Nella vertenza Salini, il Trib. Milano ha detto che l’assegnazione a titolo liberale di azioni ai dipendenti di società del gruppo, da parte del socio di riferimento dell’emittente (46,92%; anzi da parte di uno dei due soci di riferimento, l’altro possedendo il 46,92%), non integra la fattispecie della <diffusione tra il pubblico in misura rilevante> , posta dal combinato disposto dell’art. 2325 bis cc, art. 111 bis disp. att. c.c. e art. 2 bis reg. emittenti n. 11971/99.
Così Trib. Milano 23.04.2021 n. 3395/2021, RG 32801/2017, rel. M.A. Ricci. soprattutto per due motivi:
– manca una conspevole scelta di collocamento, dato che fu fatto unilateralmente da parte di uno dei due soci di riferimento, che da solo non detiene il controllo;
– nemeno può dirsi ricorra un <investimento> da parte degli acquirenti, trattandosi di liberalità, addirittura revocabile in base alle condizioni poste a quest’ultima (gravata pure da vincolo di incedibilità ad tempus): il che <<non ha generato neanche potenzialmente sul mercato alcun movimento finanziario, tantomeno a beneficio dell’emittente e certamente senza alcun reale rischio che la pretesa controllante potesse perdere la maggioranza azionaria relativa di cui è detentrice>>, p. 12 (requisito però assente nel reg. emittenti).
L’operazione è stata -secondo il Trib.- orchestata per rendere applicabile all’emittente la disciplina speciale per il computo delle azioni proprie nei quorum assembleari
Non è chiaro, però, per qual motivo il Tribunale non abbia accolto la domanda di accertamento (svolta dall’altro socio di riferimento, quello <tagliato fuori>) sotto il più immediato profilo del mancato coinvolgimento di almeno il 5% del capitale: nel caso specifico, infatti, l’assegnazione a dipendenti o ex dipendenti riguardò solo lo 0,23% del capitale.
Sarebbe anche da chiarire l’esatto titolo di trasferimento azionario ai dipendenti: la liberalità, se donativa, chiede l’atto pubblico a pena di nullità.