Cass. sez.- 3 del 02.09.2022 n° 25.884. rel. Pellecchia, sull’oggetto.
Traiamo tre regole:
1) il duplice causale del dr. Scoditti e della 3 sez. (parzialmente esatto, ma solo parzialmetne):
<<Va al riguardo ribadito che, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica, si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392, Rv. 645164-01).
Se, al termine dell’istruttoria, restino incerti la causa del danno o quella dell’impossibilità di adempiere per causa non imputabile al debitore della prestazione, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano, rispettivamente, sull’attore o sul convenuto, e il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge, per questi ultimi (ed eventualmente per la struttura sanitaria convenuta) l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, nn. 28990 e 28991, 4 novembre 2017, n. 26824, 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01).>>
2° il criterio della prevalenza tra più possiibli:
<<In premessa, il collegio osserva come questa Corte, in tema di prova del nesso causale, abbia più volte affermato che i criteri da applicare sono quelli “della probabilità prevalente” e “del più probabile che non”.
Il primo criterio, della probabilità prevalente (o della prevalenza relativa), da adottarsi nel caso di specie, implica che, rispetto ad ogni enunciato fattuale, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che, accertatane la consistenza indiziaria, l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi, in particolare di quella/e contraria/e, per essere viceversa scartata quando gli elementi di fatto disponibili le attribuiscano una grado di conferma “debole”, tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre. In altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale (essendo la valutazione del nesso di causalità un giudizio di fatto di tipo relazionale) ritenendo “vero” l’enunciato che abbia ricevuto il grado di maggiore conferma relativa sulla base dei fatti indiziari disponibili, rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero degli elementi di conferma dell’ipotesi prescelta, e senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori.
Il principio risulta concretamente applicabile al caso di specie, nel quale le ipotesi adombrate dalla CTU risultano quattro, due delle quali ritenute “meno probabili” dall’ausiliario.
L’operazione intellettuale cui è chiamato il giudice di merito, in tal caso, si struttura in tre fasi:
a) L’eliminazione, dal novero delle ipotesi valutabili, di quelle meno probabili (non essendo consentito il procedimento logico-aritmetico che conduca alla conclusione: 3>1);
b) L’analisi, tra le rimanenti ipotesi, di quelle ritenute più probabili;
c) La scelta, tra le ipotesi così residuate (nella specie, in numero di due) di quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.>>
3° conduzione del giudizi ocausale sui fatti : unitario o parcellizzato:
<<ma così violando l’ulteriore principio di diritto, a più riprese affermato da questa stessa Corte di legittimità, a mente del quale, nel giudizio di fatto, l’indagine vada rivolta al metodo di valutazione degli elementi di prova disponibili (i fatti “indizianti” della prova per presunzioni) e sulla scelta tra un generico modello olistico ovvero un rigoroso metodo analitico, evidenziandosi poi come la soluzione da privilegiare non possa che risultare la seconda, atteso che il modello olistico si presterebbe facilmente a sovrapporre alla realtà dei fatti la loro (sola) narrazione, con il rischio che una perfetta coerenza narrativa, pur in ipotesi assolutamente falsa, possa fuorviare il giudice e condurlo ad una decisione ingiusta, mentre il metodo analitico-atomistico si fonda sulla premessa che la base della decisione sia rappresentata dai fatti e soltanto da essi.
La valutazione dei fatti secondo il modello analitico segue, peraltro, un percorso logico distinto in due fasi – che ne consente una parziale combinazione con quello olistico – fondate, dapprima, su di un rigoroso esame di ciascun singolo fatto “indiziante” che emerge dagli atti di causa (onde eliminare quelli privi di rilevanza rappresentativa e conservare quelli che, valutati singolarmente, offrano un contenuto positivo, quantomeno parziale, sotto il profilo dell’efficacia del ragionamento probatorio), e successivamente, su di una valutazione congiunta, complessiva e globale, di tutti quei fatti – alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale, congruenza espositiva, concordanza prevalente – onde accertare se la loro combinazione, frutto di sintesi logica e non di grossolana “somma aritmetica”, possa condurre all’approdo della prova presuntiva del factum probandum, che potrebbe non considerarsi raggiunta attraverso una valutazione atomistica di ciascun indizio (quae singula non possunt, collecta iuvant).
Accertata preliminarmente la valenza dimostrativa di ciascun “fatto indiziario” che emerge dall’incarto processuale secondo il modello analitico, si procederà poi all’esame metodologico dell’intera trama fattuale in modo complessivo e unitario, di tal che la possibile ambiguità di ciascun factum probans possa nondimeno risolversi nell’approdo a quel necessario significato dimostrativo, frutto del ragionamento inferenziale, che consenta di ritenere complessivamente raggiunta la prova logico-baconiana del factum probandum. Il procedimento mentale da percorrere, per il giudice, è dunque quello della analisi di ciascun elemento di fatto e della sua collocazione e ri-composizione all’interno di un mosaico del quale ciascun indizio (i.e., ciascun singolo fatto) costituisce la singola tessera>>.