Interessanti precisazioni della SC circa la rilevanza della durata del matrimonio al fine di determinare l’assegno di mantenimento (Cass. sez. I del 24 luglio 2023 n. 22.021, rel. Campese:
Premessa generale:
<< 1.1. Il suo articolato contenuto, peraltro, rende opportuno anteporre al relativo scrutinio alcune considerazioni di carattere generale, ricavate dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 32914 del 2022 (richiamata, in parte qua, nella più recente Cass. n. 8764 del 2023), circa gli effetti della separazione e del divorzio (e della crisi del rapporto di coppia, avuto riguardo alle unioni civili) sui rapporti patrimoniali fra i coniugi,
1.2. E’ stato ivi osservato, tra l’altro, che “La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significati mutamenti: a) il coniuge cui non è stata addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 c.p.c.; b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde, invece, il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno. (…). Invece, l’assegno divorzile, del tutto autonomo rispetto a quello di mantenimento concesso al coniuge separato, a seguito della riforma introdotta nel 1987, e dell’intervento chiarificatore da ultimo espresso da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 18287/2018, ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o, meglio, perequativo compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico), nel senso che i criteri previsti dall’art. 5 l. div. (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an della concessione sia al fine di determinare il quantum dell’assegno. Si è quindi evidenziato (Cass. SS.UU. n. 18287/2018) che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile – al pari dell’assegno di mantenimento in sede di separazione -, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. In sostanza, in presenza di uno squilibrio economico tra le parti, patrimoniale e reddituale, occorrerà verificare se esso, in termini di correlazione causale, sia, o meno, il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi. (…). In ogni caso, l’assegno divorzile cesserà con le nuove nozze dell’avente diritto (art. 5, comma 10), mentre, nell’ipotesi di instaurazione di una stabile convivenza di fatto con un terzo, viene caducata, alla luce di quanto affermato da queste Sezioni Unite nella recente sentenza n. 32198/2021, la sola componente assistenziale dello stesso, potendo essere mantenuto il diritto al riconoscimento di un assegno a carico dell’ex coniuge economicamente più debole, in funzione esclusivamente perequativa-compensativa. (…). Sia l’assegno di mantenimento sia quello divorzile possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza. Quanto all’assegno divorzile, se la necessità di un assegno si manifesti dopo il passaggio in giudicato della statuizione attributiva del nuovo status, esso verrà liquidato in separato giudizio, restando ferma la possibilità di avanzare la domanda successivamente alla sentenza di divorzio, anche in difetto di pregressa domanda giudiziale (Cass. n. 2198/2003, ove si è chiarito che il deterioramento delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, che consente il riconoscimento dell’assegno, può verificarsi anche dopo il divorzio, proprio perché trova fondamento nel dovere di assistenza, e non nel nesso di causalità o di concomitanza tra divorzio e deterioramento delle condizioni di vita). Ove si verifichino mutamenti di circostanza, così da richiedere una modifica dell’assegno, la pronuncia potrebbe far retroagire tale aumento dal momento (successivo alla domanda) del mutamento di circostanza o addirittura disporlo a far data dalla decisione (cfr., sul punto, Cass. 15 marzo 1986, n. 3202)”.
1.3. Esigenze di completezza, infine, impongono di rimarcare che l’indirizzo interpretativo inaugurato dalla già descritta decisione resa da Cass., SU, n. 18287 del 2018, è stato successivamente seguito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 1882 del 2019; Cass. n. 21234 del 2019; Cass. n. 5603 del 2020; Cass. n. 4215 del 2021; Cass. n. 23977 del 2022; Cass., SU, n. 32914 del 2022; Cass. n. 1996 del 2023; Cass. n. 2669 del 2023; Cass. n. 5395 del 2023; Cass. n. 8764 del 2023; Cass. n. 9104 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass., n. 11832 del 2023; Cass. n. 12708 del 2023; Cass. n. 13224 del 2023), la quale, peraltro, ha opinato pure che “Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente” (cfr. Cass. n. 29920 del 2022, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 23583 del 2022; Cass. n. 38362 del 2021). Significativa, infine, è anche la più recente Cass. n. 5395 del 2023, la quale ha ritenuto (cfr. in motivazione) che “la valutazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e in questo senso alla formazione del patrimonio comune non può andar disgiunta dalla considerazione del patrimonio (oltre che del reddito) personale di ciascuno degli ex coniugi, della durata del matrimonio e dell’età del coniuge economicamente più debole. La funzione perequativo-compensativa resta identificabile anche in rapporto alla condizione economica del coniuge più debole siccome conseguente alle scelte familiari”>>.
Andando poi al punto specifico:
<<1.4. Alla stregua di quanto fin qui riferito, allora, la doglianza in esame si rivela infondata.
1.4.1. Invero, pur dandosi atto della situazione di squilibrio economico, reddituale e patrimoniale tra gli ex coniugi, come dedotta dalla D.S., tanto non e’, di per sé, sufficiente a giustificare il riconoscimento dell’assegno ancora oggi invocato da quest’ultima, atteso che, come si è già ampiamente esposto, in presenza del suddetto squilibrio, occorre verificare: i) se esso, in termini di correlazione causale, sia, o meno, il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato anche il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi; ii) la impossibilità, per la odierna ricorrente, per ragioni oggettive, di procurarsi mezzi di sostentamento adeguati. Il tutto, peraltro, tenendo conto che, come puntualizzato dalla già più volte citata Cass., SU, n. 18287 del 2018, i criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an del riconoscimento dell’assegno de quo, sia per determinarne il quantum.
1.4.2. In quest’ottica, allora, viene immediatamente in rilievo che, come può agevolmente desumersi dalla sentenza oggi impugnata, oltre che da quanto riferito dalla stessa ricorrente, il matrimonio di quest’ultima con il B., contratto il (Omissis) (allorquando ella aveva circa trenta anni, a fronte dei cinquantotto del marito), era naufragato pressoché subito, se solo si pensi al fatto che già il successivo 7 luglio 2010 (poco meno di tre mesi dopo detta celebrazione) il B. aveva intrapreso il giudizio di separazione personale nei confronti della moglie, solo nel corso del quale era nata (il (Omissis)), la loro figlia E..
1.4.3. Per stessa ammissione della D.S., inoltre, le condizioni patrimoniali e reddituali dei due coniugi, già al momento del matrimonio, erano totalmente squilibrate in favore del B., titolare di una migliore situazione patrimoniale rispetto alla prima, giovane cittadina brasiliana, priva di cespiti patrimoniali, mobiliari o immobiliari.
1.4.4. Già solo per questo, allora, si rivela del tutto ragionevole la conclusione per cui lo squilibrio suddetto, in termini di correlazione causale, non poteva sicuramente ricondursi, stante la descritta, brevissima durata del matrimonio, a scelte comuni di conduzione della vita familiare, eventualmente comportanti anche il sacrificio di aspettative lavorative e professionali (nemmeno concretamente allegate, ancor prima che dimostrate) della D.S., evidentemente derivando esso esclusivamente dalle rispettive condizioni dei coniugi anteriori al matrimonio stesso.
1.4.5. Proprio la durata assolutamente esigua di quest’ultimo permette, altrettanto ragionevolmente, di escludere qualsivoglia significativo rilievo alla tipologia di vita concretamente svolta, in quel brevissimo lasso di tempo, dai coniugi (ove anche si volesse valorizzare l’art. 143, ultimo comma, c.c., che impone di tenere conto anche del lavoro casalingo quanto alle modalità di contribuzione ai bisogni della famiglia, e non solo dei soli suoi aspetti patrimoniali), come pure consente di negare un’effettiva sua incidenza con riguardo, da un lato, ad un eventuale incremento della complessiva situazione economica del B. e, dall’altro, ad un ipotetico mancato miglioramento (o addirittura ad un peggioramento) di quella della D.S.. In altri termini, l’estrema brevità della loro relazione non permette di affermare che vi sia stata conduzione di vita familiare e rende non valutabili eventuali scelte medio tempore effettuate, altresì ricordandosi che lo squilibrio patrimoniale costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.
1.4.6. Va rimarcato, inoltre, che l’appellante nemmeno ha fornito adeguata dimostrazione circa la reale impossibilità, per ragioni oggettive (tale non potendosi intendere la mera, lamentata difficoltà a trovare una occupazione, cui era finalizzata la prova testimoniale invocata in sede di gravame), malgrado la sua ancora giovane età (trent’anni, al momento dell’inizio del giudizio di separazione; trentacinque, al momento della instaurazione del giudizio di divorzio) e l’assenza di patologie incidenti negativamente sulla sua capacità lavorativa.
1.5. In definitiva, come si legge in Cass. n. 13224 del 2023, “la corte di appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi” (l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale. Cfr. Cass., n. 38362 del 2021).
1.5.1. Ne consegue che, nella specie, alla stregua di tutto quanto si è detto circa la brevissima durata che ha caratterizzato il matrimonio tra la D.S. ed il B., le cui rispettive, reciproche condizioni patrimoniali erano pacificamente squilibrate, in favore di quest’ultimo, già prima del matrimonio stesso (senza significativi mutamenti nel corso del medesimo), la conclusione negativa della corte distrettuale quanto al riconoscimento, in favore della D.S. dell’invocato assegno divorzile si rivela assolutamente coerente con quanto ormai sancito dalla qui giurisprudenza di legittimità formatasi successivamente al descritto intervento delle Sezioni Unite del 2018 e, come tale, immune dalle censure ad essa ascritte dalla doglianza in esame.
1.6. Resta solo da dire che la ricorrente dovrà cercare di far fronte alla dedotta sua difficile situazione dovuta al non aver reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, la remuneri in misura tale da assicurarle una vita dignitosa, attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito>>.