Responsabilità di Uber per l’aggressione ad un suo autista?

Dice di no la corte distr. di West Dist. Washington 27 sett. 2022, Civil Action 2:21-cv-202-BJR, Drammeh v. Uber Techs .

L’autista era stato aggredito e ucciso da due utenti che avevano anche creato (allo scopo, parrebbe) un falso account Uber .

Il punto è l’esistenza o meno di un duty of care di Uber vs. gli autisti.

In genrere nel common law non ci sono doveri di protezione di terzi, tranne che ricorrano due circostanze:

– vi sia tra loro special relationship; o

– che vi sia misfeasance “in the limited circumstances [where] the actor’s own affirmative act creates a recognizable high degree of risk of harm.”. Deve però esswerci azione difettrosa, non omissione che non vbasta.

E’ il punto meno sicuro ma la Corte rigetta:

<<Plaintiffs may be correct that certain omissions can amount to misfeasance if they create a risk of harm that would otherwise not exist. The Washington Supreme Court has stated in dicta that “[a] driver affirmatively create[s] a new risk to a pedestrian by failing to stop his or her car [at a crosswalk].” Robb, 176 Wash.2d at 437. However, none of the omissions identified by Plaintiffs created the risk that resulted in Ceesay’s death. Plaintiffs’ own statistics show that carjacking is a broad societal problem. See Pl. Opp’n, Dkt. 123 at 20. There is no evidence or allegation that anything Defendants did actively encouraged carjackings or “create[d] a special or particular temptation or opportunity for crime.” Hutchins, 116 Wash.2d at 232-33; see also Jane Doe 1 v. Uber Techs., Inc., 79 Cal.App. 5th 410, 425 (finding Uber did not engage in misfeasance and contrasting a case in which a “plaintiff was injured by third parties doing exactly what defendant’s conduct encouraged them to do” (emphasis added)). Even if it were conclusively shown at trial that the risk of carjackings would have been reduced if Defendants had implemented the measures demanded by Plaintiffs, it still would not follow that Defendants created the risk. Washington courts have rejected the idea that “the failure to take [preventative measures] against crime is not in and of itself a special temptation to crime.” Sourakli v. Kyriakos, Inc. 144 Wash.App. 501 (2008). >>

Nemeno ricore la foreseeability dell’evento.

La domanda è respinta.

Non  si menziona (strano che non sia stato invocato) il safe harbour ex § 230 CDA,

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Non c’è diritto del cives ad avere leggi conformi a Costituzione: la non conformità non costituisce fatto illecito ex art. 2043 cc

Così Cass. 13.12.2021 n. 39.534, rel. Nazzicone che in particolare osserva:

<<  3.2.1. – In tal modo, la corte territoriale ha deciso in linea con il
condiviso principio, già affermato da questa Corte, secondo cui non
sussiste una responsabilità dell’organo legislativo per avere deliberato
una legge, contenente norme successivamente dichiarate
incostituzionali.
A fronte della libertà della funzione politica legislativa (artt. 68,
comma 1, 122, comma 4, Cost.), non è ravvisabile un’ingiustizia che
possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, né si può
arrivare a fondare il diritto al risarcimento, quale esercitato nel
presente giudizio (Cass. 22 novembre 2016, n. 23730).
Va invero escluso, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo
del singolo all’esercizio del potere legislativo, il quale è libero nei fini
e sottratto, perciò, a qualsiasi sindacato giurisdizionale, né può
qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai
sensi dell’articolo 2043 cod. civ., una determinata conformazione
dello stato-ordinamento.
Nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una
responsabilità per «illecito costituzionale», rilevante sul piano
risarcitorio, in ragione dell’emanazione della norma espunta
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dall’ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto,
essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico,
incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso
non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli
protette dall’ordinamento (Cass. 24 dicembre 2019, n. 34465).
Non è, dunque, ipotizzabile che dalla promulgazione della legge
possa derivare un danno risarcibile, perché l’eventuale pregiudizio
subito dal singolo non può essere ritenuto ingiusto, neppure nei casi
in cui la norma venga poi espunta dall’ordinamento perché in
contrasto con la Carta costituzionale.
Sebbene nel sistema delineato dalla Costituzione la discrezionalità
del legislatore non sia assoluta, bensì limitata dal controllo accentrato
di costituzionalità, tuttavia è proprio quel sistema che esclude che le
norme costituzionali sulle scelte del legislatore possano attribuire
direttamente al singolo diritti, la cui violazione sia fonte di
responsabilità da far valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Resta, dunque, insindacabile l’attività esplicativa di funzioni
legislative

Risarcimento del danno da chiusura dell’attività di impresa per infiltrazioni nell’immobile

Dopo due gradi con esito negativo , l’imprenditore danneggiato da infiltrazoni nei suoi locali tenta il ricorso in Cassazione. Ma gli va ancora male.

Questo il passaggio principale sulla liquidazione equitativa ex art. 1226 cc, svolto da Cass. n. 31.251 del 03.11.2021, rel. Scarpa A.: <<Alla liquidazione del danno il giudice può procedere anche in via equitativa, in forza del potere conferitogli dagli artt. 1226 e 2056 c.c., restando, peraltro, la cosiddetta equità giudiziale correttiva ed integrativa subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare e, a un tempo, non comprendendo tale potere giudiziale anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo la liquidazione equitativa già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno subito>>

E poi: <<Ora, i danni derivanti dalla perdita del guadagno di un’attività commerciale per loro stessa natura evidenziano la pratica impossibilità di una precisa dimostrazione (cfr. Cass. Sez. 3, 24/04/1997, n. 3596; Cass. Sez. 1, 13/01/1987 n. 132). Ciò non di meno, spetta all’attore l’onere di fornire elementi, di natura contabile o fiscale, con riguardo, indicativamente, alla consistenza ed alla redditività dell’esercizio commerciale, al fatturato e agli utili realizzati negli anni precedenti, all’incidenza del pagamento del canone e degli oneri connessi alla locazione. Invero, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., non esime la parte interessata  dall’onere di dimostrare non solo l'”an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre (cfr. Cass. Sez. 3, 17/10/2016, n. 20889).>>

Safe harbour per Youtube circa la diffusione di immagini di persona fisica

La corte di Dallas 17.05.21, KANDANCE A. WELLS c. Youtube, civil action No. 3:20-CV-2849-S-BH, decide una domanda giudiziale risarcitoria (per dollari 504.000,00) basata sulla illecita diffusione (da parte di terzi utenti) della propria immagine, finalizzata alla minacaccia personale.

Diverse erano le leggi invocate come violate.

Immancabilmente Y. eccepisce il safe harbour ex § 230 CDA , unico aspetti qui esaminato.

La corte accoglie l’eccezione e giustamente.

Esamina i consueti tre requisiti e come al solito il più interssante è il terzo (che la domanda tratti il convenuto come publisher o speaker): <<Plaintiff is suing Defendant for “violations to [her] personal safety as a generalconsumer” under the CPSA, the FTCA, and the “statutes preventing unfair competition, deceptiveacts under tort law, and/or the deregulation of trade/trade practices” based on the allegedlyderogatory image of her that is posted on Defendant’s website. (See doc. 3 at 1.) All her claimsagainst Defendant treat it as the publisher of that image. See, e.g., Hinton, 72 F. Supp. 3d at 690(quoting MySpace, 528 F.3d at 418) (“[T]he Court finds that all of the Plaintiff’s claims againsteBay arise or ‘stem[ ] from the [ ] publication of information [on www.ebay.com] created by thirdparties….’”); Klayman, 753 F.3d at 1359 (“[I]ndeed, the very essence of publishing is making thedecision whether to print or retract a given piece of content—the very actions for which Klaymanseeks to hold Facebook liable.”). Accordingly, the third and final element is satisfied>>.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Risarcimento del danno a carico del Comune per intollerabililità dei rumori provenienti dalla movida notturna, favorita dalle scelte urbanistiche del Comune stesso

Interessante decisione del Trib. Torino n. 1261/2021 del 15.03.2021,  RG 6130/2018 in tema di azione per condanna ad un facere e ai danni da rumori eccessivi, causati dal pesante disagio di chi abita un quartiere divenuto centro della movida torinese, azione promossa da un gruppo di abitanti

<<La lettura dei provvedimenti prodotti con la comparsa di costituzione e ivi elencati (cfr. paragrafo n. 2) consente di affermare che il Comune di Torino ha compiuto precise scelte a fronte dei fenomeni oggi in esame. L’aggregazione di persone che è causa di degrado, sporcizia, disturbo del riposo e della tranquillità, che produce disagi e pericoli, che provoca lo scadimento della vivibilità urbana, che turba il libero utilizzo degli spazi pubblici è posta dallo stesso Comune in relazione con l’attività degli esercizi commerciali; ai gestori è fatto carico di positive e ben specificate attività di dissuasione, da svolgere anche all’esterno dei locali e nelle loro adiacenze>>.

L’ovvia deduzione è che i provvedimenti del Comune a carico di questo variegato universo commerciale <<sono stati del tutto insufficienti. Se c’è gente ovunque significa che nessuno degli esercenti ha rispettato l’obbligo di controllarne l’afflusso nelle proprie adiacenze: dunque, assai più locali avrebbero dovuto essere sanzionati o chiusi. Se un numero imprecisato di dehors ha invaso il suolo pubblico e vi si svolgono attività, non consentite, di somministrazione di alimenti e bevande, il Comune avrebbe dovuto revocare i relativi atti autorizzativi, sino a liberare le strade e a concentrare le consumazioni all’interno dei locali. Una criticità così elevata avrebbe richiesto un adeguato piano di risanamento acustico, che, a quanto risulta, non è stato neppure intrapreso. Vi è poi, di centrale importanza, la questione del limite orario. L’ordinanza n. 46 del 6 giugno 2016 vieta la vendita e la somministrazione di bevande alcooliche e superalcooliche dalle ore 3.00 alle ore 6.00. Orari analoghi sono stati disposti nell’ordinanza n. 60 del 6 luglio 2017: nelle notti tra il lunedì, martedì, mercoledì e giovedì dalle ore 1.30, il venerdì dalle ore 2.00, il sabato, la domenica e i festivi dalle ore 3.00. Si è già accennato che, a seguito della deliberazione della Giunta comunale del 3 maggio 2018, tali limitazioni non sono più disciplinate attraverso singoli provvedimenti temporanei, ma sono regolamentate in via ordinaria dall’art. 44 ter del regolamento di polizia urbana. È evidente che fissare orari così ampi equivale a permettere tutto: nella sostanza, l’assembramento degli avventori può continuare fino a notte fonda e, verosimilmente, protrarsi, prima che la folla si diradi, ben oltre gli orari pur permissivi.>>.

E’ rigettata la domadna di condanna ad un facere (prob. come inibitoria preventiva, sistematicamente): <<Di sicuro gli orari di chiusura devono essere drasticamente ridotti, ma se ciò debba avvenire per il solo quartiere di San Salvario (con l’effetto che la movida potrebbe spostarsi altrove), o, in concomitanza, per altre determinate zone a rischio, è il Comune di Torino a doverlo decidere, nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche di gestione del territorio. Ciò che il Comune deve fare (e non ha fatto) è un’analisi approfondita della situazione complessiva, verosimilmente quella richiesta dal piano di risanamento acustico, intervenendo, nel frattempo, con misure d’urgenza assai più pregnanti di quelle fin qui adottate. Non è infine il giudice a poter organizzare il servizio di vigilanza di un intero quartiere, andando a incidere sulla distribuzione della Polizia municipale nel suo complesso e sul coordinamento con le altre Forze preposte al controllo della pubblica sicurezza. Qui non si tratta di risolvere i problemi di una strada o di una piazza o di un tratto di lungomare; né di ordinare la collocazione di pannelli antirumore lungo un’autostrada o una linea ferroviaria, ma di decidere l’assetto di un intero territorio, con effetti su tutta la città. Alla responsabilità del Comune di Torino consegue quindi il solo risarcimento dei danni>>.

E dunque sui danni: <<I ricorrenti non hanno allegato alcuna compromissione della salute che sia esitata in malattia, ma hanno parametrato la loro richiesta di risarcimento riferendosi ai criteri tabellari del Tribunale di Milano per la quantificazione del danno biologico: il riferimento non è dunque condivisibile. Né lo è la qualificazione del danno come invalidità temporanea al cinquanta per cento, sulla base di un’età media di quarant’anni. Questo criterio di liquidazione è criticabile sotto vari aspetti. In primo luogo, le tabelle milanesi non calcolano l’invalidità temporanea in base a fasce di età; in secondo luogo, non si vede per quale ragione si dovrebbe considerare un’età “media” invece dell’età di ciascun ricorrente. Ma, soprattutto, il concetto di invalidità temporanea si riferisce a un fatto foriero di danno verificatosi in un dato momento e che, a partire da quel momento, genera conseguenze pregiudizievoli provvisorie e via via meno gravi. Tale situazione non ha nulla in comune con quella in esame, in cui ciascuno dei ricorrenti ha continuato a subire, nel tempo, i medesimi effetti di una situazione pregiudizievole continuativa. Questo peculiare danno di carattere non patrimoniale non può che essere valutato con criterio equitativo, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., non potendo essere provato nel suo preciso ammontare>>.

Concorso in responsabilità tra società, amministratori e Consob verso i risparmiatori?

Interessante fattispecie (pur se non nuova) ma decisa in modo poco plausibile da Cass. , III, ord., 11.03.2020 n. 7016 rel. Fiecconi, Abbondi e altri c. Consob (Foro it., 2021/1).

Un gruppi di rispamiatori aveva citato in giudizio sia gli amministrori ex art. 2395 cc (costituendosi parte civile nel giudizo penale per bancarotta), sia Consob ex art. 2043 per non aver correttamente vigilato.

Pare avessero anche agito in sede di insinuazione al passivo facendo valere un credito restitutorio del capitale investito (per nullità del contratto, è da immaginare), § 13.

La Cass. critica la corte a quo per aver distinto il titolo restitutorio (capitale investito; azionato in sede di insiduazione al passivo del Fallimento) da quello risarcitorio e per aver su ciò fondato una affermazione di diverso termine prescrizionale.

<<Osserva la corte, infatti, che la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere, è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni, attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p. (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del «più probabile che non») tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse. Deve al proposito ribadirsi il consolidato principio di diritto, enunciato da questa corte, secondo cui «l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse>>, § 16 e poi § 18.

Sorprende l’uscita della SC.

E’ vero che per il 2055 ciò che conta è il concorso a produrre il medesimo evento di danno. Ma appunto se si tratta di azioni in responsbilità ex 2043 cc.

L’art. 2055 invece nulla dice quando siano azionate due causae petendi distinte (indebito e fatto illecito), che peraltro erano stati tenuti ben distinti poco prima dalla SC (§§ 9-10).

Il concorso sarebbe eventualmente tra amministratori e Consob, per entrambi i quali si trattarebbe di fatto illecito aquiliano.

Ma non tra indebito e fatto illecito:  che il secondo sia sostanzialmente stimabile in misura pari al primo, non significa nulla.

La pretesa restitutoria  da caducazione contrattuale  (qualunque ne sia la spiegazione dogmatica , variamente fornita dalla dottrina) va infatti tenuta distinta da quella risarcitoria.

La SC è dunque caduta in (non piccolo) errore concettuale (può capitare a tutti ..!).

La svista non sfugge all’attenta nota in  Foro it. di M. De Chiara , Solidarietà ardita.

Amazon è responsabile della difettosità del prodotto venduto suo tramite da venditore terzo?

la risposta è negativa per la Corte Suprema dell’Ohio, Stiner v. Amazon.com, 1 ottobre 2020, Slip Opinion No. 2020-Ohio-4632.

Il punto è se Aamazon (A.) sia o meno supplier per il  Ohio Products Liability Act.

Nel caso un giovane -Logan Stiner- ingerisce integratori c.d. pre-workout  (coffee powder), passatigli da un amico che li aveva acquistati su internet da un venditore del marketplace di Amazon (tale Tenkoris) : li aveva cercati  tramite la parola chiave appunto “pre-workout”. Il prodotto è dannosissimo e Stiner muore.

Il padre (S.) cita Amazon come responsabile in base alla legge dell’Ohio sui prodotti difettosi.

Nel caso specifico il venditore si era limitato a pattuire una collaborazione minimale di A. che invece può essere assai più rilevante col rapporto Fullfillment by Amazon.

Il punto è capire se A. sia o meno supplier , visto che di certo non è manufacturer: <Three of his claims sought to hold Amazon liable for defects in design (R.C. 2307.75), inadequate warnings or instructions (R.C. 2307.76), and failure to conform to representations,>, § 12.

Per S. , A. si è reso colpevole di supplier negligence.

Un supplier è chi <  “sells, distributes, leases, prepares, blends, packages, labels, or otherwise participates in the placing of a product in the stream of commerce.” >, § 15.

Per la Corte <a person who “otherwise participates in the placing of a product in the stream of commerce” must exert some control over the product as a prerequisite to supplier liability. >, § 19.

Ebbene, tale requisito non ricorre per A., che dunque non è supplier e non risponde a tale titolo:

<Tenkoris [il venditore terzo], the seller of the caffeine powder, had sole responsibility for the fulfillment, packaging, labeling, and shipping of the product directly to customers. Amazon has no relationship with the manufacturer or entities in the seller’s distribution channel. Tenkoris, not Amazon, decided what to sell on Amazon, and by agreement, took on the responsibility of sourcing the product from the manufacturer until it reached the end user. Tenkoris wrote the product description for the caffeine powder that buyers would see on the Amazon marketplace. K.K.’s [l’amico che fece l’ordine] purchase order clearly states that the powder is “Sold by: TheBulkSource” and indicates that the buyer should contact TheBulkSource for any questions about the order. And Tenkoris acknowledges that Amazon never had possession of the caffeine powder and never physically touched the product>, § 20. La corte cita prevedenti conformi ,§§ 22-23.

Nemmeno può reggere la tesi attorea  in base a più ampie considerazioni di policy, al di là del dato letterale: § 25 segg.

Interessanti le considerazioni del giudice Donnelly (§§ 31-40) che si distanziano dalla maggiorana de iure condendo: la strict liability a carico di A. sarebbe opportuna, § 31 e 35). Riconosce però che ciò non sia ammissibile de iure condito, spettando il compito al legislatore.

Tra i tanti, fa il punto della situazione (soprattutto circa il se Amazon sia <seller>), Sprague R., IT’S A JUNGLE OUT THERE: PUBLIC POLICY CONSIDERATIONS ARISING FROM A LIABILITY-FREE AMAZON.COM, 60 Santa Clara L. Rev. 253 (2020) .