Ripasso sulla causalità nella responsabilità medica penale

Sta nel § 3 di Cass. pen. sez. IV 2 dicembre 2024 n. 45.399, rel. Ranaldi:

<<È noto l’approdo della giurisprudenza assolutamente dominante, secondo cui è “causa” di un evento quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa).

Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale (“contro i fatti”), che è l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell’imputato non costituisce causa dell’evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica. Naturalmente esso, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Sez. 4, n. 416 del 12/11/2021 – dep. 2022, Rv. 282559 – 01; Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013, Rv. 256941 – 01). Per effettuare il giudizio controfattuale è, quindi, necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall’agente, l’evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato (Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012, Rv. 255008 – 01). In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito (Sez. 4, n. 26568 dei 15/03/2019, Rv. 276340 – 01).

L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto (Sez. 4, n. 25233 del 25/05/2005, Rv. 232013 – 01).

Le Sezioni Unite , con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno enucleato, per quanto attiene alla responsabilità professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, i seguenti principi di diritto: il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese). Ne deriva che, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Rv. 262239 – 01). Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato’ ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa (Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Rv. 256338 – 01).

Si tratta di insegnamento ribadito dalle Sezioni Unite, che si sono nuovamente soffermate sulle questioni riguardanti l’accertamento della causalità omissiva e sui limiti che incontra il sindacato di legittimità, nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, Rv. 261106 – 01). Nella sentenza ora richiamata, le Sezioni Unite hanno sviluppato il modello epistemologico già indicato nella citata pronunzia del 2002 – che delinea un modello dell’indagine causale capace di integrare l’ipotesi esplicativa delle serie causali degli accadimenti e la concreta caratterizzazione del fatto storico – ribadendo che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento dì deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. In particolare, si è sottolineato che, nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta>>.

Applicazione al caso sub iudice:

<<4. Nel caso di specie, il giudice a quo non ha fatto buon governo dei principi appena delineati.

La decisione della Corte distrettuale si fonda sulla considerazione secondo cui, in esito alla disposta perizia medico-legale, la “causa” della morte della persona . offesa sia da ricondursi ad una condizione di shock settico in paziente affetta da colite pseudomembranosa fulminante con segni di megacolon tossico. Gli stessi giudici osservano che, a detta dei periti, tale patologia si palesa raramente nei giovani (la persona offesa, al momento del decesso, aveva 26 anni) e nel caso essa era “esordita in forma subacuta e di difficile diagnosi e gestione”. La Corte territoriale riconosce che non siano state chiarite con certezza le cause determinanti l’esordio e l’evoluzione di tale patologia, che solitamente (ma non sempre) si sviluppa per infezione batterica da “Clostridrium Difficile”, agente patogeno a sua volta difficile (come indicato dallo stesso nome) da diagnosticare (almeno all’epoca dei fatti). Tuttavia, i giudicanti, affidandosi alla valutazione dei periti, affermano che non sarebbero “decisive le circostanze di non aver trovato il Clostridium Diffìcile nei reperti istologici cui ricondurre in termini di certezza la colite pseudomembranosa né di non aver chiaramente inserito nei formulare ta diagnosi differenziale la ricerca dei Clostridium Difficile, ma l’omissione di ogni tipo di indagine indotta dalla constatazione dei sintomi manifestati da Da.Ka. con l’avvio di un percorso diagnostico che avrebbe consentito di individuare mediante successivi approfondimenti la causa della malattia, poi conclamata nella colite pseudomembranosa che ha portato la giovane alla morte”.

5. Si tratta di argomentazioni palesemente illogiche e non rispettose dei principi dianzi richiamati, che devono sempre informare l’accertamento del nesso causale tra la condotta ascritta ai sanitari ed il decesso della paziente, nel caso sostanzialmente basato su un giudizio ipotetico privo di adeguato supporto indiziario quanto al fattore scatenante e all’evoluzione che ha determinato la patologia fulminante da cui è derivato l’evento letale che gli imputati – secondo i giudici di merito – avrebbero dovuto e potuto evitare.

Sotto questo profilo, appaiono fondati i rilievi difensivi nella misura in cui constatano l’assenza di un solido e chiaro giudizio esplicativo in ordine alle cause di insorgenza e sviluppo della malattia, idoneo a supportare una adeguata valutazione di sussistenza del nesso causale fra le contestate condotte omissive e l’evento morte.

6. Le motivazioni della sentenza impugnata, in definitiva, non chiariscono in che modo gli imputati avrebbero dovuto e potuto evitare l’evento o comunque non forniscono un giudizio di aita probabilità logica in ordine alla sicura idoneità salvifica della condotta doverosa omessa, limitandosi ad offrire generiche considerazioni in ordine alla necessità di “effettuare i dovuti approfondimenti”, ovvero all’esigenza di affrontare “un percorso di approfondimento diagnostico vantaggioso”, atteso che, secondo i giudici, “Io stato clinico di Da.Ka. è stato sottovalutato con sbrigativa formulazione di diagnosi di influenza intestinale”; per contro, opina la Corte di appello, “L’individuazione della causa e l’approntamento di terapia mirata avrebbero con aita probabilità arrestato l’iter infausto della patologia”.

Tali affermazioni appaiono manifestamente illogiche laddove gli stessi periti non sono stati in grado di individuare le cause di insorgenza e i tempi di evoluzione della patologia, definita “fulminante” e di difficile diagnosi dagli stessi esperti, sicché si fatica a comprendere quali approfondimenti diagnostici” i medici avrebbero dovuto adottare e, soprattutto, se gli stessi avrebbero consentito di intraprendere un tempestivo percorso terapeutico idoneo ad impedire o, quantomeno, ritardare in maniera significativa l’evento morte. In particolare, la logica della decisione appare largamente insoddisfacente laddove, nella sostanza, per dare risposta al quesito “da quale momento poteva pretendersi dai sanitari intervenuti, in presenza di un fenomeno patologico ingravescente, l’effettuazione di mirati accertamenti diagnostici”, i giudici hanno condiviso il ragionamento adottato dai periti, sintetizzabile nella formula “prima si interviene e meglio è”, di per sé generico, carente e, come tale, inidoneo a fondare un serio giudizio controfattuale e, ancora prima, ad individuare con cognizione di causa il comportamento alternativo lecito che avrebbe dovuto essere seguito dai sanitari nel caso concreto.

Del resto, la sentenza impugnata evidenzia tutta la sua illogicità là dove osserva che “il tempestivo ricovero nella struttura ospedaliera avrebbe permesso l’anticipazione degli accertamenti diagnostici, con esami ematici e strumentali, e dei trattamenti per fronteggiare il grave stato di disidratazione rallentando l’evoluzione della malattia e aumentando le possibilità di individuazione delle cause della gastroenterite da cui era affetta che, esordita in forma subacuta e poi cronicizzata, virava velocemente, in mancanza di alcuna azione efficace di contrasto, verso una forma fulminante”. Argomentazione con cui i giudicanti abbandonano lo schema condizionalistico seguito dalla giurisprudenza di legittimità degli ultimi venti anni, per affidarsi alla superata teorica dell’aumento del rischio o della perdita di chances, espressa da un indirizzo giurisprudenziale esauritosi nei primi anni duemila, in base al quale, nella verifica del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e la lesione del bene della vita del paziente, occorreva privilegiare un criterio meramente probabilistico, sulle possibilità di successo del comportamento alternativo. Si tratta di una valutazione che si pone in frontale – e non motivato – contrasto con le indicazioni ermeneutiche espresse dal diritto vivente, sul tema dell’imputazione causale dell’evento (cfr. Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Rv. 276292 – 03). Al riguardo, va qui ribadito che per offrire la prova del fatto il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica (nel caso, peraltro, nemmeno evidenziati), ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica” rispetto al singolo evento oggetto dell’accertamento giudiziale (cfr. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138 – 01), secondo i noti principi dianzi richiamati.>>

Colpa nella causazione di sinistro stradale e contrazione di epatite C da emotrasfusione eseguita dall’ospedale nel conseguente ricovero: non c’è nesso di causa, alla luce del criterio dello “scopo della norma violata”

Cass. sez. III, sent. 28/03/2024 n. 8.429, rel. Scoditti:

<<Al riguardo, non può non essere rammentata la giurisprudenza penale di questa Corte. La divergenza circa la valutazione probatoria del nesso eziologico fra criterio civilistico (“più probabile che non”) e criterio penalistico (“oltre ogni ragionevole dubbio”), dettata dall’essere il danno ingiusto il centro di gravità dell’illecito civile, non può arrivare ad una differenziazione del contenuto del rapporto di causalità, tale da far ritenere un soggetto per il medesimo evento responsabile sul piano civile e non responsabile sul piano penale, con inevitabile contraddittorietà fra le valutazioni dell’ordinamento giuridico. Ebbene, secondo la costante giurisprudenza penale di questa Corte, la responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire, poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare (Cass. n. 30985 del 2019; n. 40050 del 2018; n. 35585 del 2017; n. 1819 del 2015).

Il criterio dello scopo della norma violata costituisce integrazione della regola eziologica anche nella giurisprudenza civile (da ultimo Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, punto 50 in motivazione). Secondo questo criterio, quando l’illecito consiste nella violazione di regole poste allo scopo di evitare la creazione di un rischio irragionevole, la responsabilità si estende solo agli eventi dannosi che siano realizzazione del rischio in considerazione del quale la condotta è vietata. Il divieto di una certa condotta presuppone l’individuazione della sequenza causale che tipicamente porta all’evento il cui verificarsi si vuole scongiurare. L’illecito colposo derivante dalla violazione della regola cautelare stabilisce così un peculiare nesso fra colpa ed evento. Nel momento del giudizio sulla colpa specifica, relativo all’applicazione della regola cautelare, vengono svolte le seguenti valutazioni di natura schiettamente causale: a) verificare se l’evento dannoso prodottosi realizzi il rischio per evitare il quale la regola causale è diventata parte dell’ordinamento; b) verificare se l’evento dannoso sarebbe stato evitato con la condotta alternativa lecita. Come non si è mancato di sottolineare in dottrina, le medesime valutazioni ricorrono anche nel caso della colpa generica, nel qual caso la regola di condotta non preesiste all’illecito, ma viene ricostruita ex post, a partire proprio dalla fattispecie concreta, valutando se l’evento si ponga quale esito di una sequenza eziologica regolare, che l’agente avrebbe potuto e dovuto prevedere ed evitare.

Deve escludersi che l’epatite da virus HCV contratta a seguito dell’emotrasfusione, eseguita in sede di intervento chirurgico determinato dalle lesioni riportate nel sinistro stradale, possa costituire concretizzazione del rischio della regola che mirava a prevenire il detto sinistro, anche valutando la fattispecie non solo dal punto di vista della colpa specifica, ma anche da quello della colpa generica. L’esistenza del requisito soggettivo della colpa sotto il profilo delle regole della circolazione stradale non vale ad estendere, sul piano eziologico, la responsabilità per l’evento dannoso cagionato dalla condotta quale soggetto agente nella detta circolazione, indubbiamente ipotizzabile, alla responsabilità per un evento, quale la contrazione dell’infezione, che la regola violata non mirava a prevenire.

Né può affermarsi che, poiché la condotta alternativa (rispettosa della regola cautelare) avrebbe evitato l’evento dannoso del sinistro stradale, quella condotta avrebbe anche evitato l’emotrasfusione pregiudizievole [è la parte più interessante] . Affermare questo significa introdurre la problematica del concorso di cause, in relazione alla quale si dovrebbe tornare alla valutazione svolta da Cass. n. 6023 del 2001, ma, come si è visto, di tale problematica manca la premessa, e cioè che la condotta in violazione della regola di circolazione stradale costituisca una causa in senso tecnico. Ad escludere questa premessa vi è quanto detto in ordine alla tipica eziologia dell’illecito colposo, legata al contenuto della regola cautelare violata. Più precisamente, la condotta colposa dell’agente nella circolazione stradale risulta soverchiata da un fattore eziologico, l’emotrasfusione pregiudizievole, che l’agente non poteva dominare in quanto estraneo al fuoco del comportamento che gli era prescritto dalla regola cautelare. La verifica se l’evento dannoso sarebbe stato evitato con la condotta alternativa lecita va fatta, quindi, non rispetto all’evento dannoso estraneo alla regola cautelare, ma a quello che quest’ultima mirava a prevenire, e la valutazione della sua portata eziologica si esaurisce nell’apprezzamento del solo nesso con quest’ultimo evento. Ne discende che non può dirsi, in senso eziologico, che l’emotrasfusione pregiudizievole sarebbe stata evitata dal rispetto della regola cautelare di circolazione stradale>>.

Principio di diritto: “non sussiste il rapporto di causalità fra l’evento dannoso costituito dall’epatite da virus HCV, contratta a seguito di emotrasfusione compiuta nel corso dell’intervento chirurgico richiesto dalle lesioni riportate in un sinistro stradale, e la condotta colposa, in violazione delle regole della circolazione stradale, che ha cagionato le dette lesioni“.

Ancora la Terza Sezione su nesso causale e concorso di cause nella responsabilità medica

Cass. sez.- 3 del 02.09.2022 n° 25.884. rel. Pellecchia, sull’oggetto.

Traiamo tre regole:

1) il duplice causale del dr. Scoditti e della 3 sez. (parzialmente esatto, ma solo parzialmetne):

<<Va al riguardo ribadito che, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica, si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392, Rv. 645164-01).

Se, al termine dell’istruttoria, restino incerti la causa del danno o quella dell’impossibilità di adempiere per causa non imputabile al debitore della prestazione, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano, rispettivamente, sull’attore o sul convenuto, e il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge, per questi ultimi (ed eventualmente per la struttura sanitaria convenuta) l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, nn. 28990 e 28991, 4 novembre 2017, n. 26824, 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01).>>

2° il criterio della prevalenza tra più possiibli:

<<In premessa, il collegio osserva come questa Corte, in tema di prova del nesso causale, abbia più volte affermato che i criteri da applicare sono quelli “della probabilità prevalente” e “del più probabile che non”.

Il primo criterio, della probabilità prevalente (o della prevalenza relativa), da adottarsi nel caso di specie, implica che, rispetto ad ogni enunciato fattuale, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che, accertatane la consistenza indiziaria, l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi, in particolare di quella/e contraria/e, per essere viceversa scartata quando gli elementi di fatto disponibili le attribuiscano una grado di conferma “debole”, tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre. In altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale (essendo la valutazione del nesso di causalità un giudizio di fatto di tipo relazionale) ritenendo “vero” l’enunciato che abbia ricevuto il grado di maggiore conferma relativa sulla base dei fatti indiziari disponibili, rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero degli elementi di conferma dell’ipotesi prescelta, e senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori.

Il principio risulta concretamente applicabile al caso di specie, nel quale le ipotesi adombrate dalla CTU risultano quattro, due delle quali ritenute “meno probabili” dall’ausiliario.

L’operazione intellettuale cui è chiamato il giudice di merito, in tal caso, si struttura in tre fasi:

a) L’eliminazione, dal novero delle ipotesi valutabili, di quelle meno probabili (non essendo consentito il procedimento logico-aritmetico che conduca alla conclusione: 3&gt;1);

b) L’analisi, tra le rimanenti ipotesi, di quelle ritenute più probabili;

c) La scelta, tra le ipotesi così residuate (nella specie, in numero di due) di quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.>>

3° conduzione del giudizi ocausale sui fatti : unitario o parcellizzato:

<<ma così violando l’ulteriore principio di diritto, a più riprese affermato da questa stessa Corte di legittimità, a mente del quale, nel giudizio di fatto, l’indagine vada rivolta al metodo di valutazione degli elementi di prova disponibili (i fatti “indizianti” della prova per presunzioni) e sulla scelta tra un generico modello olistico ovvero un rigoroso metodo analitico, evidenziandosi poi come la soluzione da privilegiare non possa che risultare la seconda, atteso che il modello olistico si presterebbe facilmente a sovrapporre alla realtà dei fatti la loro (sola) narrazione, con il rischio che una perfetta coerenza narrativa, pur in ipotesi assolutamente falsa, possa fuorviare il giudice e condurlo ad una decisione ingiusta, mentre il metodo analitico-atomistico si fonda sulla premessa che la base della decisione sia rappresentata dai fatti e soltanto da essi.

La valutazione dei fatti secondo il modello analitico segue, peraltro, un percorso logico distinto in due fasi – che ne consente una parziale combinazione con quello olistico – fondate, dapprima, su di un rigoroso esame di ciascun singolo fatto “indiziante” che emerge dagli atti di causa (onde eliminare quelli privi di rilevanza rappresentativa e conservare quelli che, valutati singolarmente, offrano un contenuto positivo, quantomeno parziale, sotto il profilo dell’efficacia del ragionamento probatorio), e successivamente, su di una valutazione congiunta, complessiva e globale, di tutti quei fatti – alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale, congruenza espositiva, concordanza prevalente – onde accertare se la loro combinazione, frutto di sintesi logica e non di grossolana “somma aritmetica”, possa condurre all’approdo della prova presuntiva del factum probandum, che potrebbe non considerarsi raggiunta attraverso una valutazione atomistica di ciascun indizio (quae singula non possunt, collecta iuvant).

Accertata preliminarmente la valenza dimostrativa di ciascun “fatto indiziario” che emerge dall’incarto processuale secondo il modello analitico, si procederà poi all’esame metodologico dell’intera trama fattuale in modo complessivo e unitario, di tal che la possibile ambiguità di ciascun factum probans possa nondimeno risolversi nell’approdo a quel necessario significato dimostrativo, frutto del ragionamento inferenziale, che consenta di ritenere complessivamente raggiunta la prova logico-baconiana del factum probandum. Il procedimento mentale da percorrere, per il giudice, è dunque quello della analisi di ciascun elemento di fatto e della sua collocazione e ri-composizione all’interno di un mosaico del quale ciascun indizio (i.e., ciascun singolo fatto) costituisce la singola tessera>>.

Tumore da uso prolungato di cellulare: riconosciuto il nesso causale anche da appello Torino

Appello Torino del 2 novembre 2022, sent. n° 519/2022, RG 496/2020, Grillo Pasquarelli cons. rel., confermando il primo grado nella causa promossa dal dipendente danneggiato contro l’INAIL, riconosce il nesso di causalità.

Uso per circa quattro ore al giorno , senza auricolare e sempre all’orecchio sinistro (per pregressa lesine al destro).

Telefono a tecnologia Etacs sistema GSM 2G.

riporto solo questi passggi:

<<- l’effetto oncogenetico appare correlato con la durata di
utilizzo;
– non esistono prove certe su altri possibili fattori etiologici del
neurinoma dell’VII;

Si conclude pertanto che, per quanto attiene la genesi del
neurinoma dell’VIII nervo cranico di sinistra nel caso del
Signor Nania, non vi sia certezza ma elevata probabilità
(probabilità qualificata) che l’utilizzo del telefono cellulare
possa essere considerato come fattore concausale in quanto:
– la lesione è insorta omolateralmente all’orecchio utilizzato per
le telefonate (orecchio sinistro – il soggetto è destrimane, per cui
l’orecchio dominante è il destro, ma la grave sordità insorta a
destra nel 1987 lo ha costretto a utilizzare l’orecchio di
sinistra);
– ha fatto un utilizzo del telefono cellulare per 2 ore e mezza al
giorno dal 1993 al 2008 con un telefono analogico; su questo
elemento si pongono alcuni dubbi in quanto i sistemi analogici
sono stati ritirati dal commercio a fine 2005; quindi è evidente
che almeno negli ultimi 3 anni il Signor Nania ha certamente
utilizzato sistemi digitali;
– l’esposizione a radiofrequenze di elevata intensità è durata 7
anni, se si ammette il passaggio a sistemi a bassa produzione di
radiofrequenze nel 2000, anno di introduzione in commercio dei
sistemi GSM 3G, o 12 anni, se ci si riferisce all’anno di
dismissione del sistema ETACS;
– il periodo di circa 15 anni tra la prima esposizione alle
radiofrequenze per utilizzo di telefonia mobile e la diagnosi di
neurinoma dell’acustico appare compatibile con la storia
naturale della malattia;
– sulla base dei dati di letteratura si esclude che l’esposizione
alle radiofrequenze prodotte dal telefono in situazione di standby
non possa essere considerata come rischiosa e non debba
essere computata nel calcolo del rischio”.

“Tuttavia non è vero che in materia di malattia multifattoriale, il
nesso causale con l’attività lavorativa non possa essere lo stesso
identificato, dovendo soltanto il giudice procedere agli
accertamenti del caso concreto rispettando i criteri
sopraindicati, ricavati in base alla giurisprudenza consolidata
di questa Corte (…). I quali confermano che, anche dinanzi
all’eventuale intreccio dei fattori causali, il giudice (…) possa
pervenire lo stesso all’identificazione del nesso causale. La
nostra giurisprudenza (…), infatti, ha rifiutato un approccio
rigidamente deterministico al tema causale ed ha ribadito che
non è indispensabile che si raggiunga sempre la certezza
assoluta, una connessione immancabile, tra i due termini del
nesso causale; essendo sufficiente allo scopo una relazione di
tipo probabilistico; purché la prova della correlazione causale
tra fatto ed evento attinga, nel singolo caso concreto, non già ad
una qualificata probabilità di tipo quantitativo o statistico, bensì
ad un livello di ‘alta probabilità logica’ (tipica
dell’accertamento dei fatti all’interno del processo), essendo
impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza
dell’eziologia.
Allo scopo, perché l’evento risulti attribuibile ad un agente
partendo da una indagine epidemiologica o da una legge
statistica (anche con una frequenza medio-bassa) è necessario
dimostrare nel singolo caso, in modo razionalmente
controllabile, che senza il comportamento dell’agente, con un
alto grado di probabilità logica, l’evento non si sarebbe
verificato (attraverso l’impiego del c.d. giudizio controfattuale).
Occorre, in sostanza, che le informazioni rilevanti sul piano
della causalità generale (la c.d. legge scientifica o di copertura)
vengano confrontate con le specifiche emergenze relative al caso
concreto, perché si possa restringere lo spettro delle possibili
cause alternative” (Cass. 6954/2020)”

Sul nesso di causalità nella responsabilità extracontrattuale

Fattispecie particolare decisa da Cass. n. 3.285 del 03.02.2022, rel. Giaime.

Il nuovo proprietario di un terreno fa causa ai due precedenti (uno dopo l’altro) proprietari per gli sversamenti di liquidi inquinanti provenienti da cisterne appostate sottoterra e in particolare sotto la sede stradale (in modo occulto cioè senza avvisare alcuno o quanto meno il nuovo propreitario).

La domanda riguarda la liquidazione del danno aquiliano (ex art. 2043-2050 cc ma anche ex art. 253/4 TU ambiente d. lgs. 152/2006)

Le corti di merito escludono la loro responsabilità perchè le cisterne interrate costituiscono antecedente troppo lontano, remoto: la vera causa sarebbe infatti il cedimento della porzione di sede stradale in corrispondenza delle cisterne, non le cisterne stesse.

Il proprietario non si perde d’animo, nonostante la doppia sconfitta presso le corti di merito, e ricorre in legittimità.

La SC censura il ragionamento del giudice di appello. In  presenza di concause, la presenza di una causa più recente non esclude quelle anteriori, tranne che sia da sola causalmente sufficiente a produrre l’evento lesivo:  <<La Corte territoriale, “appagandosi” della constatazione che fu il “cedimento della parte marginale della sede stradale” a determinare lo sversamento, oltre a non indagare sulla (eventuale) relazione eziologica esistente tra tale cedimento e la mancata rimozione delle cisterne (occultate sotto la strada), esclude che la loro presenza possa porsi come antecedente remoto – di una più ampia serie causale, cui appartiene pure il cedimento della strada, e ciò in base al solo dato, in sé anodino, della “risalenza nel tempo” delle condotte – interramento delle cisterne e mancata rimozione delle stesse – addebitato a Ba. e a Deon.

Si tratta di affermazione che integra violazione, più ancora che dell’art. 2043, dell’art. 1227 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., da intendersi come implicitamente richiamati dalla ricorrente nell’illustrazione del primo motivo di ricorso, che denuncia un “error in iuducando” nell’applicazione delle regole giuridiche di ricostruzione del nesso causale.>>

Orbene, anche nel contesto di un sistema, qual è quello della responsabilità civile, << “retto”, quanto all’apprezzamento della sussistenza del nesso causale, dal principio del “più probabile che non” (del quale è stata, di recente, sottolineata la “coerenza” con il principio Eurounitario della effettività della tutela giurisdizionale, come ritenuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 21 giugno 2017 in causa C-621/15; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 27 luglio 2021, n. 21530, Rv. 662197-01), resta inteso, nondimeno, che il giudice di merito, per stabilire se sussista il nesso di causalità materiale, deve applicare il principio della “regolarità causale” (tra le altre, Cass. Sez. 1, sent. 23 dicembre 2010, n. 26402, Rv. 615614-01 Cass..Sez. 3, sent. 30 aprile 2010, n. 10607, Rv. 612765-01) o dello “scopo della norma violata” (da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2021, n. 19033, Rv. 661748-01), sicché, “quando l’evento dannoso o pericoloso è stato cagionato da una pluralità di azioni o di omissioni, coeve o succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive, dovendo a ciascuna di esse riconoscersi un’efficienza causale del danno se nella concatenazione degli avvenimenti abbiano determinato una situazione tale che l’evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta per ultima, non si sarebbe verificato”, fermo restando che, nell’ipotesi, invece, in cui “la causa sopravvenuta sia da sola sufficiente a provocare l’evento perché autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, le cause preesistenti degradano al rango di mere occasioni perché quella successiva ha interrotto il legame causale tra esse e l’evento” (Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2003, n. 15789, Rv. 56757801; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 6 aprile 2006, n. 8096, Rv. 588863-01; si veda pure Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2013, n. 23915, Rv. 629115-01, secondo cui la causa sopravvenuta deve essere in grado di “neutralizzare” quella precedente, ponendosi come “di per sé idonea a determinare l’evento stesso”)>>.

In questa prospettiva, dunque, <<risulta errato far dipendere – come ha fatto la Corte veneziana – dal mero dato cronologico della “risalenza nel tempo” della condotta di Ba. e Deon il diniego della efficienza causale delle stesse rispetto all’evento dannoso verificatosi, e ciò perché – come si è detto all’interno di una stessa serie causale non può distinguersi “tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive”, salvo che non si riconosca all’ultima verificatasi ma a condizione che sia “autonoma, eccezionale ed atipica” l’idoneità a produrre, essa sola, l’evento dannoso, per tal ragione degradando la causa remota a semplice “occasio” dell’evento dannoso.

D’altra parte, a seguire sino in fondo l’impostazione della Corte lagunare, il nesso causale finirebbe col dover essere affermato solo in presenza di relazioni di “prossimità cronologica” tra la condotta addebitata all’asserito danneggiante e l’evento dannoso lamentato dal preteso danneggiato. Si finirebbe, in questo modo, con il dare ingresso al principio “post hoc ergo propter hoc”, in contrasto con quanto affermato, ancora di recente, da questa Corte>>.

Ragionamento corretto e aderente alla consueta interpretazione del nesso di causalità in presenza di concause (tranne il poco pertinente e comprensibile riferimemnto al “post hoc ergo propter hoc”,)

Operazioni baciate e induzione all’acquisto da parte della negligente revisione della banca: fattori causalmente incompatibili e quindi reciprocamente escludentisi

Trib. Milano 7706/2021 del 27.09.2021, RG 57282/2018, Bi.A s.a.s. di G. Bianchi & C. (già BIANCHI ANTONIO S.p.A., c. KPMG, esamina la domanda di un imprenditore contro il revisore della Popolare Vicenza, tristemente nota alle cronache, basata sulla negligente revisione , che non lo avrebbe disincentivato dall’acquisto di azioni Pop. Vi. (come sarebbe successo invece in caso di revisione diligente).

La difesa dell’attore però non si era avveduta di aver provato e forse pure allegato che le azioni erano state acquistate dietro specifico accordo con la banca stessa (al ppari di molti altri casi , riferiti sui media: c.d. operazioni baciate): ciò per mantenere o ottenere ulteriori finanziamnenti) , visto che -allo scopo- la banca “spingeva” le imprese ad acquistare proprie azioni e  pure finanziava gli acquisti stessi.

Questo fu dunque il motivo di acquisto delle azioni, non il silenzio del revisore.

Il giudice rigetta dunque la domanda per assenza del nesso di causa tra condotta di KPMG e danno. Non sono esaminati altri problemi (titolo contrattuale o aquiliano, esistenza o meno della allegata negligenza etc.).

Toccava al’attore provare che , nonostante questa apparenza prima facie, era stato  rilevante anche la macnata sollvevazione di censure da parte del reivisor: <<a fronte di ciò, incombeva sull’attrice un preciso e più stringente onere diallegare, e dimostrare, che nonostante tutto ciò essa avesse accettato di acquistare leazioni e le obbligazioni convertibili della propria banca finanziatrice, con la finanzamessale a disposizione dalla stessa, soltanto per aver contestualmente verificato,attraverso l’analisi dei bilanci approvati nell’aprile del 2013 (e poi del 2014), che sitrattava di titoli che avrebbe poi eventualmente potuto negoziare con facilità sul mercatofinanziario; e che a ciò l’avesse in concreto determinata (se non soltanto, anche)l’opinion senza rilievi di cui il revisore legale aveva sempre gratificato i bilanci di BPV.Ma di tale allegazione non v’è traccia nelle difese dell’attrice, trinceratesi nellanegazione dell’evidenza; e sarebbe del resto smentita dall’ulteriore evidenza che talititoli, come risulta -ove ve ne fosse il dubbio- dagli stessi estratti del dossier titolicitato, avevano un prezzo di carico “non liquido”  – né erano del resto quotati sumercati regolamentati.Quanto sopra, nel caso concreto e alla luce di tutti gli elementi di prova -confessoria,documentale e presuntiva- sopra esaminati, esclude che possa individuarsi nel negligenteassolvimento di KPMG ai propri obblighi di legge la causa determinante, o almeno unaconcausa eziologicamente rilevante, degli acquisti azionari e obbligazionari de quibus;effettuati da BiA con provvista messale a disposizione dalla stessa banca emittente alsolo, condiviso e accettato scopo godere, o continuare a godere, delle facilitazionicreditizie che le garantivano, sotto il profilo finanziario, di continuare ad operareimprenditorialmente.Il che, tradotto nel paradigma dell’azione risarcitoria richiamato nell’incipit delpresente paragrafo e con rilievo dirimente rispetto ad ogni altra questione dibattuta incausa, consente conclusivamente di ritenere che un fattore del tutto estraneo alla attivitàdel revisore si sia inserito, con efficacia eziologica esclusiva ed assorbente, nella seriecausale che ha condotto BiA ad effettuare gli acquisti azionari e obbligazionari inesame; sicché KPMG va assolta da ogni domanda qui rivoltale, senza necessità diulteriore istruttoria>>

Nemmeno è esaminato il punto se vi fosse stato o no in capo all’imprenditore un consenso realmente libero all’operazioni baciata proposta dalla banca: difficile però (ma non astrattamente impossibile) parlare di violenza, parrebbe.