Si è pronunciata la Corte Suprema statunitense nel caso Romag Fasteners v. Fossil Group con sentenza 23 aprile 2020.
Romag e Fossil avevano stipulato un accordo, in base al quale Fossil avrebbe utilizzato nei suoi prodotti in cuoio le cerniere di Romag. Questa però scopri che le aziende, fornitrici la compoensitica a Fossil, usavano cinture contraffatte.
Pertanto Romag citò in giudizio Fossil ed altri suoi venditori per violazione di marchio, secondo il § 1125.a del 15 US Code.
La Corte a quo aveva respinto la domanda di riconoscimento di profitti, perché la giuria, pur accettando che Fossil avesse agito duramente (callously), aveva però negato che avesse agito dolosamente (willfully).
La S.C. respinge il ragionamento, dato che <a plaintiff in a trademark infringement suit is not required to show that a defendant willfully infringed the plaintiff’s trademark as a precondition to a profits award>, p. 1.
L’opinione è scritta da giudice Gorsuch. La norma centrale è il § 1117(a) del cit. 15 US Code :
<When a violation of any right of the registrant of a mark registered in the Patent and Trademark Office, a violation under section 1125(a) or (d) of this title, or a willful violation under section 1125(c) of this title, shall have been established in any civil action arising under this chapter, the plaintiff shall be entitled, subject to the provisions of sections 1111 and 1114 of this title, and subject to the principles of equity, to recover (1) defendant’s profits, (2) any damages sustained by the plaintiff, and (3) the costs of the action>.
Ne segue, visto che l’attore aveva agito in base al § 1125.a, che nel caso specifico non è richiesta la willfulf violation, la quale invece è richiesta solo per l’azione in corte secondo la lettera c) del § 1125.
La Corte prosegue dicendo che in molti altri punti il Lanham Act richiede specificamente l’elemento soggettivo: per cui la mancanza della menzione di esso nella disposizione invocata e significativo, pagg. 3/4.
Ancora, il soggetto leso invoca i principi di equity, menzionati nella norma sopra citata.
Secondo la Corte, però, è implausibile che ciò possa modificare la scelta normativa del Congresso, che altrove -come detto- richiede espressamente l’elemento soggettivo, p. 4.
Inoltre dice la Corte è dubbio che i principi di equity possono riferirsi all’elemento soggettivo negli illeciti di marchio: ciò perchè di solito essi <contain transsubstantive guidance on broad and fundamental questions about matters like parties, modes of proof, defenses, and remedies….Given all this, it seems a little unlikely Congress meant “principles of equity” to direct us to a narrow rule about a profits remedy within trademark law>, p. 5.
E’ però strano che nel concetto di <principles of equity> non possa rientrare la disciplina dell’elemento soggettivo negli illeciti, che non è certo di secondaria importanza: dalle menzioni fatte, forse, per la Corte l’equity comprende prevalentemente regole processuali..
Secondo la Corte, poi, è tutt’altro che chiaro che la tradizione del diritto dei marchi richieda la dolosità, prima di concedere il rimedio dei profitti; ammette però che in dottrina il dolo da taluno è richiesto e che altre sentenze non sono chiare sul punto, pp. 5/6.
Alla fine dunque il massimo che si può dire con certezza è che <Mens rea figured as an important consideration in awarding profits in pre-Lanham Act cases. This reflects the ordinary, transsubstantive principle that a defendant’s mental state is relevant to assigning an appropriate remedy>, pp. 6/7.
Alla luce di ciò, conclude la Corte, l’elemento soggettivo è sì importante per decidere se il rimedio dei profitti sia appropriato: ma questo è molto diverso dal dire che è una precondizione necessaria per il rimedio medesimo. Precisamente: <we do not doubt that a trademark defendant’smental state is a highly important consideration in determining whether an award of profits is appropriate. But acknowledging that much is a far cry from insisting on the inflexible precondition to recovery Fossil advances>, p.7.
Sembra dire, in altre parole, che non è un requisito necessario, ma che va comunque tenuto in conto. Il che sembrerebbe confermato dalla brevissima opinione concorrente del giudice Alito: <The decision below held that willfulness is such a prerequisite. App. to Pet. for Cert. 32a. That is incorrect. The relevant authorities, particularly pre-Lanham Act caselaw, show that willfulness is a highly important consideration in awarding profits under §1117(a), but not an absolute precondition. I would so hold and concur on that ground>.
Affermazione , comunque, che a me risulta poco chiara (l’elemento soggettivo serve per decidere o l’an o il quantum del rimedio) e forse riposante sulla natura di judge-made law del diritto statunitense.
Nella sentenza si dice che anche il giudice Sotomayor abbia dato una concurring opinion e nelle conclusioni lo è. Però inserisce qualche considerazione dissonante dal ragionamento di J. Gorsuch, ad esempio: <The majority suggests that courts of equity were just as likely to award profits for such “willful” infringement as they were for “innocent” infringement. Ante, at 5–6. But that does not reflect the weight of authority, which indicates that profits were hardly, if ever, awarded for innocent infringement>.
Da noi il rimedio del recupero dei profitti (anzi meglio del trasferimento dei profitti, dal momento che non è affatto detto che si tratti di un recupero dell’indebito) è previsto dal Codice di proprietà industriale all’articolo 125 u. c. .
Questa disposizione però non menziona l’elemento soggettivo: c’è allora da chiedersi se dolo/colpa siano o meno necessari. La risposta è negativa, se si riconosce al rimedio de quo natura restitutoria o di arricchimento senza causa; positiva, se invece gli si riconosce natura punitiva.
Non è chiaro nemmeno il rapporto con il rimedio risarcitorio. Una soluzione potrebbe essere la cumulabilità con il risarcimento del danno subìto, ma solo per il supero, non in toto. Se ad es. il danno subito è 150 e i profitti sono 80, nessun trasferimenti di profitti ma solo risarcimento del danno. Se invece quest’ultimo è di 150 e i profitti 210, allora sarà riconosciuti sia il danno di 150 sia profitti per 60 (la differenza). Oppure i due rimedi potrebbero essere cumulabili solo in sede processuale tramite domande alternative , chiedendo l’accoglimento di quella che porti ad un importo più elevato.
Da ultimo, la disposizione nazionale non spiega come si calcolino i profitti e cioè quali costi siano deducibili dai ricavi: aspetto tremendamente importante nella pratica.
Sull’argomento v. il mio saggio Restituzione e trasferimento dei profitti nella tutela della proprietà industriale.