Per evitare la condanna per diffamazione da post presente nel proprio account, bisogna almeno denunciare per furto di identità

Questo di fatto è l’insegnamento fornito da Cass. pen. sez, 5 n. 40.309 depositata il 25.10.2022, ud. 22.06.2022, Perrone Angelo.

Per vero viene fornito in maniera oppopsta e cioè nel senso che la mancata denuncia di tale reato (art. 494 cp: sostituizione di persona e/o  art. 640 ter c.p. Frode inforamtica) costituisce indizio di colpevolezza.

<< Tale argomentazione appare corretta, rispondendo a criteri logici e a condivise
massime di esperienza trarre elementi di rilievo – in ordine alla provenienza di un
post da un determinato utente – dall’omessa denuncia dell’uso illecito del proprio
profilo, eventualmente compiuto da parte di terzi.
E,
infatti, questa Corte ha già ritenuto che l’omessa denuncia del c.d. “furto
di identità”, da parte dell’intestatario della bacheca sulla quale vi è stata la
pubblicazione di post “incriminati”, possa costituire valido elemento indiziario
(Sez. 5, n. 4239 del 21/10/2021, dep. 2022, Ciocca, n.m.; Sez. 5, n. Sez. 5, n.
45339 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep.
2016, Martinez, n.nn.).>>

La diffamazione, per avere pubblicato su Facebook le email aggressive ricevute, non è coperto da safe harbour ex 230 CDA

La diffamazione per aver pubblicato su Facebbok le email aggressive/offensive ricevute non è coperto sal safe harbour ex 230 CDA:  essenzialmente perchè non si tratta di materiali  di terzi che questi volevano pubblicare in internet ma di sceltga del destinatario delle email.

Questa la decisione dell’Eastern district of California, 3 marzo 2022, Crowley ed altri c. Faison ed altri, Case 2:21-cv-00778-MCE-JDP .

Si tratta della pubblicazione da parte della responsabile locale in Sacramento del movimnto Black Lives Matter delle email che  aveva ricevuto.

Passo pertinente: <<Defendants nonetheless ignore certain key distinctions that make their reliance on the Act problematic.

Immunity under § 230 requires that the third-party provider, herethe individual masquerading as Karra Crowley, have “provided” the emails to Defendants“for use on the Internet or another interactive computer service.” Batzel, 333 F.3d at1033 (emphasis in original).

Here, as Plaintiffs point out, the emails were sent directly to BLM Sacramento’s general email address. “[I]f the imposter intended for his/her emailsto be posted on BLM Sacramento’s Facebook page, the imposter could have posted theemail content directly to the Facebook page,” yet did not do so. Pls.’ Opp to Mot. toStrike, 18:9-11 (emphasis in original). Those circumstances raise a legitimate questionas to whether the imposter indeed intended to post on the internet, and without a findingto that effect the Act’s immunity does not apply. These concerns are further amplified by the fact that Karra Crowley notifiedDefendants that she did not author the emails, and they did not come from her emailaddress within 24 hours after the last email attributed to her was posted. Defendantsnonetheless refused to take down the offending posts from its Facebook page, causingthe hateful and threatening messages received by Plaintiffs to continue.

As set forthabove, one of the most disgusting of those messages, in which the sender graphicallydescribed how he or she was going to kill Karra Crowley and her daughter, was sentnearly a month later.In addition, while the Act does provide immunity for materials posted on theinternet which the publisher had no role in creating, here Defendants did not simply postthe emails. They went on to suggest that Karra Crowley “needs to be famous” andrepresented that her “information has been verified”, including business and homeaddresses. Compl., ¶¶ 13-14.6 It is those representations that Plaintiffs claim arelibelous, particularly after Defendants persisted in allowing the postings to remain evenafter they had been denounced as false, a decision which caused further harassmentand threats to be directed towards Plaintiffs.

As the California Supreme Court noted inBarrrett, Plaintiffs remain “free under section 230 to pursue the originator of a defamatory Internet publication.” 40 Cal. 4th at 6>>

Visto il dettato della norma, difficile dar torto al giudice californiano.

Si noti che ad invocare il safe harbour non è una piattaforma digitale, come capita di solito, ma un suo utilizzatore: cosa perfettamente legittima, però, visto il dettato normativo.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Diffamazione via Facebook verso il datore di lavoro con successivo licenziamento per giusta causa (e grave insubordinazione ex CCNL)

Qualche spunto utile in Cass. sez. lav. n. 27.939 del 13.10.2021, rel.  Patti , circa diffamzione compiuta dal lavoratore su Facebook ai danni del datore, che lo hapoi licenziato per giusta causa ex 2119 cc e art. 48B del CCNL.

1) circa la privatezza o meno del post a seconda che sia in gruppo chiuso o nel proprio profilo pubblico :

<<Premessa l’esigenza di tutela della libertà e segretezza dei messaggi scambiati in una chat privata, in quanto diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone, pertanto da considerare come la corrispondenza privata, chiusa e inviolabile (Cass. 10 settembre 2018, n.21965: nella specie, conversazione in chat su Facebook composta unicamente daiscritti ad uno stesso sindacato), nella fattispecie in esame non sussiste una tale esigenza di protezione (e della conseguente illegittimità dell’utilizzazione infunzione probatoria) di un commento offensivo nei confronti della società datrice di lavoro diffuso su Facebook. Il mezzo utilizzato (pubblicazione dei post sul profilo personale del detto social : così secondo il Tribunale, come riportato alterz’ultimo capoverso di pg. 2 e al terz’ultimo di pg. 5 della sentenza impugnata) è, infatti, idoneo (secondo l’accertamento della Corte territoriale, ancherecependo dal provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 13giugno 2013 il supporto tecnico di comprensione dell’articolata modulazione dei messaggi su Facebook e della diversa fruibilità esterna a seconda di essa: all’ultimo capoverso di pg. 12 della sentenza), a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone (Cass. 27 aprile 2018, n.10280, che ha ritenuto tale condotta integrare gli estremi della diffamazione ecostituire giusta causa di recesso, siccome idonea a ledere il vincolo fiduciario nelrapporto lavorativo)>>.

2) Sulla grave insubordinazione ex ccnl:

<<È insegnamento di questa Corte che la nozione di insubordinazione debba essere intesa in senso ampio: sicché, nell’ambito del rapporto di lavorosubordinato, essa non può essere limitata al rifiuto del lavoratore di adempiere alle disposizioni dei superiori (e dunque ancorata, attraverso una lettura letterale,alla violazione dell’art. 2104, secondo comma c.c.), ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed ilcorretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazioneaziendale (Cass. 27 marzo 2017, n. 7795; Cass. 11 maggio 2016, n. 9635; Cass. 2 luglio 1987, n. 5804 e la più recente 19 aprile 2018, n. 9736, in riferimento adun rapporto di lavoro pubblico).

9.1. Infatti, ciò che conta, ai fini di una corretta individuazione di una condotta diinsubordinazione, nel contemperamento dell’interesse del datore di lavoro alregolare funzionamento dell’organizzazione produttiva con la pretesa dellavoratore alla corretta esecuzione del rapporto di lavoro, è il collegamento al sinallagma contrattuale: nel senso della rilevanza dei soli comportamenti suscettibili di incidere sull’esecuzione e sul regolare svolgimento dellaprestazione, come inserita nell’organizzazione aziendale, sotto il profilo dell’esattezza dell’adempimento (con riferimento al potere direttivodell’imprenditore), nonché dell’ordine e della disciplina, su cui si basa l’organizzazione complessiva dell’impresa, e dunque con riferimento al poteregerarchico e di disciplina (Cass. 13 settembre 2018, n. 22382). In particolare, lanozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempiere alledisposizioni impartite dai superiori, ma si estende a qualsiasi altrocomportamento atto a pregiudicarne l’esecuzione nel quadro dell’organizzazioneaziendale (giurisprudenza consolidata fin da Cass. 2 luglio 1987, n. 5804, citata):sicché, la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo dicorrettezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze ditutela della persona umana riconosciute dall’art. 2 Cost., può essere di per sésuscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento chel’efficienza di quest’ultima riposa sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigentie quadri intermedi ed essa risente un indubbio pregiudizio allorché il lavoratore,con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli (Cass. 11maggio 2016, n. 9635)>>.