C’è rapporto concorrenziale tra venditore online e venditore tramite negozi fisici

Cass. sez. I, ord. 10/01/2025 n. 626, rel. Falabella, con insegnamento condivisibile circa una fattispecie di vendita di prodotti elettronici:

<<Secondo la giurisprudenza di questa Corte, presupposto indefettibile dell’illecito concorrenziale è la comunanza di clientela (per tutte: Cass. 22 ottobre 2014, n. 22332; Cass. 22 luglio 2009, n. 17144; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617) e tale comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno (Cass. 20 luglio 2023, n. 21586; Cass. 18 maggio 2018, n. 12364). Poiché la concorrenza è la competizione tra i soggetti economici il cui obiettivo di autoaffermazione nel mercato si raggiunge conquistando, a danno del concorrente, maggiore clientela, è la mancanza di una comunanza di clientela ad impedire ogni concorrenza e dunque anche ogni abuso del relativo diritto (Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617, cit., in motivazione).

La modalità di commercializzazione del prodotto non riveste, allora, decisivo rilievo ai fini della configurabilità del rapporto di concorrenza: l’identità del sistema di vendita adottato da due imprenditori che si rivolgano a bacini di clientela non coincidenti nemmeno in via potenziale non fa sorgere il rapporto di concorrenza; all’opposto, tale rapporto è da ravvisarsi ove il medesimo prodotto, attraverso diversi canali di distribuzione, sia indirizzato a quanti avvertano il medesimo bisogno di mercato e possano essere quindi interessati a procurarselo.

Così, la clientela del mercato dei prodotti elettronici deve essere considerata unitariamente, indipendentemente dal fatto che l’acquisto dei medesimi si attui in punti di vendita diffusi sul territorio o attraverso un circuito on line: e ciò significa che è configurabile un rapporto di concorrenza tra operatori che veicolino la loro offerta attraverso queste distinte modalità di commercializzazione dei prodotti in questione.

Negare, del resto, il rapporto di concorrenza in ragione del semplice utilizzo di differenti canali di distribuzione del prodotto – enfatizzando, così, l’assenza di identità tra la clientela dei punti di vendita dislocati sul territorio e la clientela che accede al mercato on line – significa contravvenire al principio per cui, ai fini dell’individuazione del suddetto rapporto, deve aversi riguardo alla naturale dinamicità delle singole attività imprenditoriali. Questa Corte reputa, infatti, che la sussistenza di una comunanza di clientela vada verificata anche in una prospettiva potenziale, tenendo conto dell'”esito di mercato fisiologico e prevedibile” dell’attività svolta (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22332, cit.; Cass. 22 luglio 2009, n. 17144, cit.; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617, cit.). In tal senso, una differenziazione dei mercati basata sulla rigida diversificazione dei sistemi di commercializzazione appare priva di ragionevole fondamento giustificativo anche in quanto trascura di considerare la naturale osmosi esistente tra le forme attraverso cui si attua lo scambio dei prodotti (quelle tradizionali, da un lato, e quelle più evolute, di crescente diffusione, dall’altro).>>

Concorrenza sleale tra editori anche per la raccolta pubblicitaria

Interessante (ma laconica) precisazione di Cass. 14.03.2022 n. 8270, rel. Fraulini, GEDI gruppo editoriale spa c. RTI-reti telefvisive italiane spa, relativa alla illecita pubblicazione da parte della prima sul proprio portale di video illeciti, su cui aveva diritti di autore/connessi la seconda.

Per quanto qui interessa, la SC conferma la decisione di appello, secondo cui i due editori sono concorrenti nella gara per raccogliere la pubblicità ai fini della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.:

<<Una nozione “dinamica” di comunanza di clientela nel senso di richiedere l’accertamento che l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti [qui: spazi pubblicitari per inserzionisti], ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. Con tali presupposti, l’affermazione della Corte romana, secondo cui la concorrenza tra le due parti del giudizio poteva essere riguardata anche [sotto cosa altro? non riporta l’accertamento di Appello …] sotto il profilo della concorrenza sul mercato pubblicitario degli inserzionisti, che dal numero di utenti collegati trae certamente primaria indicazione per orientare le proprie scelte pubblicitarie, con conseguente rilevanza dell’utilizzazione non autorizzata dei contenuti immessi sulportale dell’odierna ricorrente, costituisce una valutazione che, in astratto, rientra nella larga nozione di comunanza di clientela e, in concreto, è un giudizio di fatto che si sottare al sindacato di questa Corte>>

Cioè , par di capire, permettendo la permanenza di video anche illeciti, favoriva i  conseguenti download degli utenti (cioè aumentava il numero di accessi) e quindi , adeguatamente rivelandolo, incrementava la propria attrattività  agli occhi degli inserzionisti.

Il punto è importante (anche se non nuovo) , ma purtroppo andava motivato di più, ben di più.

Si badi che il dare rilevanza al mercato della raccolta pubblicitaria comporta che tutti quelli che hanno portale web concorrono tra loro su tale mercato, a prescindere poi dal rispettivo mercato dei prodoitti/servizi caratteristici.