Diffamzione negata nella lite Renzi c. RCS (Corriere della sera), direttore e articolista

Trib. Firenze n° 572/2023 del 27.02.2023, RG 8569/2020, rel. Zanda,  decide in modo sfavorevole a Matteo Renzi la lite da lui promossa contro i convenuti in oggetto per articolo sui soldi che egli avrebbe percepito dalla Fondazione Open di Carrai.

<<La domanda è risultata infondata.
Nell’articolo giornalistico del 4.12.2019 sotto il paragrafo “PRESTITI” viene riportato dal giornalista in modo fedele il contenuto del doc. 6 prodotto da parte convenuta, ovvero di quella segnalazione fatta dalla Guardia di Finanza alla Procura, sul giroconto disposto da Marco Carrai di euro 50.000,00 cui aveva fatto seguito poche settimane dopo, il bonifico a Matteo Renzi di un prestito infruttifero di euro 20.000,00.
L’articolo quindi rispetta il canone della verità in quanto l’articolo esprime esattamente il contenuto della nota informativa dell’ufficio di Intelligence finanziario.
La dicitura finale “regalo fatto a Renzi” non è diffamatoria perché nel titolo del paragrafo è chiaramente scritto “prestiti” ed in ogni caso un prestito infruttifero potrebbe essere ritenuto una forma di donazione per gli interessi mancati, interessi che normalmente si collegano ai prestiti, anche tra privati, per cui si ritiene che non risultino integrati gli elementi oggettivo e soggettivo della diffamazione aggravata.
Anche per quanto riguarda la prima e ultima parte dell’articolo non si rinviene alcuna notizia diffamatoria e falsa in danno dell’attore in quanto dagli atti penali è emerso che la Procura stava svolgendo all’epoca indagini sulla Fondazione Open, per l’ipotesi delittuosa di finanziamento illecito ai partiti; in particolare risultavano già emessi vari decreti di perquisizione sugli immobili dell’indagato rapp.te legale Open avv.to Alberto Bianchi di Pistoia, sulla base della ipotesi investigativa che la Fondazione Open fosse non già un organismo avente gli scopi dichiarati, ma fosse un’articolazione politica destinata a supportare la campagna politica di Renzi Matteo, sia per la sua attività di sindaco di Firenze che per quella successiva, compresa la campagna del SI referendario.
In particolare l’articolo giornalistico risulta recepire fedelmente il contenuto di alcuni atti di indagine di poco anteriori quali ad es. il decreto di perquisizione emesso in data 25.11.19 dalla Procura della Repubblica di Firenze, sullo studio e immobili dell’avv.to Bianchi (doc. 4 prodotto dai convenuti), dal quale si traggono tutte le notizie che il giornalista aveva riportato nel suo articolo senza falsificarne il contenuto, come infondatamente allegato da parte attrice.
Nello stesso doc. 4 a pag. 2 si rinviene anche la notizia che dagli atti di indagine era emerso, sempre dunque nella fase delle indagini preliminari e non a seguito di dibattimento penale, che la Fondazione Open rimborsava le spese dei parlamentari e metteva a loro disposizione carte di credito e bancomat; nel provvedimento sono indicate anche specificamente le segnalazioni della guardia di Finanza al riguardo.
Dunque, il giornalista ha fatto affidamento su una fonte particolarmente qualificata e non aveva alcun ulteriore onere di controllo>>.

<<D’altra parte il giornalista aveva giustificatamente ravvisato anche un interesse pubblico alla diffusione, perché il finanziamento di un partito, di una corrente partitica, o di un uomo politico, sono fatti di interesse pubblico, e ciò proprio per il controllo sociale e la trasparenza del funzionamento delle attività istituzionali democratiche.     Si ritiene poi che non sussista nemmeno quell’aspetto diffamatorio allegato dall’attore e connesso alla presunzione di innocenza, atteso che nell’articolo è chiaramente affermato che queste notizie non sono contenute in sentenze ma sono riferite agli sviluppi dell’indagine investigativa in corso, per cui il lettore è edotto del fatto che non c’è stata una sentenza di condanna dibattimentale; è poi da notare che in nessun punto dell’articolo Renzi Matteo viene rappresentato come soggetto imputato o indagato, ciò che non è stato nemmeno allegato>>

Precisazione del giudice: <<Sulla differenza tra Fonte-atti d’indagine e fonte-indiscrezioni su atti di indagine e comunque esimente in entrambi i casi si veda cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 39082 del 09/12/202>>

Diffamazione negata nella lite Osservatorio Giovani Editori – Ceccherini c. Repubblica e La Verità

Trib. Firenze sent. 617/2023 del 01 marzo 2023, rel. Zanda, Rg 2099/2019, rigetta la domanda risacitoria da diffamazione contro editore e giornalisti di Repubblica (articolista: Gatti) per un articolo di giornalismo investigativo ritenuto offensivo da Ceccherini , spt. circa l’inziativa “Il Quotidiano in Classe”.

<<È dunque di interesse collettivo sapere che dietro a questo progetto ci sono gli interessi dei grossi gruppi finanziari rappresentati dalle banche europee che hanno supportato il Ceccherini e la sua attività così delicata come quella mirata alle scuole e alla formazione scientifica economica dei ragazzi italiani; è di interesse collettivo conoscere anche la formazione pregressa di un uomo che pur senza titoli di studio particolari, si è rapportato correntemente con noti personaggi del mondo finanziario e della politica italiana, con cui viene ritratto nel pezzo, e ha mantenuto per 20 in piedi il suo progetto Quotidiano in Classe con l’indispensabile avallo della politica italiana; è di interesse pubblico conoscere le criticità sollevate nel brano, come ad esempio il fatto, non smentito in causa, che gli studenti che avevano letto i giornali proposti dal sig. Ceccherini come il Sole 24 ore, non potevano essere gli oltre due milioni millantati dal Ceccherini, dato che quel numero coincideva quasi col numero degli studenti totali; né il Ceccherini ha smentito che dopo l’inchiesta giornalistica quel numero è stato rettificato e dimezzato nei canali informativi di Andrea Ceccherini e del suo Osservatorio; tutto ciò diviene rilevante se si pensa che in quegli anni (2019) arrivavano a concludersi le indagini della Procura di Milano sui vertici del Sole 24 Ore e della Consob per aver amplificato in modo falso proprio i numeri delle vendite del giornale economico, mettendo a rischio l’affidamento dell’azionariato, ed era risultato che l’Osservatorio del Ceccherini era una delle agenzie di co-marketing del Sole 24 Ore>>.

<<Risultano quindi giustificati i dubbi e le perplessità mosse dal giornalista sul proseguire, nonostante questi risultati, dei finanziamenti e affidamenti da parte dei gruppi bancari e finanziari interessati e di società high tech, come Google che pacificamente ha collaborato pur dopo l’articolo assuntivamente diffamatorio, al recente nuovo progetto della lotta alla Fake News, fatto pacifico in causa ed evidenziato fondatamente da parte convenuta a supporto della sua eccezione di mancanza di lesività del fatto per cui è causa>>.

<<E’ evidente che trattandosi di temi così importanti e così delicati e di rilievo collettivo, il pezzo, non contestato specificamente nemmeno in questo giudizio per numeri e dati ivi riprodotti, attraverso, ad es. la produzione di documenti di segno contrario, era rilevante ed è stato pubblicato come inchiesta giornalistica del dott. Gatti per informare il pubblico sui gruppi economico finanziari anche internazionali e su politici di spicco che continuano a promuoverlo e a supportarlo nei progetti, sempre tesi alla formazione e informazione delle fasce giovani dei lettori italiani; appare dunque giustificata la critica del giornalista sul persistere dei suoi progetti per anni se non per decenni nonostante la perdita di interesse dei giovani lettori sul tipo di giornale economico proposto (il Sole 24 Ore), risultato anche coinvolto da inchieste Consob e penali.
In nessun punto del brano si dice che la colpa del crollo dei lettori sia da ascrivere al Ceccherini o all’Osservatorio, come infondatamente scritto dagli attori, e nemmeno viene scritto che il Ceccherini e l’Osservatorio siano iscritti nel registro indagati.
Il brano è stato dunque espressivo di inchiesta giornalistica e non si ritiene che abbia avuto carattere diffamatorio, né che abbia leso la reputazione degli attori; non contiene false notizie e quanto riportato è di indubbio interesse pubblico>>

Ricjhiama poi Cass. 16236/2010 sul bilanciamento e soprattutto Cass. ord. 4036 del 16.02.2021 sul difficile tema della liceità del giornalismo  di inchiesta.

Ma la parte più interssante è la condanna per abuso del processo ex art. 96.3 cpc ad euro 42.000 in totale (un mezzo al Gatti e l’altro da ripartire tra i restanti) così motivata:

<<Tutto ciò considerato, se ne ricava che l’odierna azione non mira a contrastare la diffusione di notizie false negative, ma mira solamente a censurare un giudizio critico e negativo espresso sull’agire degli attori, un agire che proprio perché riguardante le scuole pubbliche italiane e i personaggi pubblici promotori, riveste un’indubbia rilevanza pubblica; l’azione proposta contro i giornalisti, l’editore e il direttore di Repubblica è dunque risultata palesemente infondata e temeraria, come ripetutamente eccepito dai convenuti, ciò che determina l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c. con condanna dei convenuti al doppio delle spese legali a titolo di indennizzo per abuso del processo, trattandosi di un’azione che poteva essere evitata usando la normale diligenza;
inoltre si deve tener conto dell’eccessività della pretesa, tenuto conto che qualora la domanda fosse stata fondata, sarebbe spettato agli attori un importo massimo di euro 50 mila, e non le centinaia di migliaia di euro pretese in conclusioni, completamente al di fuori dei limiti del danno tabellato nelle tabelle milanesi; si pensi che per la morte di un figlio si giunge ad una liquidazione di circa 300 mila euro e per la diffamazione si prevede un massimo di 50 mila; quindi l’abuso dello strumento processuale viene in rilievo sia nell’an della domanda che nel quantum, assolutamente fuori tabella, (vd. Sez. 3 – , Ordinanza n. 26545 del 30/09/2021;cass.sez. U – , n. 25041 del 16/09/2021 “L’accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l’aver abusato dello strumento processuale” >>.

Uguale esito sempre in Trib. Firenze n° 588/2023 del 28.02.2023, RG 2442/2019, rel. sempre Zanda. Riguarda due articoli pretesamente diffamatori del medesimo soggetto comparsi su La Verità di Belpietro.

Anche qui però la domanda è respinta: sono espressione del diritto costituzionale di liberà di stampa.

Spese di lite aumetnte del 50 % (in totale euro 30.600,00) per la complessità delle difese e per il numero degli articoli pretesamente diffamatori (solo due, però!) che ha comportato appesantimento della causa

Il diritto di critica verso le sentenze può concretizzarsi in un giudizio anche molto negativo

Trib. Roma n° 347/2023 del 09.01.2023, RG 62688/2020, g.u. Bile, decide sulla domanda risarcitoria proposta da due giudici penali che in Cassazione nel 2013 confermarono l’appello di condanna di Berlusconi per reati fiscali.

Il Foglio di Ferrara , nell’ambito di una campagna organizzata dai mass media vicini a Berlusconi, pubblicava articoli assai critici dell’operato dei due magistrati.

Il Trib. Roma ora rigetta la loro domanda risarcitoria

Bisognerebbe ragionare sulle specifiche considerazioni di Ferrara per realmente  comprendere, ma non c’è  tempo: mi limito a riportar il proprium logico del Trib.

Distingue nettamente tra diritto di critica e diritto di cronaca, dicendo che la prima può essere anche di aperto dissenso, soprattutto se alta è la posizione dell’homo publicus criticato.

Ricorda poi la posizione dela Corte EDU sulla importnza di stampa libera in un regime democdatico

Infine ritiene che le espressioni di Ferrara costituiscano esercizio del diritto di critica:

<<Tali espressioni, pur caratterizzate da un tono polemico, non possono ritenersi ingiuriose. Esse prendono spunto da un fatto obiettivo, qual è la registrazione di una conversazione e non valicano mai il limite della continenza. Si tratta dell’espressione di un convincimento personale dell’autore basato su un’opinione, altrettanto personale, attinente alla attendibilità di quanto contenuto nelle richiamate registrazioni. Poiché sono le stesse dichiarazioni contenute nella registrazione che delineano una anomalia nella genesi della decisione, è chiaro che, nella non celata prospettiva di chi le ritiene attendibili, l’elaborazione di un pensiero critico e la manifestazione di un dissenso nei confronti di chi ha assunto quella decisione costituisce attività del tutto legittima.
A ciò si aggiunge che l’autore, pur non facendo mistero del proprio pensiero critico auspica una pubblica presa di posizione del Presidente Esposito là dove scrive: «Forse ha qualcosa in merito da dire, o qualche domanda a cui dovrebbe rispondere, il giudice che lo condannò nell’afa marcescente di un giorno d’agosto del 2013 e che è passato a nuova vita professionale di commentatore sulle colonne del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio». Tale passaggio è significativo perché evidenzia una volta di più il tratto critico dell’articolo con il quale l’autore, lo si ripete, ha chiaramente inteso manifestare un’idea personale e non un’oggettiva rappresentazione dei fatti. Tant’è che, sia pure in tono polemico, sollecita una replica>>.

Libertà di parola verso pubblico funzionario, titolare di account Twitter

Secondo la Eastern District Court del Missouri – easter division, 9 dicembre 2022, Case: 4:20-cv-00821-JAR, Felts v. Vollmer, l’account Twitter di unpubblico cuindionario è designated public forum e quindi la censura non è ammessa.

Per le osservazioni critiche ricevute, infatti, il funzionario aveva bloccato una cittadina.

In particolare il tweet e il suo contesto, § 10: << Plaintiff responded to Action St. Louis’ tweet stating: “What do you mean by ‘change the messaging around #CloseTheWorkhouse,’ @PresReed? #STLBOA #aldergeddon2019 #WokeVoterSTL. (Pltf.’s Ex. 27). The issue of closing the St. Louis Workhouse, a medium security institution and one of two jails in the City, was a subject of political debate in January 2019. Plaintiff was among those advocating for the Board of Aldermen to take action to close the Workhouse, as was Action St. Louis. (Trial Tr. at 69:15-25)>>.

E’ public forum , sempre che non sia account totalmente privato: <<“not every social media account operated by a public official is a government account,” and instructed that courts should look to “how the official describes and uses the account,” “to whom features of the account are made available,” and “how others … regard and treat the account.” Id>> , p. 14, dice la corte citando il noto precedente Knight First Amendment Inst. at Columbia Univ. v. Trump del 2019.

Il dettaglio sull’uso pubblico sta al §§ 37-40.

E’ rigettata l’allegazione del blocco per rischio di violenze, non riscontrato, § 45

Sintesi finale: <<At all relevant times, Reed was the final decisionmaker for communications, including the use of social media, for the Office of the President of the Board of Aldermen. At or near the time Plaintiff was initially blocked, Reed’s public Twitter account had evolved into a tool of governance. In any event, by the time the Account was embedded into the City’s website in April 2019, while Plaintiff remained blocked, the Account was being operated by Reed under color of law as an official governmental account. The continued blocking of Plaintiff based on the content of her tweet is impermissible viewpoint discrimination in violation of the First Amendment. Thus, Plaintiff is entitled to judgment in her favor on her remaining claim for declaratory relief. The Court will also award Plaintiff the sum of $1.00 in nominal damages for the constitutional violation >>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Altra conferma (d’appello) che Twitter non è “State actor”, per cui nei suoi confronti non opera la protezione costituzionale del diritto di parola

Altra conferma che le piattaforme digitali non sono State actors ai fini della protezione da Primo  Emendamento: così Appello del 9 circuito, Rutenberg. c. Twitter e Dorsey , 18 05.2022, D.C. No. 4:21-cv-00548-YGR.

Motivazione breve , che conferma il primo grado:

<< The district court properly dismissed Rutenberg’s First Amendment claim: She did not allege sufficient facts to infer that the defendants (collectively, “Twitter” or “the company”) engaged in state action when the company moderated or suspended the former President’s Twitter account. The First Amendment’s Free Speech Clause “prohibits the government—not a private party—from abridging speech.” Prager Univ. v. Google LLC, 951 F.3d 991, 996 (9th Cir. 2020) (citations omitted). Dismissal was proper because the complaint lacked “a cognizable legal theory” or “sufficient well-pleaded, nonconclusory factual allegation[s]” to state a  plausible claim for relief. Beckington v. Am. Airlines, Inc., 926 F.3d 595, 604 (9th Cir. 2019) (internal quotation marks and citations omitted).

Rutenberg offers insufficient facts to infer the “close nexus” between Twitter’s conduct on the one hand and the government on the other, which is required to find that Twitter’s conduct constituted state action. Brentwood Acad. v. Tenn. Secondary Sch. Athletic Ass’n, 531 U.S. 288, 295 (2001). To the contrary, Rutenberg acknowledges that Twitter exercised its own “discretion and authority” in moderating President Trump’s account, and that Twitter acted as President Trump’s “opponent” in doing so. Twitter was not a “willful participant” in any “joint activity” with the President, and its conduct was not state action. Lugar v.
Edmondson Oil Co., Inc.
, 457 U.S. 922, 941 (1982) (quoting United States v. Price, 383 U.S. 787, 794 (1966)). Rutenberg’s contention that Twitter “abused” a delegation of authority when it moderated President Trump’s account is of no moment. This “abuse of authority” doctrine “does not apply” where, as here, “the
challenged action is undertaken by a private party rather than a state official.”
Collins v. Womancare, 878 F.2d 1145, 1152 (9th Cir. 1989) (emphasis omitted) (citing Lugar, 457 U.S. at 940). Indeed, it would be “ironic” to conclude that Twitter’s imposition of sanctions against a public official—sanctions the official “steadfastly opposed”—is state action. Nat’l Collegiate Athletic Ass’n v. Tarkanian, 488 U.S. 179, 199 (1988). >>

E del resto non ci fu alcuna delega dal presidente Trump a Tw. (chissà cosa aveva allegato l’attrice!!): << Similarly, President Trump did not delegate a “public function” to Twitter within the meaning of Supreme Court and circuit precedent. Halleck, 139 S. Ct. at 1929. The relevant function here—moderating speech on the Twitter platform—is not “an activity that only governmental entities have traditionally performed.” Id. at 1930; see also id. (“[M]erely hosting speech by others is not a traditional, exclusive public function . . . .”); Prager Univ., 951 F.3d at 998 (moderation of content on video-streaming platform was not a “public function”) >>

Si noti che l’attrice si doleva della rimozione ingiustificata dell’account Tw. non proprio ma del presidente Trump.

(notizia  e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Altro rigetto di domanda per presunta violazione del Primo Emendamento a seguito di blocco di account Facebook e Twitter

Implacabile la giurisprudenza USA nel continuare ad affermare che la protezione costituzionale del diritto di parola è concessa solo verso lo Stato o organi pubblici,  non verso privati (quali sono i pur giganteschi social media).

Ora è la volta del Distretto Nord della California a firma del giudice Breyer con provv. 5 maggio 2022, Case 3:22-cv-00737-CRB , Hart. c. Facebook e altri , a seguito di blocco dell’account per ripetuta disinformazione soprattutto in tema di covid-19.

Misinformazione che violava i terms of service (Facebook:  forbade users from sharing “anything . . . [t]hat is unlawful, misleading, discriminatory, or fraudulent.”; Twitter: prohibits using “Twitter’s services to share false or misleading information about COVID-19 which may lead to harm.”).

In particolare sono rigettate le due modalità prospettate dall’attore, evidentemente per superare il dettato costituzionale e la sua interpretazione corrente. Infatti non ricorre nè la cd joint action (tra privato e potere pubblico; v. nota 4 << It is still more difficult to understand how general legislative debates, such as those surrounding Section 230, could provide a President with coercive power over a private company sufficient to confer state action>>) nè la government coercicion, pp. 9-15.

Allo scopo, l’attore aveva citato pure il presidente Biden e il responsabile sanitario Murphy in proprio.  In particolare aveva allegato che <<Biden and Murthy “directed” social media platforms to make four changes: (1) to “measure and publicly share the impact of misinformation on their platform”; (2) to “create a robust enforcement strategy that bridges their properties and provides transparency about the rules”; (3) to “take faster action against harmful posts” because “information travels quite quickly on social media platforms”; and (4) to “promote quality information in their feed algorithm.” Id. ¶¶ 14-17. Hart also alleges that Biden directed Murthy to create a 22-page advisory with “instructions on how social media companies should remove posts with which Murthy and Biden disagree.” Id. ¶ 18.  Finally, Hart alleges that Biden “threatened” social media companies who do not comply by “publicly shaming and humiliating them, stating, ‘They’re killing people”)>>.

Da noi per fortuna l’art. 2 Cost. si applica pacificamente pure verso i soggetti privati.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Il blocco dell’account Twitter per post ingannevoli o fuorvianti (misleading) è coperto dal safe harbour ex § 230 CDA

Il distretto nord della California con provv. 29.04.2022, No. C 21-09818 WHA, Berenson v. Twitter, decide la domanda giudiziale allegante un illegittimo blocco dell’account per post fuorvianti (misleading) dopo la nuova Twitter policy five-strike in tema di covid 19.

E la rigetta, riconoscendo il safe harbour ex § 230.c.2.a del CDA.

A nulla valgono le allegazioni attoree intorno alla mancanza di buona fede in Twitter: << With the exception of the claims for breach of contract and promissory estoppel, all claims in this action are barred by 47 U.S.C. Section 230(c)(2)(A), which provides, “No provider or user of an interactive computer service shall be held liable on account of — any action voluntarily taken in good faith to restrict access to or availability of material that the provider or user considers to be obscene, lewd, lascivious, filthy, excessively violent, harassing, or otherwise objectionable, whether or not such material is constitutionally protected.” For an internet platform like Twitter, Section 230 precludes liability for removing content and preventing content from being posted that the platform finds would cause its users harm, such as misinformation regarding COVID-19. Plaintiff’s allegations regarding the leadup to his account suspension do not provide a sufficient factual underpinning for his conclusion Twitter lacked good faith. Twitter constructed a robust five-strike COVID-19 misinformation policy and, even if it applied those strikes in error, that alone would not show bad faith. Rather, the allegations are consistent with Twitter’s good faith effort to respond to clearly objectionable content posted by users on its platform. See Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F.3d 1096, 1105 (9th Cir. 2009); Domen v. Vimeo, Inc., 433 F. Supp. 3d 592, 604 (S.D.N.Y. 2020) (Judge Stewart D. Aaron)>>.

Invece non  rientrano nella citata esimente (quindi la causa prosegue su quelle) le domande basate su violazione contrattuale e promissory estoppel.

La domanda basata sulla vioalzione del diritto di parola è pure respinta per il solito motivo della mancanza di state action, essendo Tw. un  ente privato: <<Aside from Section 230, plaintiff fails to even state a First Amendment claim. The free speech clause only prohibits government abridgement of speech — plaintiff concedes Twitter is a private company (Compl. ¶15). Manhattan Cmty. Access Corp. v. Halleck, 139 S. Ct. 1921, 1928 (2019). Twitter’s actions here, moreover, do not constitute state action under the joint action test because the combination of (1) the shift in Twitter’s enforcement position, and (2) general cajoling from various federal officials regarding misinformation on social media platforms do not plausibly assert Twitter conspired or was otherwise a willful participant in government action. See Heineke v. Santa Clara Univ., 965 F.3d 1009, 1014 (9th Cir. 2020).  For the same reasons, plaintiff has not alleged state action under the governmental nexus test either, which is generally subsumed by the joint action test. Naoko Ohno v. Yuko Yasuma, 723 F.3d 984, 995 n.13 (9th Cir. 2013). Twitter “may be a paradigmatic public square on the Internet, but it is not transformed into a state actor solely by providing a forum for speech.” Prager Univ. v. Google LLC, 951 F.3d 991, 997 (9th Cir. 2020) (cleaned up, quotation omitted). >>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric goldman)

Riprodurre giornalisticamente uno screenshot di articolo di giornale e di fotografia ivi presente può essere lecito per fair use?

Dice di si la corte di appello del 2 circuito 29.03.2022, Yang c. Mic Network, 20-4097-cv(L), confermando il primo grado: ricorrono infatti i requisiti previsti dal 17 U.S. Code § 107.

Fatto: < Stephen Yang sues Mic Network Inc. (“Mic”) for copyright infringement under 17 U.S.C. § 501. The copyright at issue protects a photograph of Dan Rochkind taken by Yang and licensed to the New York Post for its article Why I Won’t Date Hot Women Anymore. Yang alleges that Mic, without obtaining a license, used a digital screenshot of the Post article—including its headline and a
portion of the photograph of Rochkind—as the banner image of its article Twitter Is Skewering the ‘New York Post’ for a Piece on Why a Man ‘Won’t Date Hot Women’.
>

Il diritto azionato è dunque quello di autore su fotografia.

Da noi tale riproduzine si collocherebbe probabilmente tra il diritto di informazione e la satira

L’articolo dell’editore  Mic dovrebbe essere questo .

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman, ove pure riproduzione dello screenshot)

Post offensivi/osceni sui social e diritto di parola: protezione ridotta, se non assente

Il Tribunale del Colorado , 31.1.2022, Case 1:20-cv-01977-PAB-KMT, Sgaggio c. De Young e altri, decide sulla domanda presentata da un utente Facebook contro il Dipartimento di Polizia di Woodland Park , che lo aveva bannato dalla pagina Facebook del dipartimenot stesso per post ingiuriosi.

L’azione era basata sul Primo Emednamento (libertà di parola).

Si trattava dunque certo di State Actor.  Però i post erano offensivi o addirittura osceni: e per essi la tutela del Diritto di Parola è ridotta, se non assente.

I post erano: << a) He posted the link to the Woodland Park Video and stated, “You target sick kids to get your overtime pay.. [sic] That’s why you are a pig.”

b). He posted ,“Why did you punk ass pigs remove my post. This is a pubic [sic] forum. I’m going to sue the chief of police, the city of Woodland Park, and whatever punk ass bitch remove my post. Your actions are unconstitutional and violation of federal law 18 usc 241,242.. [sic] see you pigs in Federal court..”

c. He posted the link to the Woodland Park Video and stated, “You target sick children to Enrich [sic] officers [yellow police officer emoji] with overtime pay.. [sic] dirty ass cops.”


d. He stated, “Tyler Pope they violate the constitution daily. All too stupid to understand the oath they took. We the people will bring these terrorists into federal court.” (Ex. D, Pl. Dep. Ex. 12 at 1–2; Ex. E, Pl. Dep. at 106:3–6, 198:13–16.)>>

La corte rigetta appunto affermando la riduzione/assenza di protezione , quando ricorra obscenity, senza che ciò costituisca discriminazione: <<The restrictions on Plaintiff’s speech in this case do not run afoul of the First Amendment. He alleges that his freedom of speech was infringed because of the actions Defendant De Young and someone allegedly at the City took restricting his ability to post on certain Facebook pages after he used indecent and obscene language.

Plaintiff used the words “pig,” “terrorist,” “ass,” and “bitch” to refer to the police, and he baselessly and inaccurately accused the police of targeting sick children for personal profit.

The evidence indicates there were policies in place prohibiting the use of indecent and obscene language and that Plaintiff’s speech violated such policies. There is no genuine dispute of material fact that two other  individuals who also responded on the Police Department’s page with criticism of the warrant’s execution that were articulated with non-obscene language and, thus, not in violation of policy and did not have their posts removed.

Thus, the evidence clearly establishes that the restrictions  occurred solely because of Plaintiff’s indecent and obscenity language, not because Defendant De Young or the City were trying to censor Plaintiff’s posts about the warrant.>>

E poi: <<Plaintiff’s argument that these words are not obscene or indecent (Resp. at 6–7) goes against common sense. “Punk ass bitch” is not a literary turn of phrase. (Id. at 7.) Moreover, it is inaccurate to refer to the police as “terrorists” (id.), when there is no dispute that the execution of the search warrant was lawful. (Undisputed Facts, ¶ 1. ( ……)   Plaintiff’s argument that these words are not obscene or indecent (Resp. at 6–7) goes against common sense. “Punk ass bitch” is not a literary turn of phrase. (Id. at 7.)  Moreover, it is inaccurate to refer to the police as “terrorists” (id.), when there is no dispute that the execution of the search warrant was lawful. (Undisputed Facts, ¶ 1.>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Ancora (male) per la tesi delle piattaforme come State Actors: sul diritto di parola verso un ente privato

Dei soggetti/gruppi no-vax gestiscono account e canali su Facebook e su Youtube.

Secondo le rispettive policy , però, vengono chiusi, per i contenuti disinformativi in tema sanitario

Allora i titolari ricorrono azionando il dirito di parola che oin bnase al 1 emendamento della costituizione usa non è mai inibibile dallo Stato.

Le piattaforme però sono gestite da imprese private, non dallo Stato; e solo contro questo il primo emendamento è azionabile.

L’azione è per vero estesa anche verso soggetti diversi, quando però vi sia dietro sempre lo Stato. Ma non è il caso delle piattaforme.

Il distretto nord della california (31.01.2021, Case 4:20-cv-09456-JST,  Informed Consent Action Network and founder Del Bigtree (collectively “ICAN”) c. Youtue altri) conferma l’orietnamento di gran lunga prevalente secondo cui le piattaforme non costituiscono State Actors (anche se di dubbia esattezza rigettando una possibile interpretazione storco-teleologico-evolutiva della norma costituzionale).

Il concetto di state action è declinabile in quattro modi: <<The Ninth Circuit has “recognize[d] at least four different criteria, or tests, used to identify state action: (1) public function; (2) joint action; (3) government compulsion or coercion; and (4) governmental nexus.” Id. (internal quotation marks and citation omitted). The inquiry to determine whether a private entity is acting through the state is “necessarily factbound.”>>

Nessuno dei due azionati (sub 2 e sub 3) viene però ravvisato dal giudice.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)