Il concetto di “consumatore medio” (art. 20 cod. cons.) deve prendere atto della razionalità limitata e dei bias cognitivi

Interessante opinione dell’AG Emiliou nel caso C-646/22, Compass Banca v. AGCM, Conclusioni 25.04.2024, su rinvio pregiudiziale del ns Cons. Stato.

La lite riguardava  la proposta abbinata di finanziamento e assicurazione da parte di Compass, ritenuta pratica aggressiva da AGCM.

Tra le questioni proposte qui interessa la prima:  << Se la nozione di consumatore medio di cui alla direttiva 2005/29/CE inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto – per la sua elasticità ed indeterminatezza – non debba essere formulata con riferimento alla miglior scienza ed esperienza e di conseguenza rimandi non solo alla nozione classica dell’homo oeconomicus ma anche alle acquisizioni delle (…) teorie sulla razionalità limitata che hanno dimostrato come le persone agiscono spesso riducendo le informazioni necessarie con decisioni “irragionevoli” se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento ed avveduto[,] acquisizioni che impongono una esigenza protettiva maggiore dei consumatori nel caso – sempre più ricorrente nelle moderne dinamiche di mercato – di pericolo di condizionamenti cognitivi>>.

l’Ag supera una prima obiezione , quella della irrilevanza in causa per mera teoricità (e assenza di rilevanza in casua) della questione: giustamente l’AG la rigetta.

Poi, entrando nel merito, afferma che il concetto di consumatore medio comprende le fragilità cognitive o volitive e quindi i (più o meno frequenti, spesso inevitabili) casi di razionalità limitata (bounded rationality). Su di essi c’è letteratura sterminata : si pensi ai lavori di Herbert Simon, Tversky e il recentemente scomparso Kahneman (e al suo meravigliso libro Pensieri lenti, pensieri veloci) , di Thaler e alla sterminata produzione di Cass Sunstein (che si aggiunge a quella di costituzionalista e di altro ancora) , da noi Paolo Legrenzi etc.

Su tale teoria  si basa il filone dell’economa comportamentale.

<< 43.  Alla luce di questo più ampio contesto ritengo che lo scopo dell’espressione «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto», contenuta nel considerando 18 della direttiva 2005/29, non sia quello di «alzare il livello» di quanto ci si può attendere da un consumatore tipico rispetto a una determinata prassi commerciale, richiedendogli di essere, ad minima, un individuo razionale che si attiva per ottenere le informazioni rilevanti, elabora razionalmente le informazioni a lui presentate ed è pertanto in grado di adottare decisioni consapevoli (più o meno come un «homo oeconomicus»). Tali termini sono volti piuttosto a garantire che gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali non adottino la prospettiva di un consumatore a tal punto poco informato, attento e avveduto che sia irragionevole o sproporzionato proteggerlo. A tal riguardo, osservo che, nei suoi Orientamenti sull’interpretazione della direttiva 2005/29 (24), la Commissione ha espressamente escluso dall’ambito di applicazione della protezione unicamente il «consumatore acritico, ingenuo o disattento», la cui protezione sarebbe a suo avviso «sproporzionata e creerebbe un ostacolo ingiustificato agli scambi commerciali». Si tratta di una soglia minima piuttosto bassa.

44. Per queste ragioni, non condivido la posizione della Compass Banca secondo cui, per il fatto che la direttiva 2005/29 contiene una disposizione specifica sulla protezione di gruppi di consumatori «particolarmente vulnerabili» (segnatamente, il suo articolo 5, paragrafo 3), il «consumatore medio», cui si riferisce l’articolo 5, paragrafo 2, di tale atto sarebbe, a sua volta, un individuo in grado di agire sempre in modo razionale. A mio parere, il fatto che il legislatore dell’Unione abbia inteso riconoscere una protezione accresciuta a «gruppi particolarmente vulnerabili» di consumatori non significa che non intendesse fornire un elevato livello di protezione a consumatori non rientranti in detti gruppi, o che li abbia considerati quali individui invulnerabili, sempre perfettamente razionali.

45. In terzo luogo, l’obiettivo della direttiva 2005/29, che consiste nel fornire «un livello elevato di tutela dei consumatori», conferma, a mio parere, tale interpretazione. Infatti, tale funzione protettiva – che, come ho osservato nell’introduzione, rappresenta la struttura portante non soltanto della direttiva di cui trattasi, ma di molti dei testi di legge adottati dal legislatore dell’Unione nel settore della tutela dei consumatori – non sarebbe necessaria se il «consumatore medio» dovesse essere sempre considerato rispondente al modello dell’«homo economicus». A costo di dire un’ovvietà, non credo che il legislatore dell’Unione avrebbe adottato la direttiva 2005/29 (il cui obiettivo è di proteggere i consumatori da pratiche che possono «falsare in misura rilevante il [loro] comportamento economico»), se avesse ritenuto che i consumatori siano sempre in grado di agire in maniera razionale >>.

La presa di posizione è condivisibile. Se ne era già occupato Michele Bertani, Pratiche commerciali scorrette e consumatore medio, Giuffrè, 2016 (collana Quad. di Giur. Comm.), cap. II, §§ 1-3 (e spt. il § 3), con proposta analoga (p. 44-45).

Il reale problema teorico è quello del se la legge voglia tutelare il consumatore così come è opppure gli imponga una soglia minima di attenzione  che tutti devon raggiungere, per fruire della tutela.

Non è un problkema da poco e l’AG opta per la prima soluzione.

L’articolato della dir. nulla dice, se non “consumatore medio”.

Qualche (modesto) spunto in più nei considd. 18-19:

<< (18)  È opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto necessario, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450/CEE, esaminare l’effetto su un virtuale consumatore tipico. Conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia, ma contiene altresì disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro caratteristiche risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. Ove una pratica commerciale sia specificatamente diretta ad un determinato gruppo di consumatori, come ad esempio i bambini, è auspicabile che l’impatto della pratica commerciale venga valutato nell’ottica del membro medio di quel gruppo. È quindi opportuno includere nell’elenco di pratiche considerate in ogni caso sleali una disposizione che, senza imporre uno specifico divieto alla pubblicità destinata ai bambini, tuteli questi ultimi da esortazioni dirette all’acquisto. La nozione di consumatore medio non è statistica. Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie.

(19) Qualora talune caratteristiche, quali età, infermità fisica o mentale o ingenuità, rendano un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile ad una pratica commerciale o al prodotto a cui essa si riferisce, e il comportamento economico soltanto di siffatti consumatori sia suscettibile di essere distorto da tale pratica, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere, occorre far sì che essi siano adeguatamente tutelati valutando la pratica nell’ottica del membro medio di detto gruppo>>.

L’avvocato generale sul concetto di “ne bis in idem” (art. 50 Carta dei diritti fondamentali dell’UE)

Interessante esame condotto dalle  Conclusioni 30 marzo 2023 dell’AG . CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA nella causa di rinvio pregiudiziale C-27/22 , Volkswagen c. AGGM.

Riguardano la pratica commerciale sleale del c.d. Dieselgate

Le Conclusioni dell’AG affrontano temi di notevole spessore teorico. L’esito è che tocca al giudice nazinale dire se ricorrano o no i presupposti del ne bis in idem, ma l’AG fornisce qualche chiarimento.

Qui riporto solo il § 77 sul concetto di “stessi fatti”, anzi “fatti identici”:

<<La Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio i seguenti elementi di riflessione su tale punto:

– l’analisi, dettagliata e specifica, dei comportamenti sanzionati deve risultare in una constatazione della loro identità, non della mera analogia;

– in caso di cumulo transfrontaliero di procedimenti e di sanzioni, l’identità territoriale, fattore che può tuttavia servire ad altri fini, non è indispensabile (39). Questo stesso fattore consentirà di eliminare i sospetti di «scelta interessata» dell’autorità sanzionatoria competente (40);

– la procura di Braunschweig, pur sottolineando che l’assenza di supervisione è la causa degli illeciti commessi dalla VWAG in tutto il mondo tra il 2007 e il 2015, prende in considerazione, quali fatti rilevanti, la commercializzazione in altri paesi (tra cui l’Italia) di veicoli dotati del sistema informatico di manipolazione nonché la pubblicità ingannevole finalizzata alla vendita di tali automobili (41);

– il nesso tra questi tre elementi sembra chiaro, anche se sarà il giudice del rinvio a dover decidere se esso sia sufficiente per concludere nel senso dell’identità dei fatti materiali. La procura di Braunschweig indica precisamente che la sua ordinanza osterebbe, a causa del principio del «ne bis in idem», all’adozione di sanzioni in altri Stati nei confronti della VWAG per questi stessi comportamenti>>.

Pratiche pubblicitarie digitali manipolative: dettagliato studio per la Commissione europea

è uscito il Final Report del <<Behavioural study on unfair commercial practices in the digital environment: dark patterns and manipulative personalisation>>, aprile 2022, per la Commissione UE, ad opera di Lupiáñez-Villanueva, Francisco ;  Boluda, Alba ;  Bogliacino, Francesco ;  Liva, Giovanni ;  Lechardoy, Lucie ;  Rodríguez de las Heras Ballell, Teresa.

Analizza dettagliatametne le modalità “troppo persuasive” della pubblicità (commerciale e non) oggi praticate da chi comunica sul web.

Si legge che i c.d. dark patterns sono diffusissimi (non una gran novità, per vero). Il concetto di “Dark patterns” è <<generally used to refer to practices in digital interfaces that steer, deceive, coerce, or manipulate consumers into making choices that often are not in their best interest , 20>>.

Interessante tabella 2, p. 30, contentente la tassonomia di tali pratiche, e in generale , sul medesimo tema, i §§  2.1 e 2.2.

Chi ha poco tempo, può limitarsi a leggere l’iniziale Executive summary e/o soprattutto il cap. 6 Conclusions and recommendations.

Interesssante è il loro inquadramento giuridico : in linea di massima consisterà quanto meno nella fattispecie delle pratiche commerciali scorrette in quanto ingannevoli.