla Cassazione tedesca è la seguente: <Se l’incorporazione, mediante framing, di un’opera disponibile su un sito Internet liberamente accessibile con il consenso del titolare del diritto sul sito Internet di un terzo costituisca una comunicazione al pubblico dell’opera, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, qualora ciò avvenga aggirando le misure di protezione contro il framing che il titolare del diritto ha adottato o ha fatto adottare>, p. 29.

I temi toccati dall’AG sono tra i più importanti del diritto d’autore contemporaneo, anche perchè intercettanti profili teorici.

L’AG ricorda tutta la giurisprudenza sul controverso tema della comunicazione al pubblico in internet , comprese le questioni relative alla liceità del linking.

Dà anche qualche notazione tecnica sui concetti di deep Linking, embedding, inline Linking, framing etc., pp. 8 ss

Ricorda ai paragrafi 35 seguenti la giurisprudenza sui link cioè sui collegamenti ipertestuali : se l’opera è stata messa on-line lecitamente, il link non costituisce violazione del diritto. Costituisce sì atto di comunicazione e comunicazione ad un pubblico, ma ad un pubblico “non nuovo”, dal momento che l’iniziale pubblicazione su internet è da intendersi rivolta non solo al pubblico, che frequenta quel sito, ma a tutti gli internauti, paragrafi 35-39

Analisi confermata anche per il framing dalla ordinanza Bestwater nel 2014.

L’AG conferma a sua volta che il collegamento ipertestuale costituisce comunicazione al pubblico, in quanto dà accesso diretto all’opera, paragrafo 49/51.

L’affermazione, pur consolidata in giurisprudenza UE, è però discutibile, perché il link semplicemente indica la localizzazione della pagina web di destinazione: si limita ad indicare l’indirizzo (come succede se il link non è attivo e bisogna ridigitare la stringa nel campo URL del browser). Il fatto che sia attivo non cambia qualificazione giuridica dell’attività di chi pone il link.

Facilmente l’intento delle istituzioni giudiziarie europee è quello di attrarre tale casistica entro l’orbita del diritto armonizzato UE: dal quale invece probabilmente fuoriuscirebbe se si trattasse (come parrebbe semmai più esatto)  di concorso nell’illecito altrui. Ma il tema è complesso (tocca nientemmeno che i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali: si v. ad es. la potenzialmente distruttiva -dell’Unione-  sentenza 05 maggio 2020 della Corte Costituzionale tedeca sul Public Sector Purchase Programme (PSPP) della BCE di cui hanno parlato i media di tutta Europa e non solo) : si potrebbe infatti replicare (dando ragione alla Corte UE e all’AG) che in tale modo l’armonizzazione europea del copyright rischierebbe una forte compromissione.

L’AG conferma pure l’elemento soggettivo nella comunicazione al pubblico, ma riconosce che contrasta con la tradizione dei diritti su beni immateriali , p. 52-54: questi infatti normalmente hanno protezione, a prescindere dallo stato soggettivo (dolo, colpa)  di coloro che vi interferiscono.

L’AG contesta pure il concetto del pubblico nuovo e in particolare quello per cui il pubblico, avuto di mira da da chi pubblica, è costituito da tutti i possibili internauti, pp. 55 / 57.

Propone infatti un’interpretazione evolutiva , p. 59 con un § significativo, perché indica qual è l’ambito armonizzato di competenza dell’Unione Europea: <La Corte, pur operando nell’ambito dell’apparato terminologico classico del diritto d’autore, definendo gli atti soggetti al diritto esclusivo dell’autore e distinguendoli da quelli non soggetti ad esso, non fa un’opera di teoria del diritto d’autore. Chiamata a interpretare il diritto dell’Unione, nella fattispecie la direttiva 2001/29, certamente in modo astratto, quindi applicabile erga omnes, ma, comunque, sulla base di una controversia concreta sottopostale da un giudice nazionale, la Corte deve fornire una risposta che consenta a tale giudice di accertare la responsabilità di una parte per violazione del diritto d’autore. Essa deve quindi accertare le condizioni di tale responsabilità, il che va ben oltre la semplice definizione dei contorni dell’atto rientrante nel monopolio dell’autore. Un approccio più restrittivo rischierebbe di compromettere l’effetto utile dell’armonizzazione realizzata dalla direttiva 2001/29, lasciando gli elementi decisivi di tale responsabilità alla valutazione necessariamente eterogenea dei giudici nazionali>.

Data la sua importanza per i passaggi che seguono, avrebbe dovuto essere sviluppato in modo più chiaro.

Su questa base giustifica la teoria dell’inclusione nella comunuicazione al pubblico del peer to peer (sentenza Stichting Brein contro Ziggo BV e XS4All Internet BV, c.d. The Pirate bay) e della vendita di lettori multimediali con link preinstallati (sentenza Stichting Brein contro Jack Frederik Wullems),  § 60, e dell’elemento soggettivo, paragrafo 62

Il punto di maggior evidenza della nuova teoria proposta dall’AG è che, in adesione alla sentenza Renkhoff, <<si deve pertanto ritenere, come ha fatto la Corte nella sentenza Renckhoff , che il pubblico che è stato preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore al momento della messa a disposizione di un’opera su un sito Internet sia costituito dal pubblico che consulta detto sito. Siffatta definizione del pubblico preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore ben riflette, a mio avviso, la realtà di Internet. Infatti, sebbene un sito Internet liberamente accessibile possa essere, in teoria, visitato da qualsiasi utente di Internet, in concreto, il numero di utenti potenziali che possono accedervi è certamente più o meno elevato, ma è approssimativamente determinato. Il titolare dei diritti d’autore, autorizzando la messa a disposizione della sua opera, prende in considerazione l’ampiezza di tale cerchia di utenti potenziali. Ciò è importante, in particolare, quando tale messa a disposizione viene effettuata in base a una licenza, in quanto il numero potenziale di presunti visitatori può costituire un fattore rilevante nella determinazione del prezzo della licenza.>, paragrafo 73.

L’AG potrebbe avere qualche ragione: realisticamente colui, che carica opere protette in un determinato sito, ne liberalizza l’accesso a tutti gli internauti del mondo?

In sintesi <la giurisprudenza della Corte relativa ai collegamenti ipertestuali, o più in generale alla comunicazione di opere al pubblico su Internet, deve, a mio avviso, essere intesa nel senso che, nell’autorizzare la messa a disposizione del pubblico della sua opera su una pagina Internet, in modo liberamente accessibile, il titolare dei diritti d’autore prende in considerazione tutto il pubblico che può accedere a tale pagina Internet, anche mediante collegamenti ipertestuali. Pertanto, tali link, pur costituendo atti di comunicazione, in quanto danno accesso diretto all’opera, sono in linea di principio coperti dall’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore rilasciata al momento della messa a disposizione iniziale e non richiedono un’ulteriore autorizzazione> p. 75

Queste le premesse generali.

Va poi al nocciolo della questione e cioè a quella del se sia lecito o no linkare tramite framing al sito di riferimento, paragrafi 76 seguenti

Qui fa una distinzione molto importante a livello pratico, tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici.

Per i collegamenti cliccabili -p. 81 ss.-  sostiene che non ci sia un ampliamento di pubblico, ma sia sempre quello del sito originario, cioè di quello puntato dai link,  paragrafi 87/88 e 91: per cui non serve ulteriore consenso.

Diversa la risposta per i collegamenti automatici , p. 93 ss. Qui non può dirsi che il pubblico, che acceda al sito originario tramite questo collegamento automatico, sia stato preso in considerazione da chi ha pubblicato sul sito originario, paragrafo 95-98.. Ne segue che serve specifico e nuovo consenso del titolare.

Ai paragrafi 99/105 con tre argomenti replica a chi rigettasse l’invocabiità del precedente Renckhoff per l’esistenza di una differenza tra i due casi : differenza consistente nel fatto che in Renckhoff si trattava di riproduzione, sulla quale il titolare del diritto nulla poteva (perdeva il controllo) , mentre invece nel caso del framing -essendo una riproduzione, che dipende da quella originaria, il titolare del diritto mantiene il controllo.

Ai paragrafi 114 seguenti titolati <<L’equilibrio tre diversi interessi in gioco>>, replica ad altra possibile obezione, secondo cui la distinzione tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici non ha giustificazione sufficiente.

Ed in effetti è proprio questa un’altra obiezione: ai fini dell’individuazione del pubblico nuovo nel caso di collegamento instaurato da terzi, è assai difficile sostenere che il relativo pubblico sia stato preso in considerazione se il link è clicccabile e che invece non lo sia stato se è automatico.

infine (paragrafi 121 seguenti) esamina l’ultima questione qui ricordata  relativa alle misure di protezione. Si chiede cioè se eludere il congegno tecnico, che impedidce il framing, costituisca violazione delle misure di protezione. La risposta è negativa, visto che si tratta solo di una diversa modalità di arrivo al sito originario e non di un allargamento o restrizione del pubblico che vi ha accesso (avrebbe infatti avuto accesso in ogni caso) (spt. §§ 128-129)

Per il diritto d’autore costituisce “comunicazione al pubblico” noleggiare veicoli con radio preinstallate?

La Corte di Giustizia è chiamata a rispondere alla domanda del giudice svedese concernente il se noleggiare autoveicoli con sistemi radio preinstallati costituisca comunicazione al pubblico per il diritto di autore (e quindi se via vietata, tranne consenso dei titolari).

Sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale (A.G.) Szpunar 15 gennaio 2020 in causa C-753/18 Stim-SAMI c. Fleetmanager Sweden-Nordisk Biluthyrning.

La lite era nata dalla pretesa delle collecting society svedesi di ottenere il pagamento dei diritti per il loro repertorio a carico delle società che noleggiavano veicoli con sistemi radio preinstallati

Viene naturalmente alla mente il noto caso Sgae c. Rafael Hoteles SA del 2006, in cui la stessa domanda era stata avanzata nei confronti di un albergo che aveva installato apparecchi radiotelevisivi nelle stanze dei clienti

L’A.G. fa presente la ricchezza notevole di giurisprudenza in tema di comunicazione al pubblico  nel diritto di autore (§ 1).

Dopo un veloce sunto delle principali decisioni (§§ 24/30), egli ricorda che per la comunicazione al pubblico è necessario il ruolo dell’utente, che <<intervenga con piena cognizione di causa>> (§ 31).

In particolare il punto in comune alle varie fattispecie, in cui la comunicazione al pubblico è stata ravvisata, è <<il nesso diretto tra l’intervento dell’utente e il materiale protetto in tal modo comunicato. Tale punto in comune rappresenta l’elemento centrale in assenza del quale non si può parlare di un atto di comunicazione>> (§ 35)

In questo senso, dice l’AG, nel caso più vicino (che -come detto- è il caso Sgae c. Rafael Hoteles SA) , quello che contò non fu l’installazione di apparecchi televisivi nelle camere d’albergo ma la distribuzione del segnale (§ 37). Precisamente il punto richiamato (§ 46) di questa sentenza del 2006  dice così…<<Orbene, anche se la mera fornitura di attrezzature fisiche, che coinvolge, oltre all’albergo, abitualmente imprese specializzate nella vendita o nella locazione di apparecchi televisivi, non costituisce, in quanto tale, una comunicazione ai sensi della direttiva 2001/29, tuttavia tale istallazione può rendere tecnicamente possibile l’accesso del pubblico alle opere radiodiffuse. Pertanto, se, mediante apparecchi televisivi in tal modo installati, l’albergo distribuisce il segnale ai suoi clienti alloggiati nelle camere dello stesso, si tratta di una comunicazione al pubblico, senza che occorra accertare quale sia la tecnica di trasmissione del segnale utilizzata.>>.

Mi pare dubbia l’esattezza dell’affermazione dell’AG, dato che non è preminente la sola distribuzione del segnale, ma la combinazione <<apparecchi+segnale>>: i primi senza il secondo non svolgono la loro funzione e sono economicamente un non senso.

Ne segue che <<le imprese di autonoleggio non effettuano alcun intervento direttamente concernente le opere o i fonogrammi che vengono radiodiffusi e che possono essere eventualmente ascoltati dai loro clienti tramite gli apparecchi radio in dotazione degli autoveicoli noleggiati. Tali società si limitano a fornire ai loro clienti veicoli equipaggiati dai produttori con impianti radio. Sono i clienti delle società medesime a decidere se ascoltare o meno le trasmissioni radiofoniche>> ( § 38).  Tali apparecchi radio <<sono concepiti per poter captare, senza alcun ulteriore intervento, la radiodiffusione terrestre accessibile nelle zone in cui si trovano. L’unica comunicazione al pubblico che si verifica è, quindi, la comunicazione effettuata dagli organismi di radiodiffusione. Non sussiste, invece, alcuna comunicazione al pubblico successiva, segnatamente da parte delle società di autonoleggio>> (§ 39).

Il ruolo delle società di autonoleggio  <<si limita quindi alla mera fornitura di attrezzature atte a rendere possibile una comunicazione al pubblico, il che, in forza del considerando 27 della direttiva 2001/29, non costituisce una comunicazione di tal genere si limita La mera fornitura di attrezzatura>> (§ 40).

Al § 42 dice però che non è rilevante il fatto che gli apparecchi radio siano installati dai fabbricanti.

L’affermazione è discutibile, poichè è invece proprio questo a differenziare il caso odierno dal caso SGAE cit. Mentre nel secondo era stato l’albergatore a creare la possibilità recettiva del segnale, installando apparecchi e posando cavi in hotel, nel caso odierno l’impresa di autonoleggio si è limitata a comperare i veicoli così come già erano; né si può ragionevolmente pretendere che, dopo l’acquisto, esse rimuovano gli apparecchi radio che trovano preinstallati.

Si potrebbe allora pretendere che li acquistassero senza radio (scelta un tempo possibile al momento dell’acquisto: da vedere se ancora oggi). Tale pretesa sarebbe però economicamente irrazionale e quindi assurda (“inesigibile”). A quesrto punto , tuttavia, anche per gli albergatori varrebbe la stessa considerazione: il fatto che la prassi sia tale da prevedere sempre le televisioni nelle stanze, fa sì che nessun albergatore possa ragionevolmente offrire stanze senza TV, se vuole stare nel mercato. Per cui anche la scelta dell’albergatore, sul se offrire o meno l’apparecchio radio televisivo, praticamente è necessitata e quindi non libera: per cui non c’è intrervento sufficiente per ravvisare una comunicazione al pubblico.

Da ultimo (§ 43-44), secondo  l’AG, è errato sostenere che induca a ravvisare comunicazione al pubblico il fatto che l’offerta dell’apparecchio radiotelevisivo renda più attrattiva e quindi più redditizia l’attività di autonoleggio. Evidentemente le collecting societies, sollevando questo punto, si riferivano alla nutrita giurisprudenza europea, secondo cui il fine di lucro è rilevante per la <<valutazione individualizzata>> da condurre per ravvisare la comunicazione al pubblico. Questa opinione è stato resa nota ai più soprattutto con il caso sulla liceità dei links GS Media 08.09.2016 C‑160/15  (ivi v. § 47), anche se le sue radici affondano in sentenze più risalenti (ad es. già in  Società Consortile Fonografici (SCF) c. Del Corso, 15.03.2012 C‑135/10, §§ 76 e 78).

Questa valutazione non è condivisibile, dato che immotivatamente inserisce nella fattispecie l’elemento dell’intento lucrativo (soggettivamente o oggettivamente determinato, è indifferente), che però la legge non prevede. Nemmeno è ammissibile considerandolo indice di consapevolezza dell’illiceità, come spesso pure soi è affermato: la necessità dell’elemento soggettivo infatti oblitera immotivatamente la distinzione tra lesione del diritto (che non lo richiede) e sua dannosità (che invece lo richiede), distinzione cui fanno capo rimedi diversi (restitutorio-ripristinatori nel primo caso, risarcitori e penali nel secondo).

Tuttavia , se si accetta tale diffusa opinione , l’allegazione delle collecting svedesi era pertinente.

La risposta dell’AG  non è soddisfacente perché non chiara. Sembra di capire che egli escluda la rilevanza dell’elemento lucrativo , dal momento che in ogni caso l’attività delle imprese di autonoleggio non costituisce nulla più che una mera fornitura di infrastrutture fisiche (§ 44). In senso contrario va osservato che la valutazione individualizzata  e quindi anche il giudizio sulla lucrosità, se è necessaria per giudicare se ricorra o meno <<comunicazione al pubblico>>, non può essere esclusa a priori dicendo che si tratta di mera fornitura di infrastruttura. Questo potrà essere l’esito del giudizio, non il punto di partenza per escludere il requisito della lucrosità-.

Un’importante sentenza inglese sulla comunicazione al pubblico effettuata da aggregatore di radio internet (Warner e Sony v. TuneIn)

Con l’importante sentenza del 1 novembre 2019, [2019] EWHC 2923 (Ch) Case No: IL-2017-000025, la High Court of Justice-Business & Property Courts of England and Wales. Intellectual Property List, a firma del giudice Birss , interviene sul dibattito inerente la comunicazione al pubblico di opere già rese pubbliche in precedenza (esiste poi una seconda sentenza parallela nella medesima lite,  [2019] EWHC 3374 (Ch) – claim No. IL-2017-000025, relativa solo ad inibitoria e costi, qui non esaminata). Ne dà notizia

Nella fattispecie Warner Music e Sony Music Entertainment sostenevano che la TuneIn Incorporated, quale aggregatore di internet radio stations, dovesse ottenere da loro licenza (§ 11), come avviene quando le radio si rivolgono a collecting societies per diffondere musica dei loro repertori (§§ 3-4). TuneIn lo contestava, affermando di limitarsi a fornire hyperlinks ad opere già rese pubbliche.

La Corte (EWHC) affronta la questione con pregevole approfondimento, tutto concentrato sui fatti e sulla giurisprudenza, come nella prassi anglosassone.

Prima compare un’introduzione sui fatti (§§ 1-10: v. spt. quelli che descrivono l’attività di TuneIn) e l’esame della (fondamentale, per gli operatori) questione di giurisdizione, c.d. audience targeting test (§§ 12-34), usato in common  law (v. ad es. Belfield, Establishing personal jurisdiction in an internet context: reconciling the fourth circuit “targeting” test with Calder v. Jones using awareness, in UNIVERSITY OF PITTSBURGH LAW REVIEW vol. 80, winter 2018).

Poi il giudice Birss affronta la questione relativa alla comunicazione al pubblico. Inizia ricordando la normativa rilevante (§§ 35 ss) e poi -con un apprezzabile dettaglio- la giurisprudenza europea (§§ 48 ss)

In particolare come ovvio si riferisce essenzialmente ai casi Svensson del 2014 e GS Media del 2016: si v. ad es. § 66 dove coglie la novità costituita dalla rilevanza dello stato soggettivo di conoscenza in capo alla persona che crea il link per capire se o meno ha commesso comunicazione al pubblico , rilevanza propria della accessory tort liability (corresponsabilità aquiliana), che non è armonizzata in UE.

Al § 90 esamina la sentenza Renckhoff del 2018, che potrebbe essere ritenuta confliggente con GS Media . La  conciliazione da parte del giudice è trovata nei §§ 101-102. Il punto è molto importante: quando taluno acconsente alla pubblicazione su un sito, è vero che prende in considerazione tutti i potenziali utenti del web, ma solo come destinatari di link al sito stesso, non dei file ivi presenti (si v. al § 109 la sintesi di altra sentenza inglese del 2013 sull’acquis europeo in tema di comunicazione al pubblico ).

Questo passo centrale della motivazione è però di dubbia esattezza: si v. in senso contrario le conclusioni dell’Avvocato Generale Sanchez-Bordona nella causa  Renckhoff , andate disattese dalla Corte europea.

Il giudice Birss ricorda che la differenza tra Renckhoff e Soulier del 2016, da una parte, e Svensson, dall’altra, sta nel fatto che la divulgazione tramite link permette al titolare di rimuovere da internet il materiale, quando lo voglia; il che invece non è possibile se la divulgazione è avvenuta riproducendo il file su un nuovo sito (§ 104).

Questo però -preciso io- non toglie che i pubblici considerati siano i medesimi: allora la differenza non è tra i pubblici considerati in assoluto , ma tra pubblici considerati a seconda del possibile successivo mezzo di diffusione del materiale e o della notizia. Si tratta di fictio iuris. Il punto -centrale, lo ripeto- richiederebbe approfondimento.

Al § 113 il giudice categorizza le internet radio stations in quattro tipi, per poi analizzarli partitamente:

i) music radio stations which are licensed in the UK (Category 1);

ii) music radio stations which are not licensed in the UK or elsewhere (Category 2);

iii) music radio stations which are licensed for a territory other than the UK (Category 3); and

iv) Premium music radio stations (Category 4).

Ssuccessivamente valuta l’applicabilità della comunicazione al pubblico al servizio di TuneIn ( § 120 ss.).

Al § 121 esamina i normali motori di ricerca e quindi afferma che Tunein non  è equiparabile ad un ordinario search engine ( § 121) :

<<In argument neither party put it this way but it seems to me that when making a comparison with internet search engines it is necessary to identify the appropriate comparator. The relevance of the comparison is to illuminate where the balance lies between the functioning of the internet and the freedoms associated with that on the one hand, and the high protection to be afforded to intellectual property rights on the other. The issue is whether TuneIn does something different from the kind of search engine service which is a necessary part of the normal functioning of the internet. I call that a conventional search engine. A conventional search engine provides a service which the functioning of the internet depends on. It has a database with a search facility. It will no doubt have a prominent box for search on its home page. It will (internally) have structured indices of what is on the database. It may use fuzzy logic and automatic completion of text strings. When a search term is entered, the engine simply provides links to other websites in response to search terms. If a user selects the link then, at least from their point of view, the user is taken to that other website and the involvement of the search engine ceases. The search function is optimised in all sorts of ways to try and offer users what the search engine provider thinks the user really wants, nevertheless the search results provided are essentially neutral. Sponsored links (i.e. advertisements) may also be provided, reflecting a direct relationship between the search engine and particular websites or advertisers, but that sort of material is provided alongside the search results, not instead of them>>

Al § 123 elenca le caratteristiche del servizio Tunein: aggregation, categorization, curation of stations Lists, personalisation of content, search functionality, Station information, Artist information:

i) Aggregation: TuneIn collates and provides access to a vast array of international radio station streams. It essentially acts as a ‘one-stop shop’ for users, who are easily able to browse, search for and listen to stations in one place. The alternative for users is to use a standard internet search engine to locate a webcast / simulcast station by using tailored search terms, and then click-through to their websites to listen to the specific stream. One aspect of the difference there is that in the latter case the advertising targeted to the user once they access the stream will be entirely distinct in the two cases.

ii) Categorisation: TuneIn Radio enables users to browse by categories of music, such as location, genre and language, including sub-categories within those categories. This is the most commonly used method for users to find audio content. Music stations are placed in categories based on information provided by the stations and factors such as geographical location.

iii) Curation of station lists: In addition to categorising stations, TuneIn curates lists of radio stations and programmes to present them to users as part of the browsing experience on its website and via the apps. These stations are collated by factors such as location and language or themed around current events. For example, TuneIn promotes lists of stations to users, such as “Spin the Globe” (comprising international music stations) and “Editor’s Choice – Music” (a hand-curated list of music stations). Certain stations are also listed in a “Featured” section, which is frequently updated by TuneIn to keep content relevant and non-repetitive.

iv) Personalisation of content: TuneIn Radio provides a personalised service to users, which facilitates their ability to find and listen to radio stations. TuneIn recommends stations to users based on their location, the reliability of audio streams and (in respect of registered users) the user’s listening history. Registered users are also able to view their listening history and tag their ‘favourite’ stations and/or artists, which enables them to quickly access radio stations they have previously listened to via TuneIn Radio or their favourite stations and artists.

v) Search functionality: Users are able to search TuneIn Radio for specific radio stations and artists by name. The search functionality prioritises inter alia reliable station streams and stations which are popular at that time.

vi) Station information: TuneIn collates information about music stations, which is presented on individual station pages. This includes the genre of the station and, where available, the artist and track currently playing, the station’s show timetable and related podcasts or featured shows.

vii) Artist information: TuneIn also collates information about artists on dedicated artist pages, which can be accessed by searching for the particular artist. The artist pages include a list of stations which play the particular artist (based on metadata provided by the stations) and a list of the artist’s albums. Users are also able to click-through to each album page, which displays the individual tracks on each album.

Ai §§ 127-128 indica perché TuneIn non è paragonabile al motore di ricerca che fornisce link. Si tratta del punto centrale della sentenza (§ 128):

i) The fact that TuneIn aggregates links to audio streams as opposed to links to some other form(s) of content is relevant. The audio streams carry music and as a result they engage various intellectual property rights, as TuneIn is well aware.

ii) The data collected and curated by TuneIn allows for searches of stations to be carried out by artist. Such a search returns internet radio stations which are playing music by the artist at that moment. As I understand it this is only possible as a result of TuneIn’s own monitoring stream metadata and the AIR APIs. There was evidence about what a search for internet radio stations would produce on the commonly used Google search engine but, as far as I am aware, there is no evidence that a similar search on that search engine would produce results of the same kind as TuneIn.

iii) The fact that when a station is selected, although a hyperlink to the stream is provided at a technical level, from the user’s point of view content is provided to them at the TuneIn site. In effect this is a kind of framing. The fact that framing was not relevant to answer the questions posed in Svensson (para 29) does not mean it is irrelevant to considering the nature of TuneIn’s activity.

iv) The persistent nature of the content to which the user wishes to link. This is connected to (iii) but is a different point. One of the consequences of providing streams is that they persist over time as the user listens to them. In a conventional search engine, once a user has clicked on a link, they go to the new website and the involvement of the search engine is over. That is not how TuneIn’s service works and if it was then TuneIn would not be able to provide its own visual advertisements while the user was listening.

Date queste differenze il giudice Birss conclude che << For all these reasons I find that TuneIn intervenes directly in the provision of the links to the streams in a manner which neither conventional search engines nor hyperlinks on conventional websites do. TuneIn’s service is not the same as either a conventional search engine or the conventional hyperlinks considered in Svensson and GS Media.                 Before getting to individual categories, I find therefore that the activity of TuneIn does amount to an act of communication of the relevant works; and also that that act of communication is to a “public”, in the sense of being to an indeterminate and fairly large number of persons (see Arnold J’s summary at paragraph >> (§§ 130/131)

La, pur pregevole ed accurata, disamina non riesce però persuasiva. TuneIn non appare nulla più che un fornitore di link, per quanto tailorizzato e customizzato in base ad algoritmi magari autoapprendenti, non sostanzialmente diverso -sotto il profilo della comunicazione al pubblico- da un normale motore di ricerca

Il giudice deve quindi esaminare se l’atto sub iudice, accertato come di comunicazione al pubblico,  era rivolta ad un pubblico nuovo (§ 132 seguenti, soprattutto §§ 135/136), secondo l’elaborazione giurispruedneziale europea della comunicazione al pubblico di opere già pubblicate in precedenza (quando si tratti di uso del medesimo mezzo diffusivo).

La risposta è positiva: << Therefore it is appropriate to analyse the facts on the footing that the whole internet public, insofar as they encounter a link to a Category 3 station which is provided either by a conventional search engine or some other conventional sort of website, has been taken into account. It is an inherent aspect of making this material available on the internet that that sort of linking is likely to happen.       On the other hand, absent evidence to the contrary, there is no reason why the kind of public to whom TuneIn’s system is addressed should have been taken into account. TuneIn’s activity is a different kind of act of communication and is targeted at a particular public, i.e. users in the UK>> ( §§ 139-140)

Questo per la categoria di Radio Station numero 3. Le altre categorie non le esamino ma comunque seguono subito dopo: v. §§ 143 160 per la categoria 2, §§ 161 163 per la categoria 4, §§ 164 171 per la categoria 1.

Successivamente esamina la qualificazione giuridica del servizio Premium cioè senza pubblicità (§§ 172 e seguenti)

Interessante anche la disamina sulla responsabilità di coloro che forniscono i servizi radio cioè delle singole radio (§§ 192 e seguenti) : circa la categoria 3 (condivisibilemtne) afferma che c’è comunicazione al pubblico (§ 193).

Infine ai §§  205 ss nega l’applicazione della direttiva e-commerce n. 31 del 2000 nella parte in cui concede il safe harbour agli internet providers (artt. 12-15).

La conclusioni sono al paragrafo 213:

i) TuneIn’s service (web based or via the apps), insofar as it includes or included the sample stations in Categories 2, 3, and 4, infringes the claimants’ copyright under s20 of the 1988 Act.

ii) TuneIn’s service (web based or via the apps), insofar as it includes the sample stations in Category 1, does not infringe the claimants’ copyright under s20 of the 1988 Act.

iii) TuneIn’s service via the Pro app when the recording function was enabled infringed the claimants’ copyright under s20 of the 1988 Act insofar as it included the sample stations in Categories 1, 2, 3, and 4.

iv) Individual users of the Pro app who made recordings of sound recordings in claimants’ repertoire will themselves have committed an act of infringement under s17 of the 1988 Act. Some but not all will have fallen within the defence in s70.

v) The providers of sample stations in Categories 2, 3, and 4 will (or did) infringe when their station was targeted at the UK by TuneIn.

vi) TuneIn is liable for infringement by authorisation and as a joint tortfeasor.

vii) TuneIn cannot rely on the safe harbour defences under Arts 12, 13 and 14 of the E-Commerce Directive.

Sulla protezione di un progetto di architettura d’interni con il diritto di autore (art. 2 n. 5, l. aut.): la vertenza Kiko c. Wjcon / 2: l’appello (con un cenno a inibitoria e alla proteggibilità come marchio)

Dando seguito al post sulla sentenza di primo grado, vediamo ora il ragionamento condotto dalla sentenza d’appello (Appello Milano sent. n. 1543/2018 del 26.03.2018, RG 3945/2015) per respingere l’impugnazione e confermare la decisione di primo grado praticamente per intero (l’unica differenza sta nel maggior termine concesso a Wjcon per darvi esecuzione, come dirò sotto).

Ecco i punti principali.

  1. Sull’eccezione di carenza in Kiko  di legittimazione attiva – secondo Wjcon il contratto per la progettazione dell’arredo non avrebbe fatto acquisire a Kiko  il diritto d’autore relativo. La Corte d’Appello rigetta la doglianza sotto due profili: i) dicendo che invece è nella logica economica di questo contratto che il diritto d’autore venga acquisito dal committente; ii) valorizzando alcune dichiarazioni, sostanzialmente ricognitive della titolarità di Kiko, pare, rilasciate dallo studio di architettura e/o dall’architetto personalmente (primo motivo di impugnazione).
  2. Sulla censura, secondo cui un’eventuale tutela avrebbe dovuto essere semmai concessa come opera di design (art. 2 n. 10 l. aut.; pur negandola per mancanza dei requisiti di legge) e non come opera dell’architettura ex art. 2 n. 5 – Secondo la Corte invece, poichè il concept-store è progettato come insieme complessivo del punto vendita, è più appropriata la tutela come opera dell’architettura. Il concetto di interior design si addice maggiormente (in base alle esperienze e alla giurisprudenza) ai singoli elementi che compongono l’arredamento dell’Interno (secondo motivo di impugnazione).
  3. Sull’eccezione secondo cui Kiko avrebbe modificato il progetto del concept store per negozi  successivi – Trattasi di circostanza irrilevante che non fa venir meno il diritto alla protezione del concept store anteriori (terza censura)
  4. Circa la presenza di alcune differenze tra l’arredo dei negozi di wycon e quello dei negozi Kiko  – La Corte ricorda che decisivo è l’aspetto complessivo: <<dato che la tutela autorale riconosciuta dal Tribunale riguarda la combinazione degli elementi sopra descritti, limitate differenze nella forma del singoli elementi che compongono l’arredamento di interno non sono rilevanti, se e nella misura in cui l’effetto di insieme, quale si coglie dalle foto in atti, sia il medesimo, vale a dire nella stragrande maggioranza dei punti di vendita Wycon ritratti nelle fotografie prodotte dall’attrice>> (sempre terza censura).
  5. Sulla presunta mancanza di originalità del progetto architettonico in quanto già noto nel settore per essere stato anticipato da terzi concorrenti  – Come già il Tribunale, anche la Corte d’Appello respinge la doglianza, rilevando la mancanza di prova e [addirittura] di allegazione dell’anteriorità degli arredamenti/allestimenti di detti terzi rispetto a quelli di Kiko (ancora terza censura).  Di ciò gli operatori faranno bene a tenere adeguato conto.
  6. Sulla concorrenza parassitaria – Anche qui viene confermato il giudizio del tribunale circa la sistematicità dell’imitazione e comunque la rilevanza dell’aspetto complessivo, anzichè dei singoli dettagli: <<a imitazione degli elementi come sopra considerati da parte di Wycon è talmente sistematica anche agli occhi di un osservatore superficiale della cospicua documentazione e delle fotografie prodotte dalle parti, da rendere assolutamente di giustizia l’affermazione al di là di ogni ragionevole dubbio che Wycon ha sfruttato le ricerche, l’attività produttiva e promozionale ed il lavoro di Kiko. Del resto anche qui vale la considerazione che lo agganciamento parassitario riguarda il complesso dell’attività commerciale dell’appellata e che, quindi, essa non è esclusa da singole e parziali differenze degli elementi considerati, i quali peraltro sono molto di frequente anche essi uguali o comunque pedissequamente imitati>> (quarta  censura).
  7. Sul mancato utilizzo del criterio risarcitorio degli utili persi  – Correttamente non è stato utilizzato, secondo la Corte d’Appello: <<il Tribunale ha giustamente escluso che il criterio della possibile determinazione degli utili persi da Kiko a causa del predetto fatto illecito potesse essere in qualche modo utilizzato e questo argomento logico giuridico va interamente condiviso, poiché, in sostanza, la Kiko vende prodotti cosmetici e non fa invece offerta di progetti di arredamento e quindi nessun senso avrebbe concepire nella specie il danno come correlato agli utili ipoteticamente perduti dall’attrice>>.  (Quinta censura)
  8. Circa la doglianza sul  fatto che in realtà Kiko non ha subito alcun danno né come lucro cessante né come danno emergente a seguito della riproduzione  non autorizzata del concept store – La Corte replica osservando che il lucro cessante esiste ed è rappresentato proprio dalla somma, che Kiko  avrebbe percepito da wycon se quest’ultima avesse acquistato dalla attrice il diritto di utilizzare l’idea progettuale (“giusto prezzo del consenso”)  (sempre quinta censura
    1. Sul punto rinvio ad un mio precedente ampio studio Restituzione e trasferimento dei profitti nella tutela della proprietàindustriale (con un cenno al diritto di autore), Contratto e impresa, 2010, 1149 ss, leggibile in academia.edu.
  9. Sulla quantificazione del danno – La Corte d’Appello rileva (come già osservato nel mio post precedente) che in causa non si era accertato quanti negozi Wycon avesse clonato ne è accertabile quanto avrebbe dovuto corrispondere a controparte per l’allestimento di ogni punto vendita: per questo, dice,  è stato “prudentemente liquidato”  nel multiplo di 10 del costo progettuale (sempre quinta censura).
    1. Più che “prudentemente liquidato”, però, sarebbe stato più esatto dire “equitativamente determinato”,  visto che così si esprime l’articolo 1226 c.c., richiamato dall’articolo 2056 c..c (il cui comma 2, poi, aggiunge che <<il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso>>)
  10. Sull’inibitoria – L’appellante lamentava che erroneamente ed ingiustamente il tribunale avesse emesso inibitoria “della apertura di nuovi negozi con arredamento di interni copiato da quello dei quo” perché aveva agito in buona fede. La corte respinge la doglianza (tranne quello che si dirà al punto seguente), osservando:  – da un lato, che <<l’inibitoria è il provvedimento tipico, che consegue all’accertamento di una contraffazione di opera di ingegno. Esso è espressamente previsto dall’art. 156 LDA>>; – dall’altro, che Wjcon non può essere ritenuto in buona fede (sesta  doglianza).  Due osservazioni:
    1. Il punto è importante, ma la posizione del  collegio è poco comprensibile, dal momento che la risposta avrebbe potuto essere più radicale: l’elemento soggettivo non è richiesto per concedere l’inibitoria. Questa infatti è un rimedio reale e non personale, secondo la tradizionale partizione, che riflette la distizione tra illiceità mera e dannosità (potendoci essere l’una senza l’altra): per opinione diffusa, quindi, non richiede l’elemento soggettivo (dolo/colpa) nel trasgressore  nè la prova di un danno. In tale senso v. Libertini-Genovese, sub art. 2599, in Comm. del cod. civ. dir. da Gabrielli,  Artt. 2575-2642: Delle soc., dell’az., della concorr., a cura di Santosuosso, Utet, 2014, p. 626; Musso, sub art. 2577, Comm. cod. civ. Scialoja Branca, Art. 2575-2583, Zanichelli, 2008, § 19, p. 273; Spolidoro, Le misure di protezione nel diritto industriale, Giuffrè, 1982, p. 161 ss.. Tra i processualisti v. Nardo., Profili sistematici dell’azione civile inibitoria, ESI, 2017, 87 ss e 101 ss; Rapisarda, Profili civili della tutela civile inibitoria, Cedam, 1987, 88 ss.
    2. inoltre non è vero che il Tribunale  aveva emesso inibitoria “della apertura di nuovi negozi con arredamento di interni copiato da quello dei quo”. L’inibitoria riguardava il protrarsi dell’illecito e quindi, visto che questo consisteva nell’arredo già installato, obbligava a rimuoverlo: aveva cioè contenuto positivo/commissivo, non negativo/omissivo. Ciò risulta in modo sufficientemente chiaro dalla pronuncia di primo grado (dispositivo: “accertata la tutelabilità del progetto di arredamento d’interni applicato ai negozi di cosmetici della catena di KIKO s.r.l. ai sensi dell’art. 2, n. 5 L.A.  (…) nonché la contraffazione posta in essere dalla convenuta WJCON s.r.l. di tale progetto (…), ne inibisce a parte convenuta l’ulteriore utilizzazione nei negozi facenti parte della sua catena commerciale, fissando a titolo di penale la somma ..”) e in modo ancor più chiaro da quella di appello.
  11. La Corte d’Appello aumenta da 60 a 150 giorni il termine per dare esecuzione al gravoso provvedimento di inibitoria, con contenuto però positivo (rimozione degli arredi in violazione: v. punto precedente)
  12. E’ confermato il rigetto delle domande di concorrenza sleale confusoria e per appropriazione di pregi, avanzate da Kiko.
  13. La corte , infine, ha ritenuto di compensare per un quarto le spese legali d’appello a favore di wycon e di condannarla però a rifondere a Kiko i residui tre quarti

Circa la protezione dell’arredo interno del negozio , ricordo che in passato è stata tentata anche tramite l’istituto del marchio di forma. L’ha ammessa la sentenza della Corte di Giustizia UE 10.07.2014, C‑421/13, nel caso Apple c.Deutsches Patent- und Markenamt, purchè ricorra la distintività; l’ha invece respinta l’EUIPO proprio a Kiko (decisione 29.03.2016 della 1° Commissione di ricorso, proc. R 1135/2015-1), anche se non in linea di principio, bensì per carenza  di distintività nel caso specifico.