Cass. 20.226 del 23.06.2022 , rel. Iofrida, giudica il se un cognome italiano su scarpe (o sul loro packaging?), ma realizzate in Cina (come attestato in piccolo all’interno), violi la disciplina del made inItaly posta dal c. 49 e 49 bis dell’art. 4, legge 350 / 2003.
C. 49: “costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari,…. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000“.
C. 49 : è reato <<l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine, costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.“. Si individua, in particolare, come falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” “su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine” e come “fallace indicazione” quella in cui, “anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci”, vi sia l’uso di segni, figure, o quant’altro che “possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49 bis>>
Ebbene per la SC nel caso speifico ricorre la violazione del c. 49 bis:
<<Ora, nella specie, l’etichetta apposta sui prodotti oggetto di contestazione raffigurava il marchio italiano, un segno patronimico evocante la realizzazione ad opera di persona determinata che si sia avvalsa del know-how italiano in un settore di tradizionale e di rinomata produzione, “(OMISSIS)” (registrato nel Regno Unito), e non recava alcuna ulteriore indicazione idonea – in modo univoco – ad esteriorizzare che le calzature erano state importate dalla Cina.
E l’indicazione “made in China” stampigliata all’interno della tomaia, con minore visibilità del solito, non poteva certamente qualificarsi come un riferimento evidente e visibile immediatamente e quindi chiaro ed esplicito dal quale desumere, senza equivoci, la provenienza estera della merce controllata.
Ne deriva che l’opposizione del marchio aziendale con nome e cognome italiani, registrato, sulle confezioni, in assenza di diversa indicazione di origine e provenienza estera (precisamente cinese), integrava la fattispecie contestata trattandosi di condotta idonea a trarre in inganno il consumatore circa l’esatta origine geografica del prodotto.
La condotta ascritta alla Domolux avrebbe dovuto essere legittimamente sussunta in quella descritta nelle disposizioni richiamate come “fallace indicazione di origine e provenienza” dei prodotti in discorso, dal momento che la riportata indicazione non consentiva – indiscutibilmente -di comprendere che i prodotti industriali erano stati importati dalla Cina, così essendo – senza alcun dubbio – in grado di indurre in errore la platea dei consumatori sulla effettiva origine dei prodotti (cfr. Cass. 20982/2019, in fattispecie di analoga opposizione a sanzione amministrativa).>>
Nulla da eccepire.