Cass. sez. II, ord. 09/05/2024 n. 12.702, rel. Oliva:
<<La Corte di Appello ha accertato che tra i manufatti realizzati dalle parti residua una intercapedine della larghezza di 20 cm. (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata) e ciò è sufficiente per escludere l’applicabilità dell’art. 877 c.c., non configurandosi una ipotesi di costruzione in aderenza. Di conseguenza, la norma da applicare è quella prevista dall’art. 873 c.c., che prescrive la distanza minima di tre metri tra le costruzioni, ove non derogata dalle normative regolamentari locali e salvo il principio della prevenzione stabilito dall’art. 875 c.c.
La Corte di seconda istanza ha altresì accertato che la costruzione box dei Be.An. – Ne.Pi. era stata realizzata 19 anni prima di quella del De.St. ad una distanza “… tra i dieci e i venti centimetri dal confine” (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata). L’art. 7.2 delle N.T.A del Comune di B (trascritto a pag. 11 del ricorso) prevede che si possano elevare sul confine tra due fondi “… pareti non finestrate di locali accessori, pertinenze ed impianti tecnologici (box e simili) a condizione che abbiano altezza del punto più alto della copertura non superiore a m. 3,00. Questi stessi locali accessori possono essere posti a distanza dal confine non inferiore da m. 3,00”.
Il box edificato dai prevenienti Ne.Pi. – Be.An., dunque, si trova ad una distanza dal confine minore della metà di quella stabilita dal regolamento locale, e poiché quest’ultimo non prevede un distacco assoluto dal confine, opera il criterio della prevenzione. Va, sul punto, data continuità al principio affermato da questa Corte, secondo cui “Il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874,875 e 877 c.c.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10318 del 19/05/2016, Rv. 639677; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14705 del 29/05/2019, Rv. 654186).
In applicazione del principio sopra richiamato, il De.St. (secondo costruttore) aveva la scelta tra edificare il suo manufatto rispettando la distanza dalla costruzione dei prevenienti oppure avanzare nel rispetto dell’art. 875, ma non lo ha fatto. Il De.St. infatti ha eretto il suo box con modalità tali da creare una intercapedine di 20 cm. dal fabbricato della Be.An., con conseguente violazione della norma di cui all’art. 875 c.c., la cui finalità ultima è proprio quella di evitare la creazione di intercapedini dannose tra gli edifici>>.
La SC rigetta pure la difesa di atto emulativo, cìil quale assai difficilmente è ravvisabile nella costruzione a distanza illegale:
<<La Corte di Appello ha esaminato il primo motivo di gravame, con il quale sia la Be.An. che il Ne.Pi. (il quale aveva spiegato appello incidentale adesivo rispetto all’impugnazione principale, perfettamente coincidente con quest’ultima: cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) avevano sollevato la questione della natura emulativa dell’edificazione posta in essere dal De.St. , e lo ha disatteso, affermando che “Non può esservi una volontà emulativa né nella scelta di costruire un’autorimessa (locale accessorio di un’abitazione) né nella sua ubicazione, a ridosso di analoghi locali della confinante proprietà: in tal modo eventuali disturbi (rumori delle autovetture, gas di scarico) risultano confinati, per entrambe le proprietà, in aree ristrette e contigue. Ben maggiore disturbo arrecherebbe, ad es., un box costruito a ridosso di un’abitazione” (cfr. pag. 13 della sentenza). Il passaggio appena richiamato esprime in modo adeguato le ragioni del rigetto del motivo di appello proposto, onde non vi è né violazione dell’art. 112 c.p.c., né vizio della motivazione, in quanto quest’ultima non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Peraltro va ribadito il principio per cui “Poiché gli atti emulativi, vietati dall’art 833 c.c., sono caratterizzati, oltre che dall’elemento oggettivo del danno e della molestia altrui, anche dall’animus nocendi, consistente nell’esclusivo scopo di nuocere o molestare i terzi senza proprio reale vantaggio, non è riconducibile nella previsione della citata disposizione né l’attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, in quanto comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il mantenimento dell’opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con dette norme, il quale (salva l’ipotesi dell’inosservanza delle distanze legali e di un provvedimento amministrativo di riduzione in pristino) rientra sempre nel legittimo esercizio dei poteri del proprietario, sia in relazione a possibili diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto, sia con riferimento ad una eventuale abrogazione delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri cui l’interessato dovrebbe altrimenti soggiacere per ridurre in pristino lo stato dei luoghi” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3010 del 08/05/1981, Rv. 413559; cfr. anche, in termini, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4708 del 05/11/1977, Rv. 388304).
Inoltre, la sentenza impugnata è coerente con l’ulteriore principio, che pure merita di essere ribadito, secondo cui “La sussistenza di un atto di emulazione postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell’assenza di utilità per il proprietario e di un elemento soggettivo, costituito dall’animus nocendi, ossia l’intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri. Pertanto, si è al di fuori dell’ambito dell’art. 833 cod. civ. quando ricorra un apprezzabile vantaggio del proprietario da cui l’atto sia stato compiuto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3558 del 25/03/1995, Rv. 491409)>>.