Cass. sez. II, 11/04/2025 n. 9.534, rel. Fortunato, offre un ripasso del tema (art. 591 c.2 n. 3 c.c.):
<<L’incapacità naturale del disponente che, ai sensi dell’art. 591 c.c., determina l’invalidità del testamento non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà, richiedendo che, a causa dell’infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione.
La prova delle condizioni mentali, anteriori o posteriori, può esser desunta da elementi presuntivi; tra essi viene in rilievo, quale elemento che il giudice è tenuto a valutare, il contenuto del testamento.
L’esistenza di legami affettivi e di intensa frequentazione con soggetti pretermessi nel testamento dedotte non è – tuttavia – di per sé indice di incapacità se non associata ad anomalie, incoerenze della scheda o altri segnali che rilevino una condizione patologica invalidante (Cass. 3411/1978; Cass. 5620/1995), la quale può essere comunque esclusa dal giudice sulla base di altri elementi maggiormente significativi, il cui accertamento è incensurabile se sorretto da motivazione adeguata (Cass. 162/1981; Cass. 1851/1980; Cass. 3205/1971; Cass. 25053/2018; Cass. 1618/2022). Compete al giudice l’apprezzamento dei fatti e delle prove, potendosi solo controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 9097/2017; Cass. 32505/2023; Cass. 10927/2024). (…)
3.1. Il vizio di motivazione è parimenti insussistente: il giudizio di capacità di Lu.Ca. appare adeguatamente giustificato.
Secondo la Corte di merito, le risultanze del procedimento di interdizione, sfociato poi nella meno grave misura dell’inabilitazione sulla base della relazione del c.t.u. Del Re e dell’esame diretto dell’interessato, consentivano di affermare che Lu.Ca. era affetto da deficit motorio e dell’espressione verbale, ma capace di intendere e di volere, rispondendo in maniera pertinente alle domande che gli venivano rivolte, mostrando di comprenderne il contenuto e di articolare risposte congruenti, di cui era chiaramente intellegibile il contenuto.
Dalle deposizioni dei medici escussi nel procedimento di interdizione (e che avevano in cura il Lu.Ro. dal 2000 al decesso), aveva trovato conferma il fatto che le condizioni fisiche del paziente rendevano talmente complessa la comunicazione verbale e gestuale da ingenerare l’apparenza di una maggiore gravità del quadro psichico, rispetto alle effettive condizioni neurologiche dell’interessato.
La consulenza svolta nel giudizio di interdizione (conclusasi con l’inabilitazione del testatore) era di conforto riguardo alla prevalenza del disturbo motorio su quello psichico, rivelando che il deficit psichico pur indotto dalla patologia non aveva invalidato la capacità del de cuius, non evincibile con certezza neppure dall’eventuale espletamento di test diagnostici, incapacità che potevano al più risultare come possibile, o forse probabile esito delle malattie di cui soffriva il paziente, ma che certamente, per il periodo di interesse, non era stata accertata in base ad un solo elemento concreto.
3.2. Quanto all’onere della prova, deve pur sempre considerarsi che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, per cui spetta a chi impugna il testamento dimostrare la incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da una patologia totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (Cass. in. 3934/2018). In caso di infermità intermittente o ricorrente, allorché si alternino periodi di capacità e di incapacità, non opera alcuna presunzione e la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento (Cass. n. 25053/2018).
Nel caso concreto, il ricorrente assume – anzitutto – per certo un dato esplicitamente confutato dal giudice distrettuale, ossia che, al momento del testamento, lo stato della patologia da cui era certamente affetto Lu.Ca. fosse già gravissimo, risultandone totalmente inficiata la capacità intellettiva.
La sentenza ha motivatamente escluso che fossero già annullate le facoltà intellettive di Lu.Ca. prima o dopo la redazione della scheda, mancando le condizioni per esigere dai convenuti la prova dell’avvenuta stesura dell’atto in un intervallo di piena lucidità del disponente (Cass. 6236/1980; Cass. 26873/2019).
In ogni caso, il possesso delle facoltà mentali risulta positivamente riscontrato dal giudice senza far ricorso al criterio formale dell’onere della prova, il che esclude la violazione dell’art. 2697 c.c., che è invece invocabile solo ove il giudice abbia posto detto onere a carico di una parte che non ne era gravata in base alla scissione della fattispecie tra fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018) e comunque non per contestare il modo in cui siano stati valutati gli elementi istruttori.
La superfluità dei test neurologici appare giustificata dall’indisponibilità del paziente a sottoporvisi e, comunque, alla luce del quadro diagnostico complessivo (possesso delle facoltà mentali, sintomatologia di tipo motorio, non mentale, esito del giudizio di interdizione e dell’esame diretto).
Il giudice ha utilizzo indagini diagnostiche specifiche (c.t.u. Del Re), pur se non svolte mediante testi neurologici, giudicando superflui ulteriori approfondimenti mediante una terza c.t.u. per la ritenuta sufficienza degli elementi acquisiti rispetto alle conclusioni del perito penale, limitatosi ad un esame documentale, senza, peraltro, esprimersi per l’incapacità del testatore.
L’opportunità di rinnovare o integrare la consulenza, che è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti, è discrezionale; il mancato uso di tale potere non può essere censurato in sede di legittimità, specie quando, come nel caso in esame, gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite, ritenute esaurienti (Cass. 8200/1998; Cass. 10972/1994)>>.