Cass. Sez. I ord. 22/11/2023 n. 32.417, rel. Tricomi, in un caso di impugnaizone proposta da moglie e figlio del riconoscente:
<In particolare, pur avendo ritenuto tempestivamente esercitata l’azione, alla stregua della disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 154 del 2013, ha affermato che, nel caso di specie, l’interesse di natura pubblicistica all’accertamento della verità non poteva prevalere rispetto al diritto, anch’esso dotato di copertura costituzionale, all’identità sociale del soggetto riconosciuto in considerazione della lunghissima durata dello status conseguito per effetto del riconoscimento di paternità operato da C.D.G. e, quindi, alla oramai fortemente consolidata condizione identitaria acquistata dall’appellante. Ha rilevato altresì che il riconoscimento da parte del congiunto dei ricorrenti era stato convintamente voluto ed aveva costituito parte integrante della identità personale di E., mentre il disconoscimento dopo così ampio lasso di tempo non solo incideva negativamente nelle relazioni sociali di chi lo subiva, ma colpiva la sua dignità personale privandolo della coscienza di sé e delle proprie radici, ricordando che era stato accertato che il rapporto padre-figlia era perdurato, nonostante la fine della relazione con la madre di questa, S.I…>>
Poi la SC dice la sua:
<<3.2.- L’azione di impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c., rientra nel quadro più ampio delle azioni di stato, ovvero di quelle azioni intese a conseguire una pronuncia che incida sullo status filiationis della persona.
In tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, si è assistito al superamento dell’orientamento che individuava un’automatica coincidenza tra favor veritatis e favor minoris o status filiationis e la stessa riforma dell’art. 263 c.c., introdotta con il D.Lgs. n. 154 del 2013 (qui applicato dalla Corte di merito) esprime una regolamentazione che ha notevolmente rafforzato l’esigenza di stabilità dello status filiationis e di tutela del figlio.
Assume decisivo rilievo, in proposito, ricordare alcuni interventi della Corte costituzionale, la quale ha provveduto a precisare la necessaria sussistenza di uno spazio di bilanciamento in concreto fra gli interessi implicati, affidato alla valutazione giudiziale. Significativa, in proposito, si rivela l’affermazione – già rinvenibile in Corte Cost. sent. n. 272 del 2017, e successivamente richiamata nelle più recenti Corte Cost. sent. n. 127 del 2020 e n. 133 del 2021 – secondo cui l’art. 263 c.c., sottende “l’esigenza di operare una razionale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti”, posto che “la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi (deve) tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso”. Si è dinanzi, quindi, di un’azione nella quale il giudice non procede ad un mero accertamento della verità biologica, ma opera un bilanciamento in concreto tra gli interessi coinvolti (cfr. Corte Cost. sent. n. 133 del 2021), ricordandosi, peraltro, che la menzionata norma regola qualsivoglia ipotesi di impugnazione per difetto di veridicità, abbracciando tanto casi di riconoscimento effettuato nella consapevolezza della non paternità, quanto ipotesi in cui il consenso all’atto personalissimo si fondi sull’erronea supposizione del legame biologico.
In tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, si è affermato che “i significativi mutamenti sociali degli ultimi anni impongano di affiancare al parametro della verità genetica altri criteri, quali quelli della verità affettiva o sociale, in una prospettiva di tutela degli stabili e rilevanti assetti relazionali di fatto” (Cass. n. 30403/2021; Cass. n. 4791/2020) e la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni mostrato di avere superato la tesi della assolutezza del principio di prevalenza dell’interesse all’accertamento della verità biologica della procreazione ed ha affermato la necessità di bilanciare la verità del concepimento con l’interesse concreto del figlio alla conservazione dello status acquisito (Cass. n. 27140/2021; n. 4791/2020; Cass. n. 8617/2017; Cass. n. 4020/2017; Cass. n. 26767/2016), con affermazioni di principio che i ricorrenti nemmeno contestano, deducendone piuttosto l’inapplicabilità in caso di figlio maggiorenne.
Tuttavia, anche la questione dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità che sia stata promossa in relazione ad un figlio già maggiorenne, è stata affrontata da questa Corte in maniera puntuale e ricca di approfondimenti anche in relazione al quadro normativo Eurounitario, ed è stato affermato, all’esito di un’ ampia argomentazione che si condivide, il seguente principio che si intende confermare, secondo il quale “Nell’azione, intrapresa dal terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio e già maggiorenne al momento della instaurazione del corrispondente giudizio, il bilanciamento che il giudice adito è tenuto ad effettuare tra il concreto interesse del soggetto riconosciuto ed il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata, né può implicare, ex se, il sacrificio dell’uno in nome dell’altro, ma impone di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto, tra cui il diritto all’identità personale del riconosciuto, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento ed all’idoneità dell’autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore” (Cass. n. 3252/2022).
3.3.- Orbene, il bilanciamento, in concreto, fra gli interessi implicati, affidato alla valutazione giudiziale e richiesto dalla riportata giurisprudenza costituzionale intervenuta sull’art. 263 c.c., assume un significato ancora più pregnante in una vicenda – quale quella oggi all’attenzione di questa Corte – caratterizzata dal fatto che il giudizio non è stato intrapreso dal genitore C.D.G., deceduto nel (Omissis), ma dai suoi eredi – la vedova ed il figlio, nato in costanza di matrimonio – nel (Omissis) e che ha riguardato una persona attualmente di circa quarantaquattro anni, che ne aveva sei al momento del riconoscimento oggi impugnato e circa trentasei al momento della instaurazione, nei suoi confronti, del giudizio di primo grado. In una siffatta fattispecie, dunque, ancor più si impone “l’esigenza di operare una razionale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti”, posto che “la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi (deve) tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso” (cfr. Corte Cost. sent. n. 127 del 2020).
Di tutto ciò, la Corte di appello si è fatta carico (fol. 18 e ss.), compiendo una accurata disamina dei profili identitari coinvolti, conseguiti all’avvenuto riconoscimento, ed ha attuato il necessario bilanciamento in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, di guisa che la decisione risulta immune dai vizi denunciati.
Priva di rilievo risulta, infine, la disciplina dettata dalla L. n. 40 del 2004, in tema di procreazione medicalmente assistita, che non si attaglia al caso di specie>>.