Molto interessante pronuncia della SC sull’oggetto, di rara applicazione pratica: si tratta di Cass. sez. 3 , rel. Pellecchia, n° 31.574 del 25 ottobre 2022.
Qui solo alcuni passaggi (ma la sentenza è piena di spunti interessanti, anche sul versante assicurativo):
<<L‘art. 2057 c.c. dispone che “quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele”.
La norma censurata trova applicazione qualora il giudice di merito accerti l’esistenza di un danno alla persona di carattere permanente, e prevede la possibilità che la liquidazione di tale danno possa avvenire attraverso il meccanismo della rendita vitalizia. Quest’ultima costituisce una forma di risarcimento per equivalente (c.c. 13 gennaio 1993 n. 357), ed è fonte di un rapporto a esecuzione periodica, in cui la durata prevista è ” componente essenziale dell’utilità alla quale è ordinato il rapporto “.
Ben si comprende la funzione di tale previsione se la si pone in relazione con il carattere permanente del danno: la liquidazione ex art. 2057 c.c. mira infatti a ” realizzare una tendenziale corrispondenza fra permanenza del danno e permanenza del risarcimento “, configurando la liquidazione della rendita non come diritto della parte, ma come facoltà del giudice (Cass. 20.2.1958, n. 553; Cass., 24.5.1967, n. 1140), imponendogli al contempo di predisporre le opportune cautele.
4.1.2. Tanto premesso, osserva il collegio come non appaia in alcun modo predicabile il lamentato vizio di extrapetizione della pronuncia d’appello, rientrando tra i poteri del giudice non soltanto quello di optare per la citata modalità di liquidazione del risarcimento in presenza dei presupposti previsti dalla legge, ma anche quello di disporre, all’esito, ed in via altrettanto officiosa, le “cautele” che ritiene necessarie. La ricorrente non censura la scelta della Corte territoriale di liquidare il danno in forma di rendita, di tal che dalla legittimità di tale scelta (pur se operata per la prima vota in grado di appello) discende il corollario rappresentato dal dovere del giudice di disporre tutte “le opportune cautele” funzionali a garantire l’adempimento de die in diem dell’obbligo di versare al danneggiato il rateo di rendita, così come stabilito dall’art. 2057, secondo periodo, c.c.. – così come accaduto, del tutto legittimamente, nel caso di specie>.
Interessante è la critica dei danneggiati (rectius , dei genitori per conto del figlio leso) sulla scelta della Cote di appello di disporre di ufficio la rendita vitalizia, che sarebbe penalizzante per la minor vita del figliolo causata proprio dall’errore medico: <<Con il primo motivo del ricorso incidentale, i signori M. e M. deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “manifesta ed irriducibile contraddittorietà della sentenza in relazione alla costituzione della rendita vitalizia in favore di M.F.”.
Secondo i ricorrenti incidentali, la sentenza sarebbe contraddittoria in quanto, pur avendo rigettato la richiesta di riduzione dell’entità del risarcimento riconosciuto al figlio Filippo a causa della sua minore aspettativa di vita, ritenendola determinata proprio dalle colpevoli omissioni delle controparti, avrebbe poi in concreto consentito loro di giovarsi della propria condotta, applicando un criterio di liquidazione che, implicitamente, consentiva la predetta riduzione, tenuto conto della ridotta aspettativa di vita del minore.
Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe spiegato adeguatamente la ragione per cui la costituzione di una rendita di modesta entità mensile fosse maggiormente indicata a far fronte alle concrete esigenze del minore, il quale, trovandosi in stato vegetativo permanente, affetto da paralisi cerebrale, encefalopatia epilettica resistente a terapia, grave scoliosi nEurologica evolutiva già sottoposta a due interventi nel 2014-2015, aveva necessità di un’assistenza specialistica continuativa.>>
Replica della SC:
<<5.2.1. La doglianza con cui si lamenta la “contraddittorietà” della sentenza in relazione alla costituzione di una rendita in favore dell’avente diritto è infondata. E’ invece fondata la censura con la quale si prospetta un error in iudicando nella concreta determinazione della detta rendita.
5.3. Il primo motivo, difatti, pur prescindendo dai non marginali profili di inammissibilità che esso presenta nell’evocare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non appare meritevole di accoglimento nella parte in cui censura la scelta in sé di procedere ad una liquidazione del danno in forma di rendita.
L’art. 2057 c.c., infatti, rimette al prudente apprezzamento del giudice la scelta della forma di liquidazione del danno permanente alla persona, perché capitale e rendita si equivalgono per l’ordinamento civilistico. Il giudice è dunque libero di optare ex officio per lo strumento di cui all’art. 2057 c.c., purché determini la rendita in modo tecnicamente corretto.
Pertanto, nessuna contraddittorietà emerge dalla decisione con cui la Corte d’appello, da un lato, ha ritenuto corretta la quantificazione del danno compiuta dal primo giudice, e dall’altro ha ritenuto di liquidare tale pregiudizio in forma di rendita.
Presupposto esplicito della censura mossa dai ricorrenti incidentali è quello per cui la liquidazione in forma di rendita, cessando con la morte del beneficiario, “agevolerebbe” il responsabile del fatto illecito in tutti i casi in cui proprio la gravità delle lesioni provochi una ridotta aspettativa di vita per la vittima, determinando una riduzione dello stesso risarcimento, e così, de facto, “soddisfacendo le domande e le eccezioni avversarie, senza poi spiegare il motivo per il quale una somma una tantum sia inidonea a far fronte ai bisogni del minore, a differenza della costituzione di una rendita” (così ai ff. 24 e 25 del ricorso).
5.3.1. Tale presupposto, tuttavia, non è conforme a diritto.
Qualora il danno sia stato liquidato in forma di rendita, dopo aver determinato la somma capitale, occorre tenerne distinte due diverse componenti: il coefficiente per la costituzione della rendita (ovvero il criterio di calcolo), e la durata della stessa.
Il coefficiente di costituzione della rendita deve corrispondere – secondo quanto di qui a breve si dirà – all’età effettiva del danneggiato al momento del sinistro – ed avrà riferimento alla durata media della vita – calcolato sul presupposto che, secondo le statistiche mortuarie attuali, un ventenne ha una aspettativa di vita di sessant’anni, un quarantenne di quaranta ed un sessantenne di venti.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha tenuto fermo, confermandolo, l’importo liquidato in prime cure (1.219.355 Euro) come base di calcolo: allorché si tratti di determinare il capitale da cui ricavare la rendita, la minore speranza di vita della vittima non viene in rilievo, e nessun vantaggio ne trarrebbe il responsabile, qualora quella minor speranza di vita sia stata determinata, come nella specie, dalla sua condotta illecita.
Tuttavia, una volta determinato il capitale con riferimento alla durata media della vita, e non a quella presumibile nel caso concreto, una volta detratti gli eventuali acconti versati prima della sentenza (che andranno rivalutati e detratti dal capitale stesso posto a base di calcolo della rendita), e una volta convertito tale capitale in rendita, il diritto a ricevere quest’ultima matura de die in diem, ed ogni rateo di rendita compensa il pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo.
Se dunque la vittima venisse a mancare ante tempus, con la sua morte cesserebbe il pregiudizio permanente e, cessando il pregiudizio, non sarebbe concepibile la ulteriore pretesa di continuare ad esigere un risarcimento. (…) 5.3.5. Parimenti destituita di fondamento deve ritenersi l’affermazione per cui, attraverso la liquidazione di una rendita, il danneggiante si avvantaggerebbe delle conseguenze del proprio atto illecito – perché la vita media di chi ha subito danni alla persona sarà verosimilmente più breve rispetto a quella delle persone sane – che appare fondarsi su un evidente paralogismo, come si è già osservato in precedenza e come meglio si dirà nel corso dell’esame del secondo motivo del ricorso incidentale. Capitale e rendita costituiscono, difatti, due diverse forme di erogazione del medesimo valore, essendo il denaro un bene per definizione fruttifero, del quale sarà fruibile il valore d’uso (la rendita), ovvero il valore di scambio (il capitale), non diversamente da quanto accade per il godimento di un bene immobile, che potrà essere venduto o locato ricavando redditi diversi, ma che costituiscono pur sempre forme alternative di realizzazione del suo valore.
5.3.6. Riparare il pregiudizio derivante da una grave lesione della salute attraverso la costituzione di una rendita quale forma privilegiata di risarcimento consente di cogliere appieno la proiezione diacronica di tutte le componenti del danno che, di giorno in giorno, il danneggiato avrebbe subito dal momento dell’evento in poi. Ne consegue – va ripetuto – che, ove venga (correttamente) adottata tale forma risarcitoria, il valore della rendita dovrà essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, a nulla rilevando che, nel caso concreto, egli abbia speranza di sopravvivere solo per pochi anni, ovvero che non risulti oggettivamente possibile determinarne le speranze di sopravvivenza, qualora tale ridotta speranza di sopravvivenza sia conseguenza dell’illecito.>>.
Istruzioni processuali sul fatto che la rendita vitalizia può essere disposta anceh di ufficio, pure in apppello , § 5.3.4.
Voci di danno risarcibili:
<<5.3.10. Ne consegue che il responsabile, versando una somma periodica al danneggiato, non lucra alcuno “sconto” sul risarcimento, in quanto:
a) se la durata della vita del danneggiato è maggiore rispetto alla durata della vita media, sarà il danneggiato stesso a realizzare un lucro;
b) se la durata della vita del danneggiato sarà, in concreto o presumibilmente, inferiore alla durata della vita media, e ciò a causa delle lesioni, il responsabile sarà tenuto a risarcire il danno sotto forma di rendita – la cui base di calcolo si fonderà non sulla speranza di vita in concreto, bensì su quella media di un soggetto sano – oltre al danno parentale subito dai genitori in conseguenza dell’illecito;
c) se il danneggiato avrà una vita di durata inferiore alla media, ma ciò avviene per cause del tutto indipendenti dalle lesioni, il responsabile che cessa di pagare la rendita non realizza alcun “vantaggio” patrimoniale, poiché, il risarcimento cessa perché cessa il danno.>>
Possibilità di adeguamento della rendita al § 5.3.16.
Nel caso specifico era incredibilmente emerso che il medico che commise l’errore in realtà era si un dipendente dell’azienda sanitaria ma non era un medico. Il che però non fa uscire il fatto dalla copertura dell’assicurazione, come pretendeva la compagnia: Tale interpretazione della corte di appello sul punto non è censurabile in cass., § 4.2.