E’ giunta a conclusione la vertenza europea relativa al marchio «Fack Ju Göhte». Tale segno peraltro è pure il titolo di una commedia cinematografica tedesca prodotta dalla ricorrente, che ha rappresentato uno dei maggiori successi cinematografici del 2013 in Germania. Due sequel di questa commedia cinematografica sono stati prodotti dalla ricorrente, che sono usciti nelle sale con i titoli «Fack Ju Göhte 2» e «Fack Ju Göhte 3» rispettivamente nel 2015 e nel 2017 (§ 9)
La sentenza è quella della Corte di Giustizia (di seguito solo CG) 27 febbraio 2020, C-240/18, Constantin Film Produktion GmbH c. EUIPO (di seguito : l’ufficio).
La sentenza è stata preceduta dalle articolate conclusioni dell’avvocato generale Bobek 02.07.2019, sostanzialmente seguite dalla CG. Ne avevo riferito qui .
La lite è governata ratione temporis dal reg. 207/2009 (par 2). La norma che governa la fattispecie è l’articolo 7.1.f , secondo cui sono esclusi dalla registrazione di Marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume.
La società produttrice cinematografica (Constantin Film) presentava domanda di registrazione del marchio denominativo sopra indicato per svariate classi merceologiche, tra cui sostanze per bucato, supporti di dati registrati, dati audio video testi gioielleria eccetera
L’esaminatore respingeva la domanda per violazione appunto del predetto articolo 7.1.f in combinato disposto col seg. paragrafo 2, secondo cui <<Il paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità.>>
La Constantin Film presentava ricorso che veniva però respinto.
Nè aveva miglior sorte la fase giudiziale presso il Tribunale; a Constantin Film non rimaveva che adire la CG, ciò che fece.
Il caso è interessante perché Constantine adduce non solo la violazione del citato articolo 7.1.f , ma anche la violazione del principio sia di parità di trattamento che della certezza del diritto e di buona amministrazione. Tuttavia, essendo accolto il primo motivo, gli altri sono dalla CG considerati assorbiti e non esaminati, § 57. Erano stati invece esaminati dall’Avvocato Generale ai §§ 99 ss.
Il primo motivo (violazione dell’articolo 71.f) si articola in quattro parti, § 21 seguenti
La Corte ricorda che il motivo della rigetto della registrazione atteneva alla violazione divieto di registrare marchi contrari al buon costume, non all’ordine pubblico, par 38
Bisogna quindi indagare come vada inteso il concetto normativo di <ordine pubblico> e quello di <contrarietà all’ordine pubblico>
La risposta si trova i paragrafi 41- 42- 43.
Per ravvisare tale concetto, <<non è sufficiente che il segno in questione sia considerato di cattivo gusto. Al momento dell’esame quest’ultimo deve essere percepito dal pubblico di riferimento come contrastante con i valori e con le norme morali fondamentali della società, così come esistenti in quel momento.>>, par 41.
Bisogna a tale scopo basarsi <<sulla percezione di un soggetto ragionevole che abbia soglie medie di sensibilità e di tolleranza, tenendo conto del contesto in cui è possibile venire a contatto con il marchio e, se del caso, delle circostanze peculiari della parte dell’Unione interessata. A tal fine, sono pertinenti elementi quali i testi legislativi e le prassi amministrative, l’opinione pubblica e, eventualmente, il modo in cui il pubblico di riferimento ha reagito in passato a questo segno o a segni simili, nonché qualsiasi altro elemento che possa consentire di valutare la percezione del pubblico stesso.>>, par 42.
Questo esame non può limitarsi <<ad una valutazione astratta del marchio richiesto, o di alcuni suoi componenti, ma va accertato, in particolare qualora il richiedente abbia fatto valere elementi tali da far sorgere dubbi sul fatto che tale marchio sia percepito dal pubblico di riferimento come contrario al buon costume, che l’utilizzo del marchio stesso, nel contesto sociale concreto e attuale, sarebbe effettivamente percepito da tale pubblico come contrario ai valori e alle norme morali fondamentali della società.>>, par 43.
Questi i principi teorici, che vanno applicati al caso sub iudice
Il contesto di percezione da parte del pubblica è analiticamente allegato e provato in causa e ricordato dalla CG , la quale censura sul punto il Tribunale per non averlo considerato:<<52…. tra questi elementi [di contesto] figurano 1° il grande successo della citata commedia omonima presso il grande pubblico germanofono e 2° il fatto che il suo titolo non sembra aver dato adito a controversie, 3° il fatto che sia stato autorizzato l’accesso alla commedia stessa da parte del pubblico giovane e 4° che il Goethe Institut, che è l’istituto culturale della Repubblica federale di Germania, attivo a livello mondiale e che ha tra i suoi compiti quello di promuovere la conoscenza della lingua tedesca, ne faccia uso a fini pedagogici [numeri in rosso da me aggiunti]. 53 Poiché tali elementi sono, a priori, idonei a costituire un indizio del fatto che, nonostante l’assimilazione della prima parte del marchio richiesto all’espressione inglese «Fuck you», il grande pubblico germanofono non percepisce il segno denominativo «Fack Ju Göhte» come moralmente inaccettabile, il Tribunale, per dichiarare tale segno incompatibile con il buon costume, non poteva basarsi esclusivamente sul carattere intrinsecamente volgare di quell’espressione inglese senza esaminare i citati elementi e senza esporre in termini concludenti le ragioni per cui ritiene, ciononostante, che il grande pubblico germanofono percepisca quel segno come contrario ai valori e alle norme morali fondamentali della società nel momento in cui esso viene utilizzato come marchio.>>, §§ 52-53 (numeri in rosso da me aggiunti).
La CG censura poi l’affermazione, per cui la libertà di espressione è diritto antagonista solo del diritto di autore, non di quello di marchio: <<infine, si deve aggiungere che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale al punto 29 della sentenza impugnata, vale a dire che «nel settore dell’arte, della cultura e della letteratura esiste una costante preoccupazione di preservare la libertà di espressione che non esiste nel settore dei marchi», la libertà di espressione, sancita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere tenuta in considerazione, come riconosciuto dall’EUIPO in udienza e come esposto dall’avvocato generale ai paragrafi da 47 a 57 delle sue conclusioni, in sede di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009. Tale conclusione è inoltre corroborata sia dal considerando 21 del regolamento n. 2015/2424, che ha modificato il regolamento n. 207/2009, sia dal considerando 21 del regolamento n. 2017/1001, che sottolineano espressamente la necessità di applicare tali regolamenti in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione>> (precisamente l’ultima parte dei citt. cons. 21 dice: <<Inoltre, il presente regolamento dovrebbe essere applicato in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione>>)
La CG annulla dunque la sentenza del Tribunale , § 58, e passa a decidere la lite nel merito , §§ 59-60. La CG lo fa applicando naturalmente i principi sopra esposti in linea astratta.
Afferma dunque che, sebbene il successo di un film non dimostri automaticamente l’accettazione sociale del suo titolo e di un segno denominativo omonimo, esso però <<rappresenta quantomeno un indizio di una siffatta accettazione, che si dovrà valutare alla luce di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, al fine di dimostrare in termini concreti la percezione di tale segno in caso di un suo utilizzo come marchio>>, § 66.
Ed allora scendendo nei fatti, la CG ricorda che << 1° le commedie Fack ju Göhte e Fack ju Göhte 2, che peraltro hanno avuto un sequel nel 2017, hanno avuto, proprio presso il pubblico di riferimento, un successo tale che la commissione di ricorso ha addirittura ritenuto di poter presumere che i consumatori facenti parte di quel pubblico abbiano almeno già sentito parlare di quelle commedie, ma, oltretutto e nonostante la forte visibilità che ha accompagnato tale successo, 2° il titolo delle stesse non sembra aver suscitato alcuna controversia in seno al pubblico medesimo. Peraltro, 3° l’accesso del pubblico giovane a tali commedie, che si svolgono in ambiente scolastico, era stato autorizzato con il titolo citato e, come risulta dal punto 39 della decisione controversa, 4° esse hanno ricevuto fondi da varie organizzazioni e sono state utilizzate dal Goethe Institut a fini pedagogici>>, § 67 (numeri in rosso da me aggiunti).
Il che significa che, <<nonostante l’assimilazione dei termini «Fack ju» all’espressione inglese «Fuck you», il titolo delle commedie citate non è stato percepito come moralmente inaccettabile dal grande pubblico germanofono. A questo proposito va inoltre rilevato che la percezione della citata espressione inglese da parte del pubblico germanofono, ancorché ben nota a quel pubblico, che ne conosce il significato, non è necessariamente identica alla percezione che ne ha il pubblico anglofono, poiché la sensibilità nella lingua madre è potenzialmente maggiore rispetto a quanto avviene in una lingua straniera. Per questo stesso motivo, il pubblico germanofono non percepisce neppure, necessariamente, la citata espressione inglese allo stesso modo in cui ne percepirebbe la traduzione in tedesco. Inoltre, il titolo delle commedie in questione e, quindi, il marchio richiesto non consistono in tale espressione inglese di per se stessa, bensì nella sua trascrizione fonetica in lingua tedesca, accompagnata dall’elemento «Göhte»>>, § 68.
In sintesi, visto che , nonostante i fatti non facciano presumere una percezione nel pubblico del segno contestato come contrario al buon costume, non è stata fornita prova contraria, bisogna dire che l’ufficio non ha adeguatamene motivato l’applicazione del divieto invocato.
Pertanto la sua decisione va annullata, § 71.