Mora dell’assicuraizone, mala gestio della medesima e superaamenot del massimale assicurativo

Dalla sempre ottima penna del Cons. Rossetti (mirabile per chiarezza e sintesi) esce un utile ripasso sull’oggetto (Cass. sez. III, ord. 19/11/2024, n.29.791, rel. Rossetti):

<<1.5. La mora debendi dell’assicuratore della r.c.a. nei confronti del terzo danneggiato è spesso designata nella prassi forense e giudiziaria “mala gestio impropria”: ma deve essere ben chiaro che questa espressione è puramente convenzionale e, essa sì, “impropria”.

Infatti una “cattiva gestione” degli interessi altrui è concepibile unicamente nel rapporto tra assicurato ed assicuratore. Solo nell’ambito di questo rapporto è ipotizzabile una condotta colposa consistente nella malaccorta gestione degli interessi altrui.

Per questa ragione nel rapporto tra assicurato ed assicuratore mora e mala gestio sono concetti non coincidenti: la mora è l’effetto dell’inadempimento d’una obbligazione di dare; la mala gestio è invece l’inadempimento di una obbligazione di fare (la cura degli interessi dell’assicurato). L’assicuratore che incorra nella mala gestio degli interessi dell’assicurato potrà essere tenuto al pagamento di somme eccedenti il massimale non solo a titolo di interessi, ma anche a titolo di capitale (l’esempio di scuola è quello dell’assicuratore che, rifiutando per colpa una vantaggiosa proposta transattiva avanzata dal danneggiato e contenuta nei limiti del massimale, finisca per lasciare l’assicurato, all’esito del giudizio, esposto alla pretesa del danneggiato per l’eccedenza del credito risarcitorio rispetto al limite del massimale).

1.6. Nel rapporto tra assicuratore della r.c.a. e danneggiato (e lo stesso ovviamente dicasi quanto al rapporto tra danneggiato ed impresa designata), per contro, l’assicuratore assume la veste di debitore, non di mandatario o gestore di affari.

In relazione a questo rapporto giuridico non è quindi concepibile nessuna distinzione tra “mora” e “mala gestio”. Anzi, non è nemmeno concepibile una “mala gestio”. Se l’assicuratore della r.c.a. non rispetta il termine di legge per adempiere la propria obbligazione (art. 148 cod. ass.) si dirà che è un debitore in mora, come si direbbe di qualsiasi altro debitore, e non certo che ha “malamente gestito” gli interessi della vittima.

Pertanto la mora dell’assicuratore nell’ambito di tale rapporto non produrrà altre conseguenze che quelle di cui all’art. 1224 c.c.: e cioè l’obbligo di pagamento di somme eccedenti il massimale a titolo di interessi o maggior danno ex art. 1224 c.c. (principio, quest’ultimo, che questa Corte viene ripetendo ormai da vent’anni: così già, con grande chiarezza, Sez. 3, Sentenza n. 10725 del 08/07/2003, nella cui motivazione si afferma che la responsabilità dell’assicuratore in mora nei confronti del danneggiato “ritrae disciplina e contenuto dall’art. 1224 cod. civ., perché è obbligazione da ritardo nell’adempimento di una obbligazione pecuniaria; e dunque, da un lato, trova il suo unico presupposto nella mora; dall’altro richiede la prova, quanto al danno, solo per la parte che eccede gli interessi di mora”, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c.; da ultimo, in tal senso, Sez. 6-3, Ordinanza n. 8676 del 17.3.2022).

1.7. La conseguenza di quanto esposto è che il terzo danneggiato il quale intenda ottenere la condanna dell’assicuratore al pagamento del danno da mora (art. 1224 c.c.) non ha da formulare altra domanda che quella di pagamento degli interessi (Sez. 3, Ordinanza n. 8374 del 28/03/2024).

1.8. Detto dell’onere della domanda, veniamo al contenuto dell’obbligazione dell’assicuratore.

Se l’assicuratore è in mora (ed è in mora dallo spirare dello spatium deliberandi di cui all’art. 148 cod. ass.), è irrilevante che la sua condanna al pagamento degli interessi superi il massimale.

Infatti quando l’assicuratore della r.c.a. sia tenuto al risarcimento d’un danno che in conto capitale ecceda il massimale, e non adempia nei termini di legge, non può più pretendere che le conseguenze della sua mora restino contenute nel limite del massimale. Quel limite concerne una garanzia per fatto altrui, e cioè il risarcimento del danno causato dall’assicurato. Ma se l’assicuratore della r.c.a. debba versare alla vittima l’intero massimale e non lo faccia nei termini di legge, tale ritardo sarà imputabile a lui, non al fatto dell’assicurato.

Pertanto in virtù del principio di autoresponsabilità (per effetto del quale ciascuno deve sopportare le conseguenze giuridiche delle proprie azioni od omissioni) l’assicuratore in mora nel pagamento dell’intero massimale sarà tenuto a sopportare gli effetti della mora stessa senza limiti di sorta. In questo caso le conseguenze della mora scaturiscono dall’inadempimento dell’assicuratore, e non dall’illecito dell’assicurato (ex permultis, Sez. 3-, Sentenza n. 22054 del 22/09/2017, Rv. 646015-01; Sez. L, Sentenza 2525 del 06/03/1998, Rv. 513435-01; ma il principio è pacifico e risalente: così già Sez. 1, Sentenza n. 6356 del 09/12/1980, Rv. 410099-01)>>.

Sintetizza così la SC:

<<1.9. Conclusivamente:

a) la condanna dell’assicuratore ultramassimale non esige formule sacramentali da parte dell’attore; basta la domanda di condanna al pagamento degli interessi;

b) il massimale segna il limite dell’obbligazione dell’assicuratore quanto al capitale; quanto alla mora, invece, l’assicuratore è un debitore come tutti gli altri, e se ritarda il pagamento della propria obbligazione sarà tenuto a versare al creditore anche gli interessi compensativi;

c) se si seguisse il non condivisibile principio applicato dalla Corte d’Appello si perverrebbe al seguente paradosso: che in tutti i casi in cui il danno eguagli o superi il massimale, un assicuratore potrebbe ritardare per anni l’adempimento, senza andare incontro agli effetti della mora>>.