Purtroppo permane la bizzarria tutta italiana di omettere nelle decisioni su marchi (figurativi) la loro rappresentazione grafico, invece essenziale per capire la fattispecie concreta (nel caso de quo li ho individuati in rete).
Parliamo di Cass. 13.12.2021 n. 39.764, Permasteelisa c. Bluesteel, rel. U. Scotti, che contiene anche molti snodi processuali, assai rilevanti per il pratico (ricordo solo quello -condivisibilissimo- sulla non contestazione ex art. 115 cpc, spesso superficialmente applicata: l’istituto riguarda solo fatti storici, non affermazioni diverse come le difese, § 2.5: ne segue che la disposizione non si applica all’affermazione di rinomanza del marchio, fatta dall’attore)
Passando al merito , va rimarcata l’affermazine per cui la rinomanza non va provata con <<l’internazionalità e notorietà della sua azienda; fatturato annuo; utilizzo costante del marchio; estensione del marchio in ventuno Paesi) >>. Sono invece <<fattori essenziali il grado di conoscenza da parte del pubblico e semmai il volume di investimenti pubblicitari, quale fatto presuntiva mente capace di generare a sua volta una presunzione di conoscenza collettiva>, § 2.6.
Su marchio debole/forte al § 3.7: <<Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte.
La ratio evidentemente sottesa a tale principio vuol impedire che attraverso la privativa sul segno si venga a precostituire un monopolio sullo stesso prodotto o servizio contraddistinto.
Inoltre il grado di tutela accordata al marchio muta, in termini di intensità, a seconda della sua qualificazione di esso quale marchio “forte” (e cioè costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti e, quindi, senza capacità descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole” (ossia costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al prodotto contraddistinto).
La distinzione fra i due tipi di marchio, debole e forte, si riverbera poi sulla loro tutela di fronte alle varianti: nel senso che, per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario, per il marchio forte devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandolo in modo individualizzante.
Questi principi ispirano il costante orientamento di questa Corte in tema di marchi d’impresa, secondo cui la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14.5.2020, Rv. 657905 – 01; Sez. 1, n. 10205 del 11.4.2019, Rv. 653877 – 03; Sez. 1, n. 15927 del 18.6.2018, Rv. 649528 – 01; Sez. 1, n. 9769 del 19.4.2018, Rv. 648121 – 01; Sez. 1, Numero di raceolta gendale 39764/2021 Rv. 637809 – 01)>>.
Sul giudizio di confondibilità, si leggono affermazioni comunemente ricevute: <Ancora recentemente (Sez.6.1, n. 12566 del 12.5.2021) questa Corte ha riepilogato la propria giurisprudenza ferma nel ritenere che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Sez. 1, n. 8577 del 6.4.2018, Rv. 647769 – 01; Sez. 1, n. 1906 del 28.1.2010, Rv. 611399 – 01; Sez. 1, n. 6193 del 7.3.2008, Rv. 602620 – 01); tale accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Cass. 17.10.2018, n. 26001, attraverso il richiamo a Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006, Rv. 589976 – 01).
Il principio inoltre è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte Giust. CE 11.11.1997, C-251.95, Sabel, 22 e 23; Corte Giust. CE 22.6.1999, C-342.97, Lloyd, 25, la quale precisa, al punto 26, che, il consumatore medio di una data categoria di prodotti, per quanto sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria).>
Su marchi di insieme e marchio complesso: <<Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il marchio complesso consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile (Sez. 1, n. 12368 del 18.05.2018, Rv. 648933 – 01; Sez. 1, n. 12860 del 15.06.2005, Rv. 583122 – 01).
Il marchio d’insieme si distingue dal marchio complesso: mentre quest’ultimo è riconoscibile nel segno risultante da una composizione di più elementi ciascuno dotato di capacità caratterizzante, la cui forza distintiva è tuttavia affidata ad uno di essi costituente il c.d. cuore, assolutamente protetto per la sua originalità, nel marchio d’insieme, invece, si ha la mancanza di un elemento caratterizzante (il c.d. cuore), essendo i vari elementi tutti singolarmente mancanti di distintività, ed essendo soltanto la combinazione cui tali elementi danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo più o meno accentuato (Sez. 1, n. 7488 del 20.04.2004, Rv. 572177 – 01)>>, § 3.11.
Ancora, il giudizio sulla confondibilità è di merito, non censurabile presso la SC, § 3.12. Sul punto non concordo: i fatti riservati ai giudici di merito sono solo i fatti storici: quello di confondibilità tale non eè, dato che presuppne accertati i fatti storici ed è un giudizio di diritto.
Principio di diritto : “In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti – apprezzamento che costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici – non deve essere compiuto in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro; il predetto giudizio deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore“.