E’ messa la parola fine alla lite intorno al diritto di intervenire sul software quando sia necessario per rimediare ad errori, <<anche quando la correzione consista nel disattivare una funzione che incide sul corretto funzionamento dell’applicazione di cui fa parte il programma stesso.>>
Dopo le conclusioni 10.03.21 dell’avvocato generale accennate in mio post, interviene la CG con sentenza 06.10.2021, C-13/20, Top System c. Stato belga.
La CG risponde positivamente al quesito del giudice belga: l’acquirente del software può decompilarlo quando necessario per rimediare ad errori e ciò anche si deve disattivarne un afunzione.
Interpretazione non molto difficile, peraltro: il concetto di <<correzione di errori>> (art. 5.1 dir. 1991 n. 250) porta tranquillamente a ciò.
Nè vi osta la disciplina sulla decompilazione ex art. 6 dir. cit., che si limita a regolarne un’ipotesi di liceità: non c’è alcun motivo per ritenerla l’unica (§§ 48-50). L’intepretazione complessiva degli artt. 5 e 6 lo conferma senza esitazione.
Ne segue che non ha alcuna base testuale nè logica pretendere per il caso di correzione degli errori i requisiti pretesi per la diversa ipotesi di decompilabilità ex citato art. 6.1 (§§ 68).
Tutto sommato decisione facile.
La CG accenna poi alla regolabilità contrattuale dell’evenienza di errori, § 66-67: non può portare all’esclusione totale del diritto di decompilazione. In altre parole questo è indisponibile, perchè posto da norma imperativa.
Infine sarà importante capire quando la decompilazione è realmente <necessaria> alla correzione.